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Si era addormentato tra i cadaveri. In quel settore distrutto la fatica l’aveva sopraffatto. E stava facendo sogni orribili; Axxter si prese la testa fra i polsi e appoggiò il dorso delle mani contro la cenere e il cemento. Tuttavia, stava dormento su un comodo pavimento orizzontale, anche se in parte distrutto. E sul petto aveva una presenza metallica ancor più confortante: il suo dito stringeva un grilletto. Avrebbe tenuto lontani quegli esseri ghignanti in modo che non potessero sussurrargli all’orecchio. Ma, nonostante ciò, li stava sognando.

— Anche tu! — Ballavano in cerchio intorno a lui. — Proprio come noi! Anche tu sarai così! — Dai loro visi bianchi e dalle costole a forma di ragnatela fluttuavano i resti di tessuti carbonizzati, neri brandelli. (Nel sonno, Axxter gemette e strinse la pistola). Un teschio squadrato con un copricapo da sparviero si gira verso il suo pubblico: le ossa delle mani fanno il rumore di dadi lanciati e la sottile punta dell’indice tamburella sullo sterno di Axxter. Le luci della sala si accendono, accecandolo mentre si trova nudo sul podio.

L’essere gli agita il dito sotto il naso e poi traccia una linea fino all’ombelico. — Vediamo la parte frontale. — Stranamente, la voce dello scheletro è quella di Guyer, ma per niente gentile. — Il sole sorge da questa parte. Noi vediamo solo questo lato, noi conosciamo solo questo lato.

— Noi vediamo! Noi siamo! Noi saremo! — Ghigni bianchi si muovono sulle sedie. (Tra le mani Axxter avverte l’impugnatura sudata della pistola). — Anche tu!

— Il sole sorge e tramonta — L’indice si muove verticalmente davanti agli occhi di Axxter, come se volesse tagliargli la fronte. Deve sforzarsi per sentire le parole dello scheletro; gli sembra che ci sia qualcosa che gli ricorda altre situazioni, ma non riesce a capire cosa. — Ora è dall’altra parte, sulla parte che non conosciamo. Noi non la vediamo, non sappiamo cosa ci sia… e nemmeno ci interessa!

— Non ci interessa!

— Ma, attenzione! Il centro! Il nucleo! — Uno spostamento e viene illuminato uno specchio sopra le loro teste. Axxter alza gli occhi per vedere a cosa punti quell’indice. Con nauseante sorpresa si accorge di avere un buco sulla testa. Una specie di cappello nero che in realtà è un buco parallelo alla sua spina dorsale. La luce riflessa si tuffa in quel buco lanciando solo qualche bagliore. — Noi ne sappiamo… qualcosa!

— Noi sappiamo!

(Dorme e si asciuga una goccia di sudore, mentre tutti gli esseri ghignanti al di fuori del sogno se ne stanno prudentemente tranquilli).

Il teschio con la voce di Guyer dice: — Qualcosa che non vogliamo sapere! Non vogliamo sapere quello che c’è dentro… dove c’è il buio!

— Buio! Buio! Anche tu! Buio! (Si contorce e mugugna, sudando).

L’Axxter del sogno guarda il buco nello specchio: un pozzo fondo e nero.

La lezione prosegue. — Qualcosa… è proprio dove ci sono loro! I…

Axxter grida di tacere a quella voce, che è solo un ghigno dietro alle luci. Ma questa non tace: egli sa con la certezza tipica dei sogni che non starà zitta. Sta per pronunciare il nome.

Coro: — Anche tu! Anche tu!

i…

Poi, nel sogno, tra le sue mani compare la pistola — non si è mai completamente nudi quando se ne indossa una — mentre sul viso bianco dell’essere si disegna un’espressione di trionfo.

…i Centri dei Morti!

Lo sparo colpì il muro e risuonò nelle orecchie di Axxter. Egli si svegliò di colpo e balzò in piedi appena in tempo per sentire l’eco del proiettile rimbalzare contro la parete.

— Merda! — Istintivamente, incassò la testa fra le spalle. — Dannazione. — L’eco del colpo svanì lentamente lungo il corridoio. Il calore della pistola gli penetrò nel palmo; la lasciò cadere di colpo, come se la vedesse per la prima volta. Guardando verso il basso notò una bruciatura sulla sua giacca. Si toccò, ma non aveva nulla. Un borbottio, mentre scuoteva la testa: — ’fanculo ai sogni. — Avrei potuto uccidermi. Ecco quello che succede ad addormentarsi in un posto simile. La sua mano tremava ancora quando raggiunse la presa che aveva trovato non appena era arrivato lì.

Appena vi infilò il dito, le parole cominciarono a scorrere davanti ai suoi occhi.

DOVE SEI STATO?

LA CHIEDI RICEVI

TI STA CERCANDO.

— Ah… d’accordo. — Sbatté gli occhi cercando di svegliarsi. Il corridoio era abbastanza buio e l’esterno, visibile attraverso il buco aperto, era già immerso nelle tenebre, quindi non ebbe bisogno di alcun filtro particolare per riuscire a leggere. Fece alcuni calcoli guardando l’ora: era stato addormentato e intrappolato in quel sogno solo per un paio di minuti. Axxter aveva chiamato Brevis — non c’era modo di evitarlo, visto che il valore di quella scoperta dipendeva dall’esatta localizzazione della zona distrutta — e Brevis, da buon agente, doveva aver chiamato l’agenzia d’informazione principale. E doveva aver venduto la “sua” informazione per un sacco di soldi, sperò Axxter. — Passameli.

