Solo allora, dopo essersi rizzato a sedere sulla cuccetta e aver risposto «Sì» si accorse con che nome era stato chiamato.
— Alzati. Vestiti.
Mise le gambe giù dal letto, e si alzò. Allungò un braccio per prendere la camicia, e stava già infilandosela quando si bloccò e chiese: — Perché?
— Per sapere la verità.
— Chi siete?
— Non parlare forte. Ti sento. Sono dentro e fuori di te. Non ho nome.
— Allora, che cosa siete? — Lo disse forte, senza pensarci.
— Uno strumento del Risplendente.
Si sedette di colpo sulla cuccetta, e si chinò macchinalmente a cercare a tentoni le scarpe.
Anche la sua mente brancolava nel buio, in cerca di qualcosa che non sapeva bene cosa fosse. Finalmente trovò una domanda da fare. La domanda. Ma non la pose a voce alta, questa volta; la formulò col pensiero, si concentrò su di essa, mentre infilava le gambe nei pantaloni.
— Sono pazzo?
— No! — La risposta fu chiara e tagliente. Ma era stata realmente pronunciata? O quel suono era soltanto nella sua mente?
Trovò finalmente le scarpe, e le calzò. Mentre trafficava con le stringhe, pensò: «Chi… che cosa… è Il Risplendente?».
— Il Risplendente è quello che è la Terra. È l’intelligenza del nostro pianeta. È una delle tre intelligenze del Sistema solare, una delle molte nell’universo. La Terra è una; si chiama Il Risplendente.
«Non capisco» pensò lui.
— Capirai. Sei pronto?
Terminò di allacciare anche l’altra stringa e si alzò. La voce disse: — Vieni. Cammina senza far rumore.
Era come se qualcuno lo conducesse per mano, anche se lui non sentiva alcun contatto fisico e non vedeva nessuno accanto a sé. Camminava fiducioso, in punta di piedi, sapendo che non avrebbe urtato contro gli ostacoli, né inciampato. Attraversò lo stanzone, poi la sua mano tesa sfiorò la maniglia di una porta.
La girò piano, e l’uscio si aprì verso l’interno. La luce lo accecò. — Aspetta — disse la voce. Lui non si mosse. Sentiva dei rumori provenire dal corridoio illuminato: fruscio di carta, di pagine voltate.
Poi da un’altra. sala giunse un grido acuto. Una sedia si mosse rumorosamente e qualcuno si allontanò di corsa in direzione del grido. Una porta si aprì e si richiuse.
— Vieni — disse la voce. Lui spalancò la porta e uscì, passando davanti alla scrivania e alla sedia vuota, che stavano appena fuori dallo stanzone.
Altra porta altro corridoio. La voce disse: — Aspetta. — Poi: — Vieni. — Questa volta c’era un infermiere addormentato. Lui passò in punta di piedi poi scese alcuni gradini.
«Dove sto andando?» pensò.
— Verso la pazzia — disse la voce.
— Ma avevate detto che io non sono… — Questa volta aveva parlato forte e il suono della sua voce lo fece trasalire più della risposta all’ultima domanda. Nel silenzio che seguì a quelle parole, si udì (proveniente dal fondo delle scale) il ronzio di un centralino telefonico e qualcuno che diceva: — Sì… Bene, dottore salgo subito. — Rumore di passi e la porta di un ascensore che si chiudeva.
Scese tutti i gradini, voltò a sinistra, e si trovò nell’ingresso principale. La scrivania era vuota e accanto c’era il centralino telefonico. Ci passò davanti, e si diresse al portone. Era sprangato, ma lui abbassò la sbarra pesante.
Uscì nella notte. Camminò silenziosamente sull’asfalto, sulla ghiaia poi le sue scarpe calpestarono l’erba, e non fu più necessario avanzare in punta di piedi. Era buio come nel ventre di una balena; tutt’intorno, sentiva la presenza di alberi; e ogni tanto le foglie gli sfioravano la faccia. Procedeva rapidamente, con sicurezza. Infine allungò una mano e sentì un muro di mattoni.
Si protese e riuscì ad aggrapparsi alla sommità del muro e a scalarlo. In cima erano incastrati cocci di vetro, che gli tagliarono gli abiti e le mani. Ma non sentì dolore; solo il contatto umido e appiccicoso del sangue.
Percorse una via illuminata, poi altre strade buie e deserte, e infine un vicolo ancora più tenebroso. Aprì il cancello posteriore di un cortile e si avvicinò al retro di una casa. Spalancò una porta secondaria ed entrò. C’era una stanza illuminata nella parte anteriore dell’edificio; vedeva il rettangolo di luce in fondo al corridoio. Andò verso il locale illuminato, ed entrò.
Qualcuno che stava seduto a una scrivania si alzò. Qualcuno… un uomo di cui conosceva la fisionomia, ma che non riusciva a…
— Sì — disse l’uomo, ridendo — mi conosci, ma non mi riconosci. La tua mente è parzialmente sotto controllo e la tua capacità di ricordare è sospesa. A prescindere da questo e dall’anestesia, sei coperto di sangue per le ferite causate dal vetri sul muro, ma non senti dolore, la tua mente è normale e sei perfettamente sano.
— Di cosa si tratta? — domandò lui. — Perché mi hanno portato qui?
— Perché sei sano di mente. Questo mi spiace, perché non puoi esserlo. Non tanto per via dei ricordi della tua vita prècedente, che hai conservato dopo essere stato mosso… capita, a volte… quanto perché sai qualcosa che non dovresti sapere… qualcosa del Risplendente e del Gioco tra i rossi e i neri. Per questa ragione…
— Per questa ragione, cosa? — incalzò lui.
