Otto

Le improvvise dimissioni del dottor Felzian diedero a Oscar un’occasione vitale. Ora che aveva perso l’appoggio di Bambakias, aveva poco su cui basarsi. Doveva prendere l’iniziativa. I suoi sostenitori erano scarsi, le loro risorse limitate, il loro bilancio inesistente. Bisognava agire con audacia.

Durante il primo giorno di Greta come direttore, i suoi sostenitori formarono un comitato di sciopero e occuparono fisicamente la Zona Calda. Gli scioperanti si impadronirono delle porte stagne di notte, smontando tutte le serrature installate dalla polizia e sostituendole con nuove serrature a tessera magnetica. Impadronirsi della Zona Calda fu una mossa strategica, poiché la gigantesca torre di ceramica dominava l’intera struttura. La Zona Calda era una fortezza naturale.

Una volta impadronitisi di questo rifugio fisico, la seconda priorità dei partecipanti al golpe interno organizzato da Oscar era quella di attaccare e di impadronirsi dei mezzi di informazione. Vennero aumentati i criteri di protezione dei computer della Zona Calda, una mossa a lungo procrastinata. Ciò rivelò un numero spaventoso di canali della polizia, utenti non registrati e intere foreste di microfoni di sorveglianza. Si provvide immediatamente a porre rimedio a quella situazione incresciosa.

Il sistema telefonico interno del laboratorio era ancora sotto il controllo della polizia del Collaboratorio. Il minuscolo corpo di polizia era molto simile a una banda di comici, ma da molto tempo erano stati subornati da Huey. Rappresentavano la principale minaccia locale all’amministrazione ancora in fasce di Greta. Il sistema telefonico del laboratorio era zeppo di microspie. Eseguire una sua bonifica era assolutamente impossibile.

E così gli scioperanti smisero semplicemente di usare il sistema telefonico e lo sostituirono con una rete artigianale di telefoni cellulari a poco prezzo usati dai nomadi. Quei telefoni semiillegali funzionavano sfrattando antenne fissate alle pareti, ai soffitti, ai tetti e (durante una manovra notturna particolarmente audace) lungo tutta la superficie interna della cupola.

Il primo atto ufficiale di Greta come direttore fu di abolire il dipartimento Pubbliche relazioni. Ci riuscì utilizzando la tattica letalmente efficace di azzerare completamente il bilancio del dipartimento. Poi restituì i fondi al Congresso. Data la crisi del bilancio federale in atto, si trattò di una mossa molto difficile da parare politicamente.

All’interno del laboratorio stesso, l’abolizione del dipartimento Pubbliche relazioni fu una decisione molto popolare. Finalmente le tediose concioni dei membri di quel dipartimento per la divulgazione scientifica smisero di irritare la popolazione del luogo. Non c’era più nessuna goffa propaganda dall’alto, nessun ammiccante messaggio di posta elettronica ufficiale, niente più video di addestramento obbligatori, nulla tranne una pace meravigliosa e un mucchio di tempo per pensare e lavorare.

Il dipartimento Pubbliche relazioni del Collaboratorio venne sostituito dalla rivoluzionaria campagna di Oscar incentrata sui manifesti. Uno sciopero, ovviamente, aveva bisogno di una propaganda molto più efficace rispetto a quella necessaria per i rappresentanti dello status quo e Oscar era l’uomo più adatto per idearla. Le ciclopiche pareti all’interno della cupola erano assolutamente perfette per una campagna politica basata sui manifesti. Oscar non aveva mai diretto una campagna rivolta a persone dotate di un livello culturale così alto e perciò apprezzò notevolmente le antiche competenze necessarie per porla in atto.

L’azione post-industriale di Greta era uno ‘sciopero’ altamente eterodosso, poiché gli scioperanti non si rifiutavano di svolgere il loro lavoro, ma rifiutavano di fare tutto tranne il loro lavoro. La strategia degli scioperanti si basava su una non cooperazione altamente mediatica, combinata con una politica di riduzione dei costi passiva-aggressiva. Gli scienziati stavano procedendo nelle loro ricerche, ma si rifiutavano di compilare le scartoffie federali. Inoltre rifiutavano di chiedere fondi, di pagare l’affitto delle loro stanze, il cibo, le bollette. Rifiutavano di pagare qualsiasi cosa, tranne i nuovi strumenti, un vizio profondamente radicato, a cui gli scienziati non sapevano rinunciare.

E tutti i membri principali del comitato di sciopero rifiutarono di percepire i loro stipendi. Si trattava di una manovra altamente polarizzante. Le persone ragionevoli non riuscivano a trattenere il fiato e a gettarsi in un’avventura del genere. La maggior parte delle ‘persone ragionevoli’ del laboratorio erano scese a patti da molto tempo con la corruzione istituzionale del Collaboratorio. Perciò, erano tutte corrotte. Ne conseguiva che erano compromesse personalmente, in guerra con se stesse, tormentate dal senso di colpa. Il nucleo di dissidenti che seguiva Greta era fatto di una tempra più dura.

E così, attraverso queste iniziative tattiche rapide e imprevedibili, il comitato ottenne una serie di piccole vittorie morali che servirono a infondere coraggio nei suoi sostenitori. Oscar aveva organizzato tutto in modo da rafforzare la fiducia della comunità nelle proprie forze. Lo sciopero degli affitti sembrava una mossa molto drammatica, ma si trattava di uno stratagemma imbattibile. Nel Collaboratorio non c’era competizione interna per le stanze in affitto. Se gli scioperanti fossero stati sfrattati dai loro alloggi, gli edifici sarebbero semplicemente rimasti vuoti.

Lo sciopero delle bollette ebbe successo per un motivo molto simile: non c’era alcun metodo efficace per interrompere l’elettricità. Per sua natura, in quanto ambiente a tenuta stagna, la cupola del Collaboratorio richiedeva una fornitura continua di elettricità, a cui provvedevano i generatori interni. Dunque era impossibile tagliare l’elettricità al laboratorio. Ai progettisti originali non era mai passato per la mente che gli abitanti della cupola un bel giorno potessero ribellarsi e rifiutarsi di pagare. Ogni passo coronato dal successo che segnava un distacco dallo status quo attirava altre persone dalla parte di Greta. Gli scienziati, oppressi da molto tempo, avevano sempre dovuto affrontare una serie di problemi irritanti. Ma poiché mancava loro la consapevolezza politica delle loro situazione, non avevano mai agito, avevano semplicemente sopportato la cattiva organizzazione del laboratorio. Adesso, l’organizzazione e l’azione avevano infranto la loro apatia. Difficoltà che erano state accettate per molto tempo come facenti parte dell’ordine naturale furono improvvisamente smascherate come una vera e propria oppressione da parte di ignoranti incapaci. Stava nascendo una nuova struttura di potere, con nuovi metodi, nuovi obiettivi, nuove opportunità di cambiamento. La Zona Calda era diventata un alveare di attivismo militante.

Entro una settimana, l’atmosfera interna della cupola era carica di elettricità come una bottiglia di Leida; crepitava di potenziale politico. L’inflessibile radicalismo di Greta aveva dato una scossa all’intero ambiente.

Dopo avere creato una tremenda pressione per ottenere profondi cambiamenti nella conduzione del laboratorio, Greta agì per rendere sicura la sua situazione ufficiale e legale. La carica di direttore non era mai stata un incarico esecutivo forte, ma Greta riuscì a ottenere le dimissioni forzate di tutti gli altri membri del consiglio. Ovviamente, i membri del consiglio originale non avevano alcuna intenzione di lasciare il potere, ma le improvvise dimissioni del dottor Felzian e la sua immediata partenza li avevano colti di sorpresa. Battuti in astuzia e screditati, vennero immediatamente sostituiti dagli zelanti sostenitori di Greta che si fidavano di lei a occhi chiusi, garantendole mano libera.

Il partito del Collaboratorio che sosteneva lo status quo era stato decimato prima ancora di poter organizzare qualsiasi resistenza. Interi anni senza sfide o controversie serie lo avevano reso pigro e lento. Fu schiacciato prima ancora di potersi accorgere della minaccia. Greta conservava ancora l’iniziativa. Aveva a disposizione eccellenti informazioni operative, grazie alle ricerche di Oscar sui loro avversari e ai numerosi profili demografici. Anche la confessione estorta al dottor Skopelitis si era rivelata molto utile, poiché Skopelitis aveva vuotato il sacco in un torrente di messaggi di posta elettronica e aveva additato i suoi compagni di congiura. Dietro le scene di furibondo scontento popolare, manovrate sapientemente dall’alto, la transizione verso la gestione quotidiana del potere si svolse in maniera relativamente indolore. Felzian aveva sempre diretto il laboratorio come un vicepreside di scuola superiore; le vere decisioni sulla politica del Collaboratorio erano sempre state nelle mani di Dougal e della sua crew senatoriale. Adesso Dougal e i suoi amici erano finiti. Tuttavia il vuoto di potere fu molto breve. La krew di Oscar era costituita da un gruppo di professionisti della politica che avrebbero potuto facilmente costituire lo staff di un senatore. Dopo qualche piccolo adattamento, si inserirono perfettamente nell’ambiente e usurparono silenziosamente la gestione dell’intera operazione.

Oscar fungeva da capo dello staff di Greta (in maniera assolutamente ufficiosa). Pelicanos amministrava le finanze del laboratorio. Bob Argow e Audrey Avizienis gestivano i servizi di monitoraggio del collegio elettorale e il controspionaggio. Lana Ramachandran si occupava degli appuntamenti, dell’equipaggiamento dell’ufficio e delle relazioni con la stampa. ‘Corky’ Shoeki, in precedenza incaricato di organizzare i raduni della campagna elettorale di Bambakias, gestiva la lotta per accaparrarsi gli uffici all’interno della Zona Calda. Kevin Hamilton stava facendo un lavoro eccellente sulla sicurezza. Greta fungeva da portavoce di se stessa con la stampa. In seguito non sarebbe più stato così, ma durante quella crisi si trattava di una mossa più che sensata. Greta divenne l’unica fonte ufficiale di notizie sullo sciopero e il suo ruolo pubblico diede l’impressione che gestisse da sola tutta la situazione. Questo servì ad ammantarla di un carisma eroico.

In effetti, Greta e i suoi fanatici idealisti non avevano la più pallida idea su come dirigere una moderna organizzazione esecutiva. In precedenza, non avevano mai avuto il potere, perciò erano ansiosi di avere lavori prestigiosi con titoli altisonanti, invece degli incarichi duri e noiosi su cui si basava la vera attività di governo. A Oscar questo andava benissimo. Adesso sapeva che, se solo fosse riuscito a mantenere il laboratorio in funzione, solvente e lontano dalle grinfie di Huey, avrebbe compiuto la più grande impresa della sua carriera.

E così Oscar occupò una posizione secondaria, all’ombra del trono. Iniziò l’anno nuovo. Molti scienziati scoprirono che lo sciopero costituiva un’occasione ideale per rassegnare silenziosamente le dimissioni e andarsene, ma questo non fece altro che infondere un maggiore fervore rivoluzionario negli scienziati rimasti. Come in ogni altra rivoluzione, stavano scoprendo che qualunque questione di poco conto costituiva una crisi morale e intellettuale. Ogni aspetto delle loro vite e delle loro carriere precedenti doveva essere riformulato in maniera radicale. Quei relitti, in precedenza oppressi da una burocrazia implacabile, trascorrevano la maggior parte del loro tempo libero a risvegliare le proprie coscienze.

Anche questo a Oscar andava benissimo. Il suo istinto politico non era mai stato più acuto. E la sua krew, formata da nevrotici frenetici, dava sempre il meglio di sé in una crisi.

In quel particolare momento, l’otto gennaio 2045, Greta e la sua ristretta cerchia di consiglieri erano impegnati in una discussione particolarmente intensa. Gli scienziati stavano prendendo ansiosamente in considerazione i nuovi candidati per alcuni posti nel consiglio: Genetica Informatica’ e ‘Biomedicina’. Oscar, accompagnato dalla sua onnipresente guardia del corpo, Kevin, era in attesa dietro una pila di strumenti. Aveva intenzione di lasciarli sgolare fino a quando non si sarebbero stancati. Poi avrebbe rivolto loro alcune domande socratiche ben mirate. Dopodiché, si sarebbero affrettati ad accettare una soluzione che lui aveva deciso una settimana prima.

Mentre Kevin masticava una serie di barrette di proteine dai colori in codice, Oscar si stava gustando un pranzo preconfezionato. Da quando la sua krew aveva preso in mano la gestione del Collaboratorio, erano stati costretti ad assumere una nuova krew texana per mandare avanti l’albergo. Dato lo stato comatoso dell’economia di Buna, trovare nuovo personale non era stato molto difficile.

Kevin smise di armeggiare con i microprocessori all’interno di un telefono, rimise a posto la custodia e passò il telefono a Oscar, che iniziò subito a parlare, in tutta sicurezza, con Leon Sosik a Washington.

«Ho bisogno di manifesti costruttivisti russi» rivelò a Sosik. «Di’ alla krew di Alcott a Boston di fare ricerche nei musei d’arte. Ho bisogno di tutto il materiale che riescono a procurarsi risalente al primo periodo comunista.»

«Oscar, sono felice che ti stia divertendo lì al laboratorio, ma adesso dimenticati di quella gigantesca palla di vetro con la neve dentro. Abbiamo bisogno di te qui, a Washington, e subito. La nostra campagna anti-Huey è appena andata in fumo.»

«Cosa? Perché? Non ho bisogno di andare a Washington per oppormi a Huey. Qui l’ho messo alle corde. Abbiamo individuato tutti i suoi uomini nel laboratorio. Ho delle persone che li stanno letteralmente picchettando. Dammi un’altra settimana e purgheremo anche tutti i poliziotti locali. Una volta sbarazzatomi di quei pagliacci, potrò iniziare a lavorare sul serio.»