Il disegno animato della Chiedi Ripeti — una bocca sul palmo di una mano, un occhio, poi un’altra bocca — comparve sul terminale. Seguita da una dolce voce femminile: — Per favore, inviare le coordinate della posizione. Sul vostro conto verrà accreditata la somma di… — Una voce maschile s’intromise, monotona e annoiata: — Duecento dollari.

— Cosa? — Axxter fissò quell’immagine bocca-occhio-bocca.

Le parole vennero ripetute. — Duecento dollari.

— Stai scherzando.

La voce maschile parlò nuovamente, rispondendo in tempo reale. — Il prezzo è stato concordato dal tuo agente, amico. Vuoi verificare con lui?

— Puoi scommetterci il culo che voglio verificare con lui. Vorrei averla tra le mani, quella sanguisuga. — Axxter chiese la linea. — Passatemi Brevis.

Il viso dell’agente comparve, mentre con una mano stava già facendo un gesto tranquillizzante. — Lo so, lo so…

Duecento?… che cazzo mi stai facendo, per Dio?

Brevis alzò anche l’altra mano, come per proteggersi la gola dal suo cliente. — Questo è tutto quello che pagano, Ny, credimi. Non volevano nemmeno il tuo nastro. Qualcuno ti ha preceduto.

— Qualcuno, cosa?

— Qualcun altro aveva già passato l’informazione alla Chiedi Ricevi. E si è preso la tariffa iniziale. Duecento dollari è il normale pagamento per registrazioni di conferma provenienti da un luogo già identificato. Non ci sarà nessun denaro per chi verrà dopo di te, Ny.

— Duecento dollari — Axxter digrignò i denti; aveva un gusto amaro in bocca. Mi stanno fregando. Prima il nastro con gli angeli, adesso questo. Si guardò intorno. Il viso di Brevis si sovrapponeva ai corpi carbonizzati, alle pareti piegate e annerite dall’esplosione, alla stessa superficie del Cilindro. Lui aveva raggiunto quel luogo e l’aveva filmato, combattendo ostinatamente contro tutti i suoi sensi. Si viene pagati — o almeno si dovrebbe essere pagati — per simili informazioni. Quegli strani esseri continuavano a sghignazzare di lui.

— Mi stanno fregando. — Urlò. — Non c’è nessun altro qui intorno che abbia potuto filmarlo. Sono l’unico in questo settore. — Eccetto Guyer Gimble, forse, rifletté. E lei me l’avrebbe detto se avesse filmato una scena simile. — E il metallo era ancora caldo a causa di… qualunque cosa fosse successa. — Era ancora riluttante a pronunciare il nome che quello scheletro aveva urlato. — Nessun altro avrebbe potuto raggiungere questo posto prima di me. Mi stanno fregando per non darmi la tariffa iniziale.

— Ehi! — Un’altra dimostrazione di simpatia professionale da parte di Brevis. — Io lo so. Tu lo sai. Ma cosa vorresti fare, metterti in contrasto con la Chiedi Ricevi? Avrai a che fare con questa gente ancora per molto. Vogliono sfruttarti un po’… lascia correre. Non riusciresti comunque a beccarti più soldi da nessun altro.

— Mi stanno fregando — Axxter chiuse gli occhi, ma il viso di Brevis non scomparve. — Merda!

— Prendi quei soldi, Ny.

La voce del disegno animato della Chiedi Ricevi risuonò compiaciuta quando Axxter parlò di nuovo. — Duecento dollari, allora, d’accordo?

— Certo. — Vaffanculo. Lesse le coordinate della zona e chiuse la comunicazione. Senza nemmeno preoccuparsi di controllare se la tariffa fosse stata depositata sul suo conto.

Solo un attimo dopo quegli esseri parlarono di nuovo. — Non ancora — replicò al commento del cadavere più vicino. — Presto, ma non ora. — Non aveva del tutto sprecato la sua giornata. Duemila dollari per gli angeli e altri duecento… maledetti fottuti — per aver filmato quel posto… Niente male, davvero niente male. — Mi porta in vantaggio su di voi. — Un insetto si posò sul viso bianco in cerca di nutrimento.

Il sogno gli tornò in mente non appena Axxter attraversò il pavimento per riprendere la pistola. Quell’oratore spettrale, il buco sopra il suo cranio, l’oscurità che penetrava all’interno… ogni cosa era chiara, tranne il suo significato. Era in piedi, con la pistola in tasca, e incominciò a dirigersi verso l’esterno. I suoi stivali, che nel settore orizzontale non avevano bisogno di alcun aggancio, sollevavano nuvole di polvere.

