Undici

Dopo una lunga discussione sulle opzioni a loro disposizione, Oscar e il capitano Scubbly Bee decisero di infiltrarsi in Louisiana in incognito. Kevin, mentendo in maniera spudorata, comunicò al comitato di emergenza del Collaboratorio che stava andando via per fare un giro di reclutamento. Oscar non avrebbe lasciato ufficialmente Buna. Fu sostituito da un sosia, un volontario dei Moderatori disposto a indossare i vestiti di Oscar e a trascorrere molto tempo in una lussuosa camera d’albergo fingendo di lavorare al computer.

Ben presto definirono il loro piano in ogni minimo particolare. Per evitare di essere scoperti, decisero di recarsi in Louisiana servendosi di due velivoli ultraleggeri. Quei dispositivi silenziosi e invisibili erano lenti, imprevedibili, pericolosi, stancanti e nauseanti — in pratica erano privi di qualsiasi comfort. Tuttavia, erano più o meno impossibili da scoprire e non erano soggetti a blocchi stradali a tentativi di estorsione. Poiché erano guidati da un sistema GPS che utilizzava satelliti cinesi, i velivoli sarebbero giunti con incredibile precisione proprio sulla soglia della casa di Fontenot… prima o poi.

Kevin e Oscar giunsero a una decisione drammatica: decisero di travestirsi come nomadi dell’aria. Presero in prestito le tute di volo indossate di solito da un paio di Moderatori. Erano comodi indumenti di cotone, coperti di borchie e imbottiti di fibre. In origine erano state delle tute protettive industriali, faticosamente tribalizzate mediante un estenuante lavoro di ricamo e un forte fetore di unguento per la pelle. L’abbigliamento era completato da guanti di kevlar, stivali di gomma neri, caschi pelosi e occhialoni infrangibili.

Oscar impartì un’ultima serie di consigli da Actors’ Studio al suo bendisposto sosia e poi indossò il suo travestimento. Divenne immediatamente una creatura appartenente a una civiltà aliena. Non riuscì a resistere alla tentazione di passeggiare per il centro di Buna nel suo travestimento da nomade. Il risultato lo sbalordì. Oscar era ben conosciuto a Buna; la sua scandalosa vita personale era di dominio pubblico e l’albergo che aveva costruito era diventato molto famoso da quelle parti. Ma adesso che indossava la tuta di volo, gli occhialoni e il casco, venne completamente ignorato. Gli occhi delle persone semplicemente scivolavano su di lui, senza l’attrito generato sia pure da momento di attenzione. Adesso Oscar irradiava estraneità.

Kevin e Oscar avevano sincronizzato la propria partenza per mezzanotte. Oscar arrivò in ritardo. Il suo orologio da polso funzionava male: aveva avuto una leggera febbre per alcuni giorni e il calore aveva fatto lavorare più in fretta il cervello di topo. Oscar era stato costretto a riazzerare l’orologio con la luce del sole, ma in qualche modo aveva commesso un errore; adesso il suo orologio era come stordito. Era in ritardo e gli ci volle uno sforzo maggiore di quello che aveva immaginato per arrampicarsi sul tetto del Collaboratorio. Prima di allora, non era mai uscito sull’armatura esterna del laboratorio. Nel buio freddo e umido di una notte di febbraio, il limite esterno della struttura era ventoso, intimidiva, e per arrivarvi Oscar dovette arrampicarsi lungo una serie apparentemente infinita di scalini.

Infine, intirizzito e tremante, giunse sul tetto stellato del Collaboratorio, ma il momento migliore era già passato. Kevin, saggiamente, si era già lanciato. Con l’aiuto di una krew di terra di Moderatori dall’aria annoiata, Oscar si assicurò all’imbracatura del velivolo dall’aria fragile e si lanciò non appena possibile.

La prima ora trascorse senza alcun problema, ma poi il velivolo incappò in una tempesta provocata dall’effetto serra che ribolliva al largo del cupo Golfo del Messico e venne trascinato fino in Arkansas. Sfruttando abilmente migliaia di letture radar Doppler, il velivolo, intelligente e spaventosamente piccolo, sfrecciò su e giù, in maniera nauseante, attraverso dozzine di correnti calde e di wind shear, dirigendosi verso la propria destinazione con la stolida ostinazione di un pacchetto di rete. Mentre l’attrito dell’imbracatura gli provocava tremende vesciche, Oscar finalmente svenne, penzolando sotto il velivolo come un sacco di rape.

La perdita di conoscenza del pilota non fece alcuna differenza per la macchina nomade. All’alba, Oscar si ritrovò a planare sulla piovosa palude del bayou Teche.

Il bayou Teche era lungo centotrenta miglia. Un tempo, circa tremila anni prima, era stato il ramo principale del fiume Mississippi ma, durante una breve e tremendamente catastrofica primavera del ventunesimo secolo, il bayou, con grande orrore e allarme di tutti, era ritornato a essere il ramo principale del Mississippi. La selvaggia inondazione, provocata dall’effetto serra, aveva spazzato tutto avanti a sé, travolgendo argini di cemento a prova di inondazione, querce frondose e ricoperte di muschio, affascinanti edifici delle piantagioni risalenti a prima della Guerra Civile, distillerie di zucchero rose dalla ruggine, oleodotti in disuso e tutto quello che incontrava sul suo cammino. L’inondazione aveva sommerso completamente le città di Breaux Bridge, St. Martinville e New Iberia.

Il Teche era sempre stato un mondo a parte, un bioma paludoso molto diverso dal vero e proprio Mississippi e dalle risaie a ovest. La distruzione dei ponti e delle strade che lo attraversavano e il conseguente abnorme sviluppo di paludi e acquitrini invasi dalla vegetazione, avevano riportato il Teche a una tranquillità umida e spettrale. Adesso il bayou era uno degli ecoambienti più selvaggi dell’intera America del nord — non perché fosse sfuggito alla speculazione edilizia, ma perché i danni inflitti da quest’ultima erano stati cancellati dalla furia delle acque.

Mentre iniziava a planare verso il basso, Oscar ebbe un po’ di tempo per studiare il posto in cui adesso viveva Fontenot. L’ex agente federale aveva scelto di andare ad abitare in un piccolo villaggio arretrato di case mobili di metallo, sollevate su blocchi di cemento e circondate da gabinetti esterni e generatori a cellule solari. Era uno slum in stile gotico del Sud per pescatori di acqua dolce, un labirinto acquatico di moli di legno, ninfee, e barche con il fondo piatto fatte di paglia e plastica. Nella luce rosata del primo mattino, le acque limacciose del bayou erano di un cupo verde scuro.

Oscar arrivò a destinazione con precisione incredibile: esattamente sul tetto inclinato della capanna di legno di Fontenot. Rimbalzò sul tetto, cadde a terra con un impatto che minacciò di fratturargli la caviglia. Il velivolo, adesso completamente inattivo, iniziò ad agitarsi con violenza nella brezza del mattino, facendo rotolare Oscar sul terreno.

Fortunatamente Fontenot uscì immediatamente dalla capanna con la sua andatura zoppicante e aiutò Oscar a bloccare il veicolo. Dopo un bel po’ di imprecazioni e di sforzi, riuscirono finalmente a fare uscire Oscar dall’imbracatura e a piegare e ridurre il velivolo alle dimensioni di una grande canoa.

«E così sei arrivato davvero» commentò Fontenot, ansimando per la fatica; poi diede una solenne pacca sulla spalla di Oscar. «Ma dove hai preso quel buffo casco? Hai un’aria davvero ridicola.»

«Sì. Per caso hai visto la mia guardia del corpo? Sarebbe dovuta arrivare prima di me.»

«Dai, entra in casa» lo invitò Fontenot. Fontenot non era certo uomo da vivere in case mobili di metallo. La sua capanna era una struttura sbilenca costruita con vere assi di legno; aveva il tetto coperto di tegole di legno grigio ed era sorretta da una ragnatela di palafitte. La vecchia capanna era stata trascinata sul bordo dell’acqua e riassemblata senza molta cura professionale. Quando venne aperta, la porta cigolò e stridette, strisciando contro l’architrave. All’interno i pavimenti di legno erano visibilmente inclinati.

Lo spoglio salotto di Fontenot era arredato con mobili di vimini, un’amaca grande e robusta, un piccolo frigorifero a energia solare e una quantità impressionante di equipaggiamento per la pesca di prima qualità; era fissato alla parete di fondo della capanna, oppure sistemato, con l’ordine ossessivo di cui danno prova tutti i militari, in armadietti di compensato chiusi a chiave. L’armadietto più vicino esibiva una vasta raccolta di esche artificiali: vermi a batteria, lampeggiatori a ultrasuoni, cucchiai rotante vermi di gelatina che emettevano feromoni.

«Solo un attimo» si scusò Fontenot, entrando in una piccola stanza sul retro con una serie di tonfi e di cigolii. Oscar ebbe il tempo di notare una Bibbia che sembrava essere stata sfogliata molte volte e, sul pavimento, un vasto assortimento di lattine di birra vuote. Poi Fontenot riapparve, trascinandosi dietro Kevin con una mano sotto l’ascella. Kevin era stato legato e imbavagliato con del nastro adesivo.

«Conosci questo tizio?» chiese Fontenot.

«Sì. È la mia nuova guardia del corpo.»

Fontenot fece cadere Kevin sul divano di vimini, che scricchiolò rumorosamente sotto il suo peso. «Senti, questo ragazzo lo conosco anch’io. Conoscevo suo padre. Gestiva i sistemi di rete di una milizia di estrema destra. Sai, quei tizi di razza bianca armati fino ai denti, con sguardi duri e orrendi tagli di capelli. Se hai assunto questo Hamilton come tua guardia del corpo, devi essere impazzito.»

«Io non l’ho ‘assunto’, Jules. Da un punto di vista squisitamente tecnico, è un impiegato federale. Lui è il responsabile non solo della mia sicurezza personale, ma di quella di un’intera installazione federale.»

Fontenot infilò una mano nella tasca della tuta sporca di fango, prese un coltello da pescatore. «Non voglio saperlo, non mi importa! Non sono più miei problemi.» Tagliò il nastro adesivo e liberò Kevin, strappandogli il bavaglio con un singolo gesto. «Mi dispiace, ragazzo» borbottò. «Penso che avrei fatto meglio a crederti.»

«Non c’è problema!» esclamò in tono cavalleresco Kevin, massaggiandosi i polsi resi appiccicosi dal nastro adesivo e sforzandosi di mostrarsi amichevole. «Succede tutte le volte!»

«Ormai sono fuori allenamento» si giustificò Fontenot. «Colpa della vita tranquilla che conduco qui. Volete fare colazione?»

«Un’idea eccellente» commentò Oscar. Un pacifico pasto in comune era quello di cui avevano bisogno. Dietro il suo sorriso amichevole, era chiaro che Kevin stava cercando di capire quanto fosse pericoloso Fontenot prima di tentare di piantargli un coltello nella schiena.

«C’è del boudin» annunciò Fontenot, avvicinandosi a un fornelletto da campo nell’angolo. «Vi preparerò una frittata di uova e ostriche.» Oscar osservò con attenzione l’uomo anziano che iniziava a cucinare; aveva un’aria stanca, triste. Dopo un istante, capì perché: il fisico di Fontenot aveva perso la postura rigida ed eretta di quando era stato un agente federale e un poliziotto. La maledizione del lavoro stava finalmente abbandonando Fontenot, allentando la sua presa sulla carne come, una dipendenza da droga in ritirata. Ma quando quella gelida disciplina aveva allentato la sua presa sulle ossa, a Jules Fontenot non era rimasto molto. Adesso era un pescatore con una gamba sola e stranamente invecchiato prima del tempo che viveva in uno sperduto villaggio di pescatori della Louisiana.

La capanna si riempì dell’odore acre delle salsa piccante che friggeva. Il naso di Oscar, adesso sempre sensibile, iniziò immediatamente a colare. Lanciò un’occhiata a Kevin, che stava staccando frammenti di nastro adesivo dai polsi con aria cupa.

«Jules, come va la pesca in questo bayou?»

«È un vero paradiso!» esclamò Fontenot. «I lunker amano alla follia i quartieri sommersi di Breaux Bridge. Il tipico lunker è un pesce che si nutre sul fondo e che apprezza la presenza di qualche struttura nel suo habitat.»

«Non penso di conoscere questa specie… i ‘lunker’.

«Oh, sono stati creati anni fa dai tizi del dipartimento statale per la pesca e gli altri sport. Sai, le inondazioni, l’inquinamento e tutto il resto hanno spazzato via la fauna ittica locale. Il Teche stava avendo grossi problemi con le alghe, gravi quasi quanto la Zona Morta nel Golfo. E così hanno creato questo tipo di pesci aspirapolvere. Si tratta di pesci gatto modificati con geni di tilapia. Fratello, quei lunker diventano davvero grossi. Maledettamente grossi. Mi riferisco a esemplari pesanti quattrocento libbre e con occhi grandi quanto palle da baseball. Vedi, i lunker sono sterili: non fanno altro che mangiare e crescere. Quando quei tizi hanno pasticciato in laboratorio con il loro DNA, hanno potenziato i loro ormoni della crescita. Adesso alcune di quelle bellezze hanno quindici anni.»

«Sembra davvero un’ardita impresa di ingegneria genetica.»

«Oh, tu non conosci Green Huey. Questo è solo l’inizio di quello che ha fatto. Huey si occupa molto delle questioni ambientali. Adesso la Louisiana è un mondo completamente diverso.»

Fontenot servì loro la colazione: omelette d’ostiche e strane salsicce fatte di riso freddo. Il cibo era incredibilmente piccante. Fontenot lo aveva coperto di salsa come se si trattasse dell’elisir di vita eterna.

«La faccenda dei lunker è stata una misura di emergenza. Ma ha funzionato alla grande. Adesso l’emergenza è finita. Senza i lunker questo bayou sarebbe una vera fogna, ma adesso i pesci stanno tornando. Ora stanno lavorando sui giacinti d’acqua, sono riusciti a fare tornare qualche orso nero e perfino qualche coguaro. Non sarà un processo naturale, ma è fattibile. Volete un altro po’ di caffè?»

