DAENERYS

In quella città di grandiosi splendori, Daenerys Targaryen si era aspettata che la Casa degli Eterni fosse la dimora più splendida di tutte. Invece, ciò che si trovò di fronte emergendo dal palanchino fu un’antica rovina grigiastra.

La struttura bassa e allungata, priva di torri, priva di finestre, si contorceva come un serpente di pietra in mezzo a un bosco di alberi dalla corteccia nera. Dalle loro foglie blu inchiostro veniva ricavata la bevanda magica che gli abitanti di Qarth chiamavano “ombra della sera”. Non c’era nessun altro edificio vicino al palazzo. Il tetto era coperto da tegole, nere anch’esse, molte cadute, molte altre spezzate. L’intonaco tra le pietre esterne era secco, crepato. Ora Dany capiva per quale ragione Xaro Xhoan Daxos lo chiamava il Palazzo di Polvere. Alla sua vista, perfino Drogon sembrava inquieto. Il drago nero sibilò, emettendo fumo tra i denti acuminati.

«Sangue del mio sangue» le disse Jhogo in lingua dothraki. «È un luogo malvagio, questo. Un groviglio di sortilegi e maegi. Vedi come beve la luce del giorno? Andiamocene prima che beva anche noi.»

Ser Jorah Mormont si avvicinò a loro: «Ma quanto potere possono mai avere se vivono in un posto simile?».

«Ascolta la saggezza di coloro che più ti amano, mia dolce regina» aggiunse Xaro Xhoan Daxos, mollemente sdraiato nel palanchino. «Gli stregoni sono aspre creature, che mangiano polvere e bevono ombre. Nulla ti daranno. Perché nulla hanno da dare.»

Aggo spostò la mano sull’impugnatura del suo arakh : «Khaleesi, è risaputo che molti entrano nel Palazzo di Polvere, ma pochi ne escono».

«È risaputo» fece eco Jhogo.

«Noi siamo sangue del tuo sangue» riprese Aggo. «Abbiamo giurato di vivere e di morire con te. Lasciaci camminare al tuo fianco in questo luogo oscuro, in modo da tenerti al sicuro dal pericolo.»

«Ci sono luoghi nei quali perfino un khal deve camminare da solo» obiettò Daenerys.

«Allora prendi me» insisté ser Jorah. «Il rischio…»

«La regina Daenerys deve entrare da sola» Pyat Pree, lo stregone, emerse dagli alberi scuri. «O non entrare affatto.» “Sarà sempre stato qui?” non poté fare a meno di chiedersi Dany.

«Dovesse voltare le spalle ora» riprese Pyat Pree «per lei le porte della saggezza si chiuderanno per sempre.»

«Mia regina, il mio scafo da diporto ti attende a ogni istante» proclamò Xaro Xhoan Daxos. «Rinuncia a questa follia, mia troppo ostinata splendida sovrana. Ho flautisti che allieteranno la tua anima tanto turbata con suadenti melodie. E una giovane fanciulla la cui lingua sapiente ti farà sospirare e commuovere.»

Ser Jorah Mormont lanciò al mellifluo principe-mercante nel palanchino un’occhiata astiosa: «Mia regina, ricordati di Mirri Maz Duur».

«La ricordo bene.» Daenerys non avrebbe mai dimenticato la maegi degli uomini-agnello che aveva causato la morte di khal Drogo. «Ricordo che aveva conoscenza. E che era soltanto una maegi.»

Pyat Pree fece un tenue sorriso. «La bambina parla con la saggezze delle anziane. Prendi il mio braccio e permettimi di guidarti.»

«Non sono una bambina» precisò Daenerys. Ma accettò comunque il suo braccio.

Era più scuro di quanto non avrebbe dovuto essere sotto le chiome degli alberi neri. E la via era più lunga. Il sentiero sembrava svilupparsi in linea retta dalla strada fino alla porta del palazzo, ma Pyat Pree fece una deviazione laterale. Dany volle sapere il perché.

