SANSA

La Sala del Trono era un mare di gioielli, di pellicce, di tessuti dai vividi colori. I lord e le loro lady riempivano il fondo della sala e si affollavano sotto le alte finestre, ammassandosi come mogli di pescatori su un molo.

Quel giorno, i cortigiani di Joffrey avevano fatto a gara per apparire uno più splendido dell’altro. Jalabhar Xho era tutto coperto di piume, una figura talmente esotica, talmente stravagante da dare l’idea che il principe in esilio delle isole dell’Estate fosse sul punto di spiccare il volo. La corona di cristallo dell’Alto Sacerdote lanciava lampi in tutte le direzioni ogni volta che lui si muoveva. Al tavolo del Concilio, la regina Cersei pareva scintillare nel suo abito di tessuto dorato, guarnito di velluto color borgogna. Accanto a lei, Varys l’eunuco si vezzeggiava in un broccato nelle sfumature del lilla. Ragazzo di luna e ser Dontos indossavano entrambi costumi da giullare nuovi, puliti come un mattino di primavera. Perfino lady Tanda e le sue figlie apparivano graziose nei loro abiti identici di seta turchese ed ermellino. Quanto a lord Gyles, tossiva in un fazzoletto di seta scarlatta bordato di merletti dorati. Sopra tutti loro, in mezzo ai rostri e alle lame del Trono di Spade, sedeva re Joffrey. Il giovane sovrano era vestito in seta cruda ocra, con il mantello nero costellato di rubini, e aveva sul capo una pesante corona d’oro.

Aprendosi un varco nella calca di cavalieri, scudieri e ricchi cittadini, Sansa riuscì a raggiungere la parte anteriore della galleria proprio nel momento in cui un vigoroso squillo di tromba annunciava l’ingresso di lord Tywin Lannister.

Il signore di Castel Granito entrò in sella al suo cavallo da guerra, percorse la sala in tutta la sua lunghezza e smontò di fronte al Trono di Spade. Sansa non aveva mai visto un’armatura come quella, tutta di acciaio rosso brunito, con rilievi e ornamenti d’oro zecchino. Le rondelle ai gomiti erano a forma di raggiera solare, il leone ruggente che sormontava l’elmo aveva occhi di rubino. Su ciascuna spalla, un fermaglio a forma di leonessa tratteneva una cappa di tessuto dorato così ampia da coprire tre quarti delle cosce del suo destriero. Perfino l’armatura del cavallo era placcata e i suoi finimenti di seta porpora luccicante, con il simbolo del leone di Lannister.

Un vero peccato che, dopo un’entrata in scena così sfolgorante, il cavallo di lord Tywin decidesse di scaricare una bel mucchio di sterco proprio alla base del Trono di Spade. Per scendere ad abbracciare il nonno, proclamandolo salvatore della città, Joffrey dovette aggirare la pila di merda e lo fece con aria disgustata. Sansa si coprì la bocca con la mano, celando un sorriso nervoso.

Joffrey proseguì con il cerimoniale, chiedendo in modo ostentato al patriarca dei Lannister di assumere il governo del reame, responsabilità che lord Tywin accettò solennemente «fino a quando vostra Maestà non sarà maggiorenne». Dopo di che, gli scudieri rimossero la sua armatura e Joff gli sistemò intorno al collo la catena di Primo Cavaliere. Lord Tywin andò quindi a prendere posto al tavolo del Concilio ristretto, a fianco della regina reggente. Condotto via il destriero e rimosso il suo olezzante omaggio alla corona, Cersei fece cenno che le cerimonie continuassero.

Un arrogante squillo di trombe salutò gli eroi della battaglia man mano che facevano il loro ingresso dalle grandi porte di quercia. Gli araldi chiamarono i loro nomi e declamarono le loro imprese, in modo che tutti potessero udire. Gli alti cavalieri e le nobili dame acclamarono come un branco di tagliagole attorno a un combattimento di galli. Il posto più di riguardo venne accordato a Mace Tyrell, lord di Alto Giardino, uomo un tempo molto forte, adesso appesantito ma ancora piacente. I suoi figli, ser Loras, il Cavaliere di fiori, e suo fratello maggiore, ser Garlan il Galante, lo seguirono poco dopo. Tutti e tre indossavano velluto verde bordato di zibellino.

