«Oh, be’, è che… Sì, sono benestante, ma paragonato a quello che ha guadagnato mio padre all’apice del suo successo, oppure al patrimonio del senatore… certamente i soldi non mi mancano, ma non mi definirei straordinariamente ricco. Conosco persone che lo sono davvero, ma io non rientro nel novero.» Oscar estrasse un lungo tubo verde dalla cassa, ne esaminò le curve e gli angoli con aria triste e lo rimise a posto. «Il vento si sta alzando… Non ho più voglia di continuare. Penso che tornerò alla cupola. Forse nel dormitorio qualcuno è ancora in piedi. Magari faremo una partita a poker.»

«Io ho un’auto» rivelò lei.

«Ma davvero.»

«Quando si entra a far parte del consiglio del Collaboratorio, si ha diritto a un’auto di servizio. Perciò sono venuta qui con quella. Se vuole, posso darle un passaggio fino al laboratorio.»

«Mi farebbe molto piacere. Mi lasci solo rimettere a posto la mia roba e spegnere il sistema.» Oscar si tolse il casco e le ginocchiere, si liberò della giacca da lavoro imbottita e rimase lì senza cappello, in maniche di camicia; il vento freddo si intrufolò sotto le sue ascelle bagnate di sudore. Quando ebbe finito, sistemò gli allarmi e si avviò con Greta.

Oscar si fermò sul marciapiede. «Aspetti un momento.»

«Cosa c’è?»

«Qui possiamo anche parlare in tutta tranquillità, ma la sua auto potrebbe essere sotto controllo.»

La donna si toccò i capelli agitati dal vento e assunse un’espressione alquanto scettica. «Ma perché qualcuno dovrebbe sorvegliarmi?»

«Perché è facile ed economico. Perciò mi dica una cosa adesso, prima che entriamo in auto. La prego, sia franca. Lei è a conoscenza del mio problema personale?»

«Il suo problema personale? So che suo padre era una stella del cinema…»

«Mi dispiace. Non avrei dovuto tirare fuori questo argomento. Davvero, questa notte sono davvero insopportabile. È stata un’ottima idea da parte sua visitare il sito, ma siamo partiti col piede sbagliato. Non dovrei infastidirla con queste storie. Lei fa parte del consiglio direttivo e io sono un funzionario federale… Ascolti, se la sua situazione personale fosse diversa… e se davvero io e lei avessimo il tempo per occuparci dei nostri problemi personali…»

La dottoressa stava lì in piedi, tremando di freddo. Era alta e sottile e ormai non era più abituata al clima reale; aveva lavorato duro al buio e al freddo e adesso stava letteralmente congelando. Il vento notturno si alzò, aspro e pungente, e cominciò a premere con forza sulle maniche della camicia di Oscar, quasi strappandole. Ora si sentiva stranamente attratto dalla donna. Era troppo alta, troppo magra, vestiva male, aveva un volto strano, un portamento inelegante, aveva otto anni più di lui. Non avevano nulla in comune, qualsiasi relazione avessero stabilito fra loro sarebbe stata destinata al fallimento fin dall’inizio. Avere una relazione con lei sarebbe stato come addomesticare un animale raro dall’altro lato di una rete metallica. Probabilmente era questa la ragione per cui provava l’irresistibile impulso di toccarla. «Dottoressa, ho apprezzato la sua compagnia questa notte, ma credo che adesso sia meglio che lei torni al Collaboratorio in auto. Ci sentiremo di nuovo per quanto riguarda le riunioni del consiglio. Ho ancora un sacco di cose da imparare.»

«Spero che non si aspetti che io sia disposta ad andare via da sola dopo quello che mi ha detto. Ora devo sapere tutto. Andiamo, salga in auto.»

Oscar aprì lo sportello ed entrarono in auto tutti e due. Era un’auto piccola e stretta, un’auto del Collaboratorio, e naturalmente non aveva riscaldamento. Il loro fiato gelido cominciò ad appannare i finestrini.

«Non credo che le possa interessare davvero. È una storia strana. Tutt’altro che piacevole. Molto peggiore di quel che pensa.»

La donna si sistemò il berretto di lana e soffiò sulle sue dita nude per riscaldarsi.

«Non mettono mai il riscaldamento in questi trabiccoli: nessuno pensa che si possano guidare fuori dalla cupola. Si riscalderà in un minuto. Perché intanto non mi racconta quello che ritiene di potermi dire? Poi deciderò se voglio sapere di più.»

«D’accordo.» Oscar esitò. «Bene, tanto per cominciare, io sono un figlio adottivo. Logan Valparaiso non era il mio padre biologico.»

«No?»

«No, mi adottò quando avevo tre anni. Vede, a quell’epoca, Logan stava lavorando in un thriller internazionale sulle adozioni illegali. Sa, la storia sulle fabbriche delle adozioni. In quel periodo, erano un terribile scandalo. La vera portata dei disastri dovuti ai pesticidi a base di ormoni era ormai di dominio pubblico. C’erano gravissimi problemi di sterilità maschile. Perciò il mercato delle adozioni esplose letteralmente. E naturalmente si moltiplicarono anche le cliniche per curare la sterilità. Il numero di domande era altissimo, per cui un sacco di gente viscida e senza scrupoli, ciarlatani, sfruttatori, fissati della salute, si affrettarono a sfruttare la situazione…»

«Me ne ricordo.»

«All’improvviso spuntarono come funghi moltissime fabbriche illecite di neonati, fabbriche di embrioni. La gente cominciava a ricorrere a rimedi estremi. Era proprio un buon soggetto per un film d’azione. Così, mio padre scritturò se stesso nella parte di un guerrigliero che impone il rispetto della legge e dell’ordine. Interpretò il ruolo di un terrorista chicano fanatico che prima metteva bombe nelle cliniche per gli aborti e poi veniva poi arruolato dai federali e diventava un agente segreto impegnato a demolire fabbriche di embrioni…»

Ogni volta che raccontava quella storia, Oscar udiva la propria voce trasformarsi in una specie di odioso e acuto lamento. Stava accadendo anche in quel momento, proprio mentre i finestrini cominciavano ad appannarsi. Stava scivolando, senza poterci fare nulla, dal consueto modo di parlare a grande velocità in qualcosa di molto più estremo, una sorta di incessante farfugliare frenetico. Doveva cercare di controllarsi. Ci stava provando, per quanto possibile, ma proprio non ci riusciva. «Non voglio parlare all’infinito di quel film, ma ho dovuto vederlo quattrocento volte da bambino… Senza considerare i giornalieri e le scene eliminate dalla versione finale. Comunque, Logan si era calato profondamente nella parte, e in quel periodo la sua relazione con la terza moglie era solida, naturalmente se si tiene conto di come andavano i matrimoni di Logan. E così decise di adottare una vera vittima di una fabbrica di embrioni, combinando in tal modo un suo desiderio di crescita personale e una trovata pubblicitaria per il lancio del film.»

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