«Oscar, cerca di non lasciarti distrarre. Quel laboratorio è soltanto un diversivo locale. Qui abbiamo una crisi che riguarda la sicurezza nazionale. Huey ha un buco radar.»

«E questo cosa significa?»

«Significa la copertura radar del continente nord americano. I radar militari dell’aeronautica. Una parte della rete radar che copre gli Stati Uniti meridionali era ubicata in quella base aerea in Louisiana. Adesso quella stazione radar non c’è più, ma c’è un anello mancante tra il Texas e la Georgia. I bayou sono oscurati. Non sono più coperti dalla sorveglianza militare.»

Oscar depose la forchetta. «E questo cosa diavolo ha a che vedere con tutto il resto? Non riesco a crederci. Come è possibile? Niente radar! Perfino un bambino di dieci anni potrebbe eseguire la sorveglianza radar!» Sospirò. «Senti, di sicuro hanno ancora un radar di controllo del traffico aereo. New Orleans non durerebbe neppure due giorni senza il traffico aereo. L’aeronautica non può utilizzare la stazione radar civile?»

«Chiunque penserebbe di sì, ma non funziona in questo modo. Mi dicono che si tratta di un problema di programmazione. Il sistema radar civile è formato da un migliaio di cellule decentrate. È un radar distribuito, funziona con reti a commutazione di pacchetto. Ma questo non va bene per l’aeronautica, il sistema radar militare ha un’architettura di sistema gerarchica.»

Oscar pensò in fretta. «Ma perché questo dovrebbe essere un problema politico? Si tratta di una questione tecnica. Lasciamo che se ne occupi l’aeronautica.»

«Loro non possono occuparsene. Perché si tratta di vecchi sistemi federali per il rilevamento missilistico. Risalgono alla prima guerra fredda! Si tratta di hardware militare che funziona con un codice antiquato. Questo sistema non solo non è flessibile, ma dobbiamo ritenerci fortunati che funzioni ancora! Però il punto più importante è che non c’è più una copertura radar federale in Louisiana. E questo significa che degli aerei nemici possono invadere gli Stati Uniti! In un qualsiasi punto da Baton Rouge in giù!»

«Oh, per amor del cielo, Leon! La situazione non può essere così grave» replicò Oscar. «Come è possibile che i militari non abbiano previsto un problema del genere? Devono esserci dei piani di emergenza. Chi diavolo si stava occupando della faccenda?»

«Nessuno sembra saperlo» rispose Sosik in tono luttuoso. «Quando i comitati di emergenza hanno iniziato a chiudere le basi, la questione del radar si è impantanata in un conflitto di giurisdizione.»

Oscar emise un grugnito di disgusto. «Tipico.»

«Sì, tipico. Assolutamente tipico. Ci sono troppe cose che succedono contemporaneamente. Non c’è una catena di comando chiara. Ci si dimentica di questioni importanti, vitali. Non riusciamo a gestire la situazione.»

Oscar fu allarmato nell’udire Sosik tanto scoraggiato. Era chiaro che Sosik aveva trascorso troppo tempo al capezzale del senatore. Ma Bambakias diventava perfino più loquace ed energico quando cominciava a perdere il contatto con la realtà. «Va bene, Leon. Sono d’accordo con la tua diagnosi. Ammetto che hai ragione. La tua analisi è giusta. Ma diciamocelo chiaramente: nessuno invaderà gli Stati Uniti. Nessuno invade più i confini nazionali. E dunque, qual è il problema se qualche comitato di emergenza idiota ha chiuso qualche radar antiquato? Suvvia, ignoriamo il problema.»

«Non possiamo ignorarlo. Huey non ce lo permetterà. Sta sollevando un vero polverone sulla faccenda. Lui dice che questo dimostra che la sua base aerea in Louisiana è sempre stata vitale per la sicurezza nazionale. La delegazione della Louisiana ci sta facendo vedere i sorci verdi in Congresso. Esigono che costruiamo un’intera nuova base aerea, e immediatamente. Ma questo ci costerebbe miliardi, e noi non abbiamo i fondi. E anche se disto-gliessimo i fondi da altri progetti, non possiamo avviare un mastodontico programma di costruzione federale in Louisiana.»

«Certo che no» replicò Oscar. «Blocchi stradali, cause giudiziarie, conflitti di giurisdizione… È la situazione ideale per Huey. Una volta che avrà costretto gli appaltatori federali a interrompere i lavori, sarà in grado di mangiarsi l’intero bilancio.»

«Esatto. E così siamo in una situazione di stallo. Stavamo dando del filo da torcere a Huey con la questione del suo patriottismo, ma adesso lui ha ribaltato i ruoli. Siamo finiti nelle sue mani. E non possiamo ignorare il buco radar, perché lo sta già sfruttando. La scorsa notte degli aerei francesi privi di equipaggio hanno iniziato a sorvolare la Louisiana meridionale. Volano sulle paludi e suonano musica francese.»

«Musica pop francese!»

«Trasmissioni multicanale irradiate da aerei robot. Sai, la solita carta francofona cajun.»

«Andiamo, perfino Huey non può credere seriamente che qualcuno ascolti la musica pop francese!»

«Be’, i francesi ci credono, sentono odore di sangue yankee. È una tipica mossa da guerra culturale. I francesi hanno sempre avuto molto a cuore la protezione della loro lingua. Adesso possono alzare il volume dei loro amplificatori fino a quando non smantelleremo l’ultimo fast-food da Parigi.»

«Leon, calmati. Sei un professionista. Non puoi permettere che lui ti innervosisca fino a questo punto.»

«Be’, ci è riuscito, dannazione. Quel figlio di puttana non gioca secondo le regole! Fa due cose contraddittorie contemporaneamente e ci fotte in due modi. È come se avesse due cervelli!»

«Datti una calmata» lo esortò Oscar. «È una provocazione senza importanza. Che cosa dovremmo fare per risolvere questo cosiddetto problema? Dichiarare guerra alla Francia?»

«Be’…» replicò Sosik, poi abbassò la voce. «So che sembra strano, ma stammi a sentire. Una dichiarazione di guerra implicherebbe lo scioglimento immediato delle commissioni di emergenza.»

«Cosa?» gridò Oscar. «Sei impazzito? Noi non possiamo invadere la Francia! La Francia è una grande democrazia industriale! Cosa siamo, dei nazisti? È assolutamente fuori questione!» Oscar sollevò lo sguardo e si trovò di fronte a una folla di scienziati sbalorditi. Avevano sentito la loro discussione e si erano raccolti sul lato opposto del bancone del laboratorio, da dove stavano tentando di origliare.

«Ascoltami Oscar,» proseguì Sosik a voce bassissima «nessuno sta suggerendo che noi dovremmo davvero combattere una guerra. Ma l’idea sta diventando molto popolare a Washington. Una dichiarazione di guerra servirebbe a scavalcare il sistema federale. Come manovra domestica, una guerra potrebbe essere davvero una carta vincente. La Francia è troppo forte per noi, sono d’accordo con te; diavolo, i francesi hanno ancora l’energia nucleare! Ma potremmo dichiarare guerra all’Olanda. L’Olanda è un paese minuscolo e senza esercito, un mucchio di signor nessuno radicali. E così spaventiamo ben bene gli olandesi, la guerra finta dura circa una settimana, poi il presidente annuncia la vittoria. L’emergenza è finita. Una volta posatosi il polverone, riavremo un congresso reintegrato nel pieno delle sue funzioni.»

Oscar staccò il telefono dall’orecchio, lo fissò con disgusto, poi lo riavvicinò all’orecchio. «Senti, ci sentiamo dopo, Leon. Qui ho del lavoro serio da sbrigare.»

«Al senatore piace molto quest’idea, Oscar. Lui pensa davvero che potrebbe funzionare. È un piano visionario.»

Oscar interruppe la comunicazione. «Stanno suonando musica pop francese in Louisiana» disse rivolto al suo pubblico improvvisato.

Albert Gazzaniga si grattò la testa. «Sai che tragedia! E allora?»


Il cuore della faccenda era, ovviamente, il denaro. Era sempre stato così, il denaro era la linfa vitale della politica. E sebbene la politica scientifica fosse molto lontana dalla politica vera e propria, il denaro era anche la linfa vitale della scienza. In fondo, tutti gli scioperi erano lotte per il conseguimento del potere economico. Tutti gli scioperanti dichiaravano arditamente di essere disposti a resistere ai morsi della fame più a lungo dei loro datori di lavoro, e, se sostenevano questa vanteria con una efficace campagna mediatica e una pressione morale sufficiente, qualche volta avevano ragione.

E così era bello dichiarare che Greta e i suoi collaboratori erano disposti a fare ricerca scientifica per nulla, senza chiedere nulla e rifiutando di fornire nient’altro che i risultati da loro stessi giudicati di interesse scientifico. Era una santa crociata, ma perfino la santa crociata aveva bisogno di un flusso di finanziamenti.

E così Oscar, Yosh e l’onnipresente Kevin trovarono un angolo vuoto nella cucina dell’albergo per discutere di finanza.

«Potremmo chiedere in prestito a Bambakias un paio di milioni di dollari, giusto per rimetterci in piedi» propose Pelicanos. «Senza alcun dubbio lui i fondi ce l’ha.»

«Scordatelo» disse Oscar. «Il Senato è un club di miliardari, ma se iniziano a dirigere il paese con i loro soldi, torneremmo al feudalesimo. E il feudalesimo non è professionale.»

Pelicanos annuì. «Okay. Allora saremo noi a dover trovare dei fondi. Che ne dite dei metodi di campagna standard? Mailing diretto, pranzi per la raccolta di fondi, lotterie, aste di beneficenza. Chi potremmo contattare in questo caso?»

«Be’, se questa fosse una campagna normale…» Oscar si carezzò il mento con aria pensosa. «Ci rivolgeremo ai compagni di università di Greta, alle associazioni ebraiche, alle associazioni di categoria… e ovviamente ai fornitori del Collaboratorio. Adesso sono davvero furiosi nei nostri confronti, ma se la vedranno davvero brutta, se questo posto chiude. Potremmo riuscire a convincerli ad anticiparci un po’ di contante, se li minacciamo con lo spauracchio della chiusura totale.»

«Ma non esistono scienziati ricchi, appartenenti alle classi superiori? Deve esserci qualche scienziato ricco, vero?»

«Sicuro che esistono… in Asia e in Europa.»

«Certo che voi ragazzi vi sforzate di pensare in grande» commentò in tono ironico Kevin.

Oscar gli rivolse un’occhiata tollerante. Si stava davvero affezionando a Kevin. Lavorava davvero duro; era diventato l’anima nera del colpo di stato. «E quanto in grande dovremmo pensare, Kevin?»

«Voi ragazzi non vi rendete conto di quello che avete qui. All’interno di questo laboratorio avete un perfetto terreno di raccolta per i nomadi. Adesso siete voi ad avere istituito un posto di blocco; potete fare tutto quello che volete. Perché non chiedete a tutti gli scienziati in America di venire quaggiù e di unirsi a voi?»

Oscar sospirò. «Kevin, abbi pazienza. Hai capito il problema esattamente al contrario. Il punto è che stiamo tentando di dare da mangiare a duemila persone, anche se sono in sciopero. Se ne avremo un milione, affonderemo.»

«No, non affonderete» replicò Kevin. «Se un milione di scienziati arrivasse qui e si unisse a voi, questo non sarebbe più uno sciopero. Sarebbe una rivoluzione. E non vi impadronireste soltanto del laboratorio federale, ma dell’intera città. Probabilmente dell’intera contea. Forse di una buona parte dello stato.»

Pelicanos rise. «E come riusciremo a gestire una gigantesca orda di scienziati a nostre spese?»

«Usereste i nomadi, cavolo. Chi altro sa come mandare avanti una gigantesca orda di persone senza denaro? Aprite le porte stagne e promettete loro un rifugio qui. Fate fare loro dei giri propagandistici, mostrate loro le piante e tutti i vostri graziosi animaletti. Date loro per una volta la possibilità di scrollarsi di dosso i poliziotti e i federali, affidate loro un ruolo importante nella vostra operazione. I prolet diventerebbero una gigantesca krew di supporto per il vostro contingente di teste d’uovo. Capite, è il potere alla gente, il potere della strada. È un’armata di occupazione, proprio come quella usata da Huey.»

Oscar rise. «Ma farebbero a pezzi questo posto!»

«Certo, potrebbero anche farlo — ma se decidessero diversamente? Forse deciderebbero che questo posto gli piace. Forse se ne prenderebbero cura. Forse lo renderebbero ancora più grande.»

Oscar esitò. Non aveva preso in considerazione la possibilità di costruire qualcos’altro. Però aveva sempre avuto fortuna con una strategia del genere. Quella era la carta migliore che aveva in mano. La maggior parte dei politici non era in grado di creare alberghi di lusso partendo da un programma software e dal sudore di un gruppo di persone, ma quelli in grado di farlo godevano di un grande vantaggio. In quel momento lui era seduto in uno dei risultati di quella politica, che aveva dato ottimi frutti. «Quanto più grande?»

«Quanto grande abbiamo bisogno che sia?» chiese Pelicanos.

«Be’, quanti prolet nomadi si unirebbero alla nostra krew di costruzione?»

«Vuoi che carichi un foglio elettronico?» chiese Kevin.

«No, scordatelo, è troppo bello per essere vero» commentò Pelicanos. «Certo, forse potremmo applicare la costruzione distribuita su vasta scala, ma non potremmo mai fidarci dei nomadi. Sono tutti uomini di Huey.»

