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Un angelo morto. Un altro angelo morto; per un attimo Axxter pensò che il film del vecchio Opt Cooder, quello che aveva guardato così spesso da ragazzino, mentre ancora si trovava al settore orizzontale, fosse in qualche modo uscito dagli archivi e si trovasse ora davanti ai suoi occhi. Fermò la Norton e guardò oltre il manubrio, verso il basso. La confusa sovrapposizione tra il passato registrato e il sanguinante presente svanì, mentre il delicato cadavere giaceva impigliato sul cavo di transito dove si era bloccata la ruota della moto.

Era una donna; giaceva immobile con il piccolo seno contro il muro d’acciaio, cullato dalla membrana sgonfia sulle spalle. Il sottile tessuto non aveva più la forma sferica gonfiata dai gas; era solo un brandello grigio mosso dal vento. Annerito; mentre Axxter lo guardava, il vento soffiava via la cenere dai suoi bordi bruciacchiati. Era diverso dall’angelo filmato da Cooder, il cui corpo non mostrava alcuna ferita evidente e la membrana era sgonfia solo perché il sangue aveva smesso di scorrere. Ed era biondo, pallido, quasi trasparente. Quello che aveva davanti a sé era moro; guardò la scura chioma che le ricadeva sulle spalle, poi la bianchissima pelle delle braccia: che contrasto cromatico.

Il vento afferrò una piega della membrana, gonfiandola dietro alla testa dell’angelo. Il suo viso si girò, baciato dal vento, e alzò il mento, facendo risaltare il lungo collo. Sembrò che quel corpo ricambiasse lo sguardo di Axxter, anche se gli occhi erano nascosti dalle lunghe ciglia scure. Trasalì quando riconobbe l’angelo.

È lei. Ne era certo, l’aveva stampata nella memoria; non aveva bisogno di controllare la registrazione in archivio. Che io sia dannato; spense il motore della Norton che disturbava quella scena e i suoi pensieri. Era lo stesso viso che aveva visto l’ultima volta: le sopracciglia tremanti e la bocca aperta come se stesse piangendo; la testa all’indietro e i capelli scuri al vento; le mani contro il petto dell’uomo e la membrana gonfia, dietro alle sue spalle, inondata dalla luce dell’alba… aveva visto allora quel viso, nel mirino della telecamera che riprendeva gli angeli che facevano l’amore lontani dal muro del Cilindro. Ora lo stesso viso era lì, davanti a lui, davanti alla ruota della sua moto, con la membrana sgonfia simile a un cuscino preparato per un lungo sonno.

Egli sapeva perché aveva provato quel brivido. Irrazionale: non avrei dovuto filmarla. Filmarli. Aveva rubato loro la vita, proprio mentre non lo stavano guardando, intenti com’erano ad altro. Bel lavoro, campione; l’hai rubata e venduta e adesso ti trovi davanti al suo corpo senza vita. Giusto per farmi sentire una merda.

Provò disgusto al pensiero mercenario di tirar fuori la telecamera e filmarla. Vadano tutti a fare in culo; gli occhi ingordi di quelli che vivevano nell’edificio avevano già un angelo morto da guardare.

Axxter scese dalla moto e i suoi stivali si agganciarono al muro. Con una mano cercò di afferrare il cavo di transito e a fatica si arrampicò fino al punto in cui si trovava l’angelo. Il tessuto della membrana, tanto simile a seta, gli avvolse il braccio. Voleva liberarla dal cavo e farla scivolare via dall’edificio, giù, fino allo strato di nuvole e oltre, dove tutti gli angeli morti andavano a riposare. La sua mano si trovava a un centimetro dal viso dell’angelo quando avvertì un debolissimo alito d’aria, più caldo di quello del vento. Svanì, poi lo sentì ancora: un respiro, più profondo di quello che aveva sentito un attimo prima.

— Cristo! — Con delicatezza le sfiorò la gola. Una leggerissima pulsazione. La testa dell’angelo cadde da una parte quando egli ritrasse la mano.

Viva. Qualunque cosa avesse distrutto e bruciato la membrana (un ricordo, il luogo scuro dietro al metallo lacerato e l’odore di oggetti bruciati, si mosse nei suoi pensieri) aveva lasciato un filo di vita nel fragile essere. Ma, naturalmente, non per molto. Quel corpo pieno di luce che egli aveva filmato due mattine prima stava ora diventando grigio, insieme al materiale simile a seta che fluttuava intorno alle sue braccia. Pensò che si fosse trattato di uno shock, forse qualche ferita interna. La perdita di sangue sembrava minima e non c’era alcuna lacerazione visibile sulla pelle. La bruciatura aveva cauterizzato tutte le vene che portavano sangue alla membrana.