«Grazie» rispose Oscar. Aveva versato di nascosto la prima tazza macchiata di cicoria in una fessura tra le assi. «Devo confessare, Jules, che ero preoccupato per te, sapendo che vivevi da solo nel cuore dello Stato governato da Huey. Avevo paura che avrebbe potuto rintracciarti e procurarti dei fastidi. Per motivi politici, capisci, a causa del periodo che hai passato con il senatore.»

«Ah, quello. Sì» replicò Fontenot, continuando a masticare con ritmo regolare. «Un paio di quei teppisti della milizia statale sono venuti a ‘farmi qualche domanda’. Io ho fatto loro vedere il mio Heckler and Koch federale e li ho avvertiti che avrei scaricato un intero caricatore nei loro brutti culi, se uno di loro si fosse azzardato ad avvicinarsi di nuovo alla mia proprietà. Da allora in poi non ho più avuto alcun fastidio.»

«Bene» commentò Oscar, usando la forchetta per disturbare con un certo tatto la frittata nel piatto.

«Sai cosa penso?» chiese Fontenot. Non era mai stato così espansivo, ma per Oscar era chiaro che, ormai in pensione, il vecchio era disperatamente solo. «Adesso le persone sono diverse. Gettano la spugna troppo facilmente, non hanno più fegato. Secondo me ha qualcosa a che fare con il crollo del tasso di spermatozoi, dopo tutti quegli avvelenamenti con i pesticidi a base di ormoni. Adesso ci sono tutte queste combinazioni di agenti inquinanti, tutte queste allergie e questi raffreddori da yuppie…»

Oscar e Kevin si scambiarono una rapida occhiata. Non riuscivano assolutamente a capire dove volesse andare a parare il vecchio agente federale.

«Gli americani non vivono più dei prodotti della terra. Non si rendono conto di cosa abbiamo fatto al nostro grande cortile di casa. Non sanno quanto fosse bello un tempo questo posto, prima che lo cementificassero e lo avvelenassero. C’erano un milione di fiori selvatici e ogni tipo di piante e di insetti vissuti qui per milioni di anni… Diavolo, quando ero giovane era ancora possibile pescare qualche marlin. Un marlin! Adesso la gente non sa più neppure cosa sia un marlin.»

La porta si aprì, senza che nessuno bussasse. Apparve una donna di colore di mezza età, che reggeva una borsa di rete piena di cibo in scatola. Indossava sandali di gomma, una larga gonna di cotone, una camicetta a fiori e aveva la testa avvolta in un fazzoletto. Entrò in casa di Fontenot, si accorse improvvisamente della presenza di Kevin e Oscar e iniziò immediatamente a parlare in creolo francese.

«Questa è Clotile» la presentò Fontenot. «Lei è la mia donna di casa.» Si alzò e iniziò a raccogliere le lattine di birra vuote, mentre rispondeva a Clotile in un francese alquanto zoppicante.

Clotile rivolse a Kevin e Oscar un’occhiata irritata, poi iniziò a rimproverare il suo datore di lavoro.

«E questo era il tizio che si occupava alla tua sicurezza?» sibilò Kevin a Oscar. «Questo vecchio relitto?»

«Sì. Ed era anche molto bravo.» Oscar era assolutamente affascinato dalla conversazione che si stava svolgendo tra Fontenot e Clotile. Erano impegnanti in una sorta di minuetto razziale, economico e sessuale, il cui contesto risultava assolutamente incomprensibile per Oscar. Era chiaro che Clotile adesso era una delle persone più importanti nella vita di Fontenot. Il vecchio agente federale la ammirava davvero; in lei c’era qualcosa che lui desiderava profondamente e che non avrebbe mai potuto avere. Clotile era dispiaciuta per Fontenot, era disposta a lavorare per lui, ma non lo avrebbe mai accettato. Erano abbastanza intimi da chiacchierare insieme, perfino da scherzare insieme, ma c’era qualche elemento tragico nella loro relazione che non sarebbe mai scomparso. Era un dramma in miniatura ma intenso, il cui significato, almeno per Oscar, era oscuro come quello di un’opera del teatro Kabuki.

Oscar percepì che la credibilità di Fontenot aveva subito un duro colpo a causa della loro presenza come ospiti. Oscar abbassò lo sguardo sulle maniche ricamate della sua tuta, sui guanti scalcagnati, sul casco peloso. Per un attimo, venne travolto da un intenso choc culturale.

Oscar viveva in un mondo davvero strano. E anche i suoi abitanti erano strani: Kevin, Fontenot, Clotile — e lui stesso, nel suo travestimento, incredibilmente sudicio. Eccoli lì, facevano colazione e pulivano la casa, mentre, ai confini del loro universo morale, il gioco era completamente cambiato. I pezzi si spostavano dal centro alla periferia, facevano il percorso inverso, volavano via dalla scacchiera. Durante la sua vita passata, a Boston, Oscar aveva fatto molte volte colazione con Fontenot, ma erano sempre state colazioni di lavoro, passate a dare un’occhiata ai ritagli stampa e a pianificare la strategia della campagna mentre si sceglieva il melone. Adesso tutto questo sembrava lontano anni luce.

Clotile rimise in ordine la casa e sparecchiò i piatti davanti a Kevin e Oscar con gesti bruschi. «Odio essere qui tra i piedi mentre la tua donna di servizio è occupata» commentò Oscar in tono mite. «Forse possiamo fare una passeggiata e discutere il motivo del nostro viaggio.»

«Questa è una buona idea» replicò Fontenot. «Ma certo. Venite fuori, ragazzi.»

Oscar e Kevin seguirono Fontenot oltre la porta cigolante e lungo gli scalini di legno storti. «Qui sono davvero delle brave persone» insistette Fontenot, voltandosi a guardare con cautela oltre la spalla. «Sono persone così genuine.»

«Sono felice che tu vada tanto d’accordo con i tuoi vicini.»

Fontenot annuì con solennità. «Io vado a messa. Laggiù, la gente del posto ha costruito una chiesetta. E poi ho iniziato a leggere la Bibbia… In precedenza, non avevo mai avuto tempo, ma adesso voglio fare solo le cose che contano. Quelle vere.»

Oscar non fece alcun commento. Lui non era religioso, ma era sempre stato molto impressionato dalla longevità del cristianesimo. «Raccontaci di questa enclave haitiana, Jules.»

«E perché? All’inferno, è inutile. Andremo lì direttamente. Prenderemo il mio huwy.»

L’hovercraft di Fontenot era parcheggiato accanto alla casa. Il veicolo anfibio, con la sua sagoma circolare, doveva essere stato un acquisto ambizioso; era equipaggiato con gonne di plastica indistruttibile e un potente motore ad alcol. Puzzava di frattaglie di pesce e la prua, tozza e luccicante, era copiosamente cosparsa di squame. Una volta sgombrata l’attrezzatura da pesca, poteva ospitare benissimo tre persone, anche se Kevin dovette stringersi un po’.

L’hovercraft sovraccarico iniziò a solcare l’acqua del bayou, strisciando sul fondo oppure andando a sbattere contro un ostacolo. A volte attraversava distese ninfee con un bizzarro gorgoglio.

«Un huwy è ideale per pescare nei bayou» affermò Fontenot. «Nel Teche è necessaria una barca che non peschi molto, con tutti i tronchi affioranti e le vecchie auto fracassate che ci sono, senza contare il resto. I miei buoni vicini si fanno beffe del mio ingombrante e costoso huwy, però io posso andare voglio.»

«A quanto ho capito, questi haitiani sono gente molto religiosa.»

«Oh, sì» confermò Fontenot annuendo. «Nella loro patria d’origine, avevano un ministro religioso, sai uno di quelli che vogliono replicare la solita solfa di Mosé che libera gli ebrei. E così, ovviamente, il regime lo ha fatto uccidere e poi ha fatto delle cose terribili ai suoi seguaci che hanno fatto davvero imbufalire Amnesty International. Ma… dopo tutto… questo a chi importa? Sono haitiani!»

Fontenot sollevò entrambe le mani dal timone dell’hovercraft. «Ditemi, a chi può fregare qualcosa di Haiti? Le isole di tutto il modo stanno affondando. Sì, stanno finendo a mollo, hanno tutte questo grosso problema del livello dell’oceano in continuo aumento. Ma Huey… be’, la prende sul personale quando un capo carismatico viene ucciso. Huey è molto sensibile alla diaspora francese. Ha tentato di fare intervenire il Dipartimento di stato, ma loro devono affrontare già troppe emergenze. E così, un bel giorno, Huey ha mandato una grande flotta di navi per la pesca ai gamberi fino a Haiti e li ha fatti evacuare tutti.»

«E come ha fatto con i loro visti?»

«Non si è mai preoccupato della faccenda. Vedete, dovete calarvi nel modo di pensare di Huey. Lui fa sempre due, tre, quattro cose contemporaneamente. Li ha nascosti in un rifugio, in una miniera di sale. La Louisiana possiede queste enormi miniere di sale sotterranee. Depositi di minerali sotterranei alti due volte il monte Everest; sono stati scavati per centinaia di anni. Laggiù ci sono grandi cripte, caverne grandi come interi quartieri, con soffitti alti centinaia di metri. Adesso nessuno estrae più sale. Il sale è più a buon mercato dell’aria, grazie agli impianti di distillazione dell’acqua salata. E così non c’è più mercato per il sale della Louisiana. Un’altra grande industria defunta, come quella del petrolio. Lo estraevamo e lo vendevamo, ma non ci è rimasto nulla, tranne gigantesche caverne nelle viscere della crosta terrestre. E di quale utilità possono essere adesso? Be’, servono soltanto a una cosa. Vedete, lì sotto è impossibile spiare. Non esiste alcun satellite che possa tenere d’occhio quelle gigantesche caverne sotterranee. Huey ha tenuto nascosta quella setta haitiana in una di quelle gigantesche caverne per un paio d’anni. Stava lavorando su di loro in segreto, insieme a tutti gli altri suoi progetti d’avanguardia. Come il pesce gatto gigante e il lievito da usare come combustibile e i celocanti…»

Kevin intervenne. «I ‘celocanti’?»

«Sono pesci fossili che vivono in Madagascar, figliolo. Sono più vecchi dei dinosauri. E hanno corredi genetici da pesci di un altro pianeta. Sono molto primitivi e incredibilmente resistenti. Prendere residui di un lontano passato e manipolarli la settimana dopo… Questa è la ricetta di Huey per il futuro-gumbo che ha in mente.»

Oscar si pulì la schiuma dalla sua tuta impermeabile. «E così ha fatto questa strana cosa agli haitiani come una sorta di progetto pilota.»

«Sì. E sai una cosa? Huey ha ragione.»

«Davvero?»

«Sì. Huey si sbaglia di grosso sulle piccole cose, ma ha tanta ragione sul quadro generale che il resto di noi non conta. Vedi, la Louisiana è davvero il futuro. Qualche giorno, molto presto, il mondo intero sarà come la Louisiana. Poiché il livello degli oceani continua a salire e ormai la Louisiana è un’unica, gigantesca palude. Il mondo del futuro sarà una grande e torrida area paludosa, causata dall’effetto serra. Piena di abitanti semianalfabeti e ibridi, che non parlano inglese e che non si sono dimenticati di fare figli. Inoltre, andranno pazzi per la biotecnologia. Ecco come sarà il mondo del futuro — non soltanto l’America, bada bene, ma il mondo intero. Caldo, umido, vecchio, corrotto, mezzo dimenticato, quasi marcio. I leader sono corrotti, tutti prendono tangenti. La situazione è grave, molto grave, anche peggiore di quanto sembri.»

E poi, improvvisamente, Fontenot sogghignò. «Ma volete sapere una cosa? In quel mondo ci si può vivere benissimo! Si pesca che è una bellezza! Il cibo è fantastico! Le donne sono magnifiche e la musica è davvero forte!»

Lottarono due ore per raggiungere l’accampamento dei profughi. L’hovercraft si aprì a forza la strada attraverso i giunchi, strisciò su mucchi di erba e banchi di fango nero e colloso. Il rifugio degli haitiani era stato astutamente costruito su un’isola raggiungibile soltanto mediante un mezzo aereo… oppure un’imbarcazione anfibia molto decisa.

Raggiunsero la terra ferma, lasciarono il loro hovercraft e camminarono attraverso erbacce che arrivavano alle ginocchia.

Oscar aveva immaginato il peggio: riflettori, torri di guardia, filo spinato e cani rabbiosi. Ma il villaggio degli emigrati haitiani non era un campo di concentramento. In effetti, somigliava di più a un ashram, a un piccolo ritiro religioso. Era un tranquillo villaggio rurale di case costruite con assi di legno dipinte con una mano di vernice bianca.

Il villaggio era abitato da sei o settecento persone; molti di esse erano bambini. Non disponeva di elettricità, acqua corrente, antenne paraboliche, strade, auto, telefoni o di velivoli di qualsiasi tipo. Era silenzioso tranne il cinguettio degli uccelli, il tonfo occasionale di una sega o di un’ascia e il lontano suono lamentoso degli inni.

Nessuno si affrettava, ma tutti sembravano avere qualcosa da fare. Quelle persone erano impegnate a svolgere i compiti di un’agricoltura preindustriale. Vivevano letteralmente della terra — non divorando il terreno e trasformandolo in vasche biotecnologiche, ma coltivandolo con attrezzi manuali. Erano attività bizzarre, davano quasi l’impressione di essere state tirate fuori da un museo.. Oscar aveva letto alcune descrizioni di quelle attività nei libri, le aveva viste nei documentari, ma non le aveva mai osservate dal vivo. C’era un fabbro, donne che filavano.

Oscar vide anche orti curati, mucchi di letame su cui sciamavano le mosche e rifiuti notturni in fetidi secchi di legno.

Gli abitanti del luogo allevavano una quantità considerevole di galline. Le galline avevano tutte lo stesso corredo genetico: discendevano tutte dalla stessa gallina, clonata in vari stadi di crescita. Gli haitiani avevano anche numerosi cloni di una normale capra. Si trattava di una creatura dall’aria scontrosa e dalla barbetta diabolica — un vero superuomo nietzscheano tra le capre — e ce n’erano interi greggi. Inoltre avevano piante di fagioli rampicanti, spighe di grano mostruosamente grandi, alte piante di okra — un vegetale commestibile simile alla malva — enormi zucche gialle, bambú duri come roccia, qualche canna da zucchero. Alcuni degli abitanti erano pescatori. Qualche tempo prima, avevano pescato una creatura incredibilmente grande, adesso ridotta a uno scheletro le cui ossa erano spesse quanto il polso di un uomo. Lo scheletro aveva fanoni grandi come il radiatore di un’auto.

Gli abitanti del villaggio indossavano vestiti fatti in casa. Gli uomini portavano rozzi cappelli di paglia, camicie con i bottoni prive di colletto e pantaloni tenuti su con una cordicella. Le donne indossavano vesti lunghe fino alle caviglie, grembiuli bianchi e grandi cuffie.

Tutti davano prova di un comportamento amichevole, ma distaccato. Sembrava che a nessuno importasse molto dei visitatori. Gli haitiani erano tutti intensamente indaffarati nei loro compiti quotidiani. Tuttavia, una piccola folla di bambini curiosi si radunò intorno ai tre nuovi arrivati e iniziò a seguirli, facendo le loro imitazioni e ridacchiando.

«Questo proprio non lo capisco» commentò Kevin. «Pensavo che si trattasse di una specie di campo di concentramento. Ma qui questa gente se la passa decisamente bene.»

Fontenot grugnì in segno di assenso. «Sì, doveva trattarsi di un posto attraente. Vedete, si tratta di un progetto di agricoltura sostenibile. Si aumenta la produttività ricorrendo ad animali e a piante migliorati geneticamente, ma non c’è combustione fossile, nessuna emissione di diossido di carbonio. Forse, un giorno, queste persone torneranno a Haiti e insegneranno a tutti come vivere in questo modo.»

«Ma non funzionerebbe mai» commentò Oscar.

«Perché no?» chiese Kevin.

«Perché gli olandesi ci stanno provando da anni. Nel mondo avanzato, tutti pensano di potere reinventare la vita contadina e di mantenere le società tribali felici e ignoranti. Ma è inutile fornire loro la tecnologia appropriata. Perché la vita contadina è noiosa.»

«Sì» affermò Fontenot. «È esattamente questa considerazione che mi ha fatto venire i primi sospetti. Adesso queste persone dovrebbero saltellarci intorno, chiedendoci contanti e radio a transistor, proprio come farebbe qualsiasi contadino con un turista americano. E invece non ci degnano neppure di un’occhiata. E poi, ascoltate; sentite questo suono simile a un mormorio?»

«Vuoi dire gli inni?» chiese Oscar.

«Oh, certo, cantano sempre quegli inni. Ma la maggior parte delle volte, pregano. Tutti gli adulti pregano, uomini e donne. Pregano tutti, continuamente. E intendo davvero dire continuamente, Oscar.»

Fontenot fece una pausa. «Sapete, ogni tanto arriva qui qualcuno dall’esterno. Cacciatori, pescatori… Ho sentito delle storie. Loro pensano che questa gente sia molto religiosa, capite, degli haitiani bizzarri seguaci del voodoo. Ma non è così. Vedete, io ero nel servizio segreto. Ho passato molti anni della mia vita a cercare di individuare tra la folla il pazzo, il maniaco omicida. Nel mio campo finiamo per conoscere molto bene gli psicopatici. Ecco perché so con certezza che c’è qualcosa che non va nelle teste di questa gente. Non si tratta di psicosi. E non si tratta neppure di droghe. Certo, la religione ha qualcosa a che fare con questa faccenda — ma non si tratta soltanto di religione. A questa gente è stato fatto qualcosa.»

«Qualcosa di neurale» ipotizzò Oscar.

«Sì. E anche loro si rendono conto di essere diversi. Sanno che, in quella miniera di sale, è accaduto loro qualcosa, ma sono convinti che si tratti di una rivelazione sacra. Lo spirito è entrato nelle loro teste — lo chiamano lo ‘spirito nato due volte oppure ‘lo spirito rinato’.» Fontenot si tolse il cappello e si asciugò la fronte. «Quando ho scoperto questo posto per la prima volta, ho passato gran parte del giorno qui, parlando con questo vecchio — Papa Christophe, si chiama così. È più o meno il loro capo, o almeno funge da loro portavoce. Questo tizio è un pezzo grosso locale perché è stato cambiato in maniera più profonda da qualsiasi cosa abbiano subito. Capite, lo spirito non si impossessa di tutti allo stesso modo. Per esempio, i bambini non lo possiedono affatto; sono bambini normali. La maggior parte degli adulti non fanno che salmodiare e andarsene in giro con occhi stranamente luccicanti. Ma poi ci sono questi apostoli, come Christophe. Gli houngan. I saggi.»

Oscar e Kevin si consultarono brevemente. Kevin era molto spaventato dalla storia di Fontenot. Non gli piaceva per nulla essere circondato da immigrati clandestini di pelle nera nel bel mezzo di una palude impenetrabile. Nella testa di Kevin danzavano visioni di bollenti calderoni di ferro da cannibali… Ma questo era logico: gli anglo non erano mai riusciti a superare lo choc di essere diventati una minoranza razziale.

Però Oscar fu adamantino: visto che erano arrivati fin lì, non poteva non rivolgere alcune domande a Papa Christophe. Fontenot riuscì finalmente a localizzare l’uomo in questione: era impegnato a lavorare in una capanna ai bordi del villaggio.

Papa Christophe era un uomo anziano con una lunga cicatrice di machete sulla testa. La pelle rugosa e le spalle curve suggerivano una vita intera di carenze vitaminiche. Sembrava avere cento anni, ma probabilmente ne aveva soltanto sessanta.

Papa Christophe rivolse loro un sorriso sdentato. Era seduto su uno sgabello a tre gambe sul pavimento in terra battuta della capanna. Tra le mani stringeva un martello di legno, un bulino di ferro grezzo e una statuina di legno scolpita a metà. In quel momento era impegnato a scolpire con abilità il legno di cipresso scuro. La statuina raffigurava una santa oppure una martire: una donna dal corpo sottile e allungato, simile alle sculture di Modigliani, con un volto sereno e dall’espressione stilizzata, le mani giunte in preghiera. Le gambe erano lambite da lingue di fiamma.

Oscar rimase immediatamente impressionato. «Ehi! Arte primitiva! Questo tizio è davvero bravo! Sarebbe disposto a vendermi quell’oggetto?»

«Sta’ calmo» lo avvertì Kevin. «E metti via il portafoglio.»

L’unica stanza della capanna era calda e piena di vapore, poiché ospitava una rozza distilleria artigianale. Molto probabilmente quella distilleria non era stata contemplata nel progetto originale del villaggio, ma gli haitiani erano gente pratica e avevano le loro esigenze. La distilleria era stata ricavata da parti di automobili saldate tra loro. A giudicare dall’odore, si stava distillando melassa di canna da zucchero in un rum capace di fare girare la testa. Gli scaffali lungo le pareti erano pieni di bottiglie di vetro recuperate dai detriti del bayou. Metà delle bottiglie erano colme di alcol di colore giallino e tappate con un po’ di tela e dell’argilla.

Fontenot e il vecchio stavano parlando in un francese stentato; i rispettivi dialetti erano molto lontani tra loro. Alimentata dai trucioli che Christophe ricava dalla statuina, la distilleria continuava a bollire la melassa. Il rum scorreva in un tubo di ferro piegato e poi in una bottiglia di vetro, ticchettando come un orologio ad acqua. Papa Christophe si dimostrò abbastanza amichevole. Chiacchierava, scolpiva e borbottava qualcosa tra sé e sé, il tutto nello stesso ritmo regolare scandito dalle gocce d’acqua.

«Gli ho chiesto della statua» spiegò Fontenot. «Lui dice che è per la chiesa. Scolpisce santi per il buon Signore, perché il buon Signore è sempre con lui.»

«Perfino in una distilleria?» chiese in tono ironico Kevin.

«Il vino è un sacramento» rispose Fontenot in tono irritato. Papa Christophe prese un bastoncino di carbone appuntito, esaminò la santa di legno, poi disegnò qualcosa sulla statua. Davanti a sé, su una pezza di cuoio ingrassato, aveva un set completo di strumenti per intagliare il legno: un punteruolo, una sega artigianale, una roncola, un succhiello a mano. Erano utensili rozzi, ma era chiaro che il vecchio era un maestro di quell’arte.

Avevano lasciato il loro codazzo di bambini curiosi all’esterno della porta della capanna, ma uno di essi chiamò a raccolta tutto il proprio coraggio e sbirciò all’interno. Papa Christophe sollevò lo sguardo, rivolse al bambino il suo solito sogghigno sdentato e pronunciò qualche frase in creolo dal tono solenne. Il ragazzo entrò e si sedette ubbidientemente sul pavimento di terra battuta.

«Cosa ha detto?» chiese Oscar.

«Credo che abbia detto, ‘La scimmia ha allevato i suoi piccoli prima che maturassero gli avocado’» tradusse Fontenot.

«Cosa?»

«È un proverbio.»

Il bambino era emozionato per avere ricevuto il permesso di entrare nel laboratorio del vecchio. Papa Christophe continuò a scolpire la statua, rivolgendo commenti in tono gentile al bambino. Il rum scorreva ritmicamente nella bottiglia, che era quasi piena.

Fontenot indicò il bambino e pronunciò un suggerimento in francese. Papa Christophe fece schioccare la lingua in segno di indulgenza. «D’abord vous guetté poux-de-bois manger bouteille, accrochez vos calabas ses» affermò.

«Ha detto qualcosa su degli insetti che mangiano le bottiglie» azzardò Fontenot.

«Ma gli insetti mangiano davvero bottiglie?» chiese Kevin.

Christophe si chinò ed esaminò lo schizzo a carboncino. Era profondamente concentrato sulla statua. Da parte sua, il bambino era affascinato dagli strumenti affilati disposti davanti al vecchio.

Improvvisamente il bambino tentò di afferrare la lama di un seghetto avvolto in uno straccio. Senza neppure un attimo di esitazione, il vecchio allungò un braccio dietro le spalle e afferrò il polso del bambino.

Poi si alzò, sollevò il bambino, lontano dal pericolo, e se lo mise sotto l’ascella. Nello stesso istante, fece due passi indietro, allungò la mano sinistra, senza neppure guardare, e prese una bottiglia vuota da uno degli scaffali. Si girò e tolse con un gesto abile la bottiglia piena da sotto il tubo metallico. Sostituì la bottiglia con quella vuota, il tutto rivolgendosi al bambino in tono di ammonizione. In qualche modo, Christophe era riuscito a sincronizzare tutti quei gesti, dando prova di un tempismo incredibile, in modo da non fare versare neppure una goccia di rum.

Poi il vecchio tornò al suo sgabello e di sedette di nuovo, tenendo il bambino a cavalcioni di una gamba ossuta. Sollevò la bottiglia di rum con la sinistra, assaggiò un sorso di liquore con aria pensosa e poi rivolse un commento a Fontenot.

Kevin si strofinò gli occhi. «Ma cosa ha fatto? Ha danzato una giga al contrario? Non può fare una cosa del genere!»

«Cosa ha detto?» chiese Oscar a Fontenot.

«Non sono riuscito a capirlo» replicò Fontenot. «Ero tropo impegnato a vederlo muoversi. È stata una cosa davvero strana.» Si rivolse a papa Christophe in francese.

Christophe sospirò in tono paziente. Prese un pezzo di asse di pino e il carboncino. Il vecchio aveva un calligrafia sorprendentemente fluida ed elegante, come se fosse andato a scuola dalle suore. «Quand la montagne brûle, tout le monde le sait; quand le coeur brûle, qui le sait?» Scrisse quella frase senza neppure guardare, con la testa girata di lato, mentre continuava a rivolgersi in tono dolce al bambino.

Fontenot esaminò la frase sul pezzo di legno. «’Quando il vulcano erutta, lo sanno tutti. Ma quando il cuore brucia, chi è che lo sa?’»

«È un commento davvero interessante» ironizzò Kevin.

Oscar annuì pensosamente. «Io trovo particolarmente interessante che il nostro amico qui presente sia in grado di scrivere questo antico proverbio mentre parla con quel bambino.»

«È ambidestro» ipotizzò Kevin.

«No.»

«È solo molto veloce» affermò Fontenot. «È come una specie di gioco di prestigio.»

«No. Sbagliato di nuovo.» Oscar si schiarì la gola. «Signori, possiamo uscire di qui per scambiare quattro chiacchiere in privato? Penso che sia arrivato il momento di tornare alla nostra barca.»

I due non se lo fecero dire due volte. Fontenot salutò il vecchio in tono cordiale. Lasciarono la capanna di Papa Christophe e poi uscirono lentamente dal villaggio, accompagnati dai sorrisi inquietanti degli haitiani. Oscar si chiese come mai il fato avesse voluto punirlo affibbiandogli non uno, ma due uomini con serie difficoltà di deambulazione.

Alla fine furono fuori della portata delle orecchie degli abitanti del villaggio. «E allora, cosa succede?» chiese Kevin.

«Succede semplicemente questo: quel vecchio pensava due cose contemporaneamente.»

«Cosa vuoi dire?» si stupì Kevin.

«Voglio dire che è un trucco neurale. Era consapevole di due eventi diversi che accadevano nello stesso momento. Non ha permesso che quel bambino si facesse male perché lo stava tenendo continuamente d’occhio. E anche quando stava lavorando con il martello e il bulino, non ha lasciato che la bottiglia traboccasse. Mentre scolpiva la statua, stava ascoltando anche il rumore delle gocce di liquore. Non ha avuto neppure bisogno di guardare la bottiglia per capire che era piena. Io penso che stesse contando le gocce.»

«È così è come se avesse due cervelli» concluse Kevin in tono incredulo.

«No, ha soltanto un cervello. Ma ha due finestre aperte sullo schermo che ha dietro i suoi occhi.»

«Sta lavorando in multitasking, ma usando il cervello.»

«Sì. Esatto.»

«Come fai a saperlo?» chiese Fontenot, socchiudendo gli occhi con espressione scettica.

«La mia fidanzata ha vinto il premio Nobel per essere riuscita a individuare le cause neurali dell’attenzione» spiegò Oscar. «In teoria, ci vogliono ancora anni prima che venga messa a punto una tecnica di manipolazione. In teoria. Ma qui è al lavoro Green Huey. Era da un po’ che mi aspettavo una cosa del genere.»

«Ma come è possibile dimostrare che un uomo è in grado di concentrarsi su due cose contemporaneamente?» chiese Fontenot. «Come si fa a dimostrare che sta pensando?»

«È difficile, ma fattibile. Perché è proprio quello che stanno facendo, va bene? Ecco perché qui non si annoiano mai. Perché pregano. Pregano tutto il tempo — e non mi sorprenderei se anche la preghiera servisse a qualche altro scopo. Io penso che funga da relais tra due diversi flussi di coscienza separati. Racconti a Dio quello che stai pensando in ogni istante e lo sai anche tu. È questo che Christophe stava tentando di dirci con la faccenda del ‘cuore che brucia’.»

«E così è come se avessero due anime» affermò Fontenot in tono esitante.

«Certo» rispose Oscar. «Se preferisci usare questa parola. Mi piacerebbe moltissimo che Greta fosse qui con il suo equipaggiamento da laboratorio, così potremmo scoprire la verità.» Scosse la testa con rimpianto. «Ma lo stato di emergenza al laboratorio di Buna ha ridotto seriamente il tempo che possiamo passare insieme.»

Erano arrivati all’hovercraft, ma Fontenot non dava alcun segno di volere andare via: la gamba artificiale gli stava creando grossi problemi. Finalmente si sedette sullo scafo dell’hovercraft e si tolse il cappello, respirando affannosamente. Kevin salì dalla parte posteriore e si sistemò nel veicolo, appoggiando alla murata i piedi doloranti. Un paio di aironi spiccarono il volo a poca distanza e qualcosa di grande e di oleoso affiorò accanto a un viluppo di canne.

«Non so più cosa pensare» confessò Fontenot. Fissò Oscar come se la rivelazione che avevano avuto fosse tutta colpa sua. «E non so più cosa pensare neppure di te. La tua fidanzata ha vinto il premio Nobel, il tuo responsabile della sicurezza è un pirata informatico e tu sei piombato sul mio tetto, senza neppure avvertirmi, vestito come una scimmia volante.»

«Sì. Hai ragione.» Oscar fece una pausa. «Vedi, tutto ha un senso, se ci arrivi un passo alla volta.»

«Senti, non voglio sapere più nulla» replicò Fontenot. «Ci sono già dentro fino al collo. Non voglio partecipare al tuo gioco. Io voglio solo tornare a casa, per vivere e morire qui. Se mi dite altre cose, dovrò riferirle al presidente.»

«Non preoccuparti, su questa faccenda ti copro io» lo rassicurò Oscar. «Io lavoro per il presidente. Adesso lavoro per il consiglio per la sicurezza nazionale.»

Fontenot era assolutamente sbalordito. «Adesso fai parte dello staff presidenziale? Lavori per il consiglio?»

«Jules, smettila di cadere dalle nuvole ogni volta che ti dico qualcosa. Stai iniziando a ferire i miei sentimenti. Perché pensi che sia venuto qui? Come pensi che sia finito in un pasticcio del genere? Chi altro potrebbe occuparsi di questa faccenda nel modo migliore? Sono l’unico uomo al mondo capace di scoprire un culto voodoo neurale e di capire immediatamente cosa sta succedendo.»

Fontenot si carezzò il mento coperto dalla barba. «E così… Be’, okay! Immagino di essere con te. E allora, signor esperto io-so-tutto, dimmi una cosa. Scoppierà davvero una guerra contro l’Olanda?»

«Sì. E se riusciremo a uscire da questa dannata palude tutti interi e a informare il presidente sulle mie scoperte, probabilmente scoppierà anche una guerra contro la Louisiana.»

«Oh, mio Dio!» gemette Fontenot. «Ma allora la situazione non è semplicemente grave, è davvero disperata. È accaduto il peggio. Sapevo che avrei dovuto tenere chiuso il becco, lo sapevo, non avrei mai dovuto parlare a nessuno di questa faccenda!»

«No, hai fatto la cosa giusta. Huey è un grand’uomo, è un visionario, ma è davvero fuori di testa. Non è più un simpatico megalomane del Sud. Adesso so tutta la verità. Quegli haitiani erano soltanto un esperimento. Huey ha fatto qualcosa di strano su se stesso. Qualcosa di oscuro e di neurale.»

«E tu devi informare il presidente.»

«Sì. Devo farlo. Perché il nostro presidente non è così. Il presidente non è pazzo. È solo un politico ambizioso, un duro, un falco che riporterà la legge e l’ordine in questo paese allo sbando, anche se questo significa mettere a ferro e fuoco metà dell’Europa.»

Fontenot rifletté a lungo sulle affermazioni di Oscar. Alla fine si girò verso Kevin. «Ehi, Hamilton.»

«Sì, signore?» rispose Kevin in tono stupito.

«Non permettere che qualcuno faccia fuori questo ragazzo.»

«Io non volevo questo lavoro!» protestò Kevin. «Nessuno mi aveva mai detto quanto fosse difficile. Dico sul serio: rivuole il suo lavoro di guardia del corpo? Se lo riprenda pure, questo dannato lavoro!»

«No» rispose Fontenot in tono deciso. Una volta avviata la piccola imbarcazione, iniziarono il viaggio di ritorno — tre uomini in una vasca da bagno.

«Huey ha fatto molte grandi cose per noi» affermò Fontenot. «Ovviamente, tutto quello che ha fatto andava prima di tutto a suo vantaggio, questo lo sapevano tutti. Ma ha fatto delle buone cose per la gente. Ha dato loro un mucchio di possibilità che non hanno mai avuto in cento anni. Per me, quello è ancora il futuro.»

«Sì» replicò Oscar, «Huey ha imposto il suo nuovo ordine — ma non è nuovo, e non è neppure un ordine. Huey è un tipo bizzarro. Sa raccontare una barzelletta e se la cava magnificamente come oratore, paga da bere e si prende in giro davanti a tutti. Ma gode di un controllo ferreo del ramo legislativo e di quello giudiziario. Ha a disposizione una milizia di camicie brune, la sua rete mediatica privata — perfino una sua economia. Propugna un’ideologia basata sul sangue e sul suolo, come quella dei nazisti. Possiede depositi segreti pieni di armi con cui scatenare terribili vendette. Huey rapisce le persone. Rapisce intere popolazioni e le fa scomparire. Immagino che lo faccia per il migliore dei motivi, ma i fini non contano quando si utilizzano mezzi del genere. E adesso ha sperimentato su di sé qualche folle trattamento che rende le persone permanentemente schizoidi! Dopo un atto del genere, Huey non può migliorare. No, può soltanto scendere sempre più in basso.»

Fontenot sospirò. «Permettimi di chiederti un favore. Non dire a nessuno che sono stato io a condurti qui. Non voglio finire nei notiziari di rete. Non voglio che i miei poveri vicini scoprano che sono stato io a vendere la pelle del vecchio Huey. Questa è casa mia. Io voglio morire qui.»

Kevin intervenne. «Continua a dire che questo posto è il futuro. Ma allora perché vuole morire, vecchio?»

Fontenot gli rivolse un’occhiata comprensiva. «Ragazzo, tutti vanno nel futuro per morire. È così che succede.»

Oscar scosse la testa. «Non sentirti colpevole. Non devi a Huey alcuna fedeltà.»

«Tutti noi gli dobbiamo qualcosa, dannazione! Ci ha salvato. Ha salvato lo stato. Se non altro, siamo in debito con lui per le zanzare.»

«Le zanzare? Quali zanzare?»

«Non ce ne sono. Siamo nel bel mezzo di una palude e non veniamo morsi. Ma voi non ve ne siete neppure accorti? Invece io me ne sono accorto, eccome!»

«Be’, ma cosa è successo alle zanzare?»

«Prima che arrivasse Huey, le zanzare ci stavano mangiando vivi. Le zanzare amano il futuro provocato dall’effetto serra. Quando il clima diventò più caldo e più umido, arrivarono in vere e proprie ondate, portando la malaria, la dengue, l’encefalite… Dopo le grandi inondazioni del Mississippi, le zanzare iniziarono a spuntate da ogni pozzanghera dello stato. Si trattò di una gravissima emergenza sanitaria, le persone morivano come mosche. Huey aveva appena prestato giuramento, ma non volle gettare la spugna, invece disse, ‘Facciamo qualcosa, sbarazziamocene’. Mandò in giro dei camion su cui erano stati montati dei nebulizzatori. Ma non spruzzavano insetticida, non spargevano sostanze inquinanti — DDT e tossine — come era stato fatto in precedenza. Un atto del genere avrebbe mandato tutto in malora, questo lo sapevano tutti. E anche Huey lo capì — non gassò gli insetti, ma le persone. Con anticorpi aerei. Sono come quelle vaccinazioni spray. Adesso gli abitanti della Louisiana sono tossici per le zanzare. Il nostro sangue le uccide, letteralmente. Se una zanzara morsica un cajun, muore stecchita.»

«Davvero un bel trucco!» approvò Kevin. «Ma questo sistema non uccide tutte le zanzare, vero?»

«No, ma le malattie scomparvero subito, perché non potevano più trasmettersi da una persona all’altra. Vedete, Huey ha fatto spruzzare quel gas sul bestiame, sugli animali selvatici. Sta gassando tutto quello che respira. Perché funziona! Quelle succhiasangue uccidevano un mucchio di gente. Per migliaia di anni da questi parti sono state una vera e propria piaga biblica. Ma Green Huey le ha sistemate una volta per tutte.»

L’hovercraft continuò ad avanzare con il motore scoppiettante. I tre fecero silenzio.

«Ma allora cos’è quell’insetto che ha sul braccio?» chiese infine Kevin.

«Dannazione!» Fontenot si affrettò a schiacciare la zanzara. «Deve essere arrivata fin qui dal Mississippi!»


Oscar sapeva che quelle nuove accuse contro Huey erano estremamente gravi. Gestito nel modo giusto, quello scandalo avrebbe sancito la sua fine politica. Gestito in modo sbagliato, avrebbe potuto segnare il fato di Oscar in breve tempo. E forse avrebbe segnato anche quello del presidente.

Oscar stilò quello che giudicò essere il memorandum meglio riuscito della sua carriera e lo inviò al presidente, sperando che sarebbe stato letto soltanto da lui. A Oscar non piaceva la prospettiva di scavalcare i propri superiori nella catena di comando, ma era ansioso di evitare un altro fallimento dei fanatici paramilitari che facevano parte del consiglio per la sicurezza nazionale. Molto probabilmente il loro micidiale attacco con gli elicotteri durante il suo rapimento gli aveva salvato la vita, ma i veri professionisti della politica non agivano in quel modo.

Oscar si appellò al presidente. Il suo memorandum era scritto in uno stile piano, era ricco di fatti, razionale, ben organizzato. Descriveva con esattezza l’ubicazione del villaggio haitiano e raccomandò che vi fossero inviati degli agenti per raccogliere informazioni. Doveva trattarsi di persone discrete, dall’aria innocua. L’ideale sarebbe stata un’agente di sesso femminile. C’era bisogno di qualcuno che potesse imbottire quel posto di microspie e prendere anche qualche campione di sangue.

Per tre giorni, Oscar accompagnò il percorso del memorandum con una raffica di domande preoccupate rivolte ai livelli più alti del consiglio. Il presidente lo aveva letto? Era della massima importanza, era fondamentale che lo facesse.

Non ricevette alcuna risposta.

Nel frattempo, la situazione del Collaboratorio continuava a peggiorare. Tra lo staff civile di supporto, il morale stava subendo un crollo precipitoso. Nessuno di loro riceveva più lo stipendio. Nessuno dello staff di supporto godeva del prestigio e del fascino degli scienziati, che stavano rapidamente abituandosi a venire seguiti da krew in adorazione di Moderatori dagli occhi sbarrati per la soggezione. Lo staff civile era molto irritato, quello medico era particolarmente furibondo. I suoi membri avrebbero potuto facilmente trovare dei lavori ben pagati da qualche altra parte ed era impossibile pretendere che mandassero avanti una struttura medica decente ed eticamente corretta senza un flusso costante di capitali e di scorte di medicine.

Nella valle del fiume Sabine la faida tra Regolatori e Moderatori proseguiva, diventando sempre più violenta. Gli scontri tra le pattuglie in ricognizione formate dai giovani delle tribù nomadi rivali stavano degenerando in imboscate e in veri e propri linciaggi. La situazione era sempre più esplosiva, specialmente da quando gli sceriffi delle contee di Jasper e Newton erano stati costretti a dimettersi dai loro incarichi. Erano stati coinvolti in una serie di scandali di corruzione. Qualcuno aveva compilato dei dossier molto voluminosi sulla loro lunga connivenza nella fabbricazione di liquori di contrabbando, nel gioco d’azzardo e nella prostituzione — tutti piaceri illeciti che potevano anche essere dichiarati illegali, ma mai resi impopolari.

Non era necessario avere vinto un premio Nobel per capire che l’ordine pubblico nel Texas orientale stava venendo deliberatamente minato da Green Huey. Il governo statale del Texas avrebbe dovuto reagire immediatamente a quella sfida, ma era famoso per la sua mancanza di iniziativa. Invece tenne sedute fiume sul vistoso problema della corruzione endemica della polizia — evidentemente sperava che i disordini si sarebbero calmati se fosse stata prodotta una quantità sufficiente di scartoffie.

Un altro elemento che contribuiva a rendere più incerta la situazione al confine tra il Texas e la Louisiana era la presenza provocatoria di krew mediatiche provenienti dall’Asia e dall’Europa. La guerra calda contro l’irritante e minuscola Olanda aveva fatto tornare l’America alla ribalta. Gli scontri selvaggi tra le sue bande armate l’avevano sempre resa molto cara ai fan sparsi in tutto il mondo. I giornalisti olandesi erano stati banditi dagli USA — ma quelli francesi e tedeschi erano dappertutto, specialmente in Louisiana. Gli inglesi furono abbastanza gentili da suggerire che i francesi stavano armando in segreto le bande dei Regolatori di Huey.

Le teste calde dei Regolatori, ringalluzzite dal prestigio acquisito, furono deliziate dal ricevere una copertura mediatica di proporzioni mondiali. I giovani teppisti dei Regolatori vivevano per la reputazione e il rispetto, poiché avevano poco altro. La crisi militare stava inesorabilmente distorcendo l’economia dei Regolatori, basata sull’affidabilità. Grazie ai loro audaci attacchi contro i Moderatori, i Regolatori più inclini alla violenza stavano salendo nei ranghi come meteore.

I Moderatori, a giudizio di Oscar, erano un gruppo molto più intelligente e flessibile. Le loro reti erano state progettate e organizzate meglio; i Moderatori erano più calmi, meno vistosi, molto meno aggressivi. Tuttavia, non ci volle molto per farli andare su tutte le furie.

Il quarto giorno dopo avere inviato il suo memorandum, Oscar ricevette un breve messaggio dal presidente. In un paio di righe, Two Feathers gli comunicava di avere letto il suo memorandum e di averlo capito. A Oscar venne impartito un ordine diretto di non parlare più di quell’argomento con chicchessia.

Trascorsero altre quarantotto ore, poi lo scandalo scoppiò. Uno squadrone di elicotteri degli Stati Uniti era volato di notte nel cuore della Louisiana, atterrando in un villaggio sperduto nelle paludi. Due di loro entrarono immediatamente in collisione ed esplosero, distruggendo le case dei nativi addormentati, e uccidendo donne e bambini innocenti. Un numero imprecisato di abitanti vennero rapiti dai federali, che andavano matti per cose del genere. Quattro agenti furono uccisi nello scontro. Huey fece sfilare i loro corpi, con le tute di volo nere e piene di cerniere, zeppe di equipaggiamento cibernetico in via di rapida obsolescenza, davanti alle telecamere delle krew mediatiche europee.

Per altre quarantotto ore, quel bizzarro tipo accusa non provocò alcun effetto. Non vi alcuna reazione formale da parte dell’amministrazione. La presidenza si rifiutò semplicemente di rilasciare qualsiasi dichiarazione, come se il delirio demagogico del governatore della Louisiana fosse troppo ridicolo per meritare una qualsiasi replica. Invece l’attenzione dell’opinione pubblica si concentrò sulla marina degli Stati Uniti, che aveva inviato la sua armata atlantica contro gli olandesi in un arcaico rituale a base di navi che battevano la gloriosa bandiera statunitense. Le vecchie e ardite navi da guerra si avventurarono nell’oceano salpando dai loro moli militari semisommersi. Adesso tutti gli occhi erano puntati sulla guerra, o almeno tutti pensavano che fosse così.

Oltre i confini americani, era chiaro a chiunque, perfino ai cinesi, perennemente sospettosi, che un attacco navale contro gli olandesi costituiva un gesto assurdo e ridicolo, e ben presto divenne argomento di battute sarcastiche in Europa. Soltanto gli olandesi dimostrarono di essere davvero preoccupati.

Ma l’effetto di quel gesto sull’opinione pubblica americana fu molto profonda. La nazione era in guerra. Risvegliato dal suo stato comatoso dalla prospettiva di infliggere danni seri, il Congresso aveva davvero dichiarato la guerra. Il risultato fu un istantaneo e aspro scontro civile. Spiazzati dalla proclamazione dello stato di guerra, la maggior parte dei comitati di emergenza promise di sciogliersi senza fare troppo chiasso. Alcune di essi sfidarono il Congresso e il presidente, rischiando l’arresto. Nel frattempo, le reti di pacifisti si radunarono e infuriarono nelle strade; i pacifisti erano sinceramente disgustati nel vedere la costituzione pervertita e la nazione disonorata dal presidente per conseguire un vantaggio nella politica domestica.

Passarono altre ventiquattro febbrili ore di guerra. Poi l’amministrazione accusò il governatore della Louisiana di avere condotto esperimenti medici non eticamente corretti su immigrati clandestini. La notizia arrivò in mezzo al frastuono di tamburi e pifferi scatenato della propaganda militare e costituì una scioccante distrazione. Ma si trattava di una notizia seria, grave, molto grave, incredibilmente grave. Il ministro della sanità e il capo di gabinetto del ministero apparvero in pubblico con espressioni cupe, prove mediche e terrificanti mappe dei cervelli degli haitiani ottenute mediante la tomografia a emissione di positroni.

L’attacco contro Huey fu gestito male, in modo dilettantesco, perfino goffo. Ma fu letale. Huey si era scrollato di dosso molti altri scandali con una risata; si era limitato a corrompere i suoi accusatori, riducendoli al silenzio, oppure li aveva subornati. Ma quello scandalo faceva impallidire tutti gli altri. Riguardava dei profughi senza radici, inermi e invisibili, deliberatamente fatti impazzire mediante un processo industriale. Questo era un po’ troppo per la maggior parte degli americani; non potevano certo fare finta di nulla.

Quando il suo telefono squillò, Oscar, una volta tanto, era perfettamente preparato.

«Piccolo PEZZO DI MERDA!» strillò Huey. «Malvagio drogato di uno yankee! Quelle persone erano perfettamente felici! Era il paradiso in terra! E i federali sono arrivati di notte e le hanno rapite! Le hanno bruciate vive!»

«Buona sera, governatore! Immagino che abbia ascoltato il comunicato rilasciato questa sera dall’amministrazione.»

«Tu sei FINITO, piccolo borioso bastardo! Ti farò pentire di essere stato clonato! Avevo fatto delle promesse a quella gente, erano sotto la mia protezione. E tu li hai gettati in pasto ai media! Io so che sei stato tu. Avanti, ammettilo!»

«Governatore, non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo. Adesso cerchiamo di discutere da uomini adulti. Questa notizia era destinata a trapelare lo stesso, prima o poi, che io l’avessi fatta filtrare o meno. Non si possono condurre esperimenti neurali segreti su centinaia di soggetti umani senza che avvengano fughe di notizie. Gli scienziati chiacchierano tra di loro. Perfino i suoi scienziati preferiti, quelli che non si sono mai laureati in alcunché, vivendo in miniere di sale e facendo cose terribili agli stranieri. Gli scienziati amano comunicare le loro scoperte ai colleghi; sono fatti così. E infatti, ovviamente, i suoi uomini nelle miniere di sale hanno dato la notizia ad altri neuroscienziati. E ovviamente la voce è giunta fino a me. E io ho avvertito il presidente. Io lavoro per il presidente.» Si schiarì la gola. «Badi bene, non sono stato io a organizzare la faccenda di questa sera. Se l’avessi fatto, si sarebbe trattato di un comunicato molto più professionale.»

Oscar si chiese se Huey si sarebbe bevuto quella smaccata bugia, preparata in anticipo. Aveva fatto del proprio meglio per renderla plausibile. Lo aveva fatto per proteggere Fontenot, la sua vera fonte. Forse l’inganno avrebbe funzionato. In ogni caso, avrebbe sicuramente distratto e irritato Huey e i suoi apprendisti stregoni neurali finanziati dallo Stato.

«Lei non riesce a credere quante insinuazioni razziste si stanno rovesciando sui miei haitiani. Quelle persone non sono dei mostri! Sono gente molto devota, seguono alcune strane pratiche in cui fanno uso di droghe. Sai, il veleno del pesce palla per creare gli zombi e tutto il resto.»

«Governatore, tra poco mi metterò a piangere. Sono forse un bambino di dieci anni? Ha paura che io stia registrando questa conversazione? Se non vuole parlare con me seriamente, allora può anche riattaccare.»

«Oh, no» grugnì Huey. «Tu e io ci conosciamo da troppo tempo. Io posso sempre parlare con te, signor Saponetta.»

«Bene. Sono lieto che il nostro accordo precedente sia ancora valido. Questa volta, evitiamo di intralciarci a vicenda.»

«Almeno tu puoi parlare con il presidente. Quel figlio di puttana non risponde neppure alle mie chiamate! Io, il governatore che è stato eletto più volte in America! Io conosco quel bastardo! Lo incontravo alle conferenze dei governatori. All’inferno, gli ho anche fatto un mucchio di favori. Gli ho insegnato tutto quello che sa sui prolet e su come trattare con loro. ‘Moderatori’ — ma vogliamo scherzare, forse? Lui sta uccidendo la mia gente! Lui sta rapendo la mia gente. Di’ al presidente che ha pestato i piedi all’uomo sbagliato. Io non starò a guardare mentre quel signor nessuno fa la faccia dura. È stato eletto con il diciotto per cento dei voti! Diglielo questo! Digli che Huey non dimentica mai queste cose.»

«Governatore, sarò lieto di riferire le sue parole al presidente, ma prima posso darle un consiglio ragionevole? Chiuda il becco. Lei è finito. Il presidente l’ha messa alle corde. Ciò a cui ha sottoposto gli haitiani è assolutamente imperdonabile! Si è dato la zappa sui piedi in pubblico.»

«E così avrei dovuto lasciarli sulla loro isola che affonda, a essere torturati a morte.»

«Si, avrebbe dovuto fare esattamente questo. Lasciarli in pace. Non si acquista un diritto di proprietà sulle persone soltanto perché le si è salvate. Lei vuole fare saltare il cervello delle persone somministrando strane droghe a soggetti all’oscuro di tutto? Allora torni indietro agli anni ’60 del ventesimo secolo ed entri nella CIA! Lei non è Dio, Huey! Lei è soltanto un dannato governatore! Lei si è spinto troppo oltre! E questa volta non riuscirà a cavarsela, perché ha lasciato le sue impronte dappertutto in questa faccenda — ha lasciato le sue impronte cerebrali.»

Huey rise. «Staremo a vedere.»

«La prossima volta toccherà a lei fare un esame con la tomografía a emissione di positroni, Huey. Allora troveranno le due onde di gradienti chimici sincronizzate e gli schemi elettrici che attraversano il corpo calloso e tutte quelle noiose stronzate neurali che io e lei siamo gli unici politici al mondo ad avere imparato a pronunciare correttamente! La dipingeranno come un novello Frankenstein! Sarà bruciato da una folla impazzita armata di torce. Lei non si ritroverà semplicemente in difficoltà per questa faccenda. Lei verrà ucciso.»

«Questo lo so anch’io» replicò Huey in tono tranquillo. «Che facciano pure del loro peggio.»

Oscar sospirò. «Etienne — posso chiamarla così? Sento che adesso noi ci conosciamo e ci capiamo meglio… Etienne, la prego, non si faccia uccidere dalla folla. Può succedere molto facilmente, e non ne vale la pena. Mi ascolti. Io capisco la sua situazione. Io nutro un profondo, durevole interesse professionale e personale nei confronti dei politici che vengono denunciati come mostri. Mi creda, dopo questo sviluppo, la situazione non migliorerà di certo, ma peggiorerà ancora di più.»

«Sai che ti sputtanerò alla grande per quello che hai fatto, vero? Già vedo i titoli: ‘Folle clone colombiano sorpreso in un nido d’amore sulla spiaggia con una scienziata vincitrice del Nobel’.»

«Etienne, io non sono soltanto un folle clone colombiano. Sono anche un organizzatore professionista di campagne politiche. Lasci che le dia un consiglio molto sincero. Getti la spugna. Sparisca. Si prenda un po’ dei suoi fondi neri, si porti dietro sua moglie, se intende seguirla, e vada in esilio. Si ritiri in un esilio autoimposto. Capisce? Lasci il paese. Capita. Si tratta di una scelta tradizionale. È una manovra politica perfettamente legittima.»

«Io non fuggirò. Huey non farà mai una cosa del genere.»

«Ma certo che ‘Huey la farà’, dannazione! Salga a bordo di un bel sommergibile francese — so che ne ha una dozzina in attesa al largo delle nostre coste. Si faccia dare una bella villa, sull’isola d’Elba, oppure a Sant’Elena o da qualche altra parte. Si porti dietro le sue guardie del corpo preferite. È perfettamente fattibile! Mangerà bene, scriverà le sue memorie, si abbronzerà, si riposerà, sarà pronto. Forse… ma solo forse… se qui in America le cose andranno peggio, molto peggio… forse lei sembrerà l’alternativa migliore. Sembra una follia, ma non sono sicuro di potermi ancora fidare delle mie facoltà di giudizio in questa faccenda. Forse, un giorno, imporre deliberatamente stati mentali schizoidi a esseri umani che non sospettano nulla diventerà perfino una moda. Ma adesso non è così, questo è sicuro come la morte. Legga i sondaggi di domani. Lei è finito.»

«Ragazzo, io sono Huey. Sei tu a essere finito. Io posso distruggere te, quella cagna della tua ingrata fidanzata e il vostro intero laboratorio che, in effetti, è e rimarrà sempre il mio laboratorio.»

«Sono sicuro che lei possa provarci, governatore, ma perché sprecare tutte queste energie? Adesso è inutile distruggerci. Ormai è troppo tardi. Ero davvero convinto che lei avesse un intuito migliore per queste cose.»

«Figliolo, tu non hai ancora capito. Io non ho bisogno di alcun ‘intuito’. Io posso distruggervi nel mio tempo libero, mentre mi gratto la testa e la pancia.» Huey riattaccò.


Adesso i mastini delle guerra si erano scatenati nel panorama mentale dell’America e, nonostante si trattasse di cani piccoli e dotati di denti simbolici nonché spuntati, provocarono un terremoto politico. Nessuno si era aspettato un gesto del genere da parte di un presidente. Un eccentrico nativo americano miliardario — per un paese esausto per la sua crisi di identità e per le troppe fazioni politiche, Two Feathers sembrava una distrazione pittoresca, un candidato del tipo Oh-e-perché-no? i cui discorsi bellicosi potevano tenere su il morale della nazione. Perfino Oscar si era aspettato ben poco da lui; la carica di governatore del Colorado non aveva dato molte occasioni a Two Feathers di distinguersi particolarmente. Una volta conquistata la presidenza, però, Two Feathers stava dimostrando di essere un vero e proprio fenomeno. Era chiaro che si trattava di uno di quei tipici presidenti americani di transizione, una di quelle figure colossali che lasciavano il segno e che rendevano la vita orribile e interessante.