Kevin emise uno sbuffo ironico. «I Regolatori sono uomini di Huey, ma Dio mio, ragazzi, quelli della Louisiana non sono gli unici prolet in giro. Voi avete passato troppo tempo a Boston. Il Wyoming è bruciato fino alle fondamenta, accidenti! Ci sono prolet e dissidenti in tutti gli USA. Esistono milioni di prolet.»

Con uno strenuo sforzo di volontà, Oscar si costrinse a prendere sul serio la proposta di Kevin. «Un esercito di nomadi disoccupati, che costruiscono gigantesche cupole intelligenti… Sai, è davvero una prospettiva affascinante. Mi dispiace davvero scartarla così, su due piedi. È un’idea così moderna, fotogenica e non lineare. È un po’ come portare la guerra in casa del nemico.»

Pelicanos strinse gli occhi. «Kevin, qual è la banda più grossa di prolet che conosci?»

«Be’, i Regolatori sono i più forti. Godono dell’appoggio di Huey e hanno appena saccheggiato una base aerea federale. Dunque devono essere la banda più forte in giro — ormai questo lo sanno tutti. Ma ci sono anche i Moderatori. I Moderatori sono un’orda bella grossa. E inoltre, odiano ferocemente i Regolatori.»

«Perché?» chiese Oscar, protendendosi in avanti con rinnovato interesse.

Kevin scrollò le spalle. «Perché le bande si odiano a vicenda? Qualcuno ruba la ragazza di un altro, qualcuno clona il telefono di qualcun altro. Sono bande. Non hanno leggi e così sono in faida una contro l’altra. È una cosa tribale. Le tribù si comportano sempre così.»

Pelicanos si grattò la mascella. «Sai, Oscar, non c’è dubbio che il Collaboratorio sia una struttura molto più attraente di qualche base aerea federale in cattive condizioni.»

«Hai assolutamente ragione, Yosh. Quella cupola esercita un grande fascino su chiunque. Potrebbe riuscire a esercitarlo anche sui nomadi.»

Calò un lungo, pensoso silenzio.

«È il momento per bere un caffè» annunciò Oscar, alzandosi per prenderne una tazza. «Rimaniamo con i piedi per terra, ragazzi. Dimentichiamoci di tutti questi sogni — qual è il nostro programma? Il nostro programma qui è di quello di mettere in imbarazzo, senza esagerare, i poteri costituiti e di convincerli a operare qualche taglio nel bilancio dei ricercatori federali. Alla fine, il Congresso concederà al Collaboratorio circa la metà dei finanziamenti rispetto agli anni precedenti. Ma in cambio, avremo più potere diretto nelle mani della gente del laboratorio. E così raggiungeremo un accordo che soddisferà entrambe le parti. Noi riusciremo a mantenere aperto il laboratorio, ma senza tutti quei fondi e tutta quella corruzione. È un risultato perfettamente onesto. È un qualcosa di cui noi tutti potremo andare fieri.»

Bevve un sorso di caffè. «Ma se lasciamo che questa situazione sfugga al controllo, come suggerisce Kevin… Be’, io sospetto che sia possibile. Quello che Huey ha fatto all’aeronautica dimostra che lo è. Ma non è fattibile, perché non ci sono freni. E non ci sono freni perché io non posso controllare il corso degli eventi. Non ne ho l’autorità. Sono soltanto un funzionario del Senato!»

«Fino a ora questo non ti ha mai fermato» osservò Kevin.

«Be’, questo è vero, lo ammetto, Kevin, ma… Allora, non mi piace la tua idea perché si basa su un’ideologia che io non approvo. Io sono un Democratico federale. Noi siamo un partito riformista serio. Non siamo un’avanguardia rivoluzionaria, questo lo lasciamo a tutti quegli imbecilli violenti che hanno preferito autoemarginarsi. Qui io opero con un numero infinito di vincoli legali ed etici. Non posso permettere che vaste orde di nomadi si impadroniscano di strutture federali.»

Kevin tirò su con naso. «Ehi, ma Huey ha fatto proprio questo.»

«Huey è un governatore! Huey dispone di un ramo legislativo e di uno giudiziario. Huey è stato eletto dal popolo. Ha vinto le ultime elezioni con il settantadue per cento dei voti su un’affluenza alle urne del novanta per cento! Non posso paralizzare il paese con una mossa folle come questa, non ne ho il potere! Non sono un mago! Sono soltanto un funzionario del Senato! Non vado dritto per la mia strada soltanto perché le cose sono teoricamente possibili. Accidenti, non posso dormire neppure con la mia ragazza»»

Kevin guardò Pelicanos. «Yosh, non puoi sistemare le cose in modo che questo povero bastardo possa dormire con la sua ragazza? Lei capirebbe la situazione. Oscar non pensa più in grande, ha perso smalto.»

«Be’, questo è fattibile» ammise Pelicanos. «Potresti dimetterti dalla commissione scientifica del Senato e rimanere qui come capo ufficiale dello staff di Greta. Non penso che protesterebbe nessuno se Greta va a letto con uno dei suoi impiegati. Voglio dire, dal punto di vista tecnico si tratta di molestie sessuali sul luogo di lavoro, ma che diamine!»

Oscar si accigliò. «Io non lascerò la commissione scientifica del Senato! Voi non capite cosa ho dovuto fare in tutto questo tempo, blandendo dietro le quinte quegli imbecilli a Washington. Ed è difficilissimo farlo via rete; se non sei in ufficio, faccia a faccia con loro, ti scaricano subito e ti fottono. Ho mandato dei mazzi di fiori via rete al loro dannato amministratore di sistema per tre settimane. Quando torno a Washington, probabilmente dovrò perfino invitarla a cena.»

«Okay, allora siamo di nuovo al punto di partenza» concluse Pelicanos in tono cupo. «Non sappiamo ancora cosa stiamo facendo e non abbiamo un soldo.»


Oscar si alzò alle tre del mattino e stava studiando i programmi delle udienze del Senato quando qualcuno bussò alla porta. Lanciò un’occhiata a Kevin, che stava russando pacificamente nella sua branda d’albergo. Oscar prese la pistola a spruzzo, controllò il caricatore per assicurarsi che fosse carico e scivolò verso la porta. «Chi è?» sussurrò.

«Sono io.» Era Greta.

Oscar aprì la porta. «Entra. Cosa ci fai qui? Sei impazzita?»

«Sì.»

Oscar sospirò. «Hai controllato i tuoi vestiti per vedere se ci sono delle microspie? Ti sei assicurata di non essere stata seguita da qualcuno? Per favore, stai attenta a non svegliare la mia guardia del corpo. Dammi un bacio.»

Si abbracciarono. «Lo so, mi sto comportando come una cretina» sussurrò Greta. «Ma io ero ancora sveglia. Gli altri si stancano sempre prima di me. Avevo un breve momento per me stessa. E allora ho pensato, Ίο so cosa voglio’. Voglio stare con Oscar.»

«È impossibile» le ricordò lui, infilandole la mano sotto la camicetta. «Questo significa rischiare di rovinare tutto, è una vera stupidaggine.»

«So che non possiamo più incontrarci» replicò Greta, appoggiandosi contro la parete e chiudendo gli occhi per il piacere. «Mi sorvegliano ogni secondo»

«La mia guardia del corpo è con noi in questa stanza. Ed è uno dal grilletto facile.»

«Io sono venuta soltanto per parlare» si difese Greta, tirandogli la camicia fuori dai pantaloni.

Oscar la condusse nel bagno, chiuse la porta e accese le luci. Greta aveva il rossetto sbavato, le sue pupille erano dilatate, grandi come piatti.

«Solo per parlare» ripeté Greta. Poggiò la borsetta sul lavandino. «Ti ho portato qualcosa di bello.»

Oscar chiuse a chiave la porta del bagno. Poi aprì la doccia, per coprire i loro rumori.

«È solo un regalino» spiegò Greta. «Non possiamo più stare insieme e io non riesco a sopportarlo.»

«Io faccio una doccia fredda,» annunciò Oscar «nel caso che a Kevin vengano dei sospetti. Possiamo parlare, ma a bassa voce.» Iniziò a sbottonarsi la camicia.

Greta infilò una mano nella borsetta e ne tolse una scatoletta avvolta in carta da regalo, adorna di un nastro. La poggiò sul bancone del bagno, poi si girò e lo osservò con espressione pensosa. Oscar fece cadere la camicia sulle piastrelle fredde.

«Sbrigati» lo esortò Greta, liberandosi dalla sua biancheria intima.

Gettarono un paio di asciugamani sul pavimento e vi si sdraiarono insieme. Oscar poggiò i gomiti sull’incavo delle ginocchia di Greta, la fece piegare in due e iniziò a penetrarla con violenza. Fu una mutua frenesia della durata di quaranta secondi che terminò con la violenza di un treno in arrivo.

Quando Oscar riprese fiato, riuscì a sorridere debolmente. «Faremo semplicemente finta che questo incidente non sia mai accaduto. Va bene?»

«Va bene» rispose Greta, poi si sollevò con braccia tremanti. «Però mi sento sicuramente meglio.» Si alzò, si sistemò la gonna, poi raccolse la scatoletta e la offrì a Oscar. «Ecco, questa è per te. Buon compleanno.»

«Ma io non ho un compleanno» le ricordò Oscar.

«Sì, lo so. E così ti ho fatto un regalo di compleanno, solo per te.»

Oscar trovò le sue mutande, le indossò di nuovo e prese il regalo. Provando un leggero senso di allarme, si accorse che la scatoletta ornata di un nastro sembrava calda al tocco. Tolse la carta dai colori vivaci e il coperchio di compensato. La scatoletta conteneva una busta grigia di elementi termici chimici che avvolgeva un piccolo dispositivo curvo. Raccolse il regalo dal suo materiale di imballaggio caldo.

«Ma è un orologio da polso!» esclamò.

«Provalo!» lo invitò Greta con un sorriso ansioso.

Oscar si tolse il suo classico cronometro giapponese e indossò l’orologio di Greta. L’orologio era caldo e leggermente appiccicoso, del colore dell’okra bollito. Studiò i numeri fosforescenti verdastri sul quadrante. L’orologio andava indietro di sei minuti. «Questo affare sembra fatto di gelatina.»

«È fatto di gelatina! È un orologio neurale!» rivelò Greta. «È l’unico orologio di questo tipo esistente al mondo! Lo abbiamo fabbricato in laboratorio.»

«Incredibile.»

«Puoi scommetterci! Ascolta. Il cervello di ogni mammifero possiede un orologio circadiano incorporato. Nel cervello dei topi è situato nel nucleo suprachiastico. E così abbiamo clonato un frammento di tessuto suprachiastico e lo abbiamo immerso in una gelatina di supporto. Quei numeri sono cellule sensibili agli enzimi ricavate da geni di lucciola! E, Oscar, all’interno abbiamo inserito tre nuclei neurali, con una rete neurale intelligente che fa la media automatica degli errori cumulativi. E così, anche se si tratta di un orologio completamente organico, segna l’ora esatta! Fino a quando rimane alla temperatura sanguigna, cioè.»

«Fantastico.»

«Ah, ma tu devi anche dargli da mangiare. Quel pacchetto contiene del siero bovino. Devi bollirne un paio di centilitri una volta alla settimana e iniettarli attraverso questo piccolo condotto.» Fece una pausa. «I cervelli di topo producono anche qualche sostanza di rifiuto; non preoccuparti, si tratta di un paio di gocce.»

Oscar ruotò il polso e studiò il cinturino trasparente. Avevano ricavato la fibbia e l’asticella da qualche osso di topo. «È davvero una meraviglia tecnica.»

«E non puoi lasciarlo al freddo, oppure muore. Ma ascolta: se vuoi riazzerarlo, aprì quello sportellino sul retro e esponilo alla luce del sole. Lì abbiamo messo delle cellule retinali. Quando percepiscono la luce del sole, rilasciano glutammato. Che si lega ai recettori. Che producono nitrato d’ossido. Che attiva gli enzimi. Che aggiungono fosfato a una proteina nucleica. La proteina invia un messaggio genetico e i geni riazzerano i neuroni nell’orologio!»

«Ed esiste anche una, ehm, documentazione, su questo prodotto?»

Greta esitò. «Be’, non preoccuparti. Tu non sei un addetto ai lavori. Non devi capire davvero come funziona questo orologio.»

Oscar fissò lo strano dispositivo. Era come avere legato al polso un pezzo di fegato crudo. «È un orologio artigianale» commentò. «In mezzo a tutta questa confusione, hai trovato il tempo per farmi un orologio. Con le tue mani.»

«Sono così felice che ti piaccia.»

«Se mi piace? Ma questo è il più bel regalo di compleanno che io abbia mai ricevuto.»

Greta inarcò leggermente le sopracciglia. «Non pensi che sia spaventoso, vero?»

«Spaventoso? No, è solo un paio di passi avanti rispetto alle tecnologie attuali, ecco tutto. Prevedo una forte domanda per un articolo del genere.»

Greta rise deliziata. «Ah! Esatto. È proprio quello che ho detto alla mia krew di laboratorio, quando lo stavamo mettendo insieme. Abbiamo finalmente un prodotto per il consumo di massa che ha un vero mercato!»

Oscar era commosso. «Ti hanno stressato per anni sulla tua ‘scienza pura’, vero? Come se avessero il diritto di controllare la tua immaginazione soltanto perché pagano i tuoi conti. Be’, lascia che ti riveli un segreto, Greta: non esiste una cosa come la ‘scienza pura’. La ‘scienza pura’ è una terribile menzogna, è un imbroglio micidiale, come la ‘pura giustizia’ o la ‘pura libertà’. Il desiderio non è mai puro, e il desiderio di conoscenza è soltanto un altro tipo di desiderio. Non è mai esistito un ramo di conoscenza tanto pura da non poter essere trascinato nel fango. Se la mente può comprendere qualcosa, allora può anche desiderarla.»

