TYRION

Le lenzuola gli grattavano la pianta dei piedi nudi. «Mio cugino ha scelto un’ora ben strana per venire a farmi visita» disse Tyrion Lannister a Podrick Payne, ancora intontito dal sonno, il quale certamente si aspettava di essere bruciato sul rogo per aver svegliato il suo signore nel cuore della notte. «Fallo accomodare nel mio solarium e digli che sarò da lui tra poco.»

A giudicare dal buio fitto fuori della finestra, la mezzanotte doveva essere passata da un pezzo. “Che cosa pensa Lancel, che a quest’ora io sia assonnato e rimbecillito?” si domandò. “No, Lancel non pensa. Qui c’è lo zampino di Cersei.” Sua sorella stava per ricevere una cocente delusione. Anche se era a letto, Tyrion andava avanti a lavorare fino all’alba e oltre, leggendo alla luce tremolante delle candele, valutando i rapporti degli informatori di Varys, esaminando i conteggi economici di Ditocorto fino a quando la vista gli si annebbiava e gli occhi gli bruciavano.

Si gettò acqua tiepida in faccia dal bacile accanto al letto e se la prese comoda, accovacciato sul pitale, nel fare i suoi servizi, lasciando che la fredda aria notturna gli scivolasse sul corpo. Ser Lancel aveva sedici anni e non era rinomato per la sua pazienza. Che aspettasse pure, e che diventasse sempre più nervoso. Una volta che le sue viscere furono sgombre, Tyrion indossò una vestaglia e si arruffò con le dita gli esili capelli biondicci. Voleva dare l’impressione di essersi appena svegliato.

Lancel passeggiava nervosamente di fronte alle ceneri spente del camino. Indossava un farsetto di velluto rosso a coste sopra una camicia di seta nera. Dal cinturone della spada, pendeva un fodero dorato da cui sporgeva l’impugnatura tempestata di gioielli di una daga.

«Caro cugino» esordì Tyrion, entrando. «Troppo rare sono le tue visite. A che cosa devo questo immeritato piacere?»

«Sua maestà la regina reggente mi ha inviato qui per comandarti di rilasciare il gran maestro Pycelle.» Ser Lancel tese a Tyrion una pergamena chiusa da un nastro rosso, con il sigillo a forma di testa di leone di Cersei impresso in ceralacca dorata. «Eccoti il suo ordine scritto.»

«Ah, è così.» Tyrion allontanò il documento con un gesto noncurante. «Spero che la mia dolce sorella, a cpsì pochi giorni dalla sua malattia, non si stia sottoponendo a eccessivi sforzi. Sarebbe un vero peccato se dovesse soffrire una ricaduta.»

«Sua maestà si è rimessa perfettamente» rispose ser Lancel in tono secco.

«Musica per le mie orecchie.» “Ma non la musica che mi sarebbe piaciuto sentire. Avrei dovuto darle una dose più massiccia.” Tyrion aveva sperato di poter avere qualche altro giorno senza interferenze da parte di Cersei, ma non fu comunque granché sorpreso dalla sua pronta guarigione: era, dopo tutto, la gemella di Jaime. Il Folletto si prodigò in un sorriso accattivante. «Pod, accendi il fuoco, fa troppo freddo per i miei gusti. Gradiresti una coppa di vino di verbasco, Lancel? Trovo che concili meravigliosamente il sonno.»

«Non ho bisogno di alcun aiuto per dormire» ribatté ser Lancel. «Sono venuto qui in vece di sua maestà, e non per bere con te, Folletto.»

Da quando era diventato cavaliere, il ragazzo era decisamente più arrogante, rifletté Tyrion. «Il vino in effetti contiene i suoi pericoli.» Tyrion sorrise, versandolo solo per sé. «Tornando al gran maestro Pycelle… se la mia dolce sorella è tanto preoccupata per lui, e visto che ora sta meglio, perché non è venuta da me di persona? Invece ha mandato te: che cosa dovrei dedurre da ciò?»

«Deduci quello che ti pare, basta che tu rilasci il prigioniero. Il gran maestro è un fidato amico della regina reggente, e si trova sotto la sua protezione.» C’era l’ombra di un sogghigno sulle labbra del ragazzo. Chiaramente, provava piacere in quel suo nuovo ruolo. “Prende lezioni da Cersei, il bamboccio?” «Sua maestà non ha alcuna intenzione di avallare un simile oltraggio. Ti ricorda che è lei la reggente di re Joffrey.»

«Così come io sono il Primo Cavaliere di re Joffrey.»

«Il Primo Cavaliere serve» dichiarò il giovane cavaliere con aria strafottente. «La reggente comanda fino a quando il re non avrà raggiunto l’età per governare.»

«Perché non me la scrivi questa frase, Lancel? Così me la ricorderò meglio.» Nel caminetto, adesso il fuoco scoppiettava allegramente. Tyrion si rivolse al suo scudiero. «Grazie, Pod. Puoi lasciarci.» Attese che il ragazzo se ne fosse andato prima di rivolgersi nuovamente a Lancel. «C’è dell’altro?»

«Sua maestà mi ordina d’informarti che ser Jacelyn Bywater ha disobbedito a un ordine impartitogli in nome del re.»

“Il che significa che Cersei ha ordinato a Bywater di rilasciare Pycelle e lui ha rifiutato.” «Capisco.»

«Sua maestà insiste perché quell’insubordinato ufficiale venga rimosso dal suo incarico e posto agli arresti per tradimento. Ti avverto…»

Tyrion allontanò bruscamente la coppa. «Non accetto avvertimenti da te, ragazzino.»

«Ser!» sibilò Lancel con fermezza, sfiorando l’elsa della sua spada, quasi a ricordare a Tyrion che ne aveva una. «Attento a come ti rivolgi a me, Folletto.»

Di certo voleva farla suonare come una minaccia, ma i suoi assurdi e patetici baffetti rovinarono l’effetto.

«Oh, tirala pure fuori quella spada… Una sola parola da parte mia e Shagga verrà qui dentro a ucciderti. E non con un’otre di vino, ma con un’ascia.»

Lancel divenne color porpora. Era davvero cretino al punto di pensare che la sua complicità nella morte di Robert fosse passata inosservata? «Io sono un cavaliere…»

«Certo, certo. Ma dimmi, ser… il cavalierato Cersei te lo ha concesso prima o dopo averti portato a letto?»

Il lampo negli occhi di Lancel fu la conferma di cui Tyrion aveva bisogno. Varys aveva detto il vero. “Be’, quanto meno non si potrà mai dire che la mia cara sorellina non ami la sua famiglia.” «Non hai più niente da dire, ser? Nessun altro avvertimento da darmi?»

«Tu ritirerai queste luride accuse, Folletto, o io…»

«O tu cosa, giovane imbecille? Hai una sia pura vaga idea di che cosa re Joffrey potrebbe farti se io gli dicessi che hai assassinato suo padre per giacere con sua madre?».

«No!» protestò Lancel, inorridendo. «Non è affatto andata così!»

«E allora come è andata?»

«È stata la regina! Mi ha dato lei il vino liquoroso! E tuo padre in persona, lord Tywin, quando sono stato investito cavaliere, mi ha ordinato di obbedirla in ogni suo desiderio.»

«Ti ha anche ordinato di chiavartela?» “Ma tu guardalo… non è poi così alto, non ha lineamenti raffinati, i capelli sono come sabbia e non come oro fino, eppure… per Cersei, anche una scadente copia di Jaime è sempre meglio di un letto vuoto, immagino.” «No, quello non credo te lo abbia ordinato.»

«Io non ho mai voluto… Ho solo fatto come mi è stato ordinato, io…»

«Hai di sicuro odiato ogni istante di quell’arduo dovere, è questo che vorresti farmi credere? Un alto posto a corte, il cavalierato, mia sorella a gambe aperte ogni notte, oh, me l’immagino, quale terribile esperienza dev’essere stata per te.» Tyrion si alzò. «Aspetta qui, ser. Sua maestà il re ha il diritto di saperlo.»

Improvvisamente, tutta la sicumera di ser Lancel era venuta meno. Il giovane cavaliere crollò in ginocchio piagnucolando, da quel ragazzino terrorizzato che in realtà era: «Pietà, mio lord, t’imploro».

«Risparmiale per Joffrey, le tue implorazioni. Lui le adora.»

«Mio lord, è stato il volere di tua sorella, la regina, proprio come tu dici, ma sua maestà Joffrey… lui non capirebbe mai…»

«Sono sconvolto!» Tyrion dovette compiere uno sforzo per non ridergli in faccia. «Ora vorresti che io celassi una simile turpe verità al nostro sovrano!»