Sfortunatamente per Green Huey, nel panorama politico americano c’era posto soltanto per un governatore autoritario, incline all’uso della forza e vestito in maniera eccentrica. Two Feathers aveva battuto Huey nella corsa alla Casa Bianca. E la cosa peggiore era che si era reso conto, correttamente, che Huey costituiva una minaccia intollerabile e impossibile da cooptare. Adesso era deciso a schiacciarlo.

Tra il presidente e il governatore ribelle scoppiò una vera e propria guerra verbale. Huey accusò il presidente di avere autorizzato voli di spionaggio ad alta quota nei cieli della Louisiana. Questo era vero, perché il cielo di quello Stato ormai pullulava di aerei da ricognizione — federali, prolet, militari, europei, asiatici, di proprietà di reti private o di chiunque fosse in grado di lanciare un aquilone autopropulso con una telecamera a bordo.

Il presidente replicò accusando il governatore di tradimento, e di collusione con potenze straniere in periodo di guerra. Anche questo era vero, per quanto, fino a quel momento, l’unica conseguenza della guerra olandese era stato un massiccio afflusso di turisti europei in America. Gli europei non avevano visto dichiarare una guerra da moltissimo tempo. Era divertente essere un cittadino straniero in un paese in guerra, specialmente se in quel paese nei mercati delle pulci si vendevano liberamente intere scatole di microspie. Improvvisamente tutti si misero a giocare agli agenti segreti.

Allora il presidente alzò ulteriormente la posta. Richiese in tono minaccioso la pronta restituzione di tutte le armi federali trafugate dalla base aerea saccheggiata in Louisiana. Minacciò severe rappresaglie, che non si peritò di specificare.

Non c’è alcun bisogno di dire che le armi federali non vennero consegnate. Invece il governatore accusò il presidente di stare tramando per istituire la legge marziale e un colpo di stato.

I senatori di Huey diedero il via a una lunga guerra procedurale all’interno del Senato degli Stati Uniti, ricorrendo a pratiche ostruzionistiche. Il presidente chiese che si procedesse all’impeachment dei due senatori della Louisiana. Annunciò anche l’apertura di un’inchiesta su tutti i deputati della Louisiana nella Camera dei Rappresentanti.

Huey chiese al Congresso di avviare la procedura per l’impeachment e ai pacifisti di scendere nelle strade in uno sciopero generale che avrebbe paralizzato il paese.

Di fronte alla prospettiva di uno sciopero generale, il presidente replicò annunciando la creazione unilaterale di una nuova forza di difesa civile volontaria, la ‘Civil Defense Intelligence Agency’. Sulla carta, sembrava un’organizzazione decisamente strana — un club di discussione nazionale di cosiddetti ‘attivisti civili’, fedeli soltanto al presidente. La CDIA non aveva alcun bilancio e il suo capo era un vecchio eroe di guerra pluridecorato, che per caso viveva in Colorado, che di nuovo per caso conosceva di persona il presidente e che, sempre per caso, era un Moderatore molto influente.

Un’analisi più approfondita mostrò che la CDIA erano i Moderatori. La CDIA era una gigantesca banda prolet che godeva dell’appoggio diretto del capo dell’esecutivo della nazione. Ormai era stato attraversato un Rubicone. Questa mossa rivelò che il presidente aveva coltivato per anni le proprie forze prolet. Huey aveva utilizzato i suoi Regolatori come una forza per procura con cui era facile negare ogni relazione, ma il presidente stava audacemente facendo uscire allo scoperto la propria mafia, brandendola come una mazza. Forse il presidente era arrivato in ritardo e forse era un po’ meno intelligente di Huey, ma godeva di un grande vantaggio: era il presidente.

Adesso, per la prima volta, Two Feathers iniziò a sembrare davvero potente, perfino pericoloso. Si trattava di una coalizione politica classica; nella Francia medievale aveva funzionato a meraviglia; i due estremi della piramide sociale — quello inferiore, trascurato da tutti, e quello superiore, in precedenza molto debole — si univano contro quello centrale, arrogante e diviso da feroci lotte intestine.

La prima volta che il presidente utilizzò le sue forze semi illegali fu contro i comitati di emergenza, adesso fuorilegge. Fu un colpo di genio, perché i comitati di emergenza erano unanimemente detestati e perfino più temuti dei prolet. E poi, i comitati avevano perso qualsiasi appiglio legale che giustificasse la loro esistenza ed erano già alla corde. Attaccare una forza divenuta illegale di recente con un’altra forza, in precedenza illegale, ma adesso pienamente legittima, suscitò reazioni estremamente favorevoli nell’opinione pubblica americana. La manovra sottintendeva una sorta di simmetria. Era la mossa di un vero protagonista. Gli indici dei sondaggi sul presidente schizzarono immediatamente verso l’alto. Era riuscito a ottenere un risultato tangibile, quando, per anni e anni, non ci era riuscito nessuno.

La nuova CDIA, da parte sua, rivelò alcune nuove tattiche decisamente impressionanti. Non disponeva dell’autorità legale di eseguire arresti e così perseguitò i membri dei comitati di emergenza con ‘picchetti ombra’. Si trattava di uomini che portando una fascia al braccio seguivano metodicamente i membri dei comitati per ventiquattro ore al giorno. Non si trattava di una tattica molto difficile da applicare per un gruppo di prolet. In effetti, i picchetti ombra ricordavano le tecniche di sorveglianza usate dai servizi segreti. Ma tutto avveniva alla luce del sole e, come qualsiasi lavoro simile a quello dei paparazzi, era estremamente irritante per le sue vittime.

I prolet erano perfetti per svolgere un lavoro del genere. Erano sempre stati organizzati come i servizi segreti — reti piccole, distribuite, occulte, che sopravvivevano ai margini della società servendosi di password rubate e ricorrendo all’accattonaggio permanente. Ma una volta trasformatesi in una forza paramilitare che riceveva ordini dall’alto, le reti prolet improvvisamente assunsero una struttura più rigida. Per i nemici del presidente, divennero una prigione umana che esercitava una sorveglianza costante.

O così sembrava. Era ancora troppo presto per dire se la CDIA del presidente avrebbe conservato il suo potere, trasformandosi in un novello New Model Army. Ma la semplice minaccia del suo spiegamento inviò un’onda choc in tutto il sistema. Era chiaro che stava per iniziare un’altra epoca. Lo stato di emergenza americano era davvero finito una volta per tutte. Adesso vigeva lo stato di guerra.

Oscar seguì questi sviluppi con grande attenzione professionale e reagì immediatamente per assecondare l’umore popolare. Ordinò a Greta di dichiarare che lo stato di emergenza era finito anche nel Collaboratorio. Non c’era più nessuna emergenza. Da quel momento in poi, dovevano considerarsi in stato di guerra.

«Perché ci stai facendo questo?» domandò Greta durante un’altra riunione del comitato che si protrasse fino a notte fonda. «Qual è la differenza?»

«Fa tutta la differenza del mondo.»

«Ma si tratta soltanto di semantica! Siamo sempre le stesse persone. Io sono ancora il direttore del laboratorio, Dio mi aiuti. E il comitato di emergenza è l’unico organismo in grado di gestire questo caos.»

«D’ora in poi, siamo il comitato di guerra.»

«Ma si tratta soltanto di un cambiamento simbolico!»

«No, non è così.» Oscar sospirò. «Te lo spiegherò in parole molto semplici. Il presidente si è impadronito del potere in un periodo di crisi. Ha scavalcato la costituzione, ha tagliato le gambe al Congresso, ha annichilito i comitati di emergenza. Ed è riuscito a fare tutto questo reclutando grandi bande di emarginati sociali organizzati, che derivano la loro nuova legittimità esclusivamente da lui e che sono fedeli soltanto a lui.»

«Sì, Oscar, questo lo sappiamo anche noi. Non siamo certo ciechi. Non mi piace per nulla quello che ha fatto il presidente. E di certo non capisco perché dovremmo imitare le sue tattiche radicali e autoritarie.»

«Greta, è il presidente che sta imitando noi. Noi abbiamo fatto esattamente lo stesso, qui dentro. Il presidente sta facendo quello che sta facendo perché noi ci siamo riusciti! Adesso tu sei molto popolare, sei diventata famosa per quello che hai fatto. Le persone pensano che sia eccitante impadronirsi del potere con l’aiuto di gang di prolet e sbattere fuori tutti i cattivi. E una mossa molto scaltra.»

Greta era molto turbata. «Oh… Oh, mio Dio.»

«Ammetto che questa non è una bella notizia per la democrazia americana. In effetti, si tratta di una brutta notizia… di una notizia terribile. Potrebbe dimostrarsi addirittura catastrofica. Ma per il laboratorio è una notizia meravigliosa, perché significa che ormai corriamo pochissimi rischi di essere arrestati e incriminati per quello che abbiamo fatto qui. Capisci, Greta? La faremo franca, È un meraviglioso dono politico dal nostro protettore e sostenitore — il presidente. Siamo salvi! D’ora in poi, dovremo semplicemente imitare le sue mosse. D’ora in poi, dovremo agire come i camaleonti. Non siamo più dei radicali pazzi che scioperano in un laboratorio federale. Siamo cittadini fedeli al loro governo, pienamente coinvolti nel grande esperimento di creare un nuovo ordine sociale portato avanti dal nostro presidente. E così, d’ora in poi, saremo il comitato di guerra.»

«Ma noi non possiamo chiamarci così. Non abbiamo nessuna guerra da combattere.»

«Oh, ma certo che l’abbiamo.»

«No che non l’abbiamo.»

«Aspetta e vedrai.»


Due giorni dopo il presidente inviò delle truppe federali a Buna. L’esercito degli Stati Uniti stava finalmente obbedendo ai suoi ordini, nonostante il profondo disgusto istituzionale che provava al pensiero di impiegare la forza contro dei cittadini americani. Sfortunatamente, quei soldati erano un battaglione di specialisti di conflitti a bassa intensità in assetto di marcia.

I militari americani, giunti alla fine dell’epoca dei tradizionali conflitti armati, sapevano di essere entrati in un’era in cui la penna poteva davvero rivelarsi più mortale della spada; la spada era quasi inutile quando i fronti di guerra non esistevano più e un esercito permanente poteva essere fatto a pezzi da economici aerei robot.

E così l’esercito aveva messo in secondo piano la spada per concentrarsi sulla penna. Sostanzialmente, il 76° battaglione per la guerra informatica era formato da assistenti sociali. Indossavano impeccabili uniformi bianche ed erano specializzati in comunicazione verbale, misure di protezione civile, consulenza antistress, compiti leggeri di polizia e pronto soccorso. Metà erano donne, nessun soldato disponeva di armi da fuoco e, come ciliegina sulla torta, erano stati mandati in azione senza disporre di fondi federali. In effetti, erano in arretrato di quattro mesi sul loro stipendio. Per fare quadrare il loro bilancio, erano stati costretti a vendere i loro mezzi di trasporti corazzati.»

Adesso il Collaboratorio era davvero sovraffollato. Rubare e mangiare gli animali rari divenne un reato molto diffuso. Con un battaglione di cinquecento soldati/psicanalisti che vivevano praticamente a scrocco, più i giornalisti al loro seguito, le già magre risorse del Collaboratorio vennero sottoposte a una pressione intollerabile. L’interno della cupola iniziò ad appannarsi per il fiato dei troppi esseri umani che ospitava.

Per tenere occupati i nuovi arrivati, Oscar affidò al battaglione per la guerra informatica il compito di assediare psicologicamente i fedeli di Huey, che erano ancora ostinatamente in sciopero, rinchiusi nell’edificio che ospitava il dipartimento Ricadute industriali. I soldati furono ben lieti di obbedire e si misero all’opera di buona lena. Ma il Collaboratorio stava iniziando a somigliare a una gigantesca stazione della metropolitana durante l’ora di punta.

La soluzione ideale sarebbe stata quella di costruire altri rifugi. I Moderatori, in precaria simbiosi con i federali, rizzarono le tende sul terreno del Collaboratorio all’esterno della cupola. A Oscar sarebbe piaciuto costruire degli annessi al Collaboratorio. I progetti di Bambakias suggerivano alcuni metodi assolutamente stupefacenti con cui poteva essere raggiunto un risultato del genere. I materiali erano disponibili. La manodopera era più che abbondante. La volontà di precedere c’era, eccome.

Ma non c’erano soldi. Il Collaboratorio era circondato dalla città di Buna e da terreni di proprietà privata. La città era ancora in rapporti amichevoli con gli scienziati del laboratorio, era perfino fiera di loro, perché di recente avevano portato la città alla ribalta. Ma il laboratorio non poteva requisire la città con la forza delle armi. E poi, tutti i locali in affitto di Buna erano già stati occupati, per cifre esorbitanti, da krew mediatiche europee e asiatiche e da organizzazioni pacifiste e di difesa dei diritti civili non governative.

E così erano in situazione di stallo. Come sempre, era una questione di soldi. E loro non ne avevano. Avevano dimostrato che la ricerca scientifica poteva andare avanti basandosi esclusivamente sul carisma, almeno per un po’, una vita sostenuta dal senso del meraviglioso, come un patto di alleanza siglato per l’eternità. Ma le persone rimanevano pur sempre persone; esaurivano il loro carisma e il senso del meraviglioso divorava i suoi figli. Il bisogno di denaro era una questione seria, sempre presente.

I nervi cominciarono a cedere. Nonostante il battaglione dell’esercito fosse disarmato, Huey considerò correttamente la sua presenza sul confine della Louisiana come una minacciosa provocazione. Scatenò un vero e proprio fuoco di fila di propaganda dai toni isterici, inclusa l’accusa bizzarra, e documentata, che il presidente era un agente degli olandesi da lungo tempo. Come governatore del Colorado e in quanto magnate del legname, il presidente aveva intrattenuto stretti rapporti con gli olandesi durante periodi più felici. A questo proposito, gli uomini di Huey che facevano ricerche sugli avversari avevano compilato voluminosi dossier.

Non funzionò. Soltanto uno schizoide con un grave caso di coscienza bicamerale poteva insinuare che il presidente fosse un agente olandese, visto che aveva appena dichiarato guerra all’Olanda, la flotta della Stati Uniti si avvicinava ad Amsterdam e gli olandesi invocavano aiuto, senza riceverne.