Greta sospirò. «Non so mai come prenderti quando cominci a parlare così… Vorrei poterti dire tutto quello a cui ho pensato negli ultimi giorni.»

«Mettimi alla prova.»

«È come se… Tu vuoi qualcosa, ma sai che per te è pericolosa. E così te la neghi, ma la vuoi, te la neghi, ma la vuoi — il suo potere seduttivo è troppo forte. E così ti arrendi e poi succede. Ma quando succede, non è così cattivo come avevi pensato. Neppure la metà. Anzi, è bello. Davvero bello. È meraviglioso. Ti rende migliore. Diventi un essere umano migliore. Sei più forte. Capisci più cose su te stesso. Sei in contatto con te stesso. Non devi reprimerti. Non sei isolato, puro. Sei vivo, fai parte del mondo reale. Sai quello che desideri.»

Oscar provò una montante sensazione di trionfo maschile. Durò tre secondi, raggiunse il culmine e poi svanì, lasciandogli una curiosa sensazione premonitoria di timore.

«Una relazione sentimentale non è sempre rose e fiori» la avvertì.

Greta lo fissò con assoluto stupore. «Oscar, tesoro, non sto parlando del sesso. È molto bello, e sono felice, ma tu e io potremmo fare tutto il sesso del mondo, e questo non cambierebbe nulla. Voglio dire che tu mi hai fatto un regalo vero e duraturo, Oscar, perché mi hai messo al potere. E adesso so davvero cosa significa il potere. Per la prima volta nella mia vita, posso parlare alle persone. Quando sono tutte dì fronte a me, posso dire loro la verità. Posso convincerli. Sono diventata la loro leader. Ho trovato la mia voce. Ho il vero potere. Penso di averlo sempre voluto, ma ho sempre resistito, perché pensavo che per me fosse una cosa cattiva — ma non lo è! Adesso so cos’è il potere e, mio Dio, è davvero bello. Mi sta cambiando completamente e ne voglio sempre di più.»


Al termine della sua seconda settimana come direttore, Greta licenziò tutto il personale del dipartimento Ricerche sui materiali. Questa mossa liberò un sacco di spazio utile nel laboratorio Materiali, situato sulla parete orientale della cupola, accanto al complesso per lo studio della genetica delle piante. I botanici, da tempo costretti a operare con pochi fondi, furono sopraffatti dalla gioia, quando seppero di avere tutto quello spazio a disposizione. La chiusura del laboratorio, che divorava fondi, costituiva un notevole risparmio per l’intero Collaboratorio.

Era anche una ghiotta occasione per l’albergo di Oscar. Adesso era affollato di intermediari ai margini della legge che si erano precipitati a Buna non appena la notizia di una vendita di hardware era comparsa sulla loro rete.

La maggior parte degli scienziati del dipartimento accettò tristemente il fatto compiuto. Ma non il dottor David Chandler. Chandler aveva partecipato allo sciopero fin dall’inizio e con ardore, ma era anche un uomo che imparava in fretta. Per opporsi al proprio licenziamento, aveva preso spunto dalle tattiche del comitato di sciopero. Aveva usato la supercolla per fissare il proprio equipaggiamento ai banconi del laboratorio e si era barricato all’interno della struttura di ricerca. E ora sedeva lì, occupando il laboratorio e rifiutandosi categoricamente di sloggiare.

Kevin era favorevole all’idea di usare un ariete idraulico e di buttare Chandler fuori a calci. La polizia federale del Collaboratorio era troppo confusa e demotivata per fare una cosa del genere da sola. Kevin sarebbe stato felicissimo di svolgere il ruolo di braccio duro della legge, ma Oscar era convinto che avrebbe costituito un pessimo precedente per il nuovo regime del Collaboratorio. Non amava i confronti violenti; non erano professionali, quello non era il suo stile.

Invece, decise di persuadere lo scienziato a desistere con le parole.

Oscar e Kevin salirono al laboratorio di Chandler, situato al terzo piano, e Oscar si presentò. Attese con pazienza mentre Chandler sbloccava le porte del laboratorio. Poi Oscar entrò, lasciando un restio Kevin in attesa nel corridoio.

Chandler iniziò immediatamente a barricare di nuovo le porte. «Lasci che le dia una mano» si offrì Oscar. Aiutò Chandler a incuneare la gamba di sedia contro un mucchio di cunei di porta fissati con la supercolla.

A differenza della maggior parte degli scienziati del Collaboratorio, Chandler, in quanto ricercatore industriale, indossava un vestito, una cravatta e un vero cappello. Il suo volto cupo aveva un colorito cinereo e i suoi occhi erano gonfi per la tensione. «Mi stavo chiedendo se Greta avrebbe avuto il coraggio di incontrarsi con me» annunciò mordendosi il labbro inferiore carnoso. «Ma non posso dire di essere sorpreso nel vedere lei qui.»

Oscar aprì la sua valigetta di plastica. «Ho portato alcune provviste per il suo sit-in» spiegò. «Un po’ di gumbo congelato, un po’ di riso…»

«Lei sa che io ho intrapreso uno sciopero della fame, vero?»

«Non lo sapevo» mentì Oscar.

«Dica loro di riattivare i telefoni del mio laboratorio e avrà molte occasioni di venire a conoscenza dei miei problemi.»

«Ma è proprio per questo che sono venuto di persona» affermò Oscar in tono allegro. «Per ascoltarla, da uomo a uomo.»

«Io non rimarrò con le mani in mano» annunciò Chandler. «Lei sta distruggendo il lavoro di tutta la mia vita, sta commettendo una vera ingiustizia. Posso attendere quanto voi. Posso fare tutto quello che potete fare voi. Ho i miei amici e i miei sostenitori, ho dei finanziatori nelle industrie oltre i confini dello Stato. Io sono un uomo onesto — ma voi non avete alcuna possibilità. Non appena si spargerà la voce su quello che state facendo qui, finirete tutti in prigione.»

«Ma io faccio parte della commissione scientifica del Senato» affermò Oscar. «Ovviamente il Senato si interesserà della sua situazione. Sediamoci, in modo che lei possa illustrarmi la questione.»

Si sedette con cautela su una sedia di laboratorio parzialmente distrutta e prese un blocco per appunti e una penna stilografica di modello classico.

Chandler avvicinò una cassetta di plastica e si sedette con un gemito. «Senta, il Congresso non mi aiuterà. Il Congresso è senza speranza, non capiscono mai le questioni tecniche. Il punto è che… io qui ho una vera scoperta. Non sto promettendo una scoperta. Questo non è un trucco dell’ultimo minuto, per togliermi dai guai. Io ho scoperto un’importante innovazione tecnica! Sono ormai due anni che l’ho perfezionata!»

Oscar esaminò i suoi appunti. «Dottor Chandler… Come lei sa, nel Collaboratorio è stato eseguito un controllo generale della produttività. Ogni dipartimento è stato sottoposto alle stesse valutazioni: Frammentazione genetica, NMR di flusso… Il suo dipartimento ha subito cinque riorganizzazioni in cinque anni. I vostri livelli di produzione sono, mi scusi la franchezza, abissalmente ridotti.»

«Non lo nego» replicò Chandler. «Ma si è trattato di sabotaggio.»

«Questa è un’affermazione davvero degna di nota.»

«Senta. È una lunga e triste storia ma… mi stia a sentire, la ricerca scientifica e le sponsorizzazioni delle imprese non sono mai andate molto d’accordo. I miei problemi non sono scientifici, ma manageriali. Qui noi ci occupiamo della lavorazione dei materiali organici, stiamo cercando nuove soluzioni biotecnologiche per tradizionali problemi di ingegneria. Abbiamo un mucchio di cose su cui lavorare. Il nostro problema è lo sponsor, una società di Detroit.»

Chandler sospirò. «Non so perché l’industria delle automobili è stata coinvolta nella sponsorizzazione del nostro lavoro. Questa non è stata una mia decisione. Ma da quando sono comparsi sulla scena, cinque anni fa, hanno rovinato tutto quello su cui hanno messo le mani. Continuano a domandarci dei risultati, poi cambiano i programmi e i fini della ricerca. Controllano minutamente ogni cosa. Inviano dirigenti minorati in anno sabbatico, che si fanno vedere, rubano animali rari, prospettano goffi scenari futuristici e ci dicono delle pure assurdità. Qui abbiamo sofferto un vero e proprio inferno: riorganizzazione, trasferimento, gestione in vista dell’obiettivo, qualità totale, insomma tutto quello che le viene in mente! Ogni tipo di fastidio immaginabile.»

«Ma è stata questa industria a fornirvi i fondi. Erano loro i vostri sponsor. Non siete riusciti a farvi finanziare interamente dal governo federale per le vostre ricerche. Se non riuscite a soddisfare i vostri sponsor, che ci state a fare qui?»

«Perché sono qui?» ripeté Chandler. «È semplice! È molto semplice! Io sono qui per il potere.»

«Non me lo dica.»

«No, per il potere dell’energia elettrica! La mia krew e io stavamo facendo ricerche su nuove fonti di energia per l’industria dei trasporti americana. E abbiamo creato un nuovo apparecchio funzionante. Si basa sulla generazione di corrente ATP mitocondriale. Con trasduzione di segnale, fosforilasi di proteine, potenziale diffusione via membrana… Senta, lei sa cos’è un ‘mitocondrio’?»

«Penso di avere già sentito questa parola.»

«Il mitocondrio è la centrale elettrica della cellula. Genera energia dal trifosfato di adenosina, è il motivo principale per cui riusciamo a vivere e a respirare. Ma i mitocondri sono microscopici. Però immagini che raggiungano…» Chandler spalancò improvvisamente le braccia «… un metro di diametro.»

«E così lei ha clonato un frammento di una cellula vivente e lo ha ingrandito fino a fargli raggiungere un metro di diametro?»

«Non sono mai stato bravo a spiegare una scoperta scientifica a un profano… No, ovviamente non ha un metro di diametro. Non si tratta neppure di un mitocondrio. È un dispositivo biomeccanico che utilizza le membrane e le strutture di un mitocondrio. Sono state ingrandite con metodi industriali. È una gigantesca sfoglia di membrane con una matrice di gelatina. Non è un essere vivente, è hardware biologico, manipolato e trasformato in una batteria elettrochimica. Può far muovere un’auto, oppure un camion! E va a zucchero.»

«E così ha creato un motore d’automobile che va a zucchero.»

«Adesso ha capito! È proprio così! Zucchero, acqua e alcuni elementi traccia. Tutto completamente organico, tutto completamente riciclabile. Niente combustione, niente emissioni di scarico e niente tossine! E funziona a temperatura ambiente.»

«E così questa è una nuova batteria per automobili. Certo, è una bella cosa. Ma ce ne sono già numerosi modelli sul mercato — a ventola, a vapore, a nitrogeno liquido. Qual è il suo vantaggio?»

Chandler sferrò un pugno in aria. «È questo! È come sferrare un pugno! Sono stati i mitocondri a permettermi di farlo! È la stessa tecnologia che fornisce energia ai muscoli! È un sistema rapido e pulito! E funziona davvero!»

«E qual è il difetto?»

«Nessuno! Funziona alla perfezione! Be’, funzionerà meglio quando avremo eliminato i difetti del prototipo… abbiamo alcuni problemi con la pressione osmotica, e perfino con il flusso… oh, e se la batteria si infetta, allora marcisce molto in fretta. Ma questi sono problemi risolvibili. Il vero problema è che Detroit non vuole il nostro prodotto. Si rifiutano di metterlo in produzione.»

«E così lei ha raggiunto un grande successo» commentò Oscar. «Allora mi spieghi qualcosa. Il suo laboratorio gode di una quantità maggiore di fondi rispetto a ogni altro laboratorio del dipartimento Materiali, ma non avete mai tirato fuori un vero prodotto. Lei qui è il ricercatore capo, ma ha avuto un ricambio di personale molto più alto di qualsiasi altro laboratorio…»

«Erano tutte spie!» esclamò Chandler. «Erano spie e sabotatori! Non avevo altra scelta se non quella di licenziarli!»

«Ho notato che il resto della sua krew non si è unito alla sua azione personale.»

«Il loro morale è stato distrutto. Sanno che dovranno essere rimossi. Sanno che tutto il loro duro lavoro non servirà a nulla. Stanno soltanto sperando che i ricordi svaniranno.» Chandler ingobbì le spalle.

«Questa è una storia davvero particolare. Dovrò verificarla con il suo contatto industriale.»

«Sicuro, faccia pure. Il suo nome è Ron Griego, è un dirigente della sezione ricerca e sviluppo dell’azienda su a Detroit.»

Oscar ammiccò. «Si tratta di Ronald K. Griego?»

«Lei conosce Ron Griego?»

«Penso di sì» rispose Oscar accigliandosi. «In effetti, penso di potere risolvere questa faccenda in breve tempo.»


Dopo avere lasciato il dottor Chandler, placato almeno fino al punto di mangiare, Oscar e Kevin cercarono rifugio nel fogliame lussureggiante a nord del laboratorio di Frammentazione genetica. Poi Oscar chiamò la segretaria della krew di Griego a Detroit.

«Mi perdoni per averla chiamata, signora, ma penso che il signor Griego sarà disposto a parlare con me. Per favore, vuole dire a Ron che sono Oscar Valparaiso, classe del ’37, e che si tratta di una questione federale molto urgente?»

Griego rispose al telefono in meno di cinque minuti. Lui e Oscar si scambiarono convenevoli in tono cauto.

«E così, dopo tutto, sei entrato nel ramo di famiglia, eh, Ron?»

«È stato per questo che papà mi ha spedito a Harvard» replicò Griego. «Ma cosa c’è che non va in questa comunicazione telefonica?»

«Crittografia e ritrasmissione. Mi dispiace. Senti, si tratta del Collaboratorio nazionale di Buna.»

«Ho sentito dire che state chiudendo quel posto» commentò Griego in tono allegro. «Laggiù è in corso un grande sciopero dei lavoratori. Be’, ovviamente si tratta di un duro colpo ai nostri futuristici sforzi di ricerca, ma non voglio che tu ti preoccupi troppo. Qui, nel campo delle industrie automobilistiche, capiamo bene i problemi della manodopera. Se riusciamo a fare pressione sul Congresso in modo che ci permetta di conservare le detrazioni fiscali di quest’anno per la ricerca e lo sviluppo, penso che potremo sopravvivere alla perdita del nostro laboratorio di Buna.»

«Mi dispiace, ma non sarà così facile, Ron.»

«Ma io ti sto facilitando le cose,» ribatté Griego in tono ferito. «Chiudi quel posto, licenziali tutti. Cancellalo, chiudi a chiave le porte, per loro è finita, sono acqua passata. Cosa ci potrebbe essere di più facile?»

«Oh, per me è abbastanza facile — io volevo dire che non sarà facile per te.»

«Avrei dovuto saperlo» gemette Griego. «Perché con te le cose non sono mai facili, Valparaiso? Cos’hai contro il resto di noi? Qual è il tuo problema?»

«Soltanto risolvere alcune faccende in sospeso. Credimi, Ron, posso capirti benissimo. Per te deve essere stato un incubo: scatenare una guerra di rete contro qualche krew di lunatici che hanno costruito una batteria magica che funziona a zucchero.»

«Oh, Cristo!»

«Senti, Ron, rilassati. Ricordi quelle volta che riuscii a nascondere quelle due puttane dalla polizia del campus? Non ti ho mai smascherato e non ho intenzione di farlo adesso. Dimmi soltanto come stanno le cose veramente. È tutto quello che ti chiedo.»

Vi fu un lungo silenzio carico di tensione. Poi Griego esplose come una furia. «Non metterti a fare il superiore con me, signor terzo della classe. Tu pensi che sia facile dirigere il settore ricerche e sviluppo di una grossa azienda? Le cose stavano filando lisce, fino a quando quel tizio non aveva nulla in mano. Gesù, nessuno pensava che un maledetto motore a zucchero avrebbe funzionato. Quel dannato affare non è altro che un gigantesco virus in scatola! Qui noi costruiamo automobili, non virus giganti! Poi se ne escono con questa scoperta pazzesca e… be’, ci rendono la vita impossibile! Noi siamo una classica industria metallurgica! Abbiamo direzioni che si occupano delle materie prime, del combustibile, delle parti di ricambio, degli accordi… Non possiamo andare a dire ai nostri fornitori di carburante che li stiamo per sostituire con qualche cucchiaio di acqua zuccherata! Noi siamo proprietari dei nostri fornitori di carburante! Sarebbe come segarci un piede da soli!»

«Capisco la faccenda delle direzioni e delle partecipazioni incrociate, Ron. Ero seduto accanto a te nella facoltà di economia, ricordi? Va’ al sodo — e la batteria?»

«Le batterie hanno il margine di profitto più alto rispetto a qualsiasi altro componente di automobile. Lì guadagnavamo bei soldi. Nel nostro ramo non si guadagna più bene in nessun altro campo. I coreani costruiscono le carrozzerie usando paglia e carta!. Come fa a sopravvivere un’industria quando un’auto costa meno di un sacchetto di carta? Cosa diremo ai nostri sindacati? Qui è in gioco una grande tradizione americana! L’automobile definisce l’America: la catena di montaggio, la periferia, i drive-in, le macchine truccate, il sesso adolescenziale, tutto quello che rende grande l’America! Non possiamo rinnegare tutto quanto perché qualche imbecille con il cervello troppo sviluppato ha costruito un motore con frattaglie di insetto! Di noi non rimarrebbe più nulla! Quel tizio è una minaccia per la società! Deve essere fermato.»

«Grazie per la tua spiegazione, Ron. Adesso stiamo andando da qualche parte. Adesso spiegami questo: perché non hai semplicemente tagliato quei maledetti fondi?»

«Se soltanto fosse così semplice! La legge federale ci obbliga a investire nella ricerca e nello sviluppo. Era parte del nostro accordo con il governo federale. Dobbiamo proteggere il commercio, trattenere il fiato e saltare una generazione in avanti rispetto ai nostri concorrenti stranieri. Ma se saltiamo una generazione in avanti rispetto ai maledetti coreani, la nostra industria svanirà interamente. La gente si fabbricherà le automobili con la stessa facilità con cui si prepara un toast. I prolet costruiranno automobili ricavandole dai rifiuti biologici e le assembleranno nei cortili posteriori delle loro case. Saremo tutti condannati.»

«E così mi stai dicendo che hai ottenuto un incredibile successo nella ricerca che, come effetto collaterale, farà sparire la tua industria.»

«Sì, esatto, è proprio così. E, mi dispiace, ma non possiamo permettere una cosa del genere. Abbiamo degli azionisti di cui preoccuparci, abbiamo una forza lavoro. Non vogliamo fare la stessa fine degli informatici. Gesù, è assolutamente assurdo. È una follia totale, è una vera pazzia. Sarebbe come tagliarci la gola da soli.»

«Ron, calmati, okay? Sono con te, capisco le tue ragioni. Grazie per avermi detto come stanno le cose. Adesso comprendo la tua situazione. Si inscrive perfettamente nel quadro generale.»

Oscar trasse un respiro. «Vedi, Ron, qui la questione fondamentale è la relazione tra il commercio e la scienza. Di recente ho riflettuto molto su questo problema, e adesso mi rendo conto che non è più possibile portare avanti il vecchio gioco della grande scienza. Soltanto i selvaggi e i membri del Congresso possono credere che la scienza vada a braccetto con il commercio. Non è mai stato così. La verità è ben diversa. Talvolta gli interessi della scienza e del commercio possono coincidere per un breve periodo, ma non si tratta di un matrimonio. Piuttosto, si tratta di una relazione pericolosa. Se sei un uomo d’affari, i nuovi sviluppi della scienza possono sbatterti fuori dal mercato con una velocità tremenda.»

«Hai capito benissimo la situazione» approvò Griego in tono fervido.

«Ron, mi rattrista vederti costretto a fare una cosa del genere. Se non vuoi finanziare la ricerca e lo sviluppo, dovresti potere essere libero di farlo. Non dovresti essere obbligato ad agire da burocrati federali lontani e indifferenti, che non capiscono le reali dinamiche dell’impresa privata. E, cosa più importante di tutte, non dovresti sprecare il tuo tempo, e il mio, conducendo una guerra di sabotaggio contro un laboratorio federale. Si tratta soltanto di una distrazione controproducente, che ci mette uno contro l’altro senza alcun motivo. Noi siamo gente seria, Ron. Gente come noi dovrebbe parlare di questa faccenda come individui maturi e arrivare a un compromesso.»

Griego sospirò nel telefono. «Okay, Oscar. Adesso puoi smetterla di blandirmi. Cos’hai intenzione di farmi?»

«Be’, potrei rivelare al pubblico tutta questa brutta faccenda. E poi avremo indagini, udienze del Senato e possibili incriminazioni, tutta la stancante e malaugurata solfa. Ma supponi che questo non accada mai. Supponi che io ti possa garantire personalmente che la batteria miracolosa di quel tizio piomberà nel dimenticatoio. E che questo ti costerà soltanto il cinquanta per cento della somma che investi attualmente nella ricerca e nello sviluppo.»

«Direi che è troppo bello per essere vero.»

«No, Ron. Qui al Collaboratorio vige un nuovo ordine. L’industria automobilistica americana non ha più bisogno di grandi progressi tecnici. Voi siete un tesoro storico nazionale, come una mandria di bisonti o Valley Forge. Avete bisogno di protezione dalla minaccia della ricerca scientifica di base. Invece di pagare degli scienziati federali in modo che portino all’estinzione la vostra industria, dovreste pagarli affinché non facciano ricerche nel vostro campo. Questo permetterà alla vostra industria di sopravvivere.»

«Sembra una proposta meravigliosa» commentò Griego in tono triste. «Ma è legale?»

«Perché no? I tuoi continui sabotaggi non sono certo legali, ma sono andati avanti per anni. La mia proposta provocherà un miglioramento nello status quo, perché adesso siamo stati onesti sulla faccenda. Come gesto di buona volontà, non solo passerò sotto silenzio la tua piccola impresa di spionaggio industriale, ma ridurrò della metà le tue spese per la ricerca e lo sviluppo!»

«Qual è il verme?»

«Il verme è: al momento il Collaboratorio si trova in piccole difficoltà finanziarie, così dovrai anticiparci i fondi di un anno intero per la ricerca e lo sviluppo. In base al nostro accordo, puoi ottenere l’autorizzazione per questa transazione finanziaria dalla tua gente a Detroit?»

«Be’, dovrò parlarne con papà.»

«Parla pure con i pezzi grossi, Ron. Di’ a papà e agli alti papaveri che se non accettano la mia proposta, e subito, io metterò al lavoro su questo progetto l’intero serbatoio di scienziati del Collaboratorio. E per il prossimo giugno, inizieremo a consegnare ai negozi motori allo zucchero. Con una massiccia campagna pubblicitaria.» Oscar interruppe la comunicazione.

«Parlavi sul serio?» chiese Kevin. Aveva origliato con grande interesse.

«Non lo so» ammise Oscar. «In questa faccenda ho soltanto avuto un po’ di fortuna. Per caso conoscevo i pulsanti che funzionano con il buon vecchio Ronnie, e l’intero schema mi è venuto in mente in un lampo di ispirazione. È una mossa molto strana, molto laterale, ma ci libera di tre o quattro problemi in un colpo solo. Ci dà una bella pausa di respiro dalle difficoltà finanziarie. Ron è contento, noi siamo contenti, tutti tranne Chandler sono contenti, ma lui era finito in ogni caso. Perché Chandler mi ha fatto irritare copiando la mia strategia.»

«Ma non puoi davvero proteggere l’industria automobilistica da una scoperta scientifica come una nuova fonte di energia.»

«Kevin, svegliati. Devi smetterla di pensare come un tecnico. Ma dov’è che hai preso quest’abitudine? Non vedi cosa sono riuscito a ottenere? Per la prima volta nella storia, delle persone ci pagheranno per non fare ricerche. Per la prima volta, gli scienziati federali hanno a disposizione un’arma economica: possono portare la guerra in casa del nemico. A chi importa di un’altra dannata batteria? E poi, probabilmente si tratta di un bidone. Hai mai visto un’auto a energia atomica? Solo perché è tecnicamente fattibile, ciò non significa che sia conveniente.»

«Le persone ne faranno qualcosa in ogni caso. Voi politici non potete controllare il flusso di conoscenze tecnologiche. Verranno sfruttate lo stesso, qualsiasi cosa dica il governo.»

«Kevin, io questo lo so. Io sono la prova vivente di questo fenomeno. È grazie a questo che sono qui.»


Alle due del mattino del 20 gennaio, qualcuno bussò alla porta della camera d’albergo di Oscar. Era Fred Dillen, il custode della krew e l’uomo che si occupava del lavaggio dei panni. Fred era sbronzo — la krew aveva festeggiato dopo lunga attesa il giuramento ufficiale del senatore Bambakias, facendo molti brindisi patriottici alla salute della nuova amministrazione del presidente Two Feathers. Fred era accompagnato da una tozza donna anglo sulla trentina, che indossava una tuta arancione da infermiere del pronto soccorso.

«La festa è sfuggita al controllo?» domandò Oscar.

«Oscar, questa signora ha bisogno di parlare con te» spiegò Fred.

«Non sapevo quale fosse la sua stanza» si scusò l’infermiera. «In basso ho dovuto chiedere a mucchio di persone ubriache.»

«Sono felice che lei sia qui. C’è qualche problema?» chiese Oscar.

«Sì. Abbiamo una donna ferita, sui trentacinque anni. Si è fratturata una caviglia. Ma dice che non vuole andare in clinica. Non vuole neppure darci il suo nome e il suo documento di identità. Dice che vuole prima parlare con lei.»

«In quale clinica la state portando?» chiese Oscar.

«Be’, vogliamo portarla al pronto soccorso di Buna. Lei voleva andare nel Collaboratorio, ma non possiamo portarla qui dentro. Hanno tutte queste porte stagne e tutte queste procedure di sicurezza e poi non abbiamo l’autorizzazione legale a prestare pronto soccorso in una struttura federale.»

«Ma cosa le è successo? Come si è fatta male?»

«Be’, lei dice che è successo mentre stava venendo qui. Camminava al centro della strada, a notte a fonda, e ha inciampato su qualcosa.» L’infermiera fissò Oscar con disgusto. «Ascolti, tutto questo va decisamente contro i regolamenti. La maggior parte delle persone che si sono fratturate una gamba sono dannatamente felici di vedere un’ambulanza. Ma quella donna ha continuato a protestare. Mi ha implorato di trovare un certo tizio chiamato Valparaiso, e io l’ho trovata. Vuole fare qualcosa? Perché, in caso contrario, adiós muchacho.»

«No, per favore, non sia frettolosa. Verrò con lei. Sono davvero ansioso di parlare con la sua paziente.» Oscar diede un’occhiata alla targhetta dell’infermiera. «La ringrazio molto per il fastidio che si è presa per trovarmi, signorina Willis. So che questa non è una procedura ortodossa, ma posso far sì che la sua attesa venga ricompensata.»

Willis si rilassò, poggiando il peso del corpo sui tacchi consunti della sue scarpe da ginnastica. «Molto bene» replicò, poi sorrise. «Allora, dopo tutto, la situazione non è poi così male.»