«Nel nome di mio padre, ti supplico! Lascerò la città, sarà come nulla fosse mai accaduto! Lo giuro, io porrò fine…»

«Porre fine? Lo escludo.»

«Mio lord?» Lancel Lannister era disorientato.

«Hai sentito bene. Lord Tywin ti ha detto di obbedire a mia sorella, no? Magnifico: tu continuerai a farlo. Le starai vicino, conserverai la sua fiducia, le darai piacere tutte le volte che lei lo richiederà. Nessuno dovrà mai saperlo… a patto che tu sia fedele a me. Voglio sapere esattamente tutto quello che fa Cersei: dove va, chi vede, di che cosa parla, quali piani sta tramando. Tutto. E tu sarai colui che verrà a riferirmi ogni cosa, vero?»

«Sì, mio lord.» Non ci fu nemmeno un’ombra di esitazione nella risposta di Lancel, e Tyrion ne fu soddisfatto. «Lo farò. Lo giuro. Come tu comandi.»

«Alzati.» Tyrion riempì una seconda coppa e gliela spinse tra le dita. «Un brindisi al nostro accordo. E ti garantisco: non ci sono insidiosi cinghiali qui nella Fortezza Rossa… che io sappia.» Anche se un po’ rigido nei movimenti, Lancel sollevò la coppa. «Sorridi, cugino. Mia sorella è una bellissima donna. E poi, è tutto per il bene del reame, giusto? Inoltre, potresti ricavarne ottimi vantaggi per la tua posizione. Il cavalierato? Sciocchezze. Se giocherai d’astuzia, avrai da me il titolo di lord ancor prima che l’avventura si sia conclusa.» Tyrion fece ondeggiare il vino nella coppa. «Voglio che Cersei continui a nutrire piena fiducia in te. Torna da lei e dille che imploro il suo perdono. Dille che mi hai spaventato a morte, che non voglio nessun conflitto tra lei e me e che quindi non farò nulla senza il suo consenso.»

«Ma… e le sue richieste?»

«Oh, le consegnerò Pycelle, certo.»

«Lo farai?» Lancel pareva sbalordito.

«Lo rilascerò domattina.» Tyrion sorrise. «Potrei spergiurare che non gli è stato torto un capello, ma la cosa non risponderebbe proprio a verità. In ogni caso, è in condizioni abbastanza buone, per quanto non scommetterei sul suo vigore fisico. Le celle oscure non sono ciò che si direbbe un luogo consono a un uomo di quell’età. Cersei può tenerselo come leccapiedi oppure mandarlo sulla Barriera, non m’importa che fine farà il gran maestro Pycelle, ma non lo voglio nel Concilio ristretto.»

«E ser Jacelyn?»

«Dirai a mia sorella che ritieni di poter fare in modo che io me ne sbarazzi. Col tempo. Questo dovrebbe darle un giusto contentino.»

«Come comandi.» Lancel finì il suo vino.

«Un’ultima cosa. Con re Robert nella tomba, sarebbe quanto mai imbarazzante se la sua inconsolabile vedova si ritrovasse tutto d’un colpo gravida.»

«Mio lord, io… noi… Ecco, la regina mi ha ordinato di non…» Le orecchie di Lancel divennero del color porpora dei Lannister. «Io verso il mio seme sul suo ventre, mio lord…»

«E quale grazioso ventre è il suo, senza dubbio. Annaffialo pure tutte le volte che vuoi… ma assicurati che la rugiada non vada a cadere nei posti sbagliati. Non voglio altri nipoti, sono stato chiaro?»

Ser Lancel fece un rigido inchino e si dileguò.

Tyrion si concesse un momento per sentirsi quasi dispiaciuto per il ragazzo. “Un altro idiota, e anche un debole, ma non merita quello che Cersei e io gli stiamo facendo.” Era una fortuna che suo zio Kevan di figli ne avesse altri due, perché questo difficilmente sarebbe arrivato alla fine dell’anno. Se Cersei avesse scoperto che Lancel la stava tradendo, gli avrebbe fatto tagliare la gola in un battito di ciglia. Se invece, in virtù di chissà quale imperscrutabile miracolo degli dei, questo non fosse accaduto, gliel’avrebbe tagliata Jaime nel preciso istante in cui avesse rimesso piede ad Approdo del Re. L’unico interrogativo era se sarebbe stato Jaime a sventrarlo nel furore della gelosia, o se invece Cersei avrebbe fatto assassinare prima il giovane fesso, in modo da impedire che Jaime scoprisse la loro tresca. Tyrion puntava su Cersei.

Ma Tyrion continuava a essere inquieto. Sapeva fin troppo bene che non sarebbe più riuscito a prendere sonno, quella notte. “E comunque, non qui.” Trovò Podrick Payne che dormiva sulla sedia appena fuori del solarium e lo svegliò scuotendolo per la spalla. «Va’ a chiamare Bronn. Poi scendi nelle stalle e fai sellare due cavalli.»

Gli occhi del ragazzo erano annebbiati: «Cavalli…».

«Ma sì, quei grossi animali di colore marrone a cui piacciono tanto le mele. Sono certo che ne hai visto qualcuno: quattro zampe, coda, criniera. Ma prima, chiama Bronn.»

Il mercenario non ci mise molto ad apparire. «Chi ti ha pisciato nella minestra?» domandò d’acchito.

«Indovina.»

«Cersei?»

«L’hai detto. A questo punto, dovrei essermi abituato al gusto… be’, lascia perdere. La mia dolce sorella sembra avermi scambiato per Ned Stark.»

«Ho sentito dire che era più alto.»

«Non dopo che Joffrey gli ha fatto tagliare la testa. Avresti dovuto vestirti più caldo, Bronn, la notte è fredda.»

«Andiamo da qualche parte?»

«Tutti i mercenari sono astuti come te?»


C’era sempre il pericolo in agguato nella strade di Approdo del Re, ma con Bronn al suo fianco, Tyrion si sentiva al sicuro quanto bastava. Le guardie lo lasciarono uscire da una postierla nelle mura nord del castello. Raggiunsero la strada delle Ombre Nere, ai piedi dell’alta collina di Aegon. Da là, svoltarono nella via dei Maiali in Fuga, superando file e file di finestre sbarrate e alti edifici di tronchi e pietra, i cui piani superiori erano così inclinati da dare quasi l’impressione che le pareti delle facciate opposte si stessero baciando. La luna sembrava seguirli a ogni passo, giocando a nascondino fra i camini. L’unica persona che incontrarono fu una solitaria vecchietta avvizzita, intenta a trascinare un gatto morto tenendolo per la coda. L’anziana donna lanciò loro un’occhiata piena di paura, quasi temesse che i due uomini a cavallo intendessero rubarle la cena. Poi, senza dire una parola, scivolò nelle tenebre.

Tyrion ripensò agli uomini che lo avevano preceduto nella carica di Primo Cavaliere del re. Tutti uomini che avevano perduto la partita contro la determinazione e i complotti di sua sorella. “E come poteva essere diversamente? Uomini come loro… troppo onesti per sopravvivere, troppo nobile per affondare le mani nella merda. Stolti del genere, Cersei li divora ogni mattina per colazione. C’è un solo modo per sconfiggere mia sorella: giocare al suo stesso gioco. E questo, lord Arryn e lord Stark non sarebbero mai stati capaci di farlo.” Nessuna meraviglia se erano morti entrambi, mentre Tyrion Lannister non si era mai sentito così vivo. Le sue gambette deformi lo rendevano forse inadeguato ai balli della festa del raccolto, ma questo gioco lo conosceva alla perfezione.

A dispetto dell’ora tarda, il bordello era affollato. Chataya li accolse cordialmente e li condusse nella sala comune. Bronn salì al piano di sopra insieme a una ragazza dagli occhi scuri originaria di Dorne. Alayaya, però, in quel momento stava intrattenendo un altro cliente.

«Sarà molto lieta di sapere che sei venuto, mio lord» disse Chataya. «Farò approntare per te la stanza nella torre. Nell’attesa, gradisce il mio lord una coppa di vino?»

«Senz’altro.»

Il vino era roba da poco a confronto delle vendemmie di Arbor che venivano servite di solito in quella raffinata casa. «Dovrai perdonarci, mio lord» si scusò Chataya. «Di questi tempi, è diventato molto difficile trovare buon vino a un prezzo decente.»

«Di questi tempi, è diventato molto difficile trovare qualsiasi cosa a un prezzo decente, temo.»

Chataya continuò a compiangersi con lui per qualche altro momento, quindi, con licenza, si congedò. “Donna attraente” riconobbe Tyrion osservandola allontanarsi. Ben di rado aveva visto una simile eleganza e una simile dignità in una puttana. Indubbiamente però, Chataya vedeva se stessa più come una sorta di sacerdotessa. “Forse è quello il segreto: non tanto che cosa facciamo, quanto perché lo facciamo.” Un pensiero che in qualche modo contribuì a confortarlo.

Alcuni clienti gli stavano scoccando occhiate di sottecchi. L’ultima volta che si era avventurato fuori della Fortezza Rossa, un uomo gli aveva sputato addosso… in realtà, ci aveva solo provato, ma aveva mancato il bersaglio, sputando su Bronn. Il suo prossimo sputo, quell’idiota lo avrebbe lanciato senza denti.

«Milord si sente forse trascurato?» Dancy gli scivolò sulle ginocchia, leccandogli il lobo di un orecchio. «Ho io la cura giusta.»

«Sei bellissima, mia dolcezza…» Sorridendo, Tyrion scosse il capo. «Ma di recente è la cura di Alayaya che preferisco.»

«Ma non hai mai provato la mia. Milord non sceglie mai nessuna al di fuori di ’Yaya. Lei è brava, certo, ma io sono ancora meglio. Sicuro di non voler vedere?»

«La prossima volta, forse.»

Tyrion non aveva dubbi che Dancy fosse appetibile: aveva il nasino all’insù ed era piena di vita, con tante lentiggini e serici capelli rossi che le scendevano fino a metà schiena. Lui però aveva Shae ad aspettarlo alla magione.

Ridacchiando, Dancy gl’infilò una mano tra le gambe e diede una strizzata attraverso la stoffa delle brache. «Mmmm, non direi che lui vuole aspettare fino alla prossima volta» dichiarò. «Credo anzi che vuole venire fuori a contare tutte le mie lentiggini.»

«Dancy.» C’era Alayaya sulla soglia, scura e splendida in seta verde trasparente. «Il lord è me che viene a visitare.»

Delicatamente, Tyrion si staccò dalla ragazza con i capelli rossi e si alzò. Dancy non parve troppo delusa: «La prossima volta» gli ricordò. Poi si mise un dito tra le labbra e lo succhiò.

La ragazza dalla pelle nera lo condusse su per le scale: «Povera Dancy» disse. «Ha solo un ciclo di luna per indurre milord a scegliere lei al mio posto. Altrimenti, finirà con il dover cedere le sue perle nere a Marei.»

Marei era una ragazza eterea e delicata, che Tyrion aveva notato un paio di volte. Una bellezza dagli occhi verdi e dalla carnagione di porcellana, con lunghi, lisci capelli argentei, decisamente adorabile ma anche terribilmente solenne. «Quanto sarei addolorato di fare perdere le sue perle a quella cara fanciulla.»

«E allora porta lei al piano di sopra la prossima volta.»

«Forse lo farò.»

Alayaya sorrise: «Non ci credo, milord».

“Ha ragione” riconobbe Tyrion. “Non lo farò. Shae sarà anche solo un’altra puttana, ma a modo mio, le sono fedele.”

Nella stanza della torre, il Folletto gettò uno sguardo ad Alayaya prima di aprire la porta del guardaroba e le domandò: «Tu che cosa fai quando io non sono qui?».

La ragazza dalla pelle d’ebano sollevò entrambe le braccia e si stiracchiò come una gatta: «Dormo. Sono molto più riposata da quando hai cominciato a visitarci, milord. E Marei sta insegnando a leggere a tutte noi. Forse presto potrò far trascorrere il tempo con un libro».

«Il sonno fa bene» rispose Tyrion. «I libri fanno ancora meglio.»

Le diede un rapido bacio sulla guancia, poi scese la scala segreta celata nel guardaroba e s’inoltrò nel tunnel.


Lasciando la stalla in sella al suo purosangue, Tyrion udì musica echeggiare sui tetti. Faceva piacere pensare che gli uomini cantavano ancora, perfino nel mezzo dei massacri e della carestia. Il ricordo di altre note riempì la sua mente, e per un momento rivide Tysha, udì il suo canto per lui un abisso di tempo prima. Tirò le redini, fermò il cavallo e rimase ad ascoltare. La musica era sbagliata, e le parole risultavano troppo vaghe per poter essere decifrate. Una canzone diversa, quindi, e perché no? La sua dolce, innocente Tysha era stata una menzogna dall’inizio alla fine, niente di più che una baldracca che suo fratello Jaime aveva pagato per fare di lui un uomo.

“Adesso sono libero da Tysha. È stata come un’ombra sul mio cammino per metà della mia vita, ma adesso non ho bisogno di lei più di quanto abbia bisogno di Alayaya o Dancy o Marei, o delle cento altre come loro con cui ho giaciuto nel corso degli anni. Adesso ho Shae. Shae…”

Le porte della magione erano chiuse, sbarrate. Tyrion picchiò il batacchio fino a quando un ornato spioncino di bronzo non venne aperto.

«Sono io.»

L’individuo che lo fece entrare era uno delle più graziose scoperte di Varys, un pugnalatore di Braavos dal labbro leporino e lo sguardo torbido. Tyrion non aveva la minima intenzione di permettere ad armigeri giovani e aitanti di razzolare attorno a Shae dalla mattina alla sera. “Trovami individui vecchi, brutti, sfregiati, preferibilmente impotenti” aveva detto all’eunuco. “Uomini che preferiscono i ragazzini, o anche le pecore, per quello che m’importa.” Varys non era riuscito a trovare amanti di ovini, in compenso aveva fatto saltare fuori uno strangolatore eunuco e un paio di fetidi assassini del Porto di Ibben, che adoravano le loro asce quasi quanto si adoravano l’un l’altro. Il resto era un rutilante campionario di mercenari pescato dalle patrie galere, uno più fetente e malvagio dell’altro. Quando Varys glieli aveva fatti sfilare davanti in parata, Tyrion aveva avuto il timore di essersi spinto un po’ troppo oltre. Shae però non aveva mai proferito una sola parola di lamentela. “E perché avrebbe dovuto lamentarsi? Non si è mai lamentata di me, e io sono più repellente di tutte le sue guardie messe assieme. Forse, la bruttezza lei neppure la vede.”

In ogni caso, Tyrion avrebbe preferito fare sorvegliare la magione dai suoi barbari delle montagne. Chella figlia di Cheyk delle Orecchie Nere, per esempio, o anche i Fratelli della Luna. Aveva molta più fiducia nel loro ferreo senso della lealtà e dell’onore che non dell’avidità di una masnada di mercenari tagliagole. Il rischio però era troppo grande. Tutta Approdo del Re sapeva che i barbari erano gente sua. Se avesse mandato qui le Orecchie Nere, sarebbe stata solo una questione di tempo prima che l’intera città scoprisse che il Primo Cavaliere del re aveva una concubina.

Uno dei gorilla di Ibben prese in consegna il suo cavallo. «L’avete svegliata?» gli domandò Tyrion.

«No, mio lord.»

«Bene.»

Il fuoco nel camino era diventato braci pulsanti, ma la stanza era ancora calda. Shae aveva calciato via lenzuola e coperte nel sonno e giaceva nuda sul materasso imbottito di piume, le soffici curve del suo giovane corpo delineate dal debole chiarore delle braci. “Più giovane di Marei, più dolce di Dancy, più bella di Alayaya. È tutto ciò di cui ho bisogno e anche di più.” Com’era possibile che una puttana apparisse così delicata e innocente, non poté fare a meno di chiedersi Tyrion?

Non era sua intenzione disturbarla, ma la semplice vista di lei fu sufficiente a farglielo diventare duro. Lasciò cadere a terra gli abiti, e scivolò sul letto. Le allargò piano le gambe e cominciò a baciarla fra le cosce. Shae mormorò qualcosa nel sonno. Lui la baciò di nuovo, leccando l’umido segreto, continuando a farlo fino a quando la sua barba e la fica di lei non furono entrambe grondanti. Shae emise un gemito, senza reprimere un sussulto. Tyrion si stese su di lei e la penetrò, esplodendole dentro pressoché istantaneamente.

Gli occhi della ragazza erano aperti. Gli sorrise, accarezzandogli la testa. «Ho appena fatto un sogno dolcissimo, milord» gli sussurrò.

Tyrion mordicchiò uno dei suoi piccoli capezzoli turgidi poi le appoggiò la testa sulla spalla, senza uscire da lei. Non sarebbe voluto uscire da lei mai più. «Non è un sogno» le promise.

“È reale, è tutto reale” rifletté. “Le guerre, gl’intrighi, l’intero maledetto gioco del trono, con me al centro… io, il nano, il mostro, quello che loro offesero e derisero. Adesso sono io ad avere in pugno tutto quanto: il potere, la città, la ragazza. È tutto questo ciò per cui sono nato e, gli dei mi perdonino… io amo tutto questo! E anche lei. Anche lei.”

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