Sul bordo frastagliato del pavimento, c’era il cadavere che gli aveva dato il benvenuto a sbarrargli la strada, con il viso bianco rivolto verso il punto in cui l’aveva individuato con la telecamera. Lo scavalcò — la mano ossuta cercò di afferrargli una caviglia — e si girò guardare ancora una volta quel luogo. Si sentiva ancora l’odore di bruciato. Ecco quello che succede. Stupide merde — avete dato le vostre vite per me e tutto quello che ci ricavo sono solo duecento dollari. La gente che aveva vissuto in quel settore orizzontale — dei bifolchi, senza dubbio operai visto che abitavano un livello così distante dalla vetta — aveva stretto un patto con i Centri dei Morti (finalmente quel nome risuonò nella testa di Axxter, dopo che il teschio del sogno aveva rotto il ghiaccio) ed era stata pagata per l’informazione. Ecco quello che succede. Anche se non si pensa mai che queste cose possano accadere a se stessi.

Si chiese che cosa li avesse spinti a prendere quella decisione. Per quanto tempo ci avevano pensato, discutendone nelle pause per il pranzo nelle loro fabbriche, prima sottovoce, poi sempre più forte, quando tutti nel settore erano stati d’accordo? Cosa avevano detto loro gli abitanti dei Centri dei Morti? Lusinghe di esseri che non si erano mai visti, su cui ci si era sempre posti domande e che si muovono segretamente nella grande oscurità del nucleo dell’edificio e nei brutti sogni. Le voci sussurranti che erano penetrate attraverso gli spessi muri dal profondo centro; forse un segnale sommerso inserito in ogni comunicazione trasmessa dal Sindacato delle Comunicazioni, solo un messaggio strisciante che vibrava sui tasti dei loro terminali; forse deboli note che risuonavano nelle tazze dei loro bagni, o scritti con inchiostri vischiosi…

Cari, voi siete persone così buone e sagge. Ecco il sussurro attraverso le pareti. Così acute e intelligenti. Eppure oppresse da vecchie bugie, calunnie contro chi vorrebbe davvero esservi amico. Lasciateci venire a voi e noi vi daremo… Qualsiasi cosa… qualsiasi cosa…

Qualsiasi cosa, pensò Axxter, guardando verso le pareti scure. Di cosa si trattava? Chi lo sa… senza dubbio di ogni sorta di tecnologia pre-bellica. Si credeva che fossero stati i Centri dei Morti a ereditare tutte quelle conoscenze. Domande su domande, nascoste nel nucleo dell’edificio. Forse avevano visto anche il nastro di Opt Cooder, quello dell’angelo di gas impigliato nel cavo di trasmissione, che tanto aveva influenzato l’immaginazione dei poveri abitanti dei livelli orizzontali. Era convinzione comune che gli angeli fossero i resti di qualche tecnologia genetica militare, sperimentata per qualche uso ora del tutto inimmaginabile. Dimenticata come tutto quello che era legato a quell’antico evento. Forse gli stessi Centri dei Morti erano tutto ciò che restava di qualche gruppo di guerrieri. Forse erano la guerra stessa… qualche effetto delle armi dei loro nemici… o delle loro stesse armi… che li avevano modificati… lasciandoli nel buio del cuore dell’edificio… a sussurrare a coloro che ancora si trovavano alla luce…

Lasciate che veniamo da voi. Perché dovreste permettere a coloro che vi sono superiori di fare ciò che vogliono di voi, privandovi di quello che vi meritate? Noi vi aiuteremo… lasciate che veniamo da voi…

Un brivido percorse la pelle di Axxter. Maledetto me. Si vide davanti l’immagine degli abitanti di quel settore quando erano ancora in carne, che tiravano i loro pesanti attrezzi, lavoravano enormi lastre di acciaio, perforando qualsiasi cosa si trovasse tra loro e l’oscurità del cuore del Cilindro… mente le loro menti andavano al voto unanime della riunione di settore… dove non avevano il diritto di dire nemmeno una parola, mentre nei loro occhi risplendeva la luce del desiderio…

Quella era stata una grande sorpresa per loro. Si chiese quanto ci avessero pensato su. Non è una grande idea, dopo tutto. Niente di eccezionale.

Ma alla fine avevano dovuto soddisfare la loro curiosità. Dovevano sapere a cosa realmente assomigliassero i Centri dei Morti. Persone orribili con gioielli sulla fronte, o semplici strisce di luce, oppure bambini dai capelli biondi con gli occhi spenti… le spaventose storie dell’infanzia tornarono alla mente di Axxter. Almeno lui aveva sentito quelle storie; quei poveracci no. E guarda cosa ne avevano ricavato.

Axxter rivolse di nuovo lo sguardo verso la zona incendiata, mentre l’odore di bruciato gli penetrava nelle narici. Si girò vero il bordo frastagliato del metallo vicino a lui, lo afferrò e si sollevò verso l’esterno.


Era ormai notte. Axxter si era allontanato il più possibile dalla zona distrutta prima che facesse buio. Anche a distanza di molti chilometri era visibile il metallo frastagliato, simile a una fila di denti digrignati verso il cielo. Aveva bisogno d’altro, una scena pacifica, mentre giaceva nel sicuro bivacco ancorato al muro, con le mani dietro alla testa e lo stomaco pieno dopo aver mangiato del cibo reidratato. La Norton pascolava a qualche metro di distanza, strappando con le sue proboscidi la vegetazione del muro. Io sono già a posto. Axxter si grattò lo stomaco riflettendo. Una giornata strana; guadagni scarsi, minori di quelli che mi sarei meritato, eppure… erano pur sempre guadagni. La parte bassa del suo intestino emise un gorgoglio che richiamava il rumore del serbatoio della moto.

Sopra, lontano dal muro, uno scuro cerchio argenteo: la Piccola Luna che orbitava intorno all’edificio, catturando solo tracce di luce dalla sommità e le sottili scie della perpetua attività delle Fiere Equatoriali. Aveva lasciato acceso il trasmettitore e teneva la testa chinata per poter udire qualsiasi segnale proveniente da stazioni a libero accesso. Una musica antica — i valzer Liebeslieder, qualcuno (o qualcosa?) chiamato “Lei Non Conosce La Mia Mente, Parte Seconda” dei Tampa Red — penetrò nel suo corpo e dentro le sue orecchie. Intervallata da spot pubblicitari — liste di bonus della Folla Devastante (gli fecero venire in mente la sorprendente fede di Guyer), nuovi film da comprare e guardare (forse gli angeli che facevano l’amore erano già in catalogo)… ma egli ignorò ogni cosa. Almeno ci provò. L’immagine di quelle figure che si muovevano nel cielo luminoso continuavano a tornargli alla mente.

Bene, ho guardato dalla finestra e questo è ciò che ho visto…

Axxter ignorò quella vibrante voce umana che gli echeggiava nelle orecchie. Si allungò e prese la telecamera — dopo la fortunata combinazione della mattina l’aveva sempre a portata di mano — e la cullò contro il petto. Come se i dati del suo archivio fossero stati in carne e ossa. Magnificamente vicini, quasi da toccare.

…un uomo, sulle mani e le ginocchia, stava facendo… facendo il pidocchio…

— Bene… in fondo oggi ho fatto dei soldi, non è vero? Mi merito una specie di premio per questo. Ecco come ci si deve trattare.

Poi nella sua mente gli tornò l’immagine di quando era un bambinetto di cinque anni… Axxter non sapeva se credeva davvero a quelle specie di visioni. Avrebbe preferito dimenticarsene, nel tentativo di essere allegro. Ma sapeva già quello che voleva. Si mosse a fatica e la fascia si restrinse improvvisamente. Spense il trasmettitore, temendo che potesse raggiungerlo qualcosa di peggio dei Tampa Red.

Aveva preso una decisione, suggerita dall’aumento del suo capitale bancario e dal lungo periodo che aveva trascorso da solo muovendosi sul muro. Due variabili che avevano causato una reazione prevedibile nella sua mente. Per un attimo la prevedibilità dei suoi desideri lo disgustò. Un idiota; fissava il vuoto scuotendo la testa. Sei un idiota. Perché continuava a cercarla?

Axxter tornò a guardare attentamente il territorio che circondava il bivacco. Sembrava abbastanza sicuro per concedersi un po’ di tranquillità; con un po’ di ottimismo, suppose. Non c’era nessuna gabbia di sicurezza da affittare nelle vicinanze, la tipica, consigliabile comodità quando si decideva di fare una bisboccia per liberare lo spirito dal corpo. Ma, in fondo, non c’era nessuno in quel settore che potesse inciampare nel suo corpo e farci qualcosa di strano. A meno che Guyer non fosse tornata indietro per qualche motivo… un pensiero affascinante; si chiese quale particolare ricordo avrebbe lasciato sul suo corpo se l’avesse incontrato addormentato e incosciente, mentre la sua mente si trovava da un’altra parte. Forse dei lividi e muscoli tirati in una posizione innaturale sarebbero stati il suo marchio scritto nella fatica dei tessuti. Forse non valeva la pena di allontanarsi, visto che qualsiasi difesa crollava quando la sua mente si disincarnava; forse avrebbe potuto nascondersi da qualche parte. Ma era molto improbabile che Guyer lo incontrasse. Se ne era andata da molto, dirigendosi verso i livelli alti. Con tutto il suo corpo. Peccato.

Solo il metallo lacerato, denti neri contro la notte, visibile sopra la curva del muro, lo preoccupava. Ma non abbastanza per fargli cambiare idea. Una debole radiazione, onde di calore delineavano i limiti frastagliati della zona distrutta. Qualunque cosa avesse provocato quella distruzione non avrebbe certo avuto dei problemi ad aprire una gabbia di sicurezza in cui era chiusa una parte di Axxter; si sarebbe, o si sarebbero, mangiata tutta quella dannata cosa. Mi arrostirebbero come uno spiedino. Naturalmente solo se loro — le altre due parole erano tornate nei recessi della sua mente, in modo che non potesse pronunciarle — avessero intenzione di uscire allo scoperto, sul muro, per cercarlo. E non sarebbe cambiato molto se fosse stato disincarnato oppure se fosse rimasto a sedere vigile, con gli occhi spalancati per tutta la notte e la pistola a portata di mano, aspettando che il sole squarciasse la barriera di nuvole. Così, si convinse e allontanò tutti i suoi dubbi, lasciando spazio ai suoi desideri e al fatalismo. Posso benissimo fare quello che voglio, senza dovermi preoccupare.

Guardò il suo terminale su cui comparve una scritta illuminata.

SÌ?

— Datemi degli OloGiorni.

SEI VITTIMA DI IGNOBILI PASSIONI.