L’uomo misterioso sorrise. — Per questa ragione devi sapere anche il resto. Perché tutto equivarrà a niente. La verità ti farà impazzire.
— Questo non lo credo!
— È naturale — disse l’altro. — Se tu potessi immaginare la verità, non ti farebbe impazzire. Ma non ne sei neppure lontanamente in grado.
Sentì la rabbia crescergli dentro.
Fissò la faccia nota e al contempo sconosciuta, poi guardò la propria uniforme grigia strappata e insanguinata, le mani ferite e sporche di sangue. Le dita si contrassero come artigli per il desiderio di uccidere qualcuno. Quel qualcuno chiunque fosse, che stava in piedi davanti a lui.
— Chi siete? — domandò.
— Sono lo strumento del Risplendente.
— Lo stesso che mi ha condotto qui, o un altro?
— Uno è tutti, tutti sono uno. Tra l’insieme e le sue parti non c’è differenza. Uno strumento è uguale all’altro, e i rossi sono i neri e i neri sono i bianchi e non c’è nessuna differenza; Il Risplendente è l’anima della Terra. Ho usato la parola anima perché, nel vostro vocabolario, è quella che più si avvicina al significato esatto.
L’odio lo stava quasi accecando.
— Che cos’è Il Risplendente? — domandò. Le sue parole risuonarono come una maledizione.
— Se lo sapessi — replicò l’uomo misterioso — impazziresti. Vuoi saperlo davvero?
— Sì. — Anche quel semplice monosillabo vibrò come un’imprecazione.
Le luci andavano abbassandosi. O erano i suoi occhi? La stanza si oscurava e al tempo stesso arretrava. Stava trasformandosi in un cubetto di luce tenue, visto di lontano e dall’esterno, da un luogo imprecisato nelle lontananze tenebrose, e arretrava sempre, diventando un puntino luminoso. E dentro quel punto c’era la cosa odiata, l’uomo… ma era poi un uomo?, che stava in piedi accanto alla scrivania.
Nelle tenebre. Nello spazio. Lontano, fuori dalla Terra… una sfera nella notte, una sfera che si allontanava, stagliata contro il buio dello spazio eterno, un disco nero che occultava la vista delle stelle.
Infine si fermò, e anche il tempo si arrestò. E accanto a lui, dal vuoto, parlò la voce dello strumento del Risplendente.
— Contempla — disse — l’Essere della Terra.
Lui contemplò. Non si verificò alcuna trasformazione esteriore, ma avvertì un mutamento interno, come se i suoi sensi fossero stati alterati per dargli modo di percepire una realtà fino a quel momento invisibile.
La sfera della Terra cominciò a risplendere. A risplendere intensamente.
— Ora vedi l’intelligenza che governa la Terra — disse la voce. — La somma dei neri, dei bianchi e dei rossi che sono uno, divisi soltanto come sono divisi i lobi di un cervello, la triplice unità.
Poi la palla lucente e le stelle che le facevano da sfondo sbiadirono, e l’oscurità si fece sempre più profonda, finché si accese una debole luce che andò aumentando sempre più, e lui si ritrovò nella stanza, con l’uomo in piedi accanto alla scrivania.
— Adesso hai visto — disse l’uomo — ma non comprendi. Vuoi sapere che cos’hai visto? Che cos’è Il Risplendente? È un’intelligenza di gruppo, la vera intelligenza della Terra, una delle tre intelligenze esistenti nel Sistema solare, una tra le molte dell’universo.
«Che cosa sono gli uomini, dunque? Gli uomini sono pedine, in partite che a voi sembrano incredibilmente complesse, tra i rossi e i neri, i bianchi e i neri. Partite giocate da una parte contro l’altra dello stesso organismo, per distrarsi e trascorrere allegramente un istante dell’eternità. Ci sono anche partite più complesse, tra galassie. Ma lì gli uomini non c’entrano.
«L’uomo è un parassita caratteristico della Terra, che tollererà sua presenza per un poco. Non esiste in nessun’altra parte del cosmo, e anche qui non resterà per molto. Giusto per la durata di qualche partita sulla scacchiera, guerre che lui crede di combattere da sé… vedo che cominci a capire.
L’uomo presso la scrivania sorrise.
— Vorresti sapere di te. Non c’è niente di meno importante. Era stata fatta una mossa prima di Lodi. Toccava ancora ai rossi, e ci voleva una personalità più forte, più spietata; era una svolta decisiva nella storia, cioè nel gioco. Capisci ora? E qualcun altro diventò imperatore.
Lui riuscì a malapena a spiccicare due parole: — E poi?
— Il Risplendente non uccide. Tu devi essere sistemato da qualche altra parte, in un’epoca qualsiasi. Molto più tardi, un uomo di nome George Vine era rimasto ucciso in un incidente stradale; il suo corpo era ancora utilizzabile. George Vine non era pazzo ma aveva un’ammirazione fanatica per il personaggio di Napoleone. La sostituzione fu divertente.
— Non ne dubito. — Impossibile gettarsi sull’uomo ritto accanto alla scrivania. L’odio stesso li divideva come un muro. — Dunque George Vine è morto?
— Sì, e tu ora sai troppo; devi impazzire così non saprai più niente. La conoscenza della verità ti farà impazzire.
— No!
Lo strumento sorrise.