Oscar trovò una giacca, il portafoglio e un paio di scarpe. Lanciò un’occhiata a Kevin, profondamente addormentato. Se avesse voluto osservare strettamente le procedure di sicurezza, avrebbe dovuto svegliare la sua guardia del corpo e costringerla a seguirlo nella sua sedia a rotelle — ma erano le due del mattino e Kevin, che come sempre lavorava duro, aveva bevuto come una spugna. Oscar si infilò un telefono in tasca e uscì nel corridoio. Chiuse la porta in silenzio, poi passò a Willis un biglietto da venti euro.

Willis lo fece sparire in una tasca della tuta arancione chiusa da una striscia di velcro. «Muchas gracias, amigo.»

«Spero che Greta stia bene» si augurò Fred in tono ansioso.

«Cerca di non preoccuparti» lo rassicurò Oscar. Fred non era certo il membro più brillante della krew. Ma era un uomo buono e leale, che ripagava una parola gentile con una fedeltà quasi canina. «Adesso puoi tornare alla festa. Questa faccenda deve rimanere un segreto. Non dire niente a nessuno. Okay?»

«Oh» mormorò Fred. «Giusto. Non c’è problema, Oscar.»

Oscar e la signorina Willis scesero a pianterreno e attraversarono l’atrio, in cui filtrava l’eco di musica da ballo olandese. «Senza, dubbio è un bell’albergo» commentò Willis.

«Grazie. Forse le piacerebbe trascorrere qui il fine settimana.»

«Con il mio stipendio? Non posso certo permettermi un posto di classe come questo.»

«Se sarà discreta su questo piccolo incidente, signorina, le regalerò un soggiorno di tre giorni con il servizio in camera, insieme a qualsiasi ospite decida di portare.»

«Cavolo, è un’offerta molto generosa. Questa Gretel deve significare molto per lei.» Willis lo condusse attraverso il vialetto asfaltato, poi uscirono sulla strada. Un’ambulanza bianca delle dimensioni di una limousine era in attesa sotto i pini, con i fari accesi e la portiera del guidatore aperta. Willis salutò con un gesto l’autista, che le restituì il saluto con evidente sollievo.

«La donna è nel retro dell’ambulanza, su una barella» annunciò Willis. «È una frattura abbastanza seria. Vuole un buon consiglio, compadre! D’ora in poi, dica alle sue dannate fidanzate di non andarsene in giro al buio.»

«Sono sicuro che si tratta di un buon consiglio» commentò Oscar. Salì sul paraurti e guardò nell’ambulanza. Greta era sdraiata su una barella, con le mani dietro la testa.

Willis poggiò la mano sul sedere di Oscar e gli diede una brusca spinta. Oscar cadde barcollando nell’ambulanza e Willis chiuse immediatamente le doppie porte. L’interno del veicolo divenne nero come una tomba.

«Ehi!» esclamò Oscar.

Il veicolo scese dal marciapiede e si allontanò con un violento ballonzolio delle sospensioni.

«Greta» chiamò Oscar. Nessuna risposta. Scivolò nell’oscurità al suo fianco, allungò una mano. La mano, procedendo a tentoni, toccò un qualche punto dello sterno della donna. Era priva di sensi. Ma era viva: respirava.

Oscar prese in fretta il telefono. Non provò alcuna sorpresa, con suo grande rammarico, quando scoprì che non riceveva alcun segnale. Ma il fievole bagliore dello schermo del telefono fu sufficiente a fargli distinguere, sia pure confusamente, l’ambiente circostante. Avvicinò il telefono al viso di Greta. Era davvero svenuta — e per buona misura le avevano incollato una membrana adesiva sulla bocca. Le mani erano bloccate con manette di plastica della polizia. Ovviamente non c’era nulla che non andasse nella sua caviglia.

Il retro dei veicolo somigliava a un’ambulanza, ma soltanto a un’occhiata superficiale. C’era qualche barella ammaccata di seconda mano, ma non c’era alcun equipaggiamento di supporto vitale. Non aveva finestrini. A giudicare dal modo in cui affrontava le curve, la falsa ambulanza era rivestita di metallo solido come una cripta di una banca. Lo avevano attirato in un thermos corazzato, lo avevano chiuso dentro e poi erano partiti.

Alla luce del telefono, servendosi delle unghie, Oscar staccò lentamente il bavaglio dalla bocca di Greta. Poi diede alle sue labbra silenziose un bacio guaritore. All’interno di quella cripta in miniatura non c’era alcun riscaldamento. Il corpo di Greta era freddo. Oscar si sdraiò sulla barella accanto a lei e la abbracciò. La tenne stretta, facendo penetrare il calore nel suo corpo. Scoprendo quanto le volesse bene, si spaventò. Era così umana. Così indifesa.

Erano stati rapiti. Era così semplice. Avevano dato un po’ troppo fastidio a qualcuno, avevano fatto perdere la pazienza a qualche giocatore profondamente malvagio. Adesso erano diretti verso qualche cimitero di un assassino. Sarebbero stati torturati, umiliati e seppelliti con delle pallottole alla nuca. Sarebbero stati gassati, fatti a pezzi e cremati. Vili e disgustosi individui avrebbero guardato i video delle loro morti lente e segrete.

Oscar si alzò dalla barella. Poggiò la schiena sul pavimento e iniziò a prendere a calci la paratia anteriore. I suoi calci scrostarono la vernice, misero a nudo uno strato di plastica porosa e colpirono una parete di ferro solido. Adesso la bara ambulante iniziò a produrre una serie di tonfi, simili a colpi di tamburo. Era già un progresso. Oscar continuò a sferrare calci, con maggiore entusiasmo.

Un altoparlante si attivò con un crepitio da qualche parte nel retro del compartimento. «Per favore, vuoi smetterla di fare rumore?»

«E cosa ci guadagno?» replicò Oscar.

«Tu non vuoi che diventiamo duri, compadre» minacciò la voce. Era Willis. «Sai, soltanto perché tu non puoi vedere noi, questo non significa che noi non possiamo vedere te. Possiamo vedere ogni dannata mossa che fai lì dietro. E francamente, vorrei che non palpassi la mercanzia mentre è priva di sensi. È davvero disgustoso.»

«Voi pensate che io qui dietro sia inerme — ma ho ancora delle possibilità. Potrei soffocarla a morte. Potrei dire che siete stati voi.»

Willis rise. «Gesù, ma lo sentite? Ascolta, vato — tenta una mossa stupida e noi riempiamo il compartimento di gas stordente. Per favore, vuoi rilassarti lì dietro? Non siamo noi il tuo problema. Noi non ti faremo nulla. Siamo soltanto il tuo corriere.»

«Io ho molti soldi» replicò Oscar. «Scommetto che vi piacerebbe averne un po’.»

Non vi fu alcuna risposta.

Oscar riportò la propria attenzione su Greta. Le frugò nelle tasche, non trovando nulla di utile per forare il metallo solido. Tentò di sistemarla in una posizione più comoda. Le sollevò i piedi, le riscaldò i polsi legati, le massaggiò le tempie.

Dopo mezz’ora, Greta emise una serie di gemiti e si svegliò.

«Mi sento così stordita» gracchiò.

«Lo so.»

Greta si agitò e tese la braccia; i polsi si bloccarono con un sibilo di plastica. «Oscar?»

«Siamo stati rapiti.»

«Oh. Va bene. Adesso ricordo.» Greta si schiarì la mente. «Mi hanno detto che ti eri fatto male. Che avevi bisogno di vedermi al tuo albergo. E così quando ho lasciato la cupola, loro mi hanno… rapito.»

«La stessa cosa è accaduta anche a me» rivelò Oscar. «Ci hanno usato come esca l’uno per l’altro. Avrei dovuto essere più sospettoso, almeno immagino. Ma come diavolo si fa a vivere in questo modo? È impossibile prevedere qualcosa del genere. Un rapimento è un atto assolutamente stupido. È una mossa così strana.»

«Cosa ci faranno?» chiese Greta.

Oscar si sforzò di mostrarsi allegro. Si era già dovuto riprendere da un nero pozzo di disperazione e terrore, ed era giustamente ansioso che Greta non replicasse quell’esperienza. «Non posso davvero dirtelo, perché non so ancora chi siano. Ma non ci hanno fatto del male, dunque devono volere qualcosa da noi. Si sono dati un bel po’ di fastidio con il travestimento, l’ambulanza e tutto il resto. Questo non è il solito gruppo di assassini fuori di testa.» Alzò la voce. «Ehi! Salve! Vi dispiacerebbe dirci cosa volete da noi?» Non vi fu alcuna risposta. Oscar non si era fatto alcuna illusione.

«Loro possono sentire tutto quello che diciamo» lo avvertì Greta. «Ovviamente ci hanno messo addosso delle microspie.»

«Be’, ma possono anche vedere tutto quello che facciamo? Qui dentro è buio pesto.»

«In effetti, possono farlo. Penso che abbiano delle telecamere a infrarossi.»

Greta rifletté su quella risposta per qualche istante. «Ho una sete terribile» dichiarò infine.

«Mi dispiace.»

«Questa è una follia» si lamentò Greta. «Ci uccideranno, vero? Questo è un vero disastro.»

«Greta, si tratta soltanto di un’ipotesi.»

«Ci stanno portando ad ammazzarci, come dei gangster. Poi ci scaricheranno per strada. Molto presto morirò.» Sospirò. «Mi sono sempre chiesta cosa avrei fatto, se avessi saputo di essere sul punto di morire.»

«Davvero?» si stupì Oscar. «Non è che io ci abbia pensato molto sopra.»

«No?» Greta si agitò. «E come hai fatto a non pensarci? È una domanda così interessante. Io pensavo che avrei reagito come Evariste Galois. Sai, il matematico. Avrei scritto tutte le mie riflessioni più ardite nel mio quaderno di appunti, sperando che, qualche giorno, qualcuno sarebbe stato capace di comprenderle… Vedi, se pensi a questo problema, arrivi a una deduzione alquanto ovvia: la morte è universale, ma sapere quando si morirà è un raro privilegio statistico. E così, visto che probabilmente non lo saprai mai, dovresti trascorrere alcune ore di un giorno scelto a caso, e preparare il testamento finale in anticipo. Giusto? Questa è la conclusione razionale, dati i fatti. Una volta l’ho fatto davvero — quando avevo undici anni.» Respirò. «Sfortunatamente, da allora non l’ho più fatto.»

«È un vero peccato.» Oscar si rese conto che Greta era completamente terrorizzata. Stava straparlando. Invece la sua paura era completamente svanita. Era sopraffatto dall’istinto protettivo. Si sentiva euforico, quasi brillo. Avrebbe fatto qualsiasi altra cosa per avere la minima possibilità di salvarla.

«Ma non ho più undici anni. Adesso so cosa fanno gli adulti in questa situazione. Non ha nulla a che vedere con le grandi idee. Ti fa venire voglia, molta voglia, di fare sesso.»

Si trattò di un’osservazione assolutamente inaspettata, ma il suo significato ebbe su Oscar l’effetto di un fiammifero gettato su degli stracci imbevuti di benzina. Quell’affermazione era tanto vera che non seppe cosa replicare. Provò due impulsi contemporanei — paura, eccitazione — abbastanza intensi da spaccargli in due il cervello. Le orecchie iniziarono a ronzargli, le mani iniziarono a prudere.

«E così,» mormorò Greta in tono provocante «se adesso non fossi legata…»

«In effetti,» annaspò Oscar «questo non mi dà particolarmente fastidio…»

L’altoparlante crepitò di nuovo. «Okay. Smettetela subito. Piantatela. È davvero disgustoso.»

«Ehi!» obiettò una seconda voce, maschile. «Lasciali in pace.»

«Sei pazzo?» replicò Willis.

«Ragazza, non sei mai stata un combattente veterano. L’ultima notte prima di andare a farti ammazzare — per l’inferno, hai davvero voglia di andare a letto con qualcuno! Ti faresti qualsiasi cosa indossi una gonna.»

«Ah!» gridò Oscar. «E così non vi piace? Allora venite qui dietro e fermateci.»

«Non metterci alla prova.»

«Cosa potete farci? Adesso non abbiamo più nulla da perdere. Sapete che siamo amanti. Certo, è il nostro grande e oscuro segreto, ma non abbiamo nulla da nascondere a voi. Voi siete soltanto dei guardoni. Per noi, voi non significate nulla. Andate all’inferno! Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo.»

Greta rise. «Non avevo mai pensato in questo modo» esclamò in tono frivolo. «Ma è vero. Noi li costringeremo a guardarci.»

«Diavolo, io voglio guardarli!» esclamò il rapitore maschio. «Mi piace il loro atteggiamento! Adesso gli metto anche un po’ di musica.» Una radio iniziò a trasmettere un allegro two-step cajun.

«Togli le mani da quell’affare!» ordinò Willis.

«Chiudi il becco! Posso benissimo ascoltare un po’ di musica mentre guido.»

«Li gasserò tutti e due.»

«Ma sei impazzita? Non farlo. Ehi!»

L’ambulanza sterzò bruscamente. Vi fu un sonoro rumore di fango e il veicolo sovraccarico sterzò e quasi andò in testacoda. Oscar venne scagliato lontano da Greta e andò a urtare contro la paratia. Il veicolo si fermò.

«Adesso l’hai fatta grossa» accusò Willis.

«Non cominciare a innervosirti» borbottò l’uomo. «Arriveremo in tempo.»

«No, se hai rotto l’assale, stronzo arrapato.»

«Smettila di lamentarti e fammi pensare. Scenderò a controllare.» Una portiera venne aperta con un cigolio.

«Mi sono rotto un braccio!» gridò Oscar. «Qui dietro sto sanguinando a morte!»