— Cristo! Fallo e basta, d’accordo? — ’Fanculo chi ha programmato questa roba… Scuotendo la testa, Axxter si appoggiò alla parete del muro. La ricetrasmittente rifletté un segnale dello splendore metallico della Piccola Luna proprio sui livelli alti.

Al centro dell’immagine comparve il disegno animato dell’agenzia che rendeva possibile disincarnarsi. In un angolo, il Consorzio della Piccola Luna gli indicava il costo del servizio; le tariffe erano un po’ meno care di quelle del Sindacato delle Comunicazioni… e di questo Axxter fu molto soddisfatto. Dall’orologio sorridente provenne una voce di donna del tutto fuori luogo. — Cosa posso fare per te? — L’orologio gli rivolse un’allegra strizzatina d’occhio.

— Umm… — Lo sguardo maniaco dell’orologio lo innervosì, quasi quanto la voce della donna. Sanno sempre quello che vuoi; altrimenti non li avresti chiamati. Passioni ignobili. — Io credo di aver bisogno… di circa un’ora. Sì, va bene.

— La seconda ora costa meno. Praticamente se ne paga soltanto un decimo.

Ci scommetto. Axxter scosse la testa e quel cenno fu inteso come un no. Ascoltare quei consigli era il modo migliore per prosciugare il proprio conto in banca. — Solo un’ora, per favore.

La voce s’irrigidì, considerandolo un taccagno. — Quindi suppongo tu non voglia il massimo livello sensoriale.

Scosse di nuovo la testa. — Solo il minimo… orientamento gravitazionale, ottica, auricolare a banda media… lo sai, no?

— Bene. Come l’ultima volta. — La persona che c’era dietro all’orologio aveva controllato il suo numero. — Se è così che ti piace…

…chissà che gusto ci proverà. Axxter ignorò la presa in giro. — Sì, è così che mi piace.

— Linea protetta?

Sapeva già la risposta che la voce si aspettava. — No. Linea normale. — Al diavolo; non aveva avuto nessun problema l’ultima volta. Perché mai gli spiriti avrebbero dovuto essere interessati ai suoi andirivieni lungo le linee di comunicazione nell’edificio? Quando la voce glielo chiese, fornì la posizione del settore orizzontale che desiderava.

Un altro ammiccamento programmato da parte dell’orologio quando il suo ordine partì.

— Trasmissione pronta. — (Nella testa gli risuonò la voce annoiata che diceva, Eccoti, amico. E divertiti, Diamond Jim.) — Dicci quando sei pronto anche tu. La tua ora comincia dal punto in cui ti trovi in questo momento.

L’ultima frase era un altro sarcastico commento alla sua tirchieria. Axxter lo ignorò, cercando di trovare una posizione comoda nella cintura del bivacco, in modo che dopo un’ora non si sarebbe risvegliato con le gambe intorpidite e il mal di schiena. Arrotolò una maglietta e se la mise sotto la testa come cuscino. Guardò in alto; al di là della figura dell’orologio, la Piccola Luna risplendeva argentea. Gettò una rapida occhiata di traverso alla sagoma della zona distrutta. Al diavolo… era troppo tardi per preoccuparsene. — Adesso — disse all’orologio.

Camminando non sentiva affatto freddo. Il vento dell’esterno non penetrava più nei suoi abiti. La sua pelle non provava più né caldo né freddo, come tutte le altre volte in cui era uscito dal proprio corpo, ed egli suppose che per accorgersi di qualsiasi variazione di temperatura avrebbe dovuto toccare il ghiaccio o il fuoco. A una risoluzione così bassa non riusciva nemmeno a sentire l’impatto dei suoi stivali o il rumore dei passi sul familiare pavimento dei corridoi. Ecco, era tornato indietro all’orizzontale; fuori, da qualche parte sul muro scuro e verticale del Cilindro, il suo corpo vuoto ondeggiava nella cintura del bivacco. Aspettando che lui concludesse il suo piccolo affare. Axxter — o l’immagine che gli OloGiorni gli avevano dato — osservava i numeri su ogni porta a cui passava davanti. Gli stimoli ottici non erano male, la visione era solo un po’ sfuocata lateralmente. Almeno mi hanno portato sul livello giusto. Sarò lì in un paio di minuti; chissà cosa dirà lei. La stessa cosa dell’ultima volta — o meglio continuerà il discorso; si ricordò in quel momento che era tornato al suo corpo reale prima che scadesse il tempo, distrutto dalla frusta della sua lingua. Forse quella volta sarebbe stato diverso; Cristo, spero sia così. I numeri sulle porte scorrevano in ordine crescente verso quello che stava cercando. Lei non è sempre così. Grazie a Dio.

— Tu, stupida merda.

— Cristo, è anche orribile. Guardalo.

Quelle voci e la roca risata che seguì risuonarono nelle sue orecchie, tanto da spaventarlo. Il corridoio oscillò fino a quando i suoi sistemi ottici non si assestarono di nuovo. Allora vide le due facce ghignanti; i contorni del viso erano più affilati delle pareti lucenti che avevano alle spalle.

Avevano l’aspetto di bambini depravati. Come se — e il cuore di Axxter fece un balzo di fronte a quello sguardo diffidente — come se fossero stati iniziati prematuramente a tutti i vizi adulti. E le loro facce infantili non erano mai cresciute, avevano mantenuto la stessa espressione infantile, stupida, ma scaltra.

— Buuuu! — Una delle due facce si avvicinò a lui fluttuando, con un ghigno sempre più largo. Il torace incavato e le braccia magre gettavano una strana ombra filiforme. — Dove stai andando? Cosa stai facendo?

Merda. Axxter vibrò un colpo in direzione della faccia. Avrei dovuto chiedere una linea protetta. Ho chiesto troppo alla mia fortuna… solo perché non avevo incontrato fantasmi la scorsa volta… — Colpiscilo. Con il dorso della mano colpì quel sorriso idiota. — Vattene da qui.

— Ohh!… Non vuoi giocare? — La faccia del fantasma, con il naso da pugile coperto da bolle simili a quelle della lebbra, si era sovrapposta alla mano di Axxter. E aveva avvolto la lingua umida intorno al suo polso. — Forza, gioca con noi!

— Gesù! — Non riusciva a scrollare la faccia dalla sua immagine. Continuava a muovere il braccio avanti e indietro, facendole roteare gli occhi. — Vai a farti fottere lontano da me!

— Tu, stronzo. Stronzo, stronzo, stronzo. — L’altro fantasma, di nuovo un viso contro il muro, incrociò il suo sguardo e sogghignò. — Dai, andiamocene. Non è divertente. — L’immagine vibrò mentre fasce di nulla attraversarono le sue grasse guance.

— No. — Quel sorriso si appiccicò al polso di Axxter. — Non ho ancora finito. — Poi lo guardò divertito: — Gioca. Gioca, gioca gioca.

Sul muro del corridoio non c’era più niente: l’altro fantasma era andato a cercare divertimenti da qualche altra parte dell’edificio. Axxter riprese a camminare. — Non ho intenzione di giocare con te. Ti ignorerò. — È tutto quello che posso fare, rischio di mandare tutto all’aria. E ho anche già pagato.

— Yaah, leccapiedi! — Il fantasma gli lasciò libera la mano e scivolò verso l’alto. Si avvolse intorno al suo avambraccio e si sostituì a una parte dell’immagine di Axxter. Spalancò la grande bocca, mostrandogli il suo braccio pieno di denti scintillanti. Potrei tornarmene indietro, fuori sul muro… fu colto da un presentimento sul resto di quella sua visita.

— Eeeeee! — La faccia del fantasma stridette quando alzò il braccio verso la porta. Axter lo abbassò velocemente e bussò con l’altra mano.

Forse non è in casa… e allora qual è lo scopo, deficiente? Sei proprio un cretino. Eppure non smetteva di sperare. Il suo cuore fece un balzo quando sentì dei passi avvicinarsi dall’altra parte della porta.

— Ciao Ree. — Disse, sforzandosi di sorridere. — Sono io.

La porta si aprì. La donna si sporse in avanti, osservando l’immagine fino a quando riuscì a mettere a fuoco la bassa risoluzione. — Oh, Cristo! — Un sospiro le scosse le spalle. — Ny, cosa diavolo sei venuto a fare qui?

— Ehi, sono venuto solo per vederti. Ecco tutto. — Si accorse che aveva allargato le braccia, come un Cristo crocifisso, e che il fantasma stava sogghignando e roteando gli occhi verso Ree. — Scusami. Rimise subito il braccio dietro alla schiena. — Mi si è appiccicato addosso mentre venivo qui.

— Cos’è successo? — La voce della donna aveva un tono sofferente e la causa era la presenza di Axxter, anche se in quella forma parziale. — Cristo! Odio quando vieni qui in questo modo confuso. Sei già stato abbastanza stronzo con me prima.

Axxter sentì la voce del fantasma. — Lei non può vedermi, tacchino. Io sono sulla tua rete di reazioni sensoriali e non posso essere registrato nel reale. Hee. Hee.

— Ny, guardami. — Ree si appoggiò al vano della porta, bloccando con le sue larghe spalle l’entrata di Axxter. — Dove… sei? Dimmi solo questo, d’accordo? Dove sei adesso?

Egli dovette concentrarsi un attimo per ricordare le esatte coordinate. Il viso del fantasma lo guardava stralunato, mentre si passava la mano nei capelli. — Uhm… ti ricordi da dove ho chiamato la volta scorsa? C’è una grande uscita a circa cinquanta chilometri dalla Fiera Equatoriale di sinistra, lo sai? Comunque, sono partito da lì e ho viaggiato in direzione verticale verso il basso, poi…

— Chiudi il becco, Ny. Cristo! — I suoi capelli color bronzo sbatterono contro il vano della porta, mentre lei scuoteva la testa con gli occhi chiusi. Li riaprì per prendere dalle tasche un pacchetto di sigarette che buttò con disgusto nel corridoio: questo attraversò l’immagine di Axxter e cadde alle sue spalle. — Sei ancora là fuori, su quel maledetto muro. Ecco dove sei.

— Be’… certo. Dove avrei dovuto essere altrimenti? — Il fantasma era diventato serio e lo ascoltava con attenzione.

— Già, proprio così. Dove dovresti essere. — La voce della donna era amareggiata e la sua bocca aveva assunto una strana espressione. — Ecco qual è il tuo problema, non è vero?

— Ehi! Di’ a questa puttana dove deve andare! Distruggila! — Axxter si mise la mano sinistra sul braccio, mentre gli occhietti vispi continuavano a guardare attraverso le nocche. — Dai, Ree… lo sai…

— Maledizione se lo so. — Gli era proprio di fronte e la sua vibrante rabbia riempiva il vano della porta. Axxter sapeva bene che se la sua immagine avesse avuto una massa di tessuti, questa sarebbe stata sbalzata nel corridoio dalla pressione della rabbia di lei. — Ne abbiamo parlato l’ultima volta che ti sei presentato sotto questa forma.

Oltre alla sua voce, Axxter sentiva quella acuta del fantasma ’Fanculo! ’Fanculo! e, a mano a mano che l’infantile passione del fantasma aumentava, il suo braccio si copriva di macchie rosse. — Ree… per favore. Dai…

Poi cambiò idea. Ebbe come un lampo. Quel corpo inconsistente, che si insinuava anche nei suoi pensieri, sembrava fluttuare in modo equidistante da ogni superficie del corridoio. — Vaffanculo — disse Axxter. — E vaffanculo anche tu. — (Ah,ah,ah! Rise il fantasma). Per un attimo, tutto il corridoio e la porta dove si trovava Ree divennero inconsistenti; sentì gli stretti limiti del suo bivacco cingergli le spalle, mentre i muscoli rattrappiti pulsavano per la rabbia. Ree lo guardava a bocca a perta, mentre lui continuava a urlare. — Ho speso tutti questi soldi per venire a trovarti e tu mi butti addosso merda? Scordatelo! Tu… e tutti i tuoi dannati processi mentali orizzontali. Puoi andare a farti fottere. — (Eeee! Sììì!) Distolse lo sguardo dalla porta e un flusso di luce lo stordì attraversando i suoi vettori. Prima che la sua visione tornasse alla normalità, incominciò a camminare, e ora, il rumore dei suoi stivali era abbastanza forte da superare la soglia dell’udito. — Me ne vado, puttana. — Urlò quella frase e fu soddisfatto nel notare che tutte le porte rimanevano chiuse per la paura.

— Così si fa, asso! — Esclamò allegramente il fantasma.

— Taci — Axxter digrignò i denti. O almeno ci provò; la sua immagine non trasmetteva alcuna pressione al cranio.

Mentre Axxter continuava a camminare, la faccia del fantasma formò una specie di arco. — Gliel’hai detto davvero! È stato grande! — I suoi occhi sprizzavano gioia e ammirazione.

— Davvero… grande. — Mai più. Axxter scosse il capo della sua immagine. Promettitelo solennemente… mai più questa merda.

— Io posso fartela avere! Posso farti avere quella rossa, e a buon prezzo! — Sul braccio di Axxter, quella faccia era sempre più rossa ed eccitata. — Forza… io e te insieme… sarà grandioso!

— Maledizione! Vattene! — Cercò di graffiare la faccia con le unghie dell’altra mano, ma provò un dolore lancinante al braccio.

— Non sei divertente. — La faccia, imbronciata ora, scivolò via e si allontanò nello spazio. Axxter udì la sua voce: — Tu puzzi… e sei tutto sfuocato e…

Finalmente era solo, con i suoi pensieri e la rabbia che gli rodeva lo stomaco. O qualsiasi cosa ci fosse al suo posto quando si trovava in quella situazione di inconsistenza; niente, probabilmente. Niente di niente. Qui o là, dove si trovava il suo corpo, non faceva differenza.

Alzò lo sguardo e vide la sua immagine.

Uno specchio, pensò all’inizio. Proprio nel mezzo del corridoio. Ma capì che si trattava di qualcosa di diverso; sembrava qualcosa fatto di vetro molto fine e disegnava la sua immagine a bassa risoluzione molto più a fuoco di quanto fosse in realtà e con i contorni ben nitidi. Mentre la guardava, quell’immagine girò la testa, mostrandogli un profilo a tre quarti. Sorrideva; il centro dei suoi occhi era scuro e al di là non c’era nulla.

Ny… L’immagine nello specchio sollevò la mano verso di lui.

Udì l’eco di quella parola nelle orecchie. Il corridoio venne invaso da un’ondata di freddo e lui ebbe paura. — D’accordo! OloGiorni! — Alzò la faccia verso il soffitto e gridò, consapevole del fatto che la mano dell’immagine nello specchio stava per toccargli il petto. Quella strana consapevolezza lo colpì più di quanto avrebbe potuto fare un’immagine solida che cercasse di penetrare il suo essere inconsistente, strappandogli le fibre luminose che aveva al posto del cuore in quel momento. — Concludete la mia visita!

Non andartene…

— Mi sentite? — Nella sua voce c’era una nota di panico.

Il corridoio scomparve. Nella cintura sistemata sul muro, egli guardò alle sue spalle il sorridente orologio dell’agenzia che si trovava al centro del suo schermo. Si sollevò, tentando di rilassare ogni vertebra. Udì la voce di una donna, diversa da quella di prima. — Speriamo che ti sia divertito e di poter ancora esserti utili per qualsiasi tua esigenza ricreativa. Ricorda: la lontananza può rendere il tuo cuore desideroso di affetto, ma con gli OloGiorni…

— Finiscila — Axxter si fregò gli occhi; il tempo speso a camminare nella sua immagine incorporea gli aveva fatto venire il mal di testa. Proprio come l’ultima volta e quella prima ancora.

Con rigidità la voce disse: — Desideri altro?

Guardò la tariffa registrata al lato dello schermo e più in là notò la Piccola Luna, distante dall’edificio, che trasmetteva i segnali alla sua ricetrasmittente. Era lontano da quell’immagine spettrale nello specchio — qualsiasi dannata cosa fosse stata; un’altra interferenza di merda di quei dannati fantasmi, suppose. Ma decisamente più spettrale, anche se fuori, nel suo bivacco, la paura era scomparsa. Ma non la rabbia, quella restava: un macigno piantato nel petto.

Ho pagato una cifra per non divertirmi affatto. Mentre osservava, al totale si aggiunsero altre poche lire, perché aveva fatto attendere la Chiedi Ricevi in linea. Erano un mucchio di soldi solo per aver camminato nella merda di Ree.

Ci pensò un attimo prima di parlare. — Sì, voglio qualcos’altro. — Si sfregò le mani sulle ginocchia. — Prima di tutto, questa volta voglio una linea protetta.


Guyer alzò lo sguardo dal libro che teneva in mano quando egli comparve. — Che dolce. — Disse sorridendo. — Hai fatto tutta questa strada.

Gli OloGiorni avevano portato la sua immagine fluttuante nello spazio, a un metro di distanza dal muro. Egli allungò una mano e afferrò la cintura che assicurava la donna. Da qualche punto della parete metallica, arrivava alle sue orecchio il nitido e debole suono della sua moto.

— Volevo vederti un’altra volta.

La donna lasciò un dito nel libro per non perdere il segno. — Dev’esserti costato parecchio.

La sua immagine incorporea scosse le spalle. — Mi hanno addebitato una sovrattassa per aver dovuto cercare la tua posizione. Tutto qui.

Il sorriso della donna si fece triste. — Di solito non faccio nulla, se non con corpi reali. È una delle mie preferenze, Ny. Se è per questo che sei venuto. — Appoggiò il libro su un piccolo cuscino al bordo della cintura. — Sai che ci sono dei posti dove puoi andare per questo; potrei raccomandartene qualcuno.

Lui scosse la testa. — No. Non è importante. Ma… se tu volessi provare… ho pagato per avere un completo apparato sensoriale… con intensificazioni sulla linea. Potrei rispondere davvero bene.

La donna spalancò gli occhi. — Davvero? Devi sentirti davvero in forze.

L’immagine di Axxter chinò la testa all’indietro e guardò l’imponente edificio, scuro come la notte che lo circondava. — No… — Guardò di nuovo la donna. — No, mi sento una merda.

— Be’… in questo caso… — Guyer allungò la mano e gli aprì la camicia. Sulla sua pelle c’era uno strato di fumo. — Ti costerà un po’ di più. Sai, per principio.

— Certo. — Chiuse gli occhi. Le mani della donna lo sentivano fremere mentre gli accarezzava la schiena. — Io capisco ogni cosa.


Axxter appoggiò la testa sul suo seno. Erano insieme nella cintura; lei lo teneva tra le braccia, un piacevole cerchio intorno all’immagine. — Ho visto me stesso. — Egli la guardò negli occhi. — Prima. Prima di venire qua.

Lei fece il gesto di scompigliargli i capelli, ma in realtà le sue dita non potevano neanche sfiorarli. — Davvero?

— Era come uno specchio. Solo che si muoveva anche se io stavo fermo.

Egli sentì che la donna si era irrigidita. — Ny… — Il suo sguardo non era più scherzoso adesso. — Se vedrai ancora qualcosa di simile, e se ti rivolgerà la parola, non ascoltarlo. D’accordo? Semplicemente non farlo. Io conosco queste cose.

L’immagine di Axxter si sollevò sui gomiti. — Cosa potrebbe dirmi? È solo uno dei tanti fantasmi sulla linea.

Con una mano, la donna si coprì con il lenzuolo. — Alcuni spettri sono diversi dagli altri. — Si lisciò il lenzuolo sulle gambe. — Vogliono tutti giocare. — Pronunciò quella parola con amarezza. — Solo che vogliono farlo in modi diversi, a volte.

Egli non disse nulla, mentre la guardava scostarsi i capelli dal viso.

— È meglio che tu vada, Ny. Stai spendendo un sacco di soldi.

Lui annuì. — Cosa ti devo?

— Lascia stare. Te lo metterò sul conto; ci metteremo a posto la prossima volta. — Si appoggiò al cuscino e chiuse gli occhi.

Quando tornò nel suo io corporeo, Axxter chiese il resoconto del suo conto corrente. Le escursioni di quella notte gli avevano mangiato i profitti ricavati dalla vendita dei film degli angeli e delle rovine spettrali. Sotto il bagliore della Piccola Luna, egli guardò il muro del Cilindro fino alla sagoma della zona metallica distrutta. Un buio profondo che si stagliava contro le fitte tenebre. Tutto il calore era svanito.

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