Wher da guardia, wher da guardia,

che te ne stai nella tua tana,

stai sempre all’erta!

Cosa sta succedendo?


— Il wher da guardia sta nascondendo qualcosa — disse F’lar a F’nor nella grande camera ripulita in tutta fretta. Il freddo dell’inverno era ancora tangibile, ma nel camino scoppiettava un bel fuoco.

— Quando Canth gli ha rivolto la parola, ha farfugliato cose senza senso — commentò F’nor. Appoggiato alla mensola, cercava di riscaldarsi un po’ e intanto seguiva con gli occhi i movimenti impazienti del comandante.

— Mnementh sta cercando di calmarlo — rispose F’lar. — Magari non ne ricaverà niente. Quell’animale può anche essersi rimbambito, ma…

— Ho i miei dubbi — concluse F’nor alzando uno sguardo preoccupato verso il soffitto pieno di ragnatele. Aveva sicuramente visto tutti gli insetti, ma non gli andava proprio l’idea di provare le loro punture. Sarebbe stato il culmine di tutti i fastidi che già aveva avuto da quando erano arrivati in quella fortezza. Se solo la notte fosse stata abbastanza calda, sarebbe andato a dormire con Canth, il suo drago, sulle alture. — Ci racconterebbe comunque una storia più veritiera di quella che ci hanno detto Fax e il suo Connestabile.

— Uhm — mormorò F’lar fissando preoccupato il cavaliere marrone.

— Non posso credere che Ruatha si sia ridotta in questo modo nell’arco di dieci Giri. Tutti i draghi hanno captato il potere ed è facile capire che il wher da guardia è stato plagiato, cosa che richiede una capacità di controllo fuori dell’ordinario.

— Propria della gente del Sangue — gli ricordò F’lar.

Il fratello gli lanciò un’occhiata fulminea domandandosi se stesse parlando sul serio, visto che tutti gli indizi procedevano in senso opposto.

— È vero, qui c’è il potere, F’lar — ammise F’nor. — Ma potrebbe anche trattarsi di un bastardo del vecchio Sangue, mentre a noi serve una donna. Eppure Fax ci ha fatto chiaramente capire che nessuno di quella stirpe è rimasto in vita, nella fortezza, il giorno in cui la vinse. Dame, bambini, tutti… No, no. — Scosse il capo come per allontanare la sua incredulità all’ipotesi del fratello che la loro Cerca sarebbe terminata lì a Ruatha.

— Quel wher da guardia ci nasconde qualcosa e questo può essere opera solo di qualche membro del Sangue, cavaliere marrone — dichiarò F’lar evidenziando ogni parola. Accennò alla camera e alla finestra. — Ruatha è stata sconfitta ma resiste… in maniera molto particolare. Tutto porta a pensare al vecchio Sangue e al potere, non solo al potere.

L’ostinazione dello sguardo di F’lar e la linea decisa della sua mascella spinsero F’nor a cambiare argomento.

— Cercherò di non lasciarmi sfuggire niente — mormorò. Quindi uscì dalla camera.


La dama che gli era stata assegnata da Fax annoiava F’lar. Continuava a ridacchiare e a starnutire e agitava sempre nell’aria un fazzoletto che avrebbe avuto bisogno di un buon lavaggio, senza peraltro portarselo mai al naso. Puzzava di acido, sudore, olio e mangiare. Aspettava anche lei un figlio di Fax. Non si vedeva ancora, ma la donna lo aveva confidato al dragoniere, non si capiva se per ordine del padrone o se per ignoranza dell’insulto che ne derivava per l’ospite. F’lar fece finta di niente, anzi, non considerò affatto neppure la donna, tranne quando vi fu costretto.

Dama Tela stava cicalando sulle vergognose condizioni in cui versavano le camere spettanti a Dama Gamma e alle altre donne del seguito.

— Le imposte sono rimaste aperte tutto l’inverno: avresti dovuto vedere che sudiciume per terra! Alla fine abbiamo trovato due serve che hanno ripulito un po’ gettando il tutto nel camino. Ma il camion ha iniziato a fare un fumo incredibile, finché abbiamo chiamato un uomo. — Dama Tela ridacchiò. — Una pietra caduta di traverso nel comignolo lo ha bloccato. Per il resto però era in buono stato, per fortuna.

Agitò il fazzoletto e F’lar trattenne il fiato per non sentire l’odore poco piacevole che emanava.

Guardò la porta della fortezza interna e vide dama Gemma che procedeva lenta e impacciata. Il suo modo di camminare aveva qualcosa di strano, che incuriosì il dragoniere. La fissò, cercando di capire cosa fosse.

— Oh, sì, povera dama Gemma — continuava dama Tela sospirando profondamente. — Siamo tanto in pensiero per lei. Non riesco proprio a capire il motivo per cui Fax l’abbia fatta venire. È ancora lontana dal parto, ma… — la preoccupazione della donna sembrava autentica.

Improvvisamente, l’odio che F’lar provava per Fax crebbe. Lasciata la sua compagna a chiacchierare al vento porse gentilmente il braccio a dama Gemma per aiutarla a scendere i gradini e arrivare al tavolo. Solo una leggera pressione delle dita tradì la gratitudine della donna. Era pallida e tirata, con profonde rughe intorno alle labbra e agli occhi, indizi inequivocabili della fatica che stava sostenendo.

— Vedo con piacere che si è cercato di rimettere un po’ d’ordine nella Sala — osservò dama Gemma in tono colloquiale.

— Un po’ — ammise asciutto F’lar, guardando in giro. Le travi dell’immensa sala erano costellate di ragnatele accumulatesi nel corso dei Giri. Ogni tanto gli abitanti di quelle dimore di velo cadevano per terra e sul tavolo, addirittura nei piatti di portata. Il vuoto lasciato sulle pareti dalle vecchie bandiere del Sangue di Ruatha non era stato colmato, mentre uno strato di paglia fresca celava il pavimento sporco di grasso. I tavoli erano stati puliti di recente e i piatti brillavano alla luce dei lumi, rafforzata per l’occasione. Aumentare l’illuminazione era stato uno sbaglio, però: sarebbe stato meglio lasciare il tutto nella penombra.

— Era una sala tanto bella. — Dama Gemma bisbigliò, per farsi sentire solo da F’lar.

— Eri loro amica?

— Quando ero ragazza. — Nel pronunciare quell’ultima parola la voce le si abbassò, come se le costasse fatica rammentare un’adolescenza felice. — Era una nobile stirpe!

— Secondo te è possibile che almeno uno di loro sia ancora vivo?

Dama Gemma lo fissò atterrita, ma si ricompose subito, prima che qualcuno se ne potesse accorgere. Fece un impercettibile cenno di diniego con il capo, quindi, impacciata, prese posto a tavola. Chinò gentilmente la testa verso F’lar per ringraziarlo e prendere congedo.

Il dragoniere tornò dalla sua dama e la fece sedere alla propria sinistra. Erano i soli a cenare nella fortezza di Ruatha quella sera. Dama Gemma sedeva alla sua destra e Fax si sarebbe accomodato accanto a lei. I dragonieri e gli ufficiali di Fax si sarebbero seduti alle tavole più basse. Nessun rappresentante delle corporazioni era stato invitato.

Proprio in quell’istante arrivò Fax, accompagnato dall’amante del momento e da due vicecomandanti. Apriva la strada il Connestabile, che rivolgeva inchini a profusione. Come F’lar notò subito, stava a debita distanza dal suo signore, viste le critiche condizioni della fortezza affidata alle sue cure. Con un gesto il dragoniere allontanò un insetto strisciante. Notò che dama Gemma rabbrividiva.

Fax si diresse a passo marziale verso la tavola rialzata con il viso scuro per la rabbia repressa. Scostò bruscamente la sedia, che andò a sbattere contro quella di dama Gemma, quindi se l’avvicinò con tanta foga che fece ondeggiare il tavolo. Analizzò con una smorfia la coppa e il piatto, e ne tastò la superficie con le dita, pronto a gettarli se non li avesse trovati di suo gradimento.

— Un arrosto, nobile Fax, e del pane fresco, nobile Fax, e radici e frutta… tutto quello che abbiamo.

— Tutto quello che avete? Cosa? Mi avevi detto che non avevate raccolto niente.

Il Connestabile deglutì, quindi cercò di mettere insieme una risposta.

— Niente che ti potessimo mandare, niente di sufficientemente buono. Niente. Se fossi stato informato prima della tua venuta avrei mandato qualcuno a Croni…

— A Crom? — ruggì Fax pestando sul tavolo il piatto che stava esaminando con tanta violenza che il bordo si piegò sotto le sue dita. Al Connestabile vennero i brividi, come se al posto del piatto ci fosse lui.

— A recuperare delle vivande decenti, mio signore — bisbigliò.

— Il giorno in cui una delle mie fortezze non sarà più autosufficiente e non saprà provvedere da sola a una mia visita, io la lascerò per sempre al suo destino.

Dama Gemma spalancò la bocca, i draghi ruggirono. F’lar avvertì il fluire inconfondibile del potere e cercò istintivamente con lo sguardo il fratello, seduto al tavolo più basso. Anche F’nor e gli altri dragonieri avevano captato quella inesplicabile corrente di esultanza.

— Qualcosa non va, signore dei draghi? — scattò Fax.

Mostrandosi il più disinvolto possibile, F’lar allungò le gambe sotto il tavolo in una posa indolente.

— Qualcosa non va?

— I draghi!

— Oh, niente! ruggiscono di frequente… al tramonto, o quando avvistano uno stormo di wherry, o quando si avvicina l’ora del pasto — spiegò sorridendo amabilmente. La sua compagna squittì.

— L’ora del pasto? Non hanno mangiato?

— Certo, cinque giorni fa.

— Ah… cinque… giorni fa? E adesso hanno… fame? — le parole della donna si spensero in un sussurro atterrito. Fissava F’lar con gli occhi sgranati.

— Tra qualche giorno — