Era passata una settimana quando Lew, Aaron e Ira vennero a prendermi. A quel punto ero proprio cotto. Ero seduto nel portico posteriore della pensione a fumare la pipa ed ero senza camicia, per prendere un po’ di sole. Soltanto che il sole non c’era.
Girarono intorno alla casa. — Buon giorno, Vic — mi salutò Lew. Camminava appoggiandosi ad un bastone. Aaron mi fece un gran sorriso. Del genere che si fa ad un grosso toro pronto a montare una bella mucca da riproduzione. Ira aveva un aspetto legnoso.
— Salve, come va Lew? Buon giorno, Ira, Aaron.
Lew sembrò molto compiaciuto del mio modo di fare.
Aspettate un poco, sporchi bastardi!
— Sei pronto ad incontrare la tua prima signora?
— Pronto come sempre, Lew — dissi e mi alzai.
— Bello fumare, vero? — disse Aaron.
Io mi tolsi la pipa di bocca: — Semplicemente delizioooso — sorrisi io. Non l’avevo nemmeno accesa, quella fottuta pipa.
Mi accompagnarono fino a Marigold Street ed arrivammo ad una casetta con le persiane gialle ed uno steccato di paletti bianchi. Lew disse — Questa è la casa di Ira. Quilla June è sua figlia.
— Niente male — dissi io con gli occhi spalancati.
Ira contrasse i muscoli della mascella.
Entrammo.
Quilla June era seduta sul divano con sua madre, una versione più anziana di lei stessa. Magra come un chiodo. — Signora Holmes — dissi, con un piccolo inchino. Lei sorrise. Un sorriso tirato, ma un sorriso.
Quilla June sedeva con le mani congiunte in grembo e le ginocchia unite. Aveva un nastro nei capelli, un nastro blu.
Andava d’accordo con i suoi occhi.
Qualcosa si agitò nel mio stomaco.
— Quilla June — dissi.
Lei alzò gli occhi: — Buongiorno, Vic.
Poi tutti ci fissammo più o meno imbarazzati, finché Ira cominciò a farfugliare di andare nella camera da letto e di farla finita con questa porcheria contro natura in modo che poi potessero andare tutti in Chiesa a pregare il Buon Dio che non ci-facesse-cadere-morti-stecchiti con un fulmine divino, o qualche altra fesseria del genere.
— Non hai detto niente, vero? — le chiesi.
Lei scosse la testa.
E tutto a un tratto non ebbi più voglia di ucciderla. Volevo stringerla. Molto forte. E lo feci. E lei pianse sul mio petto e picchiò i pugni sulla mia schiena e poi alzò lo sguardo e affastellando le parole, disse: — Oh Vic, mi dispiace, mi dispiace. Io non volevo, ho dovuto farlo, mi ci avevano mandato apposta, avevo paura, ma ti amo e adesso ti hanno portato qua sotto, e non è una cosa sporca, vero, non è come dice mio padre, vero?
La tenni stretta, la baciai e le dissi che andava tutto bene, e poi le chiesi se voleva venire via con me, e lei disse sì, sì, voleva davvero. Così le dissi che forse dovevo fare del male a suo padre per fuggire, e negli occhi le comparve un’espressione che conoscevo bene.
Con tutta la sua buona educazione, Quilla June non amava troppo quel padre biascica-rosari.
Le chiesi se non avesse in giro qualcosa di pesante, tipo un candeliere o una mazza, e lei disse di no. Così frugai nella camera da letto e trovai un paio di calzini del suo vecchio in un cassetto del comò. Tolsi le grosse palle di ottone della testiera del letto e le infilai nel calzino. Le soppesai. Oh, sì.
Lei mi guardava con gli occhi spalancati: — Che cosa vuoi fare?
— Vuoi uscire di qui?
Lei annuì.
— E allora mettiti dietro quella porta. No, aspetta un attimo, mi è venuta un’idea migliore. Vai sul letto.
Lei si distese sul letto. — Okay — dissi. — Adesso tirati su la gonna, togliti le mutandine e distendi le braccia. — Lei mi lanciò uno sguardo di puro terrore. — Fallo — dissi. — Se vuoi andartene.
Lei obbedì e io la sistemai in modo che avesse le ginocchia piegate e le cosce spalancate, poi scivolai accanto alla porta e le sussurrai: — Chiama tuo padre. Solo lui.
Lei esitò per un lungo istante, poi gridò con un tono che non aveva bisogno di contraffare: — Papà, Papà, vieni qui, per piacere! — Poi chiuse strettamente gli occhi.
Ira Holmes entrò nella stanza, diede un’occhiata, rimase a bocca aperta; io diedi un calcio alla porta e la chiusi dietro di lui, poi lo colpii più forte che potei. Barcollò, schizzando di sangue la coperta, poi cadde a terra.
Lei aprì gli occhi non appena udì il tonfo, e quando vide la scena e il sangue sulle gambe, si sporse dal letto e vomitò. Capii che non mi sarebbe stata di molto aiuto per attirare Aaron nella stanza, così aprii la porta, cacciai fuori la testa, assunsi un’aria preoccupata e dissi: — Aaron, potresti venire un momento, per favore? — Lui lanciò un’occhiata a Lew che stava discutendo con la signora Holmes su quello che succedeva nella camera da letto, e quando Lew gli fece un cenno di assenso, entrò nella stanza. Puntò lo sguardo fra le cosce di Quilla June, e poi al sangue sulla parete e sulla coperta, ad Ira sul pavimento, e aprì la bocca per gridare proprio nel momento in cui io lo colpii. Ci vollero altri due colpi per buttarlo a terra e poi gli diedi un calcio nello stomaco per metterlo fuori combattimento. Quilla June continuava a vomitare.
La presi per un braccio e la trascinai giù dal letto. Almeno era tranquilla, ma Dio se puzzava.
— Vieni!
Lei cercò di fare resistenza, ma io non mollai ed aprii la porta della camera da letto. Quando la spinsi fuori, Lew si alzò in piedi appoggiandosi al bastone. Diedi un calcio al bastone facendogli perdere l’equilibrio e lui cadde come un mucchio di stracci. La signora Holmes ci fissava, chiedendosi dove fosse il suo vecchio. — È là dentro — dissi io, dirigendomi verso la porta. — Il Buon Dio gli ha dato un colpo in testa.
Poi fummo in strada, con Quilla June che lasciava una terribile puzza dietro di sé, continuando ad avere conati di vomito e strillando, e probabilmente chiedendosi dove fossero finite le sue mutandine.
Le mie armi erano in una cassetta chiusa a chiave nell’ufficio dei Migliori Affari, e facemmo una deviazione fino alla pensione per prendere sotto il portico posteriore il piede di porco che avevo rubato al distributore. Poi tagliammo dietro alla fattoria ed entrammo nel quartiere degli affari andando dritti all’UMA. Un impiegato cercò di fermarmi e io colpii quella zucca vuota con il piede di porco. Poi forzai la serratura della cassetta nell’ufficio di Lew e presi la 45, la 30-06 e tutte le munizioni, il coltello e lo stiletto e la mia borsa e la riempii. A quel punto Quilla June era ritornata in sé.
— Dove andremo, dove andremo, oh, Papà, papà, papà…
— Ehi, ascolta, Quilla June, piantala di chiamare Papà. Hai detto che volevi stare con me… be, io vado su, baby, e se vuoi venire con me è meglio che mi resti appiccicata.
Era troppo spaventata per obiettare.
Uscii dall’ingresso del negozio ed ecco quella scatola verde di sentinella che arriva a razzo. I cavi erano fuori, ma i guanti non c’erano più. Aveva degli uncini.
Mi lasciai cadere su di un ginocchio, arrotolai la cinghia del 30-06 sul braccio, presi la mira e sparai al grande occhio sul davanti. Un colpo solo, spang!
Colpito all’occhio, l’aggeggio esplose in una cascata di scintille e la scatola verde piegò di lato sfondando la vetrina del Mill End Shoppe, stridendo e gemendo e riempiendo il negozio di scintille e fiamme. Carino.
Afferrai Quilla June per un braccio e mi diressi verso l’estremità sud di Topeka. Era l’uscita più vicina che avessi trovato durante le mie esplorazioni e ci arrivammo in circa quindici minuti, ansanti e deboli come gattini.
Ed eccolo là.
Il grosso condotto di aerazione.
Forzai le ganasce con il piede di porco e ci arrampicammo all’interno. C’erano delle scale a pioli che salivano verso l’alto. Era ovvio che ci fossero. Riparazioni, pulizie. Dovevano esserci. Cominciammo ad arrampicarci. Ci volle molto, molto tempo.
Dietro di me, Quilla June continuò a domandarmi tutte le volte che diventava troppo stanca per arrampicarsi: — Vic, mi ami? — Continuai a risponderle di sì. Non solo perché l’amavo davvero. L’avrebbe aiutata a salire.