«Ma la vuoi smettere di essere così dannatamente furbo?» gridò Willis. «Cristo, sei davvero una seccatura! Perché non ci rendi più facile la cosa? Non deve per forza essere così difficile! Adesso chiudi il becco e fa’ la nanna.» Si udì il sibilo del gas.


Oscar si svegliò nell’oscurità udendo un violento frastuono di metallo lacerato. Era sdraiato sulla schiena e sul petto aveva qualcosa di molto pesante. Si sentiva accaldato e stordito e in bocca aveva un sapore di alluminio.

Vi fu un terribile stridio e uno schiocco improvviso. Un cuneo a forma di diamante di luce solare si riversò su di lui. Scoprì che giaceva sul fondo di una bara mostruosa, con Greta sdraiata sul petto. Si mosse, le spostò le gambe da un lato con uno sforzo che gli provocò un dolore lancinante dietro i globi oculari.

Dopo alcuni respiri profondi, Oscar si rese conto della sua situazione. Lui e Greta erano ancora sdraiati all’interno dell’ambulanza. Ma il veicolo si era rovesciato su un fianco. Adesso Oscar giaceva sulla parete più stretta. Greta era sopra di lui, ancora ammanettata ai montanti della barella, che adesso faceva parte del tetto.

Si udirono altri tonfi, altri stridii. Improvvisamente una delle porte posteriori venne forzata e cadde sul terreno.

Un giovane in tuta di jeans e con i capelli tagliati a spazzola si sporse a guardare all’interno dell’ambulanza, con un piede di porco in mano. «Ehi!» esclamò. «Siete vivi!»

«Sì. E tu chi sei?»

«Ehi, nessuno! Voglio dire, ehm… Dewey.»

Oscar si rizzò a sedere. «Cosa sta succedendo, Dewey?»

«Non lo so, ma dovete essere proprio fortunati per essere vivi lì dentro. E la signora? Sta bene?»

Greta pendeva dalla barella con la testa rovesciata all’indietro e gli occhi che mostravano il bianco. «Aiutaci» disse Oscar, poi tossì. «Aiutaci, Dewey, e non te ne pentirai.»

«Ma certo» rispose Dewey. «Cioè, tutto quello che vuole. Esca fuori di lì!»

Oscar strisciò fuori dal retro dell’ambulanza. Dewey lo prese per un braccio e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Oscar provò una fitta di nausea, ma poi il cuore ricevette una sferzata di adrenalina. Il mondo divenne dolorosamente chiaro.

L’ambulanza, ridotta a un rottame, era rovesciata su una strada in terra battuta sulla riva di un fiume lento e fangoso. Era l’alba, faceva freddo e c’era la nebbia.

Nell’aria stagnava il puzzo di tappezzeria bruciata. L’ambulanza era stata colpita in pieno da un qualche tipo di ordigno — forse un colpo di mortaio. L’onda d’urto l’aveva scagliata via dalla strada, rovesciandola sul fianco nel rosso fango texano. Il motore era una massa annerita di metallo lacerato e di plastica fusa. La cabina era stata tranciata a metà, rivelando lo spesso strato corazzato, e adesso ammaccato, della prigione interna.

«Cosa è successo?» sbottò Oscar.

Dewey scrollò le spalle; aveva gli occhi chiari e un viso allegro. «Ehi, mister — me lo dica lei! Sicuramente la notte scorsa qualcuno ha sforacchiato per bene il culo di qualcun altro. È tutto quello che posso dire.» Dewey era molto giovane, forse aveva diciassette anni. Sulla schiena portava un fucile da caccia a colpo singolo. A pochi metri dall’ambulanza era parcheggiato un antico pick-up, con targhe texane. Sul pianale di carico c’era una moto fracassata.

«Quello è il tuo camion?» chiese Oscar.

«Sì!»

«Lì dentro hai una cassetta degli attrezzi? Qualcosa che possa tagliare le manette?»

«Ho la mia sega elettrica. Ho dei tronchesi. Ho una catena per il traino. Ehi, alla fattoria il mio papà ha gli attrezzi per saldare!»

«Conoscerti è stata una vera fortuna, Dewey. Mi chiedo se posso prendere in prestito i tuoi attrezzi per un secondo e liberare la mia amica.»

Dewey lo guardò con preoccupazione e sorpresa. «È sicuro di stare bene, mister? Dall’orecchio le esce un mucchio di sangue.»

Oscar tossì. «Mi serve un po’ d’acqua. L’acqua basterà.» Si toccò una guancia, sentì una massa viscosa di sangue secco e abbassò lo sguardo verso la riva del fiume. Sarebbe stato bello lavarsi la testa nell’acqua fredda. Era un’idea brillante. Era assolutamente necessario, era la priorità più importante.

Incespicò attraverso i folti arbusti marroni, affondando fino alle ginocchia nel fango gelido. Trovò una pozza sgombra nell’acqua coperta di alghe e si bagnò la testa con le mani unite a coppa. Il sangue scese a cascata dai capelli. Aveva un grosso taglio sopra l’orecchio sinistro, che si annunciò con una fitta accecante e una serie di nauseanti pulsazioni. Si arrischiò a bere qualche boccata di acqua del fiume, piegato in due, fino a quando lo choc non fu passato. Poi si alzò.

A venti metri di distanza, notò un altro relitto, che fluttuava lentamente nel fiume. In un primo momento Oscar lo scambiò per un’autobotte parzialmente sommersa, ma poi si rese conto, con profondo stupore, che si trattava di un sommergibile tascabile. Il veicolo nero era crivellato da prua a poppa da una miriade di fori di mitragliatrice larghi un pollice. Si era arenato nel fango in un arcobaleno di olio.

Oscar risalì di nuovo sulla riva del fiume, sporco di fango fino alle ginocchia. Mentre tornava verso l’ambulanza, notò che il parabrezza della cabina era esploso e che molti dei frammenti erano letteralmente spruzzati di sangue secco. La strada in terra battuta, inzuppata di pioggia, era furiosamente sconvolta da impronte lasciate da numerose moto. Non c’era alcun segno dei loro rapitori. In effetti, non si vedeva anima viva.

Dall’interno dell’ambulanza fracassata si levò il ronzio sommesso della sega elettrica di Dewey. Oscar si avvicinò stancamente e guardò all’interno. Dewey aveva rinunciato al suo tentativo di segare le manette e adesso stava segando il metallo del montante della barella. Piegò l’intelaiatura metallica e vi fece passare sopra le manette.

Oscar lo aiutò a trasportare Greta alla luce del sole. Aveva le mani bluastre per le manette e i polsi erano scorticati, ma il respiro era ancora forte e regolare.

Era stata gassata fino a perdere i sensi — per due volte — ed era sopravvissuta a un incidente automobilistico e a uno scontro a fuoco. Poi era stata abbandonata in una prigione corazzata e impenetrabile. Greta aveva bisogno di un ospedale… di un ospedale attrezzato e, soprattutto, sicuro. Un ospedale sarebbe stata un’idea eccellente per entrambi.

«Dewey, quanto dista da qui Buna?»

«Buna?» chiese Dewey. «Circa trenta miglia in linea retta.»

«Ti darò trecento dollari se ci accompagni immediatamente a Buna.»

Dewey rifletté su quell’offerta. Non ci mise molto a decidere. «Saltate su» li invitò.


A una tale distanza da Buna, il telefono di Oscar era inutile. Si fermarono in una drogheria nel piccolo villaggio di Calvary, Texas, dove comprò qualche genere di primo soccorso e tentò con un telefono a gettoni locale, ma non riuscì a mettersi in contatto con il laboratorio. Non riuscì neppure a mettersi in contatto con l’albergo a Buna.

Riuscì a fare rinvenire Greta con una cauta applicazione di massaggi alle tempie e con qualche sorso di soda in lattina, ma aveva un forte mal di testa e una nausea tremenda. Dovette rimanere sdraiata e gemente sul retro del camion di Dewey, accanto al rottame di moto.

Oscar attese in un silenzio angosciato mentre le miglia passavano. Non gli era mai piaciuta l’ingannevole sonnolenza del paesaggio del Texas orientale. Pini, paludi, fiumi, paludi, un altro torrente; nulla era mai accaduto, nulla sarebbe mai accaduto. Però qualcosa di importante c’era stato. Adesso il paesaggio tedioso coperto di pini sembrava crepitare di una silenziosa minaccia.

A quattro miglia da Buna incontrarono un pazzo in una rugginosa auto a nolo. Li superò a tutta velocità. Poi l’auto si fermò con uno stridio di freni, eseguì una conversione e si affiancò rapidamente al veicolo di Dewey, suonando furiosamente.

Dewey, impegnato a masticare un gambo di canna da zucchero simile a un pietra, smise di mangiare per sputare alcune pagliuzze gialle attraverso il deflettore. «Conoscete quel tizio?» chiese.

«Funziona il fucile?» replicò Oscar.

«Accidenti, sì, il mio fucile funziona, ma per trecento dollari non uccido nessuno.»

Il loro inseguitore sporse la testa dal finestrino dell’auto e rivolse loro dei grandi cenni con il braccio. Era Kevin Hamilton.

«Accosta,» ordinò immediatamente Oscar, «è uno dei miei.»

Oscar uscì dal furgoncino. Controllò brevemente le condizioni di Greta, che era piegata in due sul pianale, in preda al mal d’auto, poi andò incontro a Kevin, che aveva spalancato la portiera e lo stava chiamando con gesti frenetici.

«Non andare a Buna!» gridò Kevin quando Oscar si avvicinò. «Il bubbone è scoppiato!»

«Anche per me è bello vederti, Kevin. Puoi aiutarmi con Greta? Mettiamola sul sedile posteriore dell’auto. È molto scossa.»

«Ve bene» rispose Kevin. Rivolse un’occhiata al camioncino. Dewey era appena sceso dal sedile del guidatore, con il fucile sotto braccio. Kevin infilò la mano sotto il sedile e tirò fuori un enorme revolver cromato.

«Calma!» esclamò Oscar. «Il ragazzo è sul mio libro paga.» Fissò l’arma con sgomento. Non aveva mai sospettato che Kevin possedesse quell’affare. Le armi da fuoco erano estremamente illegali e una fonte di infiniti guai.

Kevin nascose la pistola, senza dire un’altra parola, poi scese zoppicando dall’auto. Aiutarono Greta a uscire dal camioncino, ad attraversare la strada e a entrare sul sedile posteriore della macchina a nolo di Kevin, malconcia e puzzolente. Dewey rimase accanto al suo veicolo, masticando canna da zucchero e attendendo con pazienza.

«Ma che ci fai con quella pistola, Kevin? Abbiamo già abbastanza problemi.»

«Io sono scappato» spiegò Kevin. «Al laboratorio è avvenuto un contro colpo di stato — stanno tentando di metterci tutti fuori gioco. Io non ero disposto a rimanere lì per farmi arrestare. No, grazie. È tutta la vita che incontro i rappresentanti delle autorità propriamente costituite.»

«Va bene, lascia stare la pistola. Hai dei soldi?»

«In effetti, sì. Un mucchio di soldi. Mi sono preso la libertà di ripulire la cassa dell’albergo questa mattina.»

«Bene. Puoi dare a quel ragazzo trecento dollari? Glielo ho promessi.»

«Okay, capo.» Kevin allungò un braccio dietro il sedile del guidatore e prese una borsa di tela rigonfia. Guardò Greta, che si stava agitando sul sedile posteriore cercando inutilmente una posizione più comoda. «Dove sono le sue scarpe, dottoressa Penninger?»

«Sono nel camioncino» gemette lei. Era molto pallida.

«Lasci che me ne occupi io» affermò Kevin. «Voi due non siete in condizioni normali.» Kevin tornò zoppicando al camioncino, scambiò alcune parole cordiali con Dewey e gli passò un bel rotolo di sottili banconote americane. Poi Kevin tornò con le scarpe di Greta, avviò l’auto e si allontanò in direzione opposta a quella di Buna. Lasciarono Dewey sul ciglio della strada invaso dalle erbacce, mentre contava il denaro con un sogghigno incredulo.

Mentre guidava, Kevin esaminò uno schermo di navigazione a basso prezzo fabbricato in Cina e fissato con una ventosa nera al cruscotto spaccato. Poi Kevin abbassò cerimoniosamente il finestrino e gettò le scarpe di Greta dall’auto sul bordo della strada. «Immagino che sia giunto il momento di spiegarvi come ho fatto a trovarvi» affermò Kevin. «Dottoressa Penninger, avevo messo delle microspie nelle sue scarpe.»

Oscar assorbì quell’informazione, poi si guardò i piedi. «Hai messo delle microspie anche nelle mie scarpe?»

«Be’, sì, ma si tratta di tracciatori a breve raggio. Non sono microspie come quelle della dottoressa Greta.»

«Hai messo dei dispositivi di ascolto nelle mie scarpe?» gracchiò Greta.

«Sì. È stato facilissimo. E non sono stato neppure l’unico. Le sue scarpe avevano altre sei microspie inserite all’interno dei tacchi e delle cuciture. Ed erano degli aggeggini davvero sfiziosi — immagino che li abbiano messi dei giocatori molto più potenti di me. Avrei potuto rimuoverle tutte, ma ho pensato… ehi, così tante? Deve esserci stato qualche accordo amichevole. Farei meglio a rispettarlo.»

«Non riesco a credere che tu mi abbia fatto una cosa simile» si lamentò Greta. «Si suppone che noi siamo dalla stessa parte.»

«Sta parlando con me?» chiese Kevin socchiudendo gli occhi. «Io sono la guardia del corpo di Oscar. Nessuno mi ha mai detto che ero anche la sua guardia del corpo. Lei mi ha mai pagato uno stipendio? Anzi, mi ha mai rivolto la parola? Lei non vive neppure nel mio universo.»