Il re in persona scese dal trono un’altra volta per incontrarli, un grande onore. Intorno al collo di ognuno mise una collana di rose lavorate in tenero oro giallo cui era appeso un disco, anch’esso d’oro, con il leone dei Lannister tempestato di rubini. «Le rose sostengono il leone» dichiarò Joffrey. «Così come la forza di Alto Giardino sostiene il reame. Qualsiasi desiderio abbiate, chiedete e vi sarà concesso.»

“Eccoci” pensò Sansa.

«Maestà» ser Loras mise un ginocchio a terra. «Chiedo l’onore di servire nella tua Guardia reale, per proteggerti dai nemici.»

Joffrey fece alzare il Cavaliere di fiori e lo baciò sulla guancia: «Accordato, fratello».

Lord Tyrell chinò il capo: «Non può esserci piacere più grande che servire sua Maestà. Se dovessi essere ritenuto meritevole di sedere nel Concilio del re, non troverai nessuno più leale e sincero».

Joff mise una mano sulla spalla di lord Tyrell e, dopo che si fu alzato, baciò anche lui: «La tua richiesta è accolta».

Ser Garlan Tyrell, di cinque anni più anziano di ser Loras, era una versione più alta e barbuta del suo celebre fratello minore. Aveva il torace massiccio e le spalle larghe, ed era ragionevolmente di bell’aspetto, per quanto gli mancasse la prodigiosa avvenenza di Loras.

«Maestà» disse Garlan quando il re si avvicinò a lui. «Ho una giovane sorella, Margaery, delizia della nostra nobile casata. Come tu sai, era andata in sposa a Renìy Baratheon, ma lord Renly partì per la guerra prima che il matrimonio potesse essere consumato. Così, ella è rimasta innocente. Margaery ha sentito parlare della tua saggezza, del tuo coraggio e della tua cavalleria, e si è innamorata di te da lontano. Io ti chiedo di convocarla qui, di prenderla in sposa e di unire con questo matrimonio la tua casa e la mia per sempre».

Re Joffrey finse di essere addirittura sorpreso. «Ser Garlan, la bellezza di tua sorella è celebre in tutti i Sette Regni, ma io sono promesso a un’altra fanciulla. E un re deve mantenere la parola data.»

«Maestà» Cersei si alzò in piedi con un fruscio di sottane. «A giudizio del Concilio ristretto, non sarebbe né appropriato né saggio che tu sposassi la figlia di un uomo decapitato per tradimento, una ragazza il cui fratello, perfino ora, è in aperta ribellione contro il trono. Sire, i tuoi consiglieri ti implorano, per il bene del tuo reame, lascia perdere Sansa Stark. Lady Margaery sarà per te una regina molto più adatta.»

Come un branco di cani ammaestrati, i lord e le lady nella sala si misero a urlare il loro compiacimento. «Margaery!» invocarono. «Dateci Margaery!» E anche: «Non vogliamo una regina traditrice! Tyrell! Tyrell!».

Joffrey alzò una mano: «Vorrei acconsentire ai desideri del mio popolo, madre, ma ho fatto un solenne giuramento».

A questo punto, fu l’Alto Sacerdote che si fece avanti: «Maestà, gli dei considerano certamente solenne una promessa di matrimonio, ma tuo padre, re Robert di benedetta memoria, fece il patto nunziale prima che gli Stark di Grande Inverno si rivelassero degli ingannatori. I crimini da loro commessi contro il reame ti sciolgono da qualsiasi promessa tu abbia fatto. Per quanto concerne gli dei, non sussiste alcun valido contratto matrimoniale tra te e Sansa Stark».