«L’ingresso anteriore conduce all’interno» si limitò a dire lo stregone. «Ma mai nuovamente all’esterno. Ascolta le mie parole, mia regina. La Casa degli Eterni non venne eretta per i comuni mortali. Se hai cara la tua anima, abbi cura di essa e fa’ esattamente quanto ti dico.»

«Farò quanto mi dirai» promise Daenerys.

«Entrando, ti ritroverai in una stanza con quattro porte, quella da cui sei passata più altre tre. Prendi la porta alla tua destra. E continua a prendere sempre le porte alla tua destra anche in seguito. Se dovessi incontrare una scala, sali lungo di essa. Non andare mai verso il basso. E non varcare mai nessuna porta che non sia la prima porta alla tua destra.»

«La porta alla mia destra» ripeté Dany. «Ho capito. E quando me ne vado, la porta opposta?»

«Per nessuna ragione» rispose Pyat Pree. «Andare e venire sono la stessa cosa. Sempre verso l’alto. Sempre la porta a destra. Altre porte potrebbero aprirsi per te. Oltre di esse, potresti trovare visioni che ti turberebbero. Visioni di dolcezza e visioni di orrore, di meraviglia e di terrore. Immagini e suoni di giorni svaniti, di giorni a venire e di giorni che mai saranno. Abitatori e servitori del palazzo forse ti rivolgeranno la parola. Rispondi o ignorali come preferisci, ma non entrare in nessuna stanza fino a quando non avrai raggiunto la Sala delle Udienze.»

«Ho capito.»

«Quando sarai nella Sala degli Eterni, sii paziente. Per loro, le nostre insignificanti vite sono nulla più del battito d’ali di una falena. Ascolta bene, e annota ogni parola nel tuo cuore.»

Arrivarono all’ingresso, dove un’ampia bocca ovale si apriva in una parete scolpita come un viso umano. Ad aspettarla sulla soglia, c’era il nano più piccolo che Dany avesse mai visto. Le arrivava a stento al ginocchio, aveva la faccia spigolosa, il naso prominente. Indossava una delicata livrea nei colori viola e blu, e tra le pìccole mani rosate reggeva un vassoio d’argento. C’era un unico calice di cristallo su di esso, pieno di denso liquido blu: ombra della sera, il vino degli stregoni.

«Bevi» disse Pyat Pree.

«Farà diventare blu le mie labbra?»

«Questo calice servirà soltanto ad aprire le tue orecchie e a dissolvere la cortina davanti ai tuoi occhi, in modo che tu possa udire e vedere le verità che ti saranno offerte.»

Dany si portò il bicchiere alle labbra. Il primo sorso fu atroce. Ombra della sera sapeva d’inchiostro e di carne avariata. Eppure, man mano che la bevanda scendeva dentro di lei, parve acquistare una vita segreta. Daenerys sentì viticci invisibili dilatarsi nel suo petto, simili a tentacoli di fuoco intorno al cuore. E ora sulla sua lingua c’era il gusto del miele, dell’anice, della panna. Le parve il latte della madre e il seme di Drogo. Le sembrò carne succulenta e sangue caldo e oro fuso. Era tutti i sapori che Daenerys aveva conosciuto. E al tempo stesso non era nessuno di essi… e poi, il calice fu vuoto.

«Ora puoi entrare» concesse lo stregone.

Daenerys posò il calice sul vassoio d’argento e varcò la soglia del Palazzo di Polvere.


Era come Pyat Pree le aveva descritto: un vestibolo di pietra con quattro porte, una su ogni parete. Senza neppure un attimo di esitazione, Daenerys si diresse verso la prima porta alla sua destra e la superò. La stanza successiva era identica alla prima. Di nuovo, scelse la prima porta a destra. L’aprì, la varcò. Fu in un vestibolo più piccolo, con di nuovo altre quattro porte. “Sono in presenza di una stregoneria.”

La quarta stanza era di forma ovale invece che quadrata, con le pareti di legno corroso dai vermi. In essa, si aprivano sei passaggi, e non più quattro. Dany imboccò quello alla sua destra. Oltre la soglia, si dipanava un lungo corridoio dal soffitto alto, immerso nella penombra. Lungo la parete di destra, pulsava una fila di torce. E questa volta, tutte le porte si trovavano a sinistra. Drogon dispiegò le ampie ali nere e andò alla conquista dell’aria immobile. Il giovane drago riuscì a rimanere librato forse per una decina di metri prima di stramazzare goffamente a terra. Dany avanzò a sua volta.

Un tempo, il tappeto sotto i suoi piedi, ora divorato dall’umidità, doveva aver avuto colori splendidi. Tra chiazze di grigio smorto e tentacoli di verde corroso si intravedevano ancora ricami dorati ormai sfilacciati. Quel resto di tappeto fu comunque in grado di attutire i suoi passi, il che non era necessariamente una buona cosa. Da dietro le pareti venivano deboli suoni raschianti. Dany pensò a topi, ratti, intenti a correre nel buio. Anche Drogon li udì. La sua testa si spostava seguendo i rumori. Nel momento in cui cessarono, il drago lanciò un grido di rabbia. Altri suoni, addirittura più inquietanti, provenivano da dietro alcune delle porte chiuse. Una di esse si stava scuotendo, percossa da colpi all’interno, come se qualcuno stesse tentando di sfondarla. Da un’altra porta ancora veniva un suono distorto di strumenti a fiato. Drogon reagì, facendo schioccare violentemente la coda da una parte all’altra. Dany passò oltre in fretta.

Non tutte le porte erano chiuse. “Non guarderò” Daenerys impose a se stessa. “Non voglio farlo…” Ma alla fine, la tentazione fu troppo forte.

In una delle stanze, una bellissima donna giaceva nuda sul pavimento, e quattro piccolissimi uomini le stavano addosso da tutte le parti. Avevano faccette allungate, simili al muso di un topo, e minuscole mani rosa. Assomigliavano al servitore che le aveva offerto l’ombra della sera. Uno dei nanetti stava pompando la donna in mezzo alle gambe. Un altro le dilaniava i seni, la sua bocca rossa e gocciolante mordeva i capezzoli, addentando, lacerando.

Più oltre, Daenerys si ritrovò davanti a un’orribile carneficina. Cadaveri a mucchi giacevano gli uni sugli altri tra tavoli e sedie distrutti, in mezzo a laghi di sangue che andava raggrumandosi. Molti corpi erano mutilati, niente più arti, niente più teste. Mani mozzate si ostinavano a stringere coppe lorde di sangue, mestoli di legno, carne arrostita, fette di pane. Un sontuoso banchetto tramutato in un orrido mattatoio. Su un trono in posizione elevata sedeva un uomo morto. La sua testa era la testa di un lupo. Portava una corona di ferro. In pugno stringeva un cosciotto d’agnello, grottesca distorsione di un vero scettro. Gli occhi del relupo seguirono Dany in una muta, disperata invocazione.

Daenerys corse via da tutti quei cadaveri, ma arrivò soltanto fino alla porta aperta successiva. “Conosco questo luogo…” Ricordava bene i grandi architravi di legno, e le teste di animale scolpite che li ornavano. E fuori dalla finestra, c’era un albero di limoni! “È la casa con la porta rossa, la casa di Braavos!” Il luogo dove lei e suo fratello Viserys erano stati accolti da magistro Illyrio prima che lei andasse in sposa a khal Drogo.

«Eccoti qui, mia principessa» ser Willem Darry, l’anziano cavaliere che li aveva temerariamente portati via dalla Roccia del Drago, entrò nella stanza, appoggiandosi al suo bastone. «Vieni con me, piccola mia» la sua voce era ruvida ma anche piena di gentilezza. «Sei al sicuro, adesso. Sei a casa.»

Una delle sue grandi mani rugose si protese verso di lei, morbida come cuoio vecchio. Dany avrebbe voluto stringerla tra le sue, baciarla. Desiderò farlo più di qualsiasi altra cosa. Fece un passo verso di lui… “No, no… È morto, il dolce vecchio orso è morto da molto, moltissimo tempo.” Daenerys girò su se stessa e corse via.

Quel corridoio sembrava non avere fine, a sinistra soltanto porte, a destra soltanto torce. Superò di corsa molte altre porte, fino a perdere il conto. Porte chiuse e porte aperte; porte di ferro, di legno, istoriate, anonime; porte munite di maniglie, di lucchetti, di battacchi. Drogon era appollaiato sulla sua schiena, frustandola con la coda, spingendola a non fermarsi. Daenerys corse e corse e corse. Alla fine, non ci fu più nessun posto dove correre.

Una doppia porta di bronzo era apparsa alla sua sinistra, molto più grandiosa, molto più imponente di tutte le altre. Quando lei si avvicinò, le due metà si spalancarono. Dany si fermò a osservare.

Oltre le porte di bronzo si apriva una cavernosa sala di pietra, la più grande che lei avesse mai visto. Dalle pareti incombevano teschi di draghi morti. Su un torreggiante trono irto di protuberanze acuminate, sedeva un vecchio riccamente vestito, dagli occhi neri e dai lunghi capelli grigio argentei.

«Lascia che diventi il re di ossa carbonizzate e di carne bruciata» disse l’uomo sul trono a un altro uomo più in basso. «Lascia che diventi il re delle ceneri.»

Drogon emise un urlo stridulo, i suoi artigli scavavano nella seta e nella pelle. Il re sul frastagliato scranno di metallo non parve udire. Dany avanzò verso di lui.

Viserys. Fu quello il suo primo pensiero. Ma non era così. L’uomo sul trono di lame d’acciaio aveva gli stessi capelli di suo fratello, ma i suoi occhi erano neri come ossidiana, non violetti.

«Aegon» disse il sovrano rivolto alla donna che stava allattando un neonato su un grande letto di legno. «Quale nome migliore di questo per un re?»

«Comporrai una canzone per lui?» chiese la donna.

«Ha già una canzone» rispose il re. «È il principe che venne promesso, e il suo canto è il canto del ghiaccio e del fuoco.»

Sollevò lo sguardo. I suoi occhi incontrarono quelli di Daenerys. Per un fugace momento, parve vederla, là in piedi oltre le porte di bronzo.

«Deve essercene un altro» fu impossibile dire a chi l’uomo sul trono di lame stesse rivolgendosi, se alla donna con il bimbo in braccio o a Dany. «Il drago ha tre teste.»

L’uomo si alzò, raggiunse il sedile vicino alla finestra, prese un’arpa e fece scivolare le dita sulle corde argentee dello strumento. Una delicata tristezza riempì la sala mentre le figure dell’uomo, della donna e del bimbo si dissolvevano nelle brume del mattino. Soltanto il suono dell’arpa rimase a guidare Dany mentre proseguiva.


Non aveva idea di quanto a lungo avesse camminato. Forse un’ora, forse più. Il corridoio finiva in una ripida scala di pietra, che sprofondava verso un’impenetrabile oscurità. Ogni porta, chiusa o aperta, rimaneva alla sua sinistra. Daenerys guardò dietro di se. “Le torce… le torce si stanno spegnendo!” Ormai, solo una ventina continuava a bruciare. Trenta al massimo. Un’altra si estinse con un fruscio. Le tenebre avanzarono ancora, strisciando verso di lei. Dany rimase in ascolto, sentendo il morso della paura. Qualcosa stava procedendo nel buio che dilagava, qualcosa che sembrava trascinarsi barcollando sul tappeto consunto. E adesso, in lei la paura era diventata terrore. Non voleva tornare da dove era venuta, e nemmeno poteva rimanere là. Da che parte? Da che parte? Non c’era nessuna porta alla sua destra. E la scala portava verso il basso, non verso l’alto.

Un’altra torcia si spense. E i suoni striscianti emessi da quella cosa che avanzava si fecero più vicini. Drogon allungò il collo sottile, spalancando la bocca per urlare, il fumo usciva tra le sue zanne. “Anche lui ha sentito.” Dany si girò nuovamente verso la parete di fondo. Ma non c’era niente. “Forse una porta segreta che non riesco a vedere?” Un’altra torcia si smorzò. E un’altra. “La prima porta a destra, ha detto Pyat Pree, sempre la prima porta a destra… La prima. A destra…”

La risposta emerse di colpo… “È l’ultima porta a sinistra!”

Daenerys si precipitò oltre la soglia. Fu in un’ennesima stanza quadrata con quattro porte. Andò a destra, e poi di nuovo a destra, e a destra, e a destra, e ancora a destra. Si ritrovò barcollante e senza fiato.

Si fermò. Era in un umido locale di pietra. Questa volta, la porta a destra era un’apertura tondeggiante, con la forma di una bocca aperta. E fuori, c’era Pyat Pree ad aspettarla, in piedi sull’erba, all’ombra degli alberi neri.

«Com’è possibile che gli Eterni ti abbiano lasciato andare così in fretta?» lo stregone era incredulo.

«Così in fretta?» Dany era più incredula di lui. «Ho camminato per ore, senza trovarne traccia.»

«Hai fatto una curva sbagliata» Pyat Pree tese una mano verso di lei. «Vieni, ti guiderò io.»

Dany esitò. C’era una porta alla sua destra, ancora chiusa…

«Non in quella direzione» dichiarò Pyat Pree con fermezza, le labbra blu serrate in segno di disapprovazione. «E gli Eterni non aspetteranno in eterno.»

«Per loro, le nostre vite insignificanti non sono nulla più del battito d’ali di una falena» ricordò Daenerys.

«Bambina testarda. Ti perderai, e non sarai più ritrovata.»

Dany si staccò da lui. E andò verso la porta a destra.

«No!» urlò Pyat Pree. «No: a me… a meeeeeeeee!»

Il volto dello stregone cominciò a mutare. Divenne qualcosa di pallido, di viscido, di brulicante.

Daenerys lasciò l’essere alle spalle, aprì la porta a destra e raggiunse la rampa di scale al di là. Cominciò a salire. Non ci volle molto perché i ripidi gradini di pietra le facessero dolere le gambe. Vista dall’esterno, la Casa degli Eterni sembrava priva di torri.

Finalmente la scala arrivò al piano superiore. Alla sua destra, larghe porte di legno erano spalancate. Erano fatte di ebano e acero, con venature bianche e nere che si attorcigliavano, si compenetravano le une nelle altre seguendo percorsi sconosciuti. Linee labirintiche, belle ma che mettevano paura. “Il sangue del drago non può avere paura.” Daenerys innalzò una rapida preghiera, implorando il Guerriero dei Sette Dei di darle coraggio e il dio-cavallo dei dothraki di darle forza. Si impose di proseguire.

Oltre la fila di porte, c’era un’immensa sala e una fantasmagoria di stregoni. Alcuni di loro indossavano sontuose cappe di ermellino, di velluto scarlatto, di tessuto dorato. Altri avevano preferito elaborate armature costellate di gemme, altri ancora avevano in capo il cappello conico disseminato di astri. C’erano anche donne tra loro, avvolte in abiti, di prodigioso splendore. Lame di luce solare penetravano in obliquo da finestre con i vetri colorati, l’aria vibrava della melodia più dolce che Dany avesse mai udito.

«Daenerys della nobile Casa Targaryen, che tu sia la benvenuta.» Nel vederla entrare, un uomo dall’aspetto regale, con indosso una ricca vestaglia, si alzò dal suo scranno e le sorrise. «Vieni e dividi il cibo per sempre con noi. Siamo gli Eterni di Qarth.»

«Ti attendiamo da lungo tempo» disse la donna accanto a lui, avvolta di rosa e di argento. Il seno lasciato scoperto, secondo la foggia di Qarth, era quanto di più prossimo alla perfezione assoluta.

«Sapevamo che saresti venuta da noi» riprese il re-mago. «Da mille anni lo sappiamo, e per tutto questo tempo noi siamo rimasti ad attenderti. È per mostrarti la strada che abbiamo inviato la cometa.»

«Vogliamo condividere con te le nostre conoscenze» intervenne un guerriero in una scintillante armatura color smeraldo «e darti armi magiche. Hai superato ogni prova. Ora, tutte le tue domande troveranno risposta.»

Dany fece un passo avanti. Drogon spiccò il volo dalla sua spalla e andò ad appollaiarsi sopra una delle porte di ebano e acero. Rimase là, cominciando a mordere il legno finemente lavorato.

«Animale temerario» rise un giovane di bell’aspetto. «Vuoi che t’insegniamo il linguaggio segreto dei draghi? Vieni, vieni.»

Daenerys sentì crescere dentro di sé il dubbio. La grande porta in fondo alla sala era talmente pesante che ci volle tutta la sua forza per smuoverla. Al di là, c’era una seconda porta, nascosta. Delle assi di vecchio legno fessurato, privo di qualsiasi ornamento. …ma si trovava proprio a destra della porta dalla quale era appena entrata. Gli stregoni continuavano a farle cenno di seguirla, tentandola con voci suadenti. Dany corse lontano da loro, con Drogon che volava sopra la sua testa. Superò la stretta porta, penetrando in un locale immerso nella penombra.

Un lungo tavolo di pietra occupava quasi tutta la stanza. Su di esso, fluttuava un cuore umano, rigonfio, violaceo per la putrescenza. Eppure ancora vivo. Il cuore pulsava e ogni battito assomigliava al rombo di tamburi fantasma. Ogni battito emanava un lampo di luce color indaco. C’erano delle figure attorno al tavolo, nient’altro che ombre bluastre. Daenerys si accostò alla sedia vuota all’estremità del tavolo, ma le figure non si mossero, non parlarono, non si volsero verso di lei. Non c’era altro suono se non il lento, profondo pulsare di quel cuore in decomposizione.

“…Madre dei draghi…”

Da qualche parte veniva una voce, in parte sussurro, in parte mugolio.

“… draghi… draghi… draghi…”

Altre voci fecero eco nella semioscurità. Voci di uomini e voci di donne. Una parlava con il timbro di un bambino. Il cuore fluttuante continuava a battere: luce, ombra, luce, ombra. Non fu semplice trovare la forza di parlare, e pronunciare le parole che tanto intensamente aveva imparato.

«Sono Daenerys Nata dalla tempesta, della nobile Casa Targaryen, regina dei Sette Regni del Continente Occidentale.»

“Ma riescono a sentirmi? Perché non si muovono?” Dany sedette sulla sedia vuota, mani intrecciate in grembo.

«Concedetemi il vostro consiglio. Parlatemi con la saggezza di coloro i quali hanno trionfato sulla morte.»

Nella penombra bluastra, Daenerys riusciva a distinguere i lineamenti incartapecoriti dell’Eterno alla sua destra. Un vecchio tutto rughe, privo di capelli. La sua carnagione aveva una profonda sfumatura violacea, le labbra e le unghie erano anch’esse blu, talmente scure da apparire quasi nere. Perfino il bianco dei suoi occhi era blu. L’Eterno fissava senza vederla l’anziana donna seduta dalla parte opposta del tavolo, il cui abito di seta le era marcito addosso. Nella foggia di Qarth, anche lei aveva un seno esposto, mostrando il capezzolo blu duro come cuoio.

“Non respira.” Nella sala piena di ombre, il silenzio era assoluto. “Nessuno di loro respira. Nessuno di loro si muove. Nulla vedono i loro occhi. E se gli Eterni fossero eterni in quanto morti?…”

La risposta fu un sussurro, esile come le vibrisse di un topo: “… noi siamo vivi… vivi… vivi… “. Una miriade di echi si perse nelle tenebre. “E noi sappiamo… sappiamo… sappiamo…”

«Sono venuta da voi per il dono della verità. In quel lungo corridoio, quello che ho visto… erano visioni di verità, o erano menzogne? Cose passate, o cose a venire? Qual è il loro significato?»