«Calma, Kevin» intervenne Oscar. Abbassò un parasole, si diede un’occhiata nello specchietto crepato e si tolse con cautela una grossa crosta di sangue secco dai capelli. «È stato bello da parte tua mostrare tanta intraprendenza in circostanze così difficili. È stato un brutto giorno per le forze della ragione. Comunque, adesso le nostre possibilità si stanno moltiplicando. Grazie a te, stiamo riguadagnando l’iniziativa tattica.»

Kevin sospirò. «È incredibile che tu possa ancora sputare fuori queste stronzate, perfino con la testa quasi aperta a metà. Sai una cosa? Siamo in una brutta situazione, ma adesso che sono sulla strada mi sento benissimo. Mi sento a casa. Sai, ho passato un bel po’ di tempo a seminare poliziotti guidando dei rottami come questo. Il vecchio gioco del fuggiasco… Immagino che abbia i suoi difetti, ma di sicuro è meglio di quando gli sbirri sanno dove abiti»

«Dimmi cosa è successo al laboratorio» lo esortò Oscar.

«Be’, non mi ci è voluto molto per immaginare che eri stato rapito; i video dell’albergo, il fatto che i tuoi telefoni non funzionavano e le microspie nelle scarpe della dottoressa. E così ho lasciato perdere per un attimo lo schermo del mio portatile e ho dato un’occhiata dalle mie finestre reali. All’esterno c’erano gli uomini dello sceriffo, alle tre del mattino. Non era una situazione normale… Era arrivato il momento per eseguire il piano B: una ritirata discreta e programmata in anticipo.»

«E così hai derubato l’albergo e sei fuggito?» chiese Greta, sollevando la testa.

«Stava accumulando capitale mentre migliorava la sua libertà di azione» puntualizzò Oscar.

«Date le circostanze, era la mossa migliore che potessi fare» replicò Kevin in tono triste. «Perché avevo appena assistito alla decapitazione di una leadership. È una classica mossa da servizio segreto. Una tribù che sta dando grossi grattacapi deve avere per forza un capo carismatico. Se sei un poliziotto moderno con un po’ di sale in zucca, non li massacri per strada: è un metodo antiquato, e poi non è fotogenico. E così ti concentri sul pezzo grosso. Lo fai fuori, lo screditi in qualche modo… La pedofilia è un pretesto perfetto, magari i rituali satanici… Qualsiasi tipo di pettegolezzo che sia difficile smentire e che puzzi sul serio… E poi, all’improvviso, lo fai sparire. E mentre tutti i suoi seguaci di secondo rango si stanno chiedendo dove sia finito il grande capo, è allora che intervieni. Dopodiché, anche se Mr. Wonderful torna, il loro grande momento è passato. Diventano demotivati, si disperdono.»

«Ma a noi non farebbero mai una cosa del genere» affermò Greta. «Noi non siamo una tribù, noi siamo degli scienziati.»

Kevin rise. «Lo voci su voi due sono già state diffuse in giro! Avete provocato un enorme scandalo. Ieri notte ve la siete filata, e oh, a proposito, mentre fuggivate, in qualche modo avete fatto piazza pulita della cassa del laboratorio. Un terribile imbarazzo per tutti i vostri amici. Mentre le vostre krew e i vostri comitati di sciopero si stanno grattando la testa, i poliziotti del Collaboratorio stanno per sbattere tutti in cella. Perché è impossibile smentire la storia che è stata messa in giro. Perché voi non siete in giro a smentirla.»

«Be’, io la smentisco in questo preciso momento!» esclamò Greta, torcendosi le mani ancora ammanettate. «Tornerò lì e affronterò tutti faccia a faccia.»

«Calma, calma» la esortò Oscar. «Quando verrà il momento giusto.»

«E così, ero in una situazione davvero brutta» proseguì Kevin. «Stavo pensando — chi ha il coraggio e la possibilità di rapire due persone tanto famose? Per poi fare una disinformazione tanto micidiale su di loro…»

«Huey» concluse Oscar.

«Chi altri? E così, ci sono io, un pesce molto piccolo, contro Green Huey, giusto? E chi mi aiuterà contro di lui? I poliziotti del laboratorio? Sono tutti uomini di Huey da molto tempo. I poliziotti della città di Buna? Scordatelo, sono troppo imbecilli. Forse i Texas Rangers? I Rangers sono gente tosta, ma non mi crederebbero, non sono texano. E così ho pensato al senatore Bambakias — è un tizio okay, almeno penso, e almeno lui adesso è un vero senatore, ha prestato anche giuramento, ma al momento è un po’ pazzo. E così sono pronto a incassare le mie fiche e a fuggire verso il Messico. Ma poi, prima di partire, penso — che diavolo, cosa ho da perdere? Chiamerò il presidente.»

«Il presidente degli Stati Uniti?» chiese Greta.

«Sì, lui. E così è quello che ho fatto.»

Oscar rifletté su quella rivelazione. «E quando hai preso questa decisione?»

«Ho chiamato la Casa Bianca questa mattina, alle quattro.»

Oscar annuì. «Mmm. Capisco.»

«Non mi dire che hai davvero parlato con il presidente» commentò Greta.

«Ma certo che non l’ho fatto! Il presidente non è sveglio alle quattro del mattino! Posso dirti chi è sveglio alle quattro del mattino nell’ufficio della Casa Bianca che si occupa della sicurezza nazionale: un giovane addetto militare arrivato fresco fresco dal Colorado. È un tizio della squadra di transizione. È il suo primo giorno di lavoro. Sta facendo l’ultimo turno di notte. È leggermente nervoso. Prima di adesso, non è mai successo nulla di importante. Non è molto esperto. E non è neppure un tizio difficile da contattare — specialmente se lo chiami su venti o trenta telefoni contemporaneamente.»

«E cosa hai detto al nuovo addetto per la sicurezza nazionale del presidente?» lo esortò Oscar in tono gentile.

Kevin esaminò la sua console di navigazione e svoltò a sinistra, entrando in un fitto bosco. «Be’, gli ho detto che il governatore della Louisiana aveva appena rapito il direttore di un laboratorio federale. Ho dovuto insaporire un po’ la mia storia per tenere desto il suo interesse — la banda di Huey lo stava tenendo come ostaggio, erano coinvolti anche agenti segreti francesi, sai, questo tipo di roba. Ho inserito dei dettagli davvero succosi. Fortunatamente, questo tizio era molto informato sul problema della base aerea in Louisiana. Sapeva del buco radar e di tutto il resto. Vedete, questo tizio è un tenente colonnello e viene da Colorado Springs, dove c’è questa enorme accademia aeronautica. Sembra che in Colorado l’aeronautica ce l’abbia a morte con Huey. Lo odiano perché pensano che abbia fatto fare all’aeronautica la figura di una femminuccia.»

«E così questo colonnello ha creduto alla tua storia?» chiese Oscar.

«Diavolo, non lo so. Ma mi ha detto che avrebbe verificato i dati delle sua rete di satelliti di ricognizione e che, se avessero confermato la mia storia, avrebbe svegliato il presidente.»

«Incredibile» mormorò Greta, impressionata suo malgrado. «Non avrebbero mai svegliato quello prima per una faccenda del genere.»

Oscar non disse nulla. Stava tentando di immaginare le probabili conseguenze se la squadra per la sicurezza nazionale avesse premuto i pulsanti di allarme alle quattro del mattino, il primo giorno di lavoro. Quali strane entità sarebbero potute saltare fuori dai più profondi recessi del complesso militare americano? C’erano così tante possibilità. Tutto il repertorio imperiale, in via di invecchiamento, dell’America: Delta Forces, SWAT, marines, super-soldati macho gonfi di steroidi paracadutati da un’orbita alta e pronti a un dispiegamento rapido… Non che quegli strani tipi sarebbero mai state utilizzati nella moderna realtà politica. Quei corpi di élite di assassini militari erano relitti di un’epoca tramontata da molto tempo, entità i cui scopi ormai erano più che altro cerimoniali. Facevano jogging nelle basi sotterranee segrete, si esercitavano a fare addominali e flessioni, leggevano pessimi romanzi storici tecnothriller, mentre le loro vite e loro carriere arrugginivano lentamente…

O almeno questa era stata la tacita opinione di tutti. Ma la situazione poteva cambiare. E dopo l’esperienza di quella notte, Oscar scoprì di vivere in un mondo molto diverso.

«A meno che non mi sbagli,» affermò Oscar «i nostri rapitori avevano un appuntamento al fiume Sabine la notte scorsa. Avevano intenzione di portarci di nascosto oltre il confine dello Stato, per consegnarci nelle mani di qualche gruppo della milizia di Huey. Ma sono stati assaliti nel buio, da un qualche tipo di squadra speciale americana aviotrasportata. Sì, dei commando aviotrasportati che ieri notte hanno sorpreso gli uomini di Huey sul terreno e li hanno fatti a pezzi.»

«Ma perché mai avrebbero dovuto fare una cosa del genere?» chiese Greta in tono scosso. «Avrebbero dovuto usare la forza in modo non letale e arrestarli.»

«I commando aviotrasportati non sono poliziotti. Sono veri fanatici delle forze speciali, che usano ancora armi vere! E quando hanno avvistato quel sommergibile spia francese in acqua, devono avere perso la calma. Voglio dire, immaginate la loro reazione. Se siete un asso del volo su un elicottero americano armato fino ai denti, e vedete un sommergibile che risale segretamente un fiume americano… Be’, una volta premuto il grilletto, continuate a tenerlo premuto.»

Greta inarcò le sopracciglia fino a unirle. «Hai davvero visto un sommergibile, Oscar?»

«Oh, sì. Non posso giurare che fosse francese, ma di sicuro non era uno dei nostri. Gli americani non costruiscono piccoli sommergibili eleganti ed efficienti. Noi preferiamo che i nostri siano più grandi dell’isolato di una città. E poi, è un’ipotesi molto ragionevole. I francesi hanno una portaerei al largo delle nostre coste. Hanno aerei robot che volano sui bayou. Sono stati loro a inventare la faccenda dei sommozzatori spie… Dunque è ovvio che doveva trattarsi di un piccolo sommergibile francese. Poveri bastardi.»

«Sai,» commentò Kevin tono pensoso «di solito sono decisamente contrario a tutta quella faccenda della legge e dell’ordine, ma penso che questo Two Feathers inizi a piacermi. Capite, basta chiamarlo! Lo svegliano alle quattro del mattino e il tuo problema è risolto prima dell’alba! Questo nuovo presidente è un tizio con la stoffa del leader! Quello prima non avrebbe mai fatto un trucco del genere! Questo è un vero cambiamento per l’America, eh? È l’autorità esecutiva in azione, ecco cos’è! Sapete, è come… lui è il capo dell’esecutivo e ordina davvero delle esecuzioni!

«Non penso che una vera e propria guerra tra agenti segreti statali e federali fosse quello che aveva in mente il presidente per il suo primo giorno in carica» commentò Oscar. «Questo non è uno sviluppo salutare per la democrazia americana.»

«Oh, ma smettila!» lo rimproverò Kevin. «Il rapimento è un atto di terrorismo! E con i terroristi non si può applicare la linea morbida — non la smettono mai con questa stronzata! Quei bastardi hanno avuto esattamente quello che si meritavano! Ed è esattamente quello di cui abbiamo bisogno anche nel Collaboratorio. Abbiamo bisogno di usare il pugno di ferro con quei fottuti…» Kevin si accigliò, stringendo il volante scrostato con incontrollabile eccitazione. «Diavolo, mi brucia il culo se penso a quei corrotti poliziotti da operetta, pronti a spaccare teste d’uovo. E io sono qui — io, Kevin Hamilton, trentadue anni — sono di nuovo un fuggiasco che è scappato per paura. Se solo avessi, diciamo, dieci irlandesi del sud armati con delle mazze da biliardo e delle gambe di tavolo! In quell’intero laboratorio ci sono soltanto dodici pidocchiosi poliziotti. Non hanno fatto nulla per anni, tranne sorvegliare i telefoni e intascare bustarelle. Potremmo farli fuori in un battibaleno.»

«Quello che stiamo sentendo non è più lo stesso Kevin che conosciamo» commentò Oscar.

«Diavolo, non ho mai saputo che potevo parlare con il presidente! Sai, io sono un prolet, un pirata informatico e un phone phreak, non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo. Ma quando si arriva alla mia età, ti stufi di doverli sempre battere d’astuzia. Ti stanchi di doverli sempre evitare, ecco tutto. Perché io devo sempre sparire come un ladro? Ecco cosa le dico, dottoressa Penninger: lei mi faccia dirigere la sua sicurezza e vedrà un bel po’ di cambiamenti.»

«Mi sta dicendo che vuole diventare il responsabile della sicurezza del laboratorio, signor Hamilton?»

«No, certo, ma…» Kevin si interruppe, sorpreso. «Be’, sì! Sì, certo! Io posso farlo! Io sono all’altezza del dannato compito! Mi affidi il dannato bilancio per le forze di polizia. Dia a me tutti i distintivi e i manganelli. Al diavolo, certo, io posso fare tutto quello che vuole. Mi metta a capo delle autorità federali.»

«Be’,» rispose Greta «io sono il direttore del laboratorio e sono sul suo sedile posteriore, ammanettata. Non vedo nessun altro che si stia offrendo di aiutarmi.»

«Io potrei riuscirci, dottoressa Penninger, le giuro che potrei farlo. Se fossimo più di tre, potrei impadronirmi di quel dannato posto. Ma visto come stanno le cose…» Scrollò le spalle. «Be’, immagino che continueremo a procedere a casaccio, facendo delle telefonate.»

«Io non procedo mai a casaccio» replicò Oscar.

«Accidenti, ma allora sai dove stiamo andando? E dove sarebbe?»

«Dove si trova l’accampamento più grande dei Moderatori?»

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