Una nuova, tonante ovazione percorse la Sala del Trono. Grida di «Margaery, Margaery» si rincorsero tutto intorno a Sansa. Lei si protese in avanti, con le mani contratte sul corrimano di legno della balaustra della galleria. Sapeva quale sarebbe stato il prossimo atto della rappresentazione, ma era ciò che Joffrey avrebbe potuto dire che continuava a spaventarla. Temeva che lui arrivasse a rifiutare di lasciarla libera, perfino in un momento in cui l’intero regno dipendeva dalla sua decisione. Di colpo, le parve di essere tornata sui gradini di marmo fuori del Grande Tempio di Baelor, aspettando che il suo principe le concedesse clemenza per suo padre. E invece lo aveva udito ordinare a ser Ilyn Payne di staccare la testa a lord Eddard. “Vi supplico” Sansa pregò ferventemente gli dei. “Vi supplico, fate che lo dica, fate che lo dica.”

Lord Tywin stava osservando il nipote. Joff rispose con uno sguardo cupo, spostò il peso del corpo da un piede all’altro. Alla fine, aiutò ser Garlan a rialzarsi dalla posizione genuflessa. «Gli dei sono generosi. Sono libero di seguire il mio cuore. Sposerò tua sorella, cavaliere, e ne sono felice.» Baciò la guancia barbuta di ser Garlan. Un’altra ovazione si levò nella sala.

Sansa si sentì stranamente inebriata. “Sono libera.” Poteva sentire molti occhi puntati su di lei. “Non devo sorridere” ricordò a se stessa. La regina l’aveva avvertita: qualsiasi cosa lei provasse, la faccia da mostrare al mondo doveva essere quella della sofferenza.

«Non permetterò che mio figlio venga umiliato» aveva sibilato Cersei Lannister. «Sono stata chiara?»

«Sì. Ma se non diventerò regina, che cosa ne sarà di me?»

«Questo dovrà essere stabilito. Per il momento, rimarrai qui a corte, quale nostra protetta.»

«Voglio tornare a casa.»

Quella risposta aveva irritato la regina: «Ormai dovresti avere imparato la lezione, Sansa. Nessuno di noi ottiene quello che vuole».

“Io l’ho ottenuto, però” Sansa non poteva non pensarci. “Sono libera da Joffrey. Non dovrò baciarlo, né dargli la mia purezza, né generare i suoi figli. Che sia Margaery Tyrell ad avere tutto questo, povera ragazza.”

Quando la manifestazione di giubilo si fu chetata, il lord di Alto Giardino prese posto nel Concilio ristretto, mentre i suoi figli erano andati ad aggiungersi alla schiera di cavalieri e lord vicino alle finestre. Sansa si sforzò di apparire sperduta e abbandonata, mentre gli altri eroi della Battaglia delle Acque nere venivano convocati per ricevere le loro ricompense.

Paxter Redwyne, lord di Arbor, percorse la sala fiancheggiato dai suoi figli ser Orrore e ser Fetore, il primo dei quali zoppicava per una ferita ricevuta in combattimento. Dopo di loro, venne lord Mathis Rowan, che indossava un farsetto candido con un grande albero ricamato in oro sul pettorale sinistro. Seguiva lord Randyll Tarly, magro e con pochi capelli, la spada lunga di traverso sulla schiena in un fodero tempestato di gioielli. Poi ci furono ser Kevan Lannister, tozzo, calvo e con la barba tagliata corta; ser Addam Marbrand, capelli ramati che gli fluivano sulle spalle; i grandi lord dell’ovest Lydden, Crakehall e Brax.

Dopo tutti questi, fu la volta degli uomini di minore lignaggio che si erano distinti nello scontro sul fiume: ser Philip Foote, un cavaliere con un occhio solo che aveva abbattuto lord Bryce Caron in singolar tenzone; Lothor Brune, cavaliere indipendente, il quale si era aperto la strada a colpi di spada attraverso una cinquantina di soldati Fossoway, catturando alla fine ser Jon della Mela verde e uccidendo ser Bryan e ser Edwyn della Mela rossa, impresa che gli aveva procurato il soprannome di Lothor Mangiamele; Willit, anziano armigero al servizio di ser Harys Swyft, il quale aveva tirato fuori il suo padrone da sotto il cavallo morente e lo aveva difeso contro una dozzina di attaccanti; Josmyn Peckledon, scudiero dalle guance scavate, aveva ucciso due cavalieri e ne aveva ferito un terzo, sebbene avesse appena quattordici anni. L’anziano Willit fu portato nella sala in barella, tanto erano gravi le sue ferite.

Ser Kevan aveva preso posto a fianco di lord Tywin. Quando gli araldi ebbero finito di declamare le audaci gesta di tutti quegli eroi, si alzò in piedi: «È desiderio di sua Maestà che questi uomini coraggiosi siano ricompensati per il loro valore. Per decreto reale, ser Philip Foote sarà da questo momento lord Philip della Casa Foote, e a lui andranno tutte le terre, i diritti e gli introiti della Casa Caron. Lothor Brune verrà elevato al rango di cavaliere e, alla fine della guerra, gli verranno assegnate delle terre e un castello nella regione dei fiumi. A Josmyn Peckledon, una spada e un’armatura d’acciaio, più la sua scelta di qualsiasi destriero da guerra egli desideri delle stalle reali, nonché il cavalierato quando raggiungerà la maggiore età. Infine, a Buonuomo Willit, una picca dall’asta bordata d’argento, una cotta di maglia nuova di forgia e un elmo munito di celata. Inoltre, i figli di questo bravo soldato verranno presi a servizio dalla Casa Lannister di Castel Granito, il maggiore quale scudiero, il minore quale paggio, con la possibilità di ascendere al cavalierato se serviranno bene e con lealtà. A quanto sopra, il Primo Cavaliere del re e il Concilio ristretto danno il loro consenso».

A ricevere i successivi onori furono i capitani delle navi da guerra del re Vento selvaggio, Principe Aemon e Freccia del fiume, insieme ad alcuni ufficiali della Grazia degli dei, della Lady della seta e della Testa d’ariete. Stando a quanto Sansa poté capire, il loro massimo trionfo bellico era stato sopravvivere alla battaglia sul fiume, impresa che ben pochi altri potevano vantare. Anche sua Saggezza Hallyne il piromante e gli altri maestri dell’ordine degli Alchimisti ricevettero i ringraziamenti del re. Hallyne in particolare fu elevato al rango di lord, ma a Sansa non sfuggì che né terre né castelli si accompagnavano al titolo, il che non rendeva l’alchimista più lord di quanto lo fosse Varys l’eunuco. In compenso, ser Lancel Lannister divenne lord in modo molto più significativo. Joffrey gli concesse le terre, il castello e i diritti che erano stati della Casa Darry, il cui ultimo componente, un lord bambino, era perito nei combattimenti nelle terre dei fiumi, «senza lasciare dietro di sé alcun erede di sangue Darry, ma solo un cugino bastardo».

Ser Lancel non si presentò ad accettare il titolo. Girava voce che la ferita ricevuta in battaglia potesse costargli un braccio, o addirittura la vita. Si diceva che anche il Folletto fosse in punto di morte, a causa di una spaventosa ferita alla testa.

«Lord Petyr Baelish» chiamò l’araldo.

E lord Baelish venne avanti, in tutte le sfumature del rosa e del prugna, con il mantello disseminato di usignoli. Sansa notò che sorrideva nell’inginocchiarsi al cospetto del Trono di Spade. “Sembra così compiaciuto.” Non le risultava che Ditocorto avesse compiuto alcun atto particolarmente eroico durante la battaglia, ma lo stavano comunque onorando come tutti gli altri guerrieri.

Ser Kevan Lannister si alzò nuovamente in piedi: «È volontà della grazia del re che il suo leale consigliere Petyr Baelish sia ricompensato per il fedele servizio verso la corona e verso il reame. Sia quindi noto che a lord Baelish è concesso il castello di Harrenhal, con tutte le terre e gli introiti a esso connessi, in modo che egli possa farne il seggio da cui dominare quale lord supremo del Tridente. Petyr Baelish, i suoi figli e i suoi nipoti manterranno detti priviliegi e ne godranno in perpetuità, e tutti i lord del Tridente lo omaggeranno quale loro signore di diritto. Il Primo Cavaliere del re e il Concilio ristretto danno il loro consenso».

Ditocorto, che era ancora genuflesso, alzò lo sguardo su re Joffrey: «Ti ringrazio umilmente, Maestà. Immagino che questo significhi che dovrò darmi da fare a mettere al mondo figli e nipoti».

Joffrey rise. La corte rise con lui. “Lord supremo del Tridente” rimuginò Sansa. “E anche lord di Harrenhal.” Non riusciva a capire come mai questo lo rendesse tanto felice. Come onori, erano gusci altrettanto vuoti del titolo di lord dato ad Hallyne il piromante. Harrenhal era una fortezza maledetta, tutti lo sapevano, e i lord del Tridente avevano giurato fedeltà a Delta delle Acque e alla Casa Tully e al re del Nord. Mai avrebbero accettato Ditocorto quale loro signore. “A meno che non vengano costretti a farlo. A meno che mio fratello e mio zio e mio nonno non vengano tutti sterminati.” Il pensiero la riempì d’angoscia, ma poi disse a se stessa che si stava comportando da sciocca. “Robb li ha sempre sconfitti. Sconfiggerà anche lord Baelish, se sarà necessario.”

Quel giorno, vennero investiti oltre seicento nuovi cavalieri. Avevano vegliato nel Grande Tempio di Baelor per l’intera notte, attraversando al mattino la città a piedi nudi, in modo da provare l’umiltà dei loro cuori. Ora si presentarono alla corte indossando tuniche di lana grezza, per ricevere il cavalierato dalla Guardia reale. Ci volle molto tempo, perché soltanto tre dei confratelli delle Spade Bianche erano disponibili per la procedura. Mandon Moore era caduto in battaglia, il Mastino era scomparso, Arys Oakheart era a Dorne di scorta alla principessa Myrcella, e Jaime Lannister era prigioniero di Robb a Delta delle Acque, quindi la Guardia reale era ridotta ai soli Balon Swann, Meryn Trant e Osmund Kettleblack. Ricevuto il cavalierato, gli uomini si alzavano, si affibbiavano il cinturone con la spada e si mescolavano agli altri cavalieri sotto le finestre. Molti nuovi ser avevano i piedi piagati e coperti di sangue a causa della marcia per la città, ma questo non impedì loro di ergersi alti e orgogliosi, così parve a Sansa.

Alla conclusione dell’estenuante cerimonia dell’investitura, la corte era diventata sempre più inquieta, e Joffrey era il più inquieto di tutti. Alcuni di quelli nella galleria avevano cominciato a uscire alla chetichella, ma i notabili nella sala, non potendo andarsene senza la licenza del re, erano in trappola. A giudicare dal modo in cui si agitava sul Trono di Spade, Joff non avrebbe chiesto di meglio che concederla, quella licenza, ma la sua giornata di lavoro era ben lungi dall’essersi conclusa. Adesso veniva il rovescio della medaglia: il momento dei prigionieri.

Anche di quel gruppo facevano parte grandi lord e nobili cavalieri: l’acido lord Celtigar del Granchio Rosso; ser Bonifer il Buono; lord Estermont, addirittura più avvizzito di Celtigar; lord Varner, il quale percorse tutta la sala zoppicando su un ginocchio, senza però accettare alcun aiuto; ser Mark Mullendore, di colorito terreo, con il braccio sinistro mutilato all’altezza del gomito; il fiero Ronnet il Rosso di Cava del Grifone; ser Dermot del bosco della Pioggia; lord Willum e i suoi figli Josua ed Elyas; ser Jon Fossoway; ser Timon il Raschiaspade; Aurane, il bastardo di Driftmark; lord Staedmon, detto l’Ammassasoldini; e centinaia di altri.

Coloro i quali avevano cambiato alleanze nel corso della battaglia dovevano solo giurare fedeltà a Joffrey, ma quelli che avevano combattuto per Stannis fino all’ultimo erano obbligati a parlare. Il loro destino dipendeva da quanto avrebbero detto. Se avessero implorato perdono per il loro tradimento, promettendo di servire con lealtà da quel momento in poi, Joffrey li avrebbe nuovamente accolti nella pace del re e avrebbe restituito loro terre e diritti. Eppure, alcuni rimasero duri e puri.

«Non credere che sia finita qui, ragazzino» avvertì un bastardo dei Florent o di qualche altra casa. «Il Signore della Luce protegge re Stannis ora e sempre. Tutte le tue spade e tutti i tuoi intrighi non serviranno a salvarti quando arriverà la tua ora.»

«La tua ora invece arriva qui e adesso.» Joffrey fece cenno a ser Ilyn Payne.

La Giustizia del re procedette a trascinare via l’uomo per tagliargli la testa. Ma era appena uscito che un cavaliere dall’aspetto solenne, con un cuore fiammeggiante cucito sulla tunica, si mise a urlare.

«È Stannis il vero re! Sul Trono di Spade siede un mostro, un abominio nato dall’incesto!»

«Silenzio!» grugnì ser Kevan Lannister.

«Joffrey è un verme nero che divora il cuore del reame!» continuò il cavaliere alzando ancora di più la voce. «Il buio è suo padre e la morte è sua madre! Distruggetelo, prima che vi corrompa tutti! Distruggeteli tutti, la regina puttana e il re verme, il vile nano, il ragno che sussurra e i falsi fiori!» Una delle cappe dorate gettò l’uomo a terra, ma lui andò avanti a urlare. «Il fuoco purificatore verrà! Re Stannis tornerà!»

Joffrey balzò in piedi: «Sono io il re! Uccidetelo! Uccidetelo! Lo comando!» e assestò un pugno sul bracciolo, con un gesto impulsivo, pieno di rabbia… dalle sue labbra carnose sfuggì un latrato di dolore: uno degli affilati rostri d’acciaio dello scranno appartenuto ad Aegon il Conquistatore lo aveva tagliato. In un attimo, il soffice tessuto color porpora della sua manica assunse una tonalità rosso cupo, inzuppandosi di sangue. Joffrey invocò: «Mammmaaaa!…».

Con tutti gli occhi puntati su Joffrey, l’uomo a terra riuscì a strappare la picca a una delle cappe dorate e la usò per rimettersi in piedi.

«Il Trono di Spade lo rifiuta!» urlò. «Non è il vero re!»

Cersei corse verso il trono, mentre lord Tywin rimase immobile come una statua. Gli bastò alzare un dito, uno solo. Ser Meryn Trant si fece avanti, con la spada sguainata. Le altre cappe dorate afferrarono l’uomo per le braccia. La fine fu rapida e brutale.

«Non è il vero re!…»

Riuscì a gridarlo un’ultima volta prima che la lama di ser Meryn gli attraversasse il petto da parte a parte.

Joffrey si abbandonò tra le braccia di sua madre. Tre maestri accorsero e aiutarono a trasportarlo via in fretta fuori dalla porta regale, sul fondo della sala. Poi, tutti cominciarono a parlare concitatamente. Le cappe dorate trascinarono via il cadavere, tracciando una scia rossa sul pavimento di pietra. Lord Baelish si lisciò la barba, mentre Varys si protendeva a bisbigliargli qualcosa all’orecchio. “Adesso ci lasceranno andare?” Sansa non avrebbe chiesto di meglio. Una massa di prigionieri era ancora in attesa, ma era impossibile dire se stessero per giurare fedeltà o per lanciare ulteriori maledizioni.

Lord Tywin Lannister si alzò in piedi. «Procediamo» dichiarò con voce forte, ferma. Una voce perentoria che impose il silenzio. «Coloro i quali desiderano chiedere perdono per il loro tradimento possono farlo. Non tollereremo altre follie.»

E con questo, il signore di Castel Granito si diresse al Trono di Spade, dove sedette su uno dei gradini della piattaforma, a meno di un metro dal pavimento.


La luce che entrava dalle alte finestre stava calando quando la sessione ebbe finalmente termine. Nell’andarsene dalla galleria, Sansa si sentiva stremata. Si chiese quanto potesse essere grave la ferita di Joffrey. “Dicono che il Trono di Spade sia pericolosamente crudele con quelli che non sono destinati a starci sopra.”

Raggiunte le sue stanze, Sansa affondò il viso in un cuscino per soffocare il proprio grido di giubilo. “Dei misericordiosi, lo ha fatto: ha rinunciato a me davanti a tutti!” Quando una servetta le portò la cena, mancò poco che le desse un bacio. C’era pane abbrustolito e burro fresco, una densa zuppa di manzo, cappone e carote, pesche al miele. “Perfino il cibo ha un gusto migliore.”

Calata la notte, indossò un mantello e raggiunse il parco degli dei. Ser Osmund Kettleblack, nella sua armatura bianca, montava la guardia al ponte levatoio del Fortino di Maegor. Sansa fece del suo meglio per sembrare afflitta quando gli augurò la buona sera. Dal modo in cui lui la guatò, non fu del tutto certa di essere stata convincente.

Dontos la stava aspettando tra le ombre del fogliame al chiaro di luna.

«Perché così triste?» gli chiese gaiamente Sansa. «Tu c’eri, hai sentito. Joffrey mi ha messa da parte. È finita, ha…»

«Oh, Jonquil, mia piccola Jonquil» le prese la mano. «Non capisci. Finita? Hanno appena cominciato.»

Sansa sentì il cuore che sprofondava: «Che cosa vuoi dire?».

«La regina non ti lascerà mai andare, mai. Sei un ostaggio troppo prezioso. E Joffrey… Cara, lui è ancora re. Se ti vuole nel suo letto, ti avrà nel suo letto. L’unica differenza è che, invece di figli di sangue puro, saranno dei bastardi quelli che seminerà nel tuo grembo.»

«No!» Sansa era sconvolta. «Mi ha lasciato andare, lui…»

«Sii forte» ser Dontos le diede un bacio umido su un orecchio. «Ho giurato di riportarti a casa, e adesso posso farlo. Il giorno è stato scelto.»

«Quando? Quando potrò andare?»

«La notte del matrimonio di Joffrey. Dopo la festa. Tutti i preparativi necessari sono stati fatti. La Fortezza Rossa sarà piena di estranei. Metà della corte sarà ubriaca e l’altra metà aiuterà Joffrey a portare a letto la sua sposa. Per un po’ si dimenticheranno di te, e la confusione sarà nostra alleata.»

«Ma il matrimonio non avrà luogo prima di un altro intero ciclo di luna. Margaery Tyrell si trova ad Alto Giardino, sono partiti solo oggi per andare a prenderla.»

«Hai aspettato così a lungo, sii paziente ancora un po’. Guarda, ho qualcosa per te.» Ser Dontos frugò nella bisaccia e tirò fuori una ragnatela argentea, facendola penzolare dalle dita tozze.

Era una rete per capelli di fili intessuti d’argento, talmente sottile e delicata da sembrare leggera come un soffio di brezza. Sansa la prese e la osservò. Piccole gemme erano incastonate in corrispondenza di ogni incrocio, talmente scure che sembravano risucchiare la luce della luna.

«Che pietre sono queste?»

«Ametiste nere di Asshai delle Ombre. Il genere più raro, puro viola scuro, alla luce del sole.»

«È molto bella» disse Sansa “Ma è una nave di cui ho bisogno, non di una rete per i capelli.”

«Più bella di quanto tu immagini, dolce bambina. È magica, vedrai. È giustizia, quella che tieni in mano. Vendetta per tuo padre.» Dontos si protese in avanti e la baciò di nuovo. «È casa.»

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