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La stanza, quel cubetto di luce, si oscurò e sembrò inclinarsi. Sempre in piedi lui si sentì rovesciare all’indietro, e la sua posizione da verticale stava diventando orizzontale.

Il peso era tutto sul dorso e sotto c’era il morbido sostegno della sua cuccetta, il contatto ruvido della coperta grigia. E lui poteva muoversi. Si mise a sedere.

Aveva sognato? Era uscito veramente dall’ospedale psichiatrico? Alzò le mani, le unì e sentì che erano umide e appiccicose. E anche la stoffa della camicia, anche le ginocchia, le cosce e i pantaloni lo erano. E ai piedi aveva le scarpe.

Il sangue delle ferite che si era fatto salendo sul muro. E ora l’azione dell’anestetico andava scomparendo, tutto cominciava a fargli male, mani, torace, stomaco, gambe. Acuti morsi dolorosi.

— Non sono pazzo!!! Non sono pazzo!!! — disse forte. Gridava?

Una voce disse: — No, non ancora. — Era la voce che aveva sentito prima, nella corsia? O quella dell’uomo che stava in piedi accanto alla scrivania? Oppure entrambi avevano la stessa voce?

— Domanda: «Che cos’è l’uomo?» — ordinò la voce.

Lui obbedì meccanicamente.

— L’uomo è un prodotto dell’evoluzione che non ha vie d’uscita, che è arrivato troppo tardi per competere; è sempre stato dominato dal Risplendente a cui serviva da passatempo, che era già vecchio e saggio prima ancora che lui camminasse eretto.

«L’uomo è un parassita su un pianeta già occupato prima del suo arrivo, popolato da un Essere che è uno e molti, un miliardo di cellule ma un’unica mente, un’unica intelligenza, un’unica volontà… come su ogni altro pianeta popolato dell’universo.

«L’uomo è uno scherzo, un pagliaccio, un parassita. Non è niente. E sarà ancora meno.

«Vieni e impazzisci.»

Lui scese di nuovo dal letto. Oltrepassò la soglia dello stanzino, camminò lungo la corsia, fino alla porta che dava sul corridoio. Un po’ di luce trapelava da una fessura in basso. Ma questa volta la sua mano non si alzò per afferrare la maniglia. Lui rimase lì, davanti all’uscio chiuso, e questo cominciò a risplendere. Lentamente divenne luminoso e i suoi contorni divennero visibili.

Come se un riflettore nascosto chissà dove le fosse stato puntato contro, la porta diventò un rettangolo di luce nelle tenebre circostanti.

— Ecco davanti a te una cellula del tuo dominatore — disse la voce. — Una cellula non intelligente in se stessa, ma che è una parte (sia pur minuscola) di un’unità intelligente, una fra i milioni di unità che costituiscono l’intelligenza che domina la Terra… e te stesso. E questa intelligenza, vasta quanto la Terra, è solamente una di milioni di intelligenze che dominano l’universo.

— La porta? Io non…

La voce tacque; si era spenta ma in fondo alla mente di lui rimase l’eco di una risata silenziosa.

Si appoggiò con forza e vide quello che doveva vedere. Una formica che si arrampicava su per la porta.

La seguì con lo sguardo e un orrore senza nome si impadronì di lui. Cento cose che gli erano state dette e mostrate si fusero in un mosaico di puro orrore. I neri, i bianchi, i rossi; le formiche nere, le formiche bianche, le formiche rosse, i giocatori di uomini, lobi separati di un solo cervello di gruppo, l’intelligenza che era una. L’uomo, un evento passeggero un parassita una pedina; un milione di pianeti nell’universo, ciascuno abitato da una razza d’insetti che costituiva un’una intelligenza per quel pianeta… e tutte le intelligenze riunite costituivano la singola intelligenza cosmica… Dio!

Quella parola brevissima non volle uscirgli di bocca. Diventò pazzo, invece. Si gettò contro la porta, nuovamente buia, picchiando con le mani insanguinate, con le ginocchia, con la testa, con tutto se stesso, anche se ormai aveva già dimenticato perché e che cosa volesse schiantare.

Quando obbligarono il suo corpo a calmarsi, infilandolo in una camicia di forza, era pazzo furioso: demenza precoce, non paranoia.

Quando lo rimisero in libertà guarito, undici mesi dopo, era un pazzo tranquillo: paranoia, non demenza precoce.

La paranoia, si sa, è una strana malattia: un delirio lucido, coerente, logico nella sua illogicità, che lascia integre tutte le altre funzioni fisiche e psichiche. Una serie di shock da metrazolo aveva dissipato la demenza precoce e gli aveva lasciato soltanto la convinzione di essere George Vine, il reporter.

Siccome anche i medici dell’istituto psichiatrico erano convinti della stessa cosa, quella non fu riconosciuta come un’idea fissa, e il paziente venne dimesso, con tanto di certificato che lo dichiarava sano di mente.

Sposò Clare. Lavora ancora al Blade, per un tipo di nome Candler. Gioca a scacchi con suo cugino, Charlie Doerr. Frequenta ancora, per controlli periodici, il dottor Irving e il dottor Randolph.

Chi di loro sorride segretamente tra sé? A che vi servirebbe saperlo? Sì, era, è, uno dei quattro.

Ma non ha importanza, non capite? Niente ha importanza!


FINE
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