Quella faccenda non solo non approdò a nulla, ma convinse molti indecisi che Huey aveva perso completamente la bussola. Huey era pericoloso e doveva essere allontanato dalla sua carica pubblica a ogni costo. E tuttavia il governatore insistette, addestrando pubblicamente la sua milizia, purgando le sue forze di polizia, ormai allo sbando, giurando vendetta contro un mondo di ipocriti e bugiardi.

La relazione tra Oscar e Greta era giunta a un punto di non ritorno. Iniziarono a litigare sul serio, e in pubblico. In precedenza avevano avuto piccoli litigi, discussioni accese, lievi incomprensioni; ma dopo tante ore, giorni, settimane di difficile lavoro amministrativo, iniziarono a litigare pubblicamente con violenza sul futuro del laboratorio e sul significato dei loro sforzi.

La fine dell’emergenza e l’inizio della guerra rendevano necessaria la creazione di un altro ambiente mediatico. Oscar fece disattivare gli altoparlanti che avevano trasmesso tutte le discussioni del comitato di emergenza. In tempo di guerra, bisognava tacere, perché il nemico poteva essere in ascolto, oppure bisognava parlare di sangue, sudore e lacrime. Era ormai giunto il momento di smettere di indottrinare la gente del Collaboratorio. Sapevano già da che parte stavano e cosa ci fosse in gioco. Adesso dovevano difendere quello che avevano costruito: avrebbero dovuto scendere in trincea con le pale, avrebbero dovuto intonare marce militari.

Eppure non potevano fare una cosa del genere. Potevano soltanto aspettare. La situazione non era più nelle loro mani. Non erano più padroni del loro destino, non avevano più l’iniziativa. La vera lotta stava avvenendo a Washington, a L’Aia, in una flotta di navi da guerra americane che stava attraversando un Atlantico sconvolto dalle tempeste, alla velocità più bassa possibile. La nazione era in guerra.

Non appena si furono rassegnati alla loro irrilevanza, la situazione si invertì improvvisamente. A Buna arrivò il capo della CDIA. Era un Moderatore del Colorado chiamato feldmaresciallo Munchy Menlo. Il suo vero nome era Gutierrez; nella sua lontana gioventù, era stato coinvolto in qualche fucilazione controrivoluzionaria in Colombia e Perù. Una volta tornato alla vita civile, Munchy Menlo era diventato una sorta di anima perduta; aveva iniziato a bere, non era riuscito a mandare avanti una drogheria. Alla fine aveva deciso di unirsi ai Moderatori ed era riuscito a salire molto in alto nella loro gerarchia.

Il feldmaresciallo Munchy Menlo — insisteva caparbiamente nel conservare il suo ‘nome di strada’ — era un militare molto diverso da tutti quelli che Oscar aveva conosciuto in precedenza. Aveva la barba, era franco, parlava poco e dava prova di una notevole modestia. Inoltre irradiava un certo magnetismo tipico degli uomini che hanno ammazzato di persona un mucchio di gente.

Con la proclamazione dello stato di guerra, Oscar scoprì di essere stato promosso; adesso era un membro ufficiale del consiglio per la sicurezza nazionale. Aveva la sua carta d’identità con tanto di ologramma e la sua carta da lettere personale intestata al consiglio e che proclamava a grandi lettere il suo titolo: ‘Vice consigliere per le questioni scientifico-tecniche’. Naturalmente Oscar fungeva da ufficiale di collegamento locale con il feldmaresciallo Menlo. Quando quest’ultimo arrivò da Washington — da solo, su una moto e senza scorta — Oscar lo presentò al comitato di guerra.

Menlo spiegò che era venuto per eseguire una ricognizione del terreno molto discreta. La nuova CDIA stava prendendo in considerazione la possibilità di sferrare un attacco militare oltre il confine della Louisiana.

Il comitato di guerra si era riunito al completo per sentire Menlo. Erano presenti quindici persone, inclusi Greta, Oscar, Kevin, Albert Gazzaniga, tutti i capi dei vari dipartimenti del Collaboratorio, oltre a sei sachem dei Moderatori. Costoro furono deliziati di udire quella notizia. Finalmente, e godendo perfino dell’appoggio del governo federale, stavano per dare ai Regolatori la dura e sanguinosa lezione che si meritavano! Tutti gli altri, ovviamente, rimasero orripilati.

Oscar si alzò per parlare. «Feldmaresciallo, per quanto possa apprezzare i meriti di un raid in Louisiana — un raid lampo… un raid limitato, chirurgico — non riesco a vedere in che modo un attacco militare contro altri cittadini americani possa darci un qualche vantaggio. Per ora Huey conserva le redini del potere nel suo Stato, ma si sta indebolendo. La sua credibilità è a pezzi. E solo questione di tempo prima che il dissenso interno lo costringa a dimettersi.»

«Mmm-hmmm» commentò il feldmaresciallo.

Gazzaniga fece una smorfia. «Odio pensare al trattamento che i media globali riserveranno a dei soldati americani che versano il sangue di altri americani. È una prospettiva agghiacciante. Diamine, praticamente si tratta di una vera guerra civile!»

«Faremmo la figura dei barbari!» esclamò Greta.

«Un embargo economico. Una forte pressione morale. Sovversione via rete, guerra informatica. Ecco come bisogna affrontare un problema del genere» concluse Gazzaniga in tono definitivo.

«Capisco» replicò il feldmaresciallo. «Be’, permettetemi di sollevare un’altra questione trascurabile. Il presidente è molto preoccupato per gli armamenti scomparsi dalla base aerea.»

Loro annuirono. «Sono scomparsi da un bel po’ di tempo» fece notare Oscar. «Non mi sembra una questione molto urgente.»

«Non lo sanno in molti — e ovviamente la notizia non deve uscire da questa stanza — ma la base ospitava una batteria di missili speciali terra-terra a breve gittata.»

«Missili» ripeté Greta in tono meditabondo.

«Le ricognizioni aeree indicano che la batteria di missili è nascosta nella valle del fiume Sabine. Abbiamo ricevuto delle informazioni estremamente attendibili che affermano che quei missili sono stati dotati di testate militari cariche di aerosol.»

«Testate militari al gas?» si stupì Gazzaniga.

«Erano state progettate apposta per sprigionare gas» replicò Menlo. «Aerosol non letali per il controllo delle sommosse. Fortunatamente la gittata di quei missili è molto breve. Soltanto cinquanta miglia.»

«Capisco» affermò Oscar.

«Be’,» replicò Gazzaniga «sono missili non letali e a breve gittata, giusto? E allora qual è il problema?»

«Voi del Collaboratorio siete l’unica base federale che quei missili possano raggiungere.»

Nessuno replicò.

«Mi spieghi come funzionano questi missili» chiese infine Greta.

«Be’, sono stati progettati molto bene» spiegò Menlo. «Sono missili invisibili, sono fatti soprattutto di plastica e si vaporizzano a mezz’aria, diffondendo il loro contenuto in un’esplosione silenziosa. Il loro carico è simile una sorta di nebbiolina: microsfere ricoperte di gelatina. L’agente psicotropo è contenuto in quelle sfere, che si scioglieranno soltanto in un ambiente simile a quello dei polmoni di un essere umano. Dopo alcune ore all’aria aperta, tutte le sfere si raffreddano e il carico diventa inerte. Ma qualsiasi essere umano abbia respirato in quella zona respirerà quella sostanza.»

«Dunque sono come le vaccinazioni spray a breve termine» commentò Oscar.

«Sì. Il principio è molto simile. Penso che adesso vi siate fatti un quadro della situazione.»

«Ma chi è quel pazzo che ha costruito simili ordigni?» chiese Greta in tono rabbioso.

«Be’, gli ingegneri militari per la guerra biologica dell’esercito degli Stati Uniti. Molti di essi lavoravano in questo laboratorio, prima che perdessimo la guerra economica.» Il feldmaresciallo Menio si lasciò sfuggire un sospiro. «Per quanto ne so io, questo tipo di tecnologia non è mai stata usata.»

«Huey userà quei missili per bombardarci» annunciò Oscar.

«Come fa a saperlo?»

«Perché ha assunto quei tecnici per la guerra biologica. Deve averli assunti per un tozzo di pane, qualche anno fa. Poi li ha messi in una di quelle sue miniere. Gas psicotropo — è proprio quello che hanno usato contro la base dell’aeronautica. E le vaccinazioni spray… quelle le ha usate per uccidere le zanzare. Tutto quadra perfettamente. Adesso sappiamo qual è il suo modus operandi.»

«Noi siamo d’accordo con questa valutazione» dichiarò Menlo. «Il presidente gli ha chiesto di restituire quelle armi. Senza alcun esito. Dunque deve avere intenzione di usarle.»

«Qual è la natura della sostanza contenuta nelle microsfere?» chiese Greta.

«Be’, l’ipotesi più probabile è che si tratti di sostanze psicotrope. Se colpissero una città grande come Buna, probabilmente l’intera popolazione impazzirebbe per almeno quarantotto ore. Ma quelle microcapsule possono contenere numerosi agenti aerotrasportati. In effetti, possono contenere quasi tutto.»

«E lei dice che adesso c’è una batteria di quei missili puntati contro di noi?»

Menlo annuì. «Una sola batteria. Venti testate.»

«Stavo pensando» annunciò Gazzaniga, «se venisse sferrato un raid limitato e chirurgico… eseguito non da truppe ufficiali, ma, diciamo, da alcuni veterani travestiti da truppe irregolari dei Moderatori…»

«Questa è una faccenda completamente diversa» intervenne uno dei capi dipartimento.

«Esatto.»

«In effetti questo servirebbe a disinnescare la crisi e ad aumentare la sicurezza generale.»

«Proprio quello che pensavo anch’io.»

«Feldmaresciallo, entro quanto tempo sarà pronto a sferrare l’attacco?»

«Settantadue ore» rispose Menlo.

Ma Huey li bombardò entro quarantotto ore.


Il primo missile superò la cupola del Collaboratorio e atterrò sul limite occidentale di Buna. Una sezione della città delle dimensioni di quattro campi da calcio venne irrorata di una sostanza nera, viscosa e urticante. L’arrivo del biomissile e l’esplosione furono completamente silenziosi. Bisognò attendere le tre del mattino prima che una krew tedesca, che stava facendo bisboccia in un bed-and-breakfast, notasse che le strade, i tetti e le finestre della città erano coperti da una sottile polvere simile a catrame.

La reazione fu un’isteria di massa. Di recente gli haitiani tenuti in prigione a Washington avevano fatto scalpore sui mezzi d’informazione. E la gente non aveva certo dimenticato l’attacco con i gas psicotropi contro la base aerea. Ovviamente, le notizie rivelate dal feldmaresciallo Menlo durante la riunione del comitato di guerra erano trapelate — non in via ufficiale, ma come voce. Di fronte a quella oscura manifestazione dei loro timori più neri, la popolazione di Buna perse la testa. Furono riferiti casi di prurito, ustioni, svenimenti e convulsioni. Molti di quelli colpiti affermavano di avere acquisito una coscienza bicamerale, la seconda vista, o perfino la telepatia.

Una coraggiosa krew del Collaboratorio indossò dei respiratori di emergenza e si precipitò sul sito dell’attacco con i gas. Raccolsero dei campioni e tornarono indietro — riuscirono a superare a stento la folla terrorizzata di cittadini di Buna che si accalcava contro le entrate del laboratorio, nel disperato tentativo di raggiungere la salvezza della cupola a tenuta stagna. Davanti alle porte del Collaboratorio scoppiarono tumulti incresciosi; intere famiglie vennero separate nella calca, mentre le donne sollevavano i loro bambini e invocavano salvezza e pietà.

Alle dieci del mattino, un esame di laboratorio eseguito su quella specie di catrame nero rivelò che si trattava di vernice. Era una sostanza polimerica nera e atossica, contenuta in una nebbia di microcapsule di gelatina. Non c’era alcuna traccia di qualsiasi agente psicotropo. I casi di follia scoppiati tra la folla erano semplicemente dovuti a una suggestione di massa. Il missile era soltanto un silenzioso palloncino riempito di vernice, un colpo di avvertimento, una prova beffarda di umorismo nero.

Il raid della CDIA oltre il confine della Louisiana venne cancellato, perché la batteria di missili era stata spostata; ma la notizia peggiore fu che al suo posto erano comparse nuove batterie fasulle. Erano ospitate in fattorie e città ubicate in tutta la Louisiana, oppure si spostavano continuamente su camion precedentemente adibiti al trasporto dei gamberi.

Nonostante le analisi scientifiche avessero dimostrato che si trattava di vernice, una larga percentuale della popolazione rifiutò semplicemente di crederci. I governi federale e statale annunciarono ufficialmente che si trattava di vernice; e così fece il consiglio comunale di Buna, ma gli abitanti si rifiutarono di accettare quella versione dei fatti. Le persone era terrorizzate e terribilmente paranoiche — ma molti sembrarono bizzarramente esaltati da quell’incidente.

Nei giorni seguenti fiorì un mercato dei campioni di vernice, che vennero rapidamente distribuiti in tutto il paese e venduti ai gonzi in piccole fiale dai coperchi di plastica. Centinaia di persone arrivarono spontaneamente a Buna, ansiose di grattare un po’ di vernice e di annusarla. Un buon numero di guarigioni miracolose vennero attribuite all’uso di quella sostanza. La gente iniziò a scrivere lettere aperte al governatore della Louisiana, implorandolo di bombardare anche le loro città con il ‘gas della liberazione’.

Huey negò di essere a conoscenza della presenza di qualsiasi missile in Louisiana. Negò strenuamente di avere qualcosa a che fare con la vernice nera. Si prese gioco dei comportamenti ridicoli della popolazione impazzita per la guerra — il che non richiedeva un grosso sforzo — e insinuò che questo dimostrava che il governo federale aveva perso il controllo della situazione. I due senatori di Huey erano già stati espulsi dal Senato, che si stava comportando con una decisione di cui non dava prova da anni, ma questo permise a Huey di disinteressarsi completamente di Washington.