“… la forma delle ombre… giorni che ancora non esistono… bevi dalla coppa del ghiaccio… bevi dalla coppa del fuoco…”

“… Madre dei draghi… figlia di tre…”

«Tre?» Dany non comprendeva.

“… tre teste ha il drago…”

Il coro spettrale le martellava nella mente, senza che nessuna bocca si muovesse, senza che nessun respiro agitasse l’aria immobile.

“… Madre dei draghi… figlia della tempesta…”

Il sussurro divenne un cantico vorticoso.

“… tre fuochi dovrai accendere… uno per la vita, uno per la morte e uno per l’amore…”

E adesso, il suo stesso cuore batteva all’unisono con quello fluttuante, blu e corrotto.

“… tre destrieri dovrai cavalcare… uno per il piacere, uno per il terrore e uno per l’amore…”

Le voci si erano fatte più forti. Daenerys se ne rese conto. Mentre il suo cuore sembrava rallentare, come anche il suo respiro.

“… tre tradimenti dovrai conoscere… uno per il sangue, uno per l’oro e uno per l’amore…”

«Io non…» la sua voce era poco più che un bisbiglio, esile quasi quanto le loro. Che cosa le stava accadendo? «Io non capisco» disse, a voce più alta. Perché parlare qui dentro era tanto difficile? «Aiutatemi. Mostratemi.»

“… aiutatela…” la derisero i sussurri “… mostratele…”

Poi, fantasmi, immagini d’indaco, si agitarono tra le ombre.

Viserys che urla, oro liquefatto scorre giù lungo le sue guance, allagandogli la gola. Un lord dalla pelle bronzea e dai lunghi capelli argentei è in piedi a fianco del vessillo di uno stallone di fuoco, con una città in fiamme dietro di lui. Rubini schizzano via come gocce di sangue dal petto di un principe morente che si accascia nell’acqua, mormorando il nome di una donna.

“… Madre dei draghi, figlia della morte…”

Scintillante come il tramonto, una spada rossa si solleva nel pugno di un re dagli occhi azzurri che non proietta alcuna ombra. Un vessillo rappresentante un drago garrisce nel vento davanti a folle giubilanti. Da una torre fumante, una grande bestia di pietra dispiega le ali, respirando fiamme di tenebra.

“… Madre dei draghi, sterminatrice della menzogna…”

La sua cavalla argentea avanza al trotto nell’erba alta, dirigendosi verso un limpido torrente, al cospetto di una prodigiosa volta stellata. Un cadavere in piedi sulla prora di una nave, occhi che brillano nel volto livido, un sorriso triste sulle labbra grigie. Un fiore azzurro nasce da una cavità in una muraglia di ghiaccio, l’aria è piena di fragranza…

“… Madre dei draghi, sposa del fuoco…”

Rapide, sempre più rapide vennero le visioni, l’una dopo l’altra, l’una dentro l’altra, fino a quando l’aria stessa parve diventare un’entità viva. Ombre che vorticano, che danzano all’interno di una tenda, prive di scheletro, evocatrici di qualcosa di terribile. Una bambina corre a piedi nudi verso una grande casa dalla porta rossa. Mirri Maz Duur urla avvolta dalle fiamme, e un drago esce dalla sua fronte. Un cavallo argenteo trascina il cadavere di un uomo nudo, ridotto a un cumulo di piaghe. Un leone bianco in corsa nell’erba, gli steli alti più di un uomo. Al cospetto della Madre della montagna, una fila di anziane nude esce dal grande lago e s’inginocchia davanti a lei, corpi tremanti, teste chinate. Diecimila schiavi innalzano mani lorde di sangue, Daenerys che galoppa davanti a loro come il vento. «Madre!» urlano. «Madre!» Cercano di afferrarla. La toccano, tirano la sua tunica, il bordo della gonna, il piede, la gamba, il seno. La vogliono. Hanno bisogno di lei, del suo fuoco, della sua vita. Daenerys spalanca le braccia per accoglierli, per nutrirli tutti…

Poi ali nere agitarono l’aria sopra la sua testa e un urlo di furore si aprì la strada nell’atmosfera color indaco. Le visioni andarono in mille pezzi. L’ansito di Dany si tramutò in un grido di orrore.

Gli Eterni erano tutti intorno a lei. Un assedio pallido e bluastro, un freddo ribollire di sussurri mentre cercavano di prenderla, tirarla, accarezzarla, aggrapparsi ai suoi abiti. Le loro mani gelide, avvizzite, su di lei, le loro dita scheletriche nei suoi capelli. Qualsiasi forza era come svanita dalle sue membra. Daenerys non poteva muoversi, perfino il suo cuore aveva cessato di battere. Sentì una mano afferrarle il seno esposto, torcendole il capezzolo. Denti trovarono la pelle morbida della sua gola. Una bocca calò su uno dei suoi occhi, leccando, succhiando. La bocca cominciò a mordere…

L’indaco divenne arancione, e i sussurri si trasformarono in urla. Il suo cuore si era messo a martellare, le mani, le bocche degli Eterni erano svanite. Un’ondata di calore percorse la sua pelle. Dany ammiccò nella luce improvvisa. Planando su di lei, il drago nero spalancò le ali rettiliane e volò ad artigliare l’orribile cuore corrotto. Le unghie di Drogon ne sventrarono la carne oscura. La sua testa appuntita schizzò in avanti, scaricando dalle fauci spalancate un torrente di fuoco vivido, torrido.

All’improvviso, lo spazio intorno a lei fu pieno delle urla degli Eterni che bruciavano, alte voci frantumate, emesse da corde vocali ormai morte da troppo tempo. La loro carne era pergamena che si dissolveva, le loro ossa disseccate come legno imbevuto nel sego. Si contorsero mentre le fiamme continuavano a divorarli. Barcollarono e sussultarono e rotearono, sollevando le mani incendiate, le dita scintillanti come torce.

Daenerys si costrinse a rialzarsi in piedi, ad aprirsi la strada tra i corpi avvolti dal fuoco. Erano esseri leggeri come l’aria, nient’altro che ceneri aggregate a stento, che si dissolvevano al tocco. Dany fu sulla porta. Alle sue spalle, tutta la stanza era un ruggente inferno.

«Drogon!»

Il drago nero emerse dal turbine di fuoco, volando fino a lei. Fuori dalla Sala degli Eterni, un lungo passaggio in penombra si snodava come un serpente, mentre l’alone dell’incendio baluginava dal fondo. Daenerys si mise a correre, cercando una porta, a destra, a sinistra, qualsiasi porta. Ma non esisteva nessuna porta, solo pareti di pietra convesse e un pavimento che sembrava muoversi sotto i suoi piedi come sabbia mobile, quasi cercando di farla cadere. Dany riuscì a rimanere in equilibrio e continuò a correre. All’improvviso, eccola, la porta. Proprio davanti a lei, come una bocca spalancata.

Emerse nella vampata della luce solare, il chiarore improvviso le diede le vertigini. Pyat Pree stava berciando in una lingua sconosciuta, saltellando da un piede all’altro. Dany gettò una rapida occhiata alle proprie spalle. Esili viticci di fumo filtravano dalle crepe negli ancestrali muri di pietra del Palazzo di Polvere. Altro fumo si levava tra le tegole nere del tetto.

Pyat Pree ululò chissà quale maledizione, estrasse un pugnale e si lanciò contro di lei. Drogon gli volò in faccia, sputando altro fuoco.

Crack!

Lo schioccare secco della frusta di Jhogo. Mai Dany aveva udito suono più dolce. Il coltello volò via dalla presa dello stregone. Un istante dopo, Rakharo scaraventò Pyat Pree a terra. Ser Jorah Mormont si inginocchiò sull’erba fresca accanto a Daenerys e le mise un braccio intorno alle spalle.

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