— Merda — disse rosicchiandosi un’unghia. La morte era già un avvenimento spiacevole, ma quella di un angelo era ancora peggio. Cosa doveva fare di fronte a una cosa simile? Non certo aiutarla a morire più in fretta del previsto. Non poteva spingerla verso le nuvole… e allora? Guardare e aspettare finché non fosse morta? — Dannazione! Devo fare qualcosa per lei. Come posso fare? Cosa può aiutarla? — Le sue conoscenze mediche erano rudimentali e scarse per essere un libero professionista… e poi gli angeli erano simili agli umani? Sembrava di sì, anche se le ossa erano un po’ più sottili ed eteree, in modo da poter essere sollevate in aria… Merda, forse sono uccelli senza penne. O qualcosa di totalmente diverso, creato dagli esseri tanto intelligenti che erano vissuti prima della Guerra. Axxter scosse il capo, continuando a mangiarsi l’unghia.

— Bene… — Il vento allontanava la sua voce. — Non puoi ucciderla di più, giusto? — Strinse la presa sul cavo e si avvicinò all’angelo.

Il vento era aumentato da quando l’aveva notata. La membrana ebbe un leggero fremito, mentre il vento ne strappava i brandelli più lunghi. L’angelo sprofondò ancora di più nella specie di culla formata dal tessuto morto e un braccio esile penzolava verso le nuvole. Il suo peso strattonava il punto in cui la membrana era rimasta impigliata nel cavo, rompendosi in lunghe strisce sottili.

Axxter prese una corda dalla sua cintura e fece in modo che la testina triangolare cercasse un punto di ancoraggio sulla superficie ruvida dell’edificio. Teneva una mano sulla corda tesa, lasciandosela scivolare tra le dita; un’inelegante discesa a corda doppia, mentre con la mano libera cercava di sollevare l’angelo. Con un braccio le circondò le spalle, facendo in modo che la testa si appoggiasse al suo petto. Era quasi senza peso e gli sembrò di sollevare qualcosa d’incorporeo, una figura percepibile solo visivamente. Quell’impressione durò solo un attimo; sollevando il fragile corpo liberò una parte della membrana che era rimasta impigliata contro il muro. Il vento l’afferrò, gonfiandola come fosse una vela; la corda gli bruciava le dita mentre scendeva.

Istintivamente, strinse più forte al petto la donna, quando guardò verso il basso e vide la massa di nuvole che lambiva il muro dell’edificio, mentre i capelli dell’angelo, come una rete contro il suo viso, gli finivano in bocca quando cercava di respirare. Un’altra raffica di vento, la membrana si gonfiò e ondeggiò intorno a loro, ed egli avvertì la solida presa degli stivali al muro. Il suo pugno si strinse e la corda era come una lama tra le sue mani; si fermò perpendicolarmente al muro, spingendosi all’indietro, verso l’aria.

— Maledizione! — Guardò il viso dell’angelo. Sembrava addormentata, nuda, con la guancia appoggiata alla spalla del suo amante. Axxter sentì il calore di quella debole vita penetrargli attraverso la camicia e… Il solito maledetto vecchio scherzo. La carne. Maledetta; sei disgustoso, si disse. Sei sospeso con il culo verso le nuvole e questo è tutto quello a cui riesci a pensare? Gesù Cristo! Stancamente sollevò un braccio, un membro meno offensivo del suo corpo, dalla schiena dell’angelo e riafferrò la corda di sicurezza. Cominciò a tirarsi su, tenendo sempre saldamente l’angelo contro di sé. L’agitarsi della membrana mossa dal vento diminuì quando tornò ad avvicinarsi al muro dell’edificio.

Una volta tornato nella posizione verticale, l’angelo fu abbastanza leggero da poter essere trasportato con un braccio solo: le sue braccia penzolavano dietro alle spalle di Axxter che si stava dirigendo alla Norton. Lo mise nel sidecar e l’assicurò con una cintura che gli fece scorrere trasversalmente dal fianco all’ascella. Si piegò su di lei e sentì ancora il suo respiro… più profondo? Non poteva dirlo. Tirò fuori la sua attrezzatura da grafico e il suo tavolo da lavoro pieghevole.

Ovunque fosse fissato, quel tavolo gli forniva abbastanza spazio per muoversi agevolmente intorno a qualunque guerriero muscoloso e ben piazzato su cui stesse lavorando; l’esile forma dell’angelo occupava a malapena la metà di quello spazio. Axxter tirò le tende per ripararla dal vento e si piegò sull’angelo svenuto.

Nella debole luce che filtrava attraverso il tessuto che formava una cupola sulla sua testa, Axxter osservò il petto dell’angelo sollevarsi e abbassarsi debolmente. Avrebbe potuto applicarle qualche strumento per monitorare i suoi segnali vitali — li teneva da qualche parte nell’equipaggiamento medico — ma pensò che fosse del tutto inutile. Non avrebbe saputo cosa significassero, comunque, sia che l’angelo avesse caratteristiche umane o meno. Non c’era alcuna ferita chiaramente visibile, a parte qualche contusione: la più grande, sulla cassa toracica, mostrava il segno del cavo di transito su cui era rimasta impigliata. Le sollevò gli arti, controllando che non ci fossero fratture prima di girarla.

Riparato dal vento, ora poteva sollevare la leggera membrana per valutare l’entità del danno. Il tessuto semitrasparente aveva più elasticità di quanta si aspettasse, una sottile pellicola che si allungava tra le sue mani e i cui capillari formavano una specie di ragnatela. Solo dove la membrana era bruciacchiata il vento e il peso dell’angelo erano riusciti a lacerarla. L’abbassò, come una mantellina sulle spalle dell’angelo e si chinò a rovistare nella sua attrezzatura medica.

Usando una mezza dozzina di corde ausiliarie fissate alla struttura delle tende, Axxter allargò la membrana e la sistemò come fosse una tenda da campeggio. Ora poteva vedere con precisione l’entità della bruciatura. Qualunque lingua di fuoco l’avesse raggiunta — e l’odore della carne bruciata gli ricordò quello acre che aveva sentito nella zona distrutta — chi o cosa l’avesse presa di mira, aveva vaporizzato una sezione della membrana. Axxter valutò che si trattasse di più di un terzo della grandezza totale del tessuto. Vi aveva lasciato un buco tondo e nero che andava dal fianco sinistro dell’angelo su su fino alla nuca. La bruciatura era più ampia verso la curvatura in basso e si restringeva di qualche centimetro verso la cima. Studiando la ferita, Axxter poté immaginare ciò che aveva ridotto la membrana in cenere, come una torcia contro un palloncino di carta.

L’angelo doveva trovarsi là. Toccò il bordo della bruciatura: un frammento di membrana bruciata gli rimase sulla punta delle dita. L’angelo doveva fluttuare nell’aria con il suo dolce sorriso sulle labbra, quando i Centri dei Morti si erano spalancati su quella sezione di muro. Le urla e tutti i rumori acuti di quei succhiacisti orizzontali e la grande esplosione luminosa devono esserle apparsi molto affascinanti. Axxter scosse il capo, facendo una smorfia come se avvertisse sulla lingua il sapore acre di bruciato. E quegli stronzi — intendeva i Centri dei Morti, anche se non riusciva nemmeno a formularne il nome nei suoi pensieri — dovevano aver guardato verso il cielo attraverso il buco della parete; e lì avevano avuto la visione di quella meravigliosa donna nuda che fluttuava in aria con il viso sorridente e curiosa di capire cosa stesse succedendo… e alle sue spalle si trovava una sfera inondata di luce che assomigliava a una farfalla… Così, naturalmente, avevano rivolto le armi verso di lei o si erano limitati a guardarla con i loro occhi morti, tutti acciaio e fuoco. E l’avevano abbattuta. Brutti stronzi. Un angelo non ha alcuna opportunità in questo mondo.

— Ecco cos’hai guadagnato a essere curiosa, dolcezza. — Axxter guardò il viso addormentato dell’angelo sdraiato di fianco sul tavolo, ma questa non sembrava affatto aver sentito. — È probabilmente la fine che farò anch’io, prima o poi — e ricordò la sua passeggiata nella zona distrutta, l’odore di bruciato nelle narici, gli sguardi vuoti dei morti orizzontali, puntati su di lui.

Lei respirava ancora; all’interno dello spazio isolato dalle tende, egli sentiva addirittura l’aria muoversi. Portarla in un luogo riparato ne aveva solo ritardato la morte. Axxter si grattò una guancia, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare. Forse non sarebbe nemmeno morta per la lacerazione alla membrana, pensò. Sarebbe forse morta di fame, sarebbe tristemente deperita o qualcosa di simile, per non essere più in grado di fluttuare nell’aria e di fare tutto quello che gli angeli fanno. Come un grande uccello senza ali; come un’aquila. E avrebbe dovuto sfamarla per il resto della sua vita: non sarebbe stata una cosa lunga, ma triste. Merda; sarebbe stato più giusto ucciderla — avrebbe potuto somministrarle una quantità di anestetico dermico in grado di farlo. Avrebbe potuto spalmarglielo sulla pelle nuda e aspettare che il suo cuore sobbalzasse e poi si fermasse per sempre, soffocato da quella massa chimica.

Oppure… ecco la considerazione del mercenario; sempre in agguato: potrei chiamare la Chiedi Ricevi. E dire loro cos’aveva sul tavolo; avrebbero inviato immediatamente una squadra sul luogo. E l’avrebbero trasportata nei loro efficientissimi laboratori di ricerca e…

Scosse il capo. Andresti all’inferno — da qualche parte al di sotto delle nuvole, immaginò — se facessi qualcosa del genere. Essere responsabile del sezionamento dell’angelo. E se non ci fosse l’inferno, dovrebbe esserci per azioni simili.

Per un paio di minuti rimase fermo al tavolo, osservando l’angelo. Poi uscì dalla tenda e si arrampicò sul muro, verso la Norton. E tornò con il suo materiale da grafico. Lo sistemò sul tavolo e cominicò a tirar fuori gli attrezzi di cui aveva bisogno.


Si era assicurato con delle cinture al sidecar della Norton e riuscì anche ad addormentarsi in quella scomodissima posizione, con le gambe piegate. Non voleva trovarsi all’interno dello spazio protetto dalla tenda quando l’angelo si fosse svegliato; ne aveva già passate abbastanza senza doversi trovare davanti un grosso e spaventoso essere umano al suo risveglio.

Un suono echeggiò nel suo orecchio, svegliandolo. Gli ci volle un attimo, sbatté gli occhi e si passò la lingua sui denti, prima di capire di cosa si trattasse. — Si è svegliata? — Aveva lasciato un microfono attaccato alla tenda per cogliere anche il minimo rumore.

SUPPONGO. Le lettere si muovevano davanti ai suoi occhi. O È LEI O C’È QUALCOS’ALTRO LÀ DENTRO.

Axxter salì sulla piattaforma. Quando aprì le tende vide che l’angelo era seduto sul bordo del tavolo, lasciando dondolare i piedi. I capelli neri le cadevano sulle spalle e una ciocca le si arricciava sul seno.

Lo guardò dritto in faccia. — Ciao. — Sul suo viso e nella sua voce non c’era traccia di paura.

Egli era in piedi sul tavolo, con le tende ancora in mano. — Uh… La sua voce era spaesata. — Ciao.

Un sorriso aperto, che spezzava il cuore. — Lahft è il mio nome. Angelo il mio gioco.

Questo lo confuse. Anche fisicamente: si tenne stretto alle tende per non cadere dal tavolo. Chi diavolo sapeva che gli angeli sapessero parlare? E che dicessero anche cose quasi comprensibili! — Loft — ripeté lui, incapace di pensare a qualunque altra cosa.

Lei scosse la testa, muovendo i capelli neri. — Lahft. La-ah-ah-ahft. — Di nuovo quel sorriso. Aspettando.

Una gioia confusa e violenta lo invase, stupendolo. Quello era il motivo per cui aveva lasciato il livello orizzontale ed era andato sul verticale: guardò verso il basso e si sentì lo stomaco in gola; sì, per svegliarsi e trovarsi davanti una cosa simile… per quello. Per poter guardare quella creatura femminile. Che era qualcosa di grande. Un angelo che gli sorrideva. Era lì per lei… in un piccolo spazio e non c’era nient’altro tra lui e l’aria, se non quelle tende e il suo tavolo. Se anche gli fosse accaduto una volta sola nella vita, sarebbe già stata sufficiente. E sarebbe continuato ad accadere, da qualche altra parte. Qui fuori.

— Laaaahft. Come va così, meglio?

Lei annuì, poi rise quando lui le disse il suo nome. — Ny — Guardò verso l’alto, riflettendo su quel suono. — Ny, Nai, nei, noi. In un certo senso significa essere vicini.

La voce dell’angelo era allegra, quasi gioiosa — anche considerato quello che le era accaduto e la condizione in cui l’aveva ritrovata — e si chiese quanto davvero capisse di quello che stava dicendo o quanto piuttosto non si limitasse a ripetere a pappagallo parole che aveva sentito lì in giro. Ma dove avrebbe potuto sentirle? Forse aveva origliato… ma da chi? Lasciò perdere… sarebbe stato uno dei misteri della vita. Fece qualche passo in avanti, lasciando le tende; urtò qualcosa di piccolo e metallico con una scarpa. Guardò in basso e vide uno degli scalpelli che aveva usato per tagliare la parte bruciata della membrana dell’angelo. Tutti i suoi attrezzi medici erano disposti in ordine sul tavolo e la cassetta che li conteneva era sotto il tavolo. Era stata lei a fare quel lavoro, attentamente e in silenzio, prima di provocare inavvertitamente il rumore che aveva fatto scattare il suono d’allarme.

Scavalcò quegli attrezzi e si avvicinò al tavolo. Anche la sacca di pelle nera in cui c’erano i suoi strumenti di lavoro era lì sotto, ben chiusa; con il prudente istinto del vero libero professionista, la donna li aveva riposti con cura dove nessuno avrebbe potuto prenderli.

L’angelo non lo guardava, fissando lo sguardo sulle tende sopra la sua testa. — Il cielo è così piccolo qui. — Sembrava stupita.

— Oh… aspetta. — Si avvicinò alle tende, sganciò la chiusura e le aprì. L’angelo lo guardava con interesse e rise compiaciuta quando rivide il cielo.

— Eccoti — Axxter si attaccò al bordo del tavolo perché il vento non lo facesse cadere dalla piattaforma. Lei lo guardò con un dolce sorriso stupito. Essere meraviglioso e spontaneo; e Axxter si sentì un po’ triste. Come potrebbe conoscere qualcosa? — Sai, quello non era il cielo. Tu eri in uno spazio ristretto. Capisci? Prima ho scostato le tende.

— Prima… — Ora Lahft lo guardava. — Pri… ma — Poi guardò tranquillamente il cielo. — Ma… pri. Ma… dri. — Giocava con le parole.

Cristo! Forse Guyer l’aveva già rovinata. L’angelo sedeva sul tavolo con le mani in grembo, mentre il vento le muoveva i capelli sulle spalle. Axxter la guardò e notò che il suo desiderio di lei era diminuito. Era impossibile mantenere un interesse carnale per qualcuno — o qualcosa — tanto fragile. Sarebbe stato come violentare un bambino. E il rimorso l’avrebbe accompagnato per il resto della vita.

Oppure… — considerò un’altra possibilità — forse lei è più furba di quanto tu pensi. Per quanto riguarda le cose che gli angeli dovrebbero sapere. Solo con… un diverso senso del tempo. Se avevano il senso del tempo… si chiese quanto logico fosse che gli angeli avessero un simile concetto. Lei aveva notato qualcosa sopra le sue spalle e aveva girato il collo per vederlo meglio. La sottile membrana — di nuovo una gonfia sfera e non più il brandello lacerato in cui Axxter l’aveva trovata — rifletteva il suo viso, distorto nella lucida superficie metallica.

— Uh… sono stato io — Axxter non sapeva se stesse scusandosi o vantandosi. — Ho dovuto, perché era un bel pasticcio. Ecco perché adesso è un po’ diversa.

Diversa?

Non c’era differenza senza il concetto di prima. — Questo… — si allungò per toccare la membrana e con la punta delle dita sfiorò il biofoglio che le aveva trapiantato per sostituire il tessuto bruciato. — Questo non è il modo in cui era… — ma si fermò vedendo il suo sguardo sorridente che non capiva. Era; a cosa serviva? Era come insegnare matematica superiore a un gatto. Non sapeva nemmeno perché stesse cercando di spiegarle.

Ci provò ancora. — Guarda. — Lei obbedientemente seguì il suo dito. — Il cielo… d’accordo? — Lei annuì. Perlomeno capiva qualcosa. — D’accordo, adesso è così. — Prese gli angoli delle tende e le tirò, chiudendosi nuovamente in uno spazio limitato. La luce del sole filtrava attraverso il tessuto. — Adesso è ancora piccolo. Come era prima. — Le ultime parole erano disperate; sto facendo casino, pensò. Non c’era nemmeno vicino. Riaprì le tende, lasciando vedere il cielo. — È. — Le richiuse. — Era. — Poi scosse il capo con un sospiro; lascia stare. Qualcuno, forse un esperto in semantica, avrebbe saputo spiegarle quella differenza; lui non ne era in grado.

Eppure lei continuava a sorridergli. Il che lo faceva solo sentire più frustrato. Una cosa divertente in un mondo di cose divertenti. Si stupì che non fosse addirittura scoppiata a ridere di lui. Forse quello era il pregio di essere un angelo; tutte le cose tristi sono nell’altro mondo, il mondo del prima e dell’era. Lei non deve preoccuparsene affatto. Se si preoccupa di qualcosa.

Si chiese quanto ricordasse di quello che le era successo. Ricordare… era tutta da ridere. Forse era caduta come un sasso attraverso le nuvole, verso qualunque oblio ci fosse al di sotto. Si chinò a raccogliere una torcia a batteria tra tutti i suoi attrezzi ordinati sulla piattaforma. Gliela puntò sul viso e l’accese: una lingua di fuoco danzò nei suoi occhi.

Per un attimo Lahft sorrise davanti a quella luce, poi il suo viso si rabbuiò. Si spinse indietro appoggiando le mani al tavolo.

Bene, bene. C’era qualcosa dopo tutto… forse nel profondo delle cellule, quell’organismo possedeva una memoria. Axxter spense la torcia — gli sarebbe sembrato di torturarla — e la lasciò cadere.

— Non… qui. — La sua voce sembrava preoccupata e allontanò lo sguardo da lui, guardando verso il muro sopra la piattaforma. — Un posto luminoso. Come quello. — E indicò il punto in cui c’era stata la luce della torcia.

Non esisteva il tempo, non c’era differenza tra prima e adesso… Lei crede che stia succedendo ancora da qualche parte. Che accada sempre, senza fine, in quel luogo luminoso. — Là in alto? — Axxter indicò il settore di muro su cui aveva viaggiato.

— Sì. — Lahft annuì, ma il suo sorriso era scomparso, mentre con il viso corrucciato si sforzava di comprendere. — Tutto luminoso e… rumoroso.

— Rumoroso?

L’angelo chinò indietro la testa, con gli occhi chiusi. E urlò.

Sembrò che ogni morto della zona distrutta, ogni faccia bruciacchiata contro le pareti nere, fosse stata registrata e riprodotta perfettamente. Le tende della piattaforma svolazzarono, come per dimostrare la loro partecipazione a quel tetro ricordo.

L’urlo avvolse Axxter. Non si fermava: l’angelo aveva i muscoli del collo tirati, le sue corde vocali vibravano. Lui fece un passo indietro, spinto via dall’onda sonora. Inciampò nella torcia che aveva fatto cadere e scivolò, atterrando su un fianco. Si mosse a gattoni per allontanarsi da quell’urlo, ma si trovò sul bordo della piattaforma. Al di sotto, la massa di nuvole raccolta intorno alla curva dell’edificio. Anche se fosse caduto, non sarebbe riuscito a sfuggire a quell’urlo che gli penetrava nelle ossa.

Poi il grido si placò. Rimase solo il sibilo del vento; Axxter rotolò su un fianco e si girò a guardare l’angelo sul tavolo. Sorrideva di nuovo, ma in modo diverso. Le sopracciglia erano leggermente incurvate e non aveva più gli occhi spalancati. Non è sciocca come pensavi, tacchino. A fatica riuscì a rialzarsi. Alcuni strumenti medici sparsi testimoniavano la sua caduta. Deve aver visto tutto, mentre era sospesa in aria, quando il Centro dei Morti ha spalancato il muro nel tentativo di procurarsi dei folli collaboratori orizzontali. Aveva visto tutto ed era rimasta a guardare: strani esseri che facevano cose divertenti. Una luce forte, selvaggia e un rumore interessante. Eppure la curiosità ha il suo inevitabile prezzo.

Lei non si curava di Axxter. Guardava dietro alle sue spalle, tutta assorta a osservare la propria membrana ricostruita. Il biofoglio argentato rifletteva la sua espressione impegnata.

Tutto bene, tesoro. Si diresse sotto il tavolo, passò vicino alle sue gambe nude e penzolanti e tirò fuori la sua cassetta da lavoro. Ora c’è un piccola sorpresa per te.

Sul biofoglio comparve l’immagine di una stella che si muoveva e danzava, nascondendo il viso riflesso del’angelo. Lei restò senza fiato e spostò la testa, allontanandosi dal sottile metallo che aveva preso il posto della sua vera pelle. Si girò sbigottita e fissò Axxter.

Egli si picchiettò una tempia, ammirando il suo lavoro di grafico. — Tosto, eh? — Non gli importava che lei capisse come funzionava. Era importante che vedesse quello che lui sapeva fare. Selezionò CANCELLA e quella breve sequenza scomparve. — Guarda adesso — le disse.

Lo sguardo sospettoso dell’angelo si spostò dal viso di lui e tornò a guardare la membrana. Il biofoglio, di nuovo bianco, rifletteva la sua faccia. Lo guardò, e guardò la cassetta che lui aveva tra le mani, mentre il suo sorriso lasciava posto a un’espressione pensierosa.

— Ti è piaciuto? — Godeva del piccolo potere che gli dava la sua abilità. Un po’ della sua magica arte grafica; non si trova spesso un pubblico così ingenuo su cui far presa. — Molto carino, non credi?

Lahft piegò la testa, riflettendo. Poi fece un mezzo sorriso. — Era… era… impressionante — disse lei.

— Oh… capisco. — Egli annuì, ricambiando il debole sorriso. — Era, eh…? Guarda questo, allora. — Aveva un certo repertorio dimostrativo e scelse un’altra immagine. Diresse il segnale direttamente sul biofoglio — se avesse voluto, avrebbe potuto riflettervi l’immagine indirettamnete — ma in quel modo non dovette ricorrere alla Piccola Luna, che si trovava distante, da qualche altra parte della superficie del Cilindro; così lo schema apparve immediatamente sulla sottile membrana dell’angelo.

Come se l’angelo sentisse i puntini neri formare un’altra immagine, guardò dietro alle sue spalle. Il viso di un personaggio dei cartoni animati, evidentemente un uomo, comparve sul biofoglio: al collo aveva un collare e una cravatta. Gli occhi ovali di quel viso diventavano sempre più larghi, come se fossero stupiti; comparve anche una vignetta.

WILMA! TU… E BARNEY!? BENE, CHE IO SIA DANNATO!

Non poteva dire se lei riuscisse a leggere le parole pronunciate da quell’antico e famoso viso. Forse era già abbastanza che gli angeli potessero parlare… e lui avrebbe potuto essere l’unico a saperlo.

La membrana, gonfiata dai gas dializzati dal sangue, si era ingrossata. Anche il viso del cartone animato era diventato più grande ed erano comparsi più puntini per delineare meglio l’immagine ed annerirla. Axxter guardò la membrana dell’angelo con occhio critico e professionale. Le cuciture con cui aveva innestato il biofoglio resistevano alla tensione crescente; fu orgoglioso della perfezione che aveva raggiunto nella sua arte. Lo stesso biofoglio era più elastico e forte della sottile pelle che aveva sostituito: non c’era alcun pericolo che potesse lacerarsi.

Selezionò un ciclo di RIPETIZIONE per il cartone. Lei lo guardava con un sorriso sinceramente divertito. Lui era diventato una delle cose divertenti del suo mondo.

— L’hai fatto tu. — L’angelo toccò la membrana, coprendo il cartone. — Tu l’hai fatto esistere — e lo guardò ammirata.

— Sì… sono stato io. — Axxter s’immaginò qualcos’altro di lei, o degli angeli in generale. Non è che non avessero alcun concetto di tempo — non era difficile intuire il passato fatto o stato tra tutti gli altri tempi verbali — ma probabilmente a loro non importava un bel niente del tempo. Per loro si trattava di una dimensione eliminabile. Lei stava giocando con me quando faceva la parte dell’imbranata. — Ti è piaciuto?

— Divertente. Ma più carino… priii-ma.

— Oh. Ho capito. — Cancellò il cartone e riportò la stella. L’angelo scoppiò a ridere, battendo le mani.

Poi lo guardò, chinando il capo. — Perché?

— Che? Perché? Cosa?

Di nuovo: — Perché?

Si grattò la testa. — Vuoi dire… perché… riesco a farlo? È così? Di nuovo lo stesso sorriso e gli stessi occhi spalancati in risposta. — Be’, capisci, è il mio lavoro; è quello che faccio per vivere.

— Davvero?

Forse non era del tutto inutile; chi poteva dirlo? Avrebbe anche potuto capire. — Vedi, io sono un grafico. E così che mi guadagno da vivere. — Cosa ne potevano capire gli angeli? Apparentemente vivono solo di aria e sesso.

Spostò lo sguardo da lui alla stella che si muoveva sulla membrana, poi ancora a lui. — Grafico… cos’è?

Non sapeva bene come spiegarglielo, o almeno non sapeva da dove partire. — Dunque… ci sono alcune persone che vivono qui fuori sull’edificio. Sai chi sono le tribù militari? — Nessuna risposta. — Persone, uhm… grandi gruppi di gente. Oppure anche piccoli gruppi. Li hai visti senz’altro. Comunque, questi combattono tra loro. Combattono… sai cosa voglio dire? — Naturalmente no, idiota! — Dunque… a queste persone piace spaventarsi a vicenda mentre si combattono. E allora cercano di avere facce spaventose. — Merda. — Avrebbe benissimo potuto fischiare o abbaiare per quello che ne sapeva. Disperato, si infilò le dita agli angoli della bocca e tirò fuori la lingua, facendo una smorfia. — Yaaargh!

La risata di lei fu ancora più sonora di quella di prima; smontato, abbandonò quella strategia.

— Allora mi assumono — oppure assumono persone come me — per disegnare loro delle facce spaventose. E altre immagini che incutono paura. Ecco quello che fa un grafico. — Anche se la descrizione era stata piuttosto accurata, era un po’ umiliante pensare al proprio lavoro in quei termini. — E per farlo usiamo quel materiale — disse indicando il sottile metallo che le aveva trapiantato sulla membrana. — È quello che noi chiamiamo biofoglio.

— Carino.

— Già, molto carino. Ed è come pelle: per questo ho potuto usarla per ricostruire la tua membrana dove era stata lacerata. — Forse aveva già dimenticato ogni cosa. — E posso innestarla sulla vera pelle dei guerrieri, sai… la gente a cui piace combattere e spaventarsi a vicenda con strane facce. Ma il biofoglio non è vera e propria pelle; è metallo… be’… è soprattutto metallo con un substrato di polimero che ha una proprietà mimetica a livello molecolare. Così può adattarsi e trasformarsi in capillari e pseudotessuto nervoso; inoltre possiede doti immunitarie che gli impediscono di essere rigettato dal tessuto originale… — D’un tratto si rese conto dello sguardo interrogativo dell’angelo. — Già, giusto: non lo capisco bene neanch’io. È una tecnologia antichissima, che risale al periodo precedente la Guerra.

— Tu crei quelle immagini?

Egli annuì, sollevando la scatola che usava per programmare le immagini. — Posso spostare l’indice di rifrazione del biofoglio su base molecolare — deve proprio piacerti sentirmi blaterare, non è vero? Ti piace il suono della mia voce? D’accordo. È così che creo le immagini. Ma le persone per cui le faccio… potrebbero anche non pagarmi… non darmi il denaro; dimenticarsene… se le immagini restassero permanentemente impresse sul biofoglio. Sai, loro devono pagare per il mio lavoro. Se potessero andarsene con le immagini, si limiterebbero a uccidere l’innestatore, tenendosi il lavoro. — Sfortunatamente era proprio vero. Non ci si poteva fidare dei guerrieri, con il loro disprezzo per tutte le altre forme di vita. Il sindacato dei grafici — e di tutti coloro che lavoravano per i guerrieri — si era adoperato per ovviare a questo problema. — Quindi il segnale che compone l’immagine che appare sul biofoglio dev’essere regolarmente trasmesso e ricevuto dal foglio, altrimenti non c’è nessuna immagine, solo una serie di puntini che si muovono senza senso. Io decodifico il segnale e lo invio al Consorzio della Piccola Luna — quelli che non operano sulla luna vera e propria, ma su lune più piccole e vicine a noi. E fino a quando i guerrieri mi pagano per il mio servizio io pago il consorzio per trasmettere il segnale che forma le immagini, in modo che queste continuino ad apparire. È così che funziona.

Non si aspettava che lei avesse capito. Perlomeno, era stata tranquillamente seduta — più o meno, perché spesso il suo sguardo era scivolato verso il cielo. Capì che il fascino della sua voce era ormai svanito. Le aveva tenuto una lezione insignificante, incomprensibile.

Lei saltò giù dal tavolo: in punta di piedi si avvicinò al bordo della piattaforma, mentre il vento muoveva la sua membrana. — Ciao — gli disse. — Addio. Ci vedremo qui intorno.

Ecco. Quel pensiero lo rattristò. Per un attimo l’attenzione dell’angelo era stata rivolta solo a lui, a null’altro. L’ho vista, quella grazia è stata per un po’ con me… io non la scorderò mai, mentre probabilmente lei mi ha già dimenticato.

Il sole passò sul tetto dell’edificio lasciando la piattaforma nell’ombra. Con lo sguardo seguì l’angelo allontanarsi, fino a quando divenne una figura piccolissima e lontana dall’edificio.

Un ultimo raggio di sole cadde sulla nuova pelle metallica dell’angelo e il suo riflesso di fiamma colpì gli occhi di Axxter.

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