Dopo il primo attacco missilistico, l’umore di Huey peggiorò drasticamente. Uno dei suoi uomini più fidati aveva piazzato una valigetta esplosiva all’interno della residenza del governatore. Huey si fratturò il braccio sinistro nell’esplosione e due dei suoi senatori statali rimasero uccisi. Non si trattava del primo complotto contro la vita di Huey; non era certo il primo tentativo di farlo fuori, ma fu quello che si avvicinò di più all’obiettivo.

Naturalmente tutti i sospetti caddero sul presidente. Oscar dubitava che Two Feathers sarebbe sceso così in basso da ricorrere a una tattica tanto rozza e arcaica. Il fallito tentativo di omicidio non fece altro che rafforzare il potere di Huey — e la sua vendetta si abbatté fulminea sugli abitanti della Louisiana, e in particolare sulla gerarchia dei Regolatori. Ovviamente erano gli abitanti dello Stato che avevano le ragioni migliori per uccidere il loro leader, che, per inseguire la propria ambizione, aveva gettato il proprio Stato in una lotta senza speranza contro l’intera Unione. Il futuro sembrava particolarmente cupo per i Regolatori — i capri espiatori preferiti di Huey — se e quando avrebbero dovuto affrontare la vendetta federale. I Regolatori che vivevano al di fuori dei confini della Louisiana — e ce n’erano molti — stavano iniziando a capire da quale parte tirasse il vento e si stavano arruolando in massa nella CDIA del presidente, che godeva di una quasi legittimità. Huey era stato buono con i prolet, li aveva trasformati in una forza politica con cui fare i conti — ma perfino i prolet capivano una politica di potenza. Perché cadere con un governatore, quando potevano salire con un presidente?

L’attacco missilistico ebbe un’unica conseguenza profonda e duratura. Scosse il Collaboratorio dal suo senso di impotenza. Adesso divenne chiaro a tutti che la guerra era davvero iniziata. La vernice nera era stato il primo colpo, e c’erano molte probabilità che la città di Buna venisse colpita sul serio con i gas. La prospettiva di soffocare in una silenziosa nebbia nera, circondati da vicini impazziti — be’, quella prospettiva era servita a schiarire le idee della gente in maniera quasi miracolosa.

Il Collaboratorio era a tenuta stagna. Era al sicuro da un attacco con i gas; ma non poteva ospitare tutti.

La risposta più ovvia era quella di lanciare una sortita architettonica. La protezione della cupola avrebbe dovuto essere estesa a tutta la città.

I piani di costruzione vennero immediatamente rispolverati. Improvvisamente il denaro e diritti di passaggio non costituirono più un problema. Abitanti del luogo, vagabondi, soldati, scienziati, Moderatori, uomini, donne e bambini, tutti si unirono nello sforzo.

Tutte quelle fazioni avevano idee diverse su come affrontare il problema. I Moderatori nomadi volevano costruire grandi tendoni e teepee. Gli abitanti di Buna preferivano le loro serre per l’agricoltura biologica. I soldati, addestrati per intervenire in caso di disastri ecologici, erano esperti in sacchetti di sabbia, prefabbricati, cucine da campo, latrine e riserve di acqua potabile. Da parte loro, i tecnici del Collaboratorio svilupparono un’insana passione per i piani di Alcott Bambakias. Gli scienziati erano abituati da molto tempo alla sicurezza della cupola blindata, ma non era mai passato loro per la mente che la rigida sostanza del loro rifugio potesse trasformarsi in una serie di reti poco costose, intelligenti e infinitamente duttili. Si trattava di architettura effimera, di strutture simili a tela di ragno imbevuta di rugiada: intelligenti, ipersensibili e in perenne mutamento. Non sembravano esserci limiti alla scala delle costruzioni. La cupola poteva diventare un fluido vivente, una sorta di ameba decentrata e membranosa.

La cosa più ragionevole sarebbe stata soppesare le alternative con attenzione, tenere udienze sulla sicurezza, bandire gare d’appalto e poi, finalmente, dare il via a un grande progetto edilizio. Il sindaco di Buna, una donna di mezza età animata dalle migliori intenzioni e che era diventata ricca con i fiori di serra, fece uno sforzo sincero per ‘esercitare il controllo’.

Poi arrivarono altre due bombe alla vernice. Questa volta furono lanciate con una mira migliore. Colpirono in pieno il Collaboratorio — in effetti, si trattava di un bersaglio molto grande — e sporcarono le lastre del vetro con la solita sostanza nera. La luce interna della cupola divenne fioca e inquietante, la temperatura diminuì, le piante e gli animali iniziarono a soffrire e le persone divennero cupe e rabbiose. Di fronte a questo insulto diretto, la volontà di resistere si irrigidì drasticamente. Adesso si trattava di una questione personale — gli abitanti del Collaboratorio potevano vedere con i propri occhi la sostanza nerastra scagliata contro di loro, che insozzava le lastre di vetro sulle loro teste.

Tutti i dibattiti cessarono. Non c’era più tempo per parlare, la decisione fu un fatto compiuto. Tutti iniziarono semplicemente a contribuire con tutto quello che potevano e trascurarono qualsiasi altro compito. Quando i progetti si sovrapponevano, oppure interferivano tra loro, si cancellava quello più piccolo e si costruiva quello più grande. La città di Buna come l’avevano conosciuta i suoi abitanti cessò semplicemente di esistere. La cupola produsse delle metastasi; estroflesse giganteschi contrafforti degni di un quadro di Dalí. Le serre di Buna si collegarono spontaneamente, formando una serie infinita di bastioni e di tunnel. Gli isolati della città si trasformarono nel giro di una notte in campi scintillanti di bolle di sapone di plastica. Cripte di mattoni a tenuta stagna e rifugi spuntarono come funghi dappertutto.

Huey scelse esattamente quel momento per lanciare un attacco ben documentato contro Oscar e Greta. Questa volta fu impossibile negare. Si trattò di un affare sordido e doloroso, ma il tempismo di Huey non avrebbe potuto essere peggiore. In tempo di pace, sarebbe stato politicamente disastroso che si venisse a sapere che un machiavellico consigliere di campagne elettorali (e per giunta di dubbia origine genetica) aveva diabolicamente installato la sua fidanzata come il quasi-dittatore di un laboratorio scientifico federale, mentre lei lo ripagava con favori sessuali in una casa in riva al mare in Louisiana.

A Washington, la notizia destò un certo allarme; i soliti critici pubblicarono qualche prevedibile reprimenda; furono intervistati degli scienziati anziani, che dichiararono che era una vera vergogna vedere una donna che si serviva del sesso per giungere in cima. Ma a Buna vigeva lo stato di guerra. La rivelazione, che a Buna non era una rivelazione per nessuno, venne considerata come una di quelle storie d’amore tipiche del tempo di guerra. Tutto venne istantaneamente perdonato. Oscar e Greta furono praticamente costretti a gettarsi l’uno nella braccia dell’altra dalla pura e semplice pressione dell’opinione pubblica.

Grazie alla tensione dello stato di guerra, antiche barriere sociali saltarono completamente. Le relazioni come quella tra Oscar e Greta si diffusero come la varicella: facevano sesso scienziati, donne dei Moderatori, affascinanti giornalisti europei, abitanti di Buna, perfino i militari. Era semplicemente troppo chiedere a degli esseri umani di lavorare spalla a spalla e guancia a guancia sotto la minaccia costante di un terribile attacco con i gas e, nello stesso tempo, evitare di fare sesso con degli sconosciuti.

E poi lo stavano facendo anche i loro capi. Improvvisamente questa divenne una sorta di dichiarazione pubblica della forza inaspettata della loro società. Era ovvio che violassero le regole ogni persona sana di mente stava facendo lo stesso, era a quello che servivano tutti quegli sforzi. Era ovvio che il direttore del laboratorio stesse facendo del sesso bollente con il politico dal corredo genetico difettoso. Greta era la loro Giovanna d’Arco, la sposa rivestita dell’armatura delle guerre scientifiche.

Le persone ci scherzavano perfino sopra. Le barzellette venivano fedelmente riferite a Oscar da Fred Dillen, uno degli ultimi membri della sua krew a essere rimasti con lui, uno di quelli convinti che le barzellette politiche potevano rivelarsi molto utili.

Fred raccontò a Oscar una delle barzellette che avevano come protagonisti lui e Greta.

«Allora, Greta e Oscar se lo sono battuta di nascosto in Louisiana per fare sesso al centro di una palude. E così noleggiano una barca e remano fino al centro del nulla, dove non ci sono spie o dispositivi di sorveglianza. Oh, allora iniziano a darci dentro come matti, ma Oscar si eccita troppo, cade nell’acqua e non torna più a galla.

«A questo punto Greta torna remando da sola e tenta di farsi aiutare da qualche cajun delle paludi, però di Oscar nessuna traccia. E così aspetta un’intera settimana e alla fine i cajún vanno di nuovo da lei. ‘Be’, dottoressa Penninger, abbiamo una buona notizia e una cattiva’.

«‘Ditemi prima quella cattiva ‘.

«‘Be’, abbiamo trovato il suo ragazzo, il mostro genetico, ma temiamo che sia annegato’.

«‘Oh, ma questa è una notizia terribile. Si tratta dì una notizia davvero terribile. È tremendo. È la notizia peggiore che potevate darmi’.

«‘Be’, non è poi così cattiva; quando lo abbiamo tolto dal fango, abbiamo anche pescato due sacchi di enormi granchi azzurri!’

«‘Bene, almeno avete trovato la sua povera salma… Dove avete messo il mio fidanzato?’

«‘Be’, ci perdoni, signora, ma non abbiamo mai preso tanti granchi prima di adesso, e così abbiamo pensato di lasciarlo a mollo un altro giorno in più!’»

Era una bella barzelletta politica per una comunità tanto piccola — specialmente se si analizzavano i suoi sottintesi. Come molte barzellette politiche, esprimeva un’aggressività deviata; in quel caso, l’aggressività contro di lui veniva data in pasto ai granchi. La barzelletta divenne molto popolare e questo era molto significativo. E poi la battuta finale era molto chiara: Oscar era apprezzato. Le persone non lo temevano o lo odiavano quanto temevano od odiavano Huey. Lui era sia un politico che un mostro, eppure la gente era giunta a simpatizzare per lui in maniera strana, sotterranea.

Oscar aveva raggiunto il massimo della sua reputazione pubblica. La prova fu quando al presidente venne chiesto un parere sullo scandalo — e sul ruolo di Oscar all’interno dei consiglio nazionale per la sicurezza. Era l’occasione buona per gettarlo fuoribordo e darlo in pasto ai granchi: ma il presidente scelse di comportarsi diversamente. Fece notare — abbastanza correttamente — che un uomo non poteva farci nulla se era un prodotto di un laboratorio genetico illegale messo su dalla mafia Colombiana. Il presidente aggiunse che gli sembrava un’ipocrisia pretendere che un uomo del genere dovesse attenersi a standard restrittivi di comportamento sessuale, specialmente quando altre personalità pubbliche avevano scelto deliberatamente di farsi manipolare il tessuto cerebrale. Infine il presidente dichiarò che anche lui era un ‘essere umano’ e che, ‘in quanto essere umano’, quando vedeva due innamorati perseguitati, lo spettacolo gli faceva ‘saltare la mosca al naso’.

Subito dopo la conferenza stampa ritornò alla questione più scottante, la guerra contro gli olandesi, ma la battuta del presidente ebbe un ottimo effetto. Alcuni segmenti demografici stavano allarmandosi per le tattiche violente e la feroce caccia politica agli avversari interni del presidente. Quella improvvisa rivelazione di un lato sentimentale di Two Feathers costituì un’eccellente mossa tattica.

Oscar stava toccando il culmine della propria carriera. Il presidente aveva giocato pubblicamente la sua carta. Riflettendo sulla faccenda, Oscar capì cosa significasse davvero: ormai era bruciato. Aveva avuto il suo momento di gloria in quel giro di poker, era stato calato — come una carta non molto alta — sul tavolo da gioco. Se fosse stata giocata di nuovo, sarebbe stata segnata. Era tempo di rientrare nel branco.

E dunque: hic et non ultra. Il letale sottinteso della dichiarazione del presidente glielo aveva fatto capire molto chiaramente. Oscar era un uomo utile, perfino simpatico. Ma, a un livello più profondo, non ci si poteva fidare di lui. Non sarebbe mai diventato un pilastro dello Stato americano.

A Buna, Oscar ricopriva un ruolo sempre meno importante. Era stato un agitatore, un istigatore e un’eminenza grigia, ma non avrebbe mai potuto diventare un re. Adesso Greta poteva sfruttare la sua fama. Aveva lanciato un appello pubblico per avere aiuto e soccorso, e il suo grido di aiuto suscitò un moto popolare a livello nazionale. Bombe o non bombe, Huey o non Huey, presidente o non presidente, Buna divenne la prima metropoli dell’effetto serra, si trasformò in un magnete intellettuale per ogni specie di sognatori, fachiri, studenti falliti, tecnici disoccupati, emarginati; per ogni guru, ogni tizio strambo in costume, teorico eccentrico e collezionista di insetti; per ogni maniaco delle intercettazioni, costruttore di modellini di razzo o goffo simulatore; per ogni pirata informatico dalla mente annebbiata dal troppo codice, per ogni architetto; per tutti coloro che, in breve, erano stati retrocessi, dimenticati ed esclusi a causa della disgustosa imposizione della loro società che costringeva le loro meravigliose idee a essere per forza sfruttabili da un punto di vista commerciale.

Con tutto quel lievito intellettuale, perfino la terra sarebbe cresciuta. Alcuni di coloro che arrivavano erano nemici. Alcuni piromani diedero fuoco alla cintura verde che circondava la città; i pini ricchi di linfa bruciarono come fiammiferi e un’orribile nube di fumo inquinò il Texas per molte miglia sottovento. Ma quando le fiamme si spensero, la nuova società andò sugli acri anneriti e li consumò completamente. Nei dispositivi biotecnologici dei nomadi, gli alberi venivano digeriti meglio se erano parzialmente bruciati. La cenere conteneva sostanze minerali vitali. Una foresta bruciata e annerita era come il nido della fenice per la prima genuina società del dopo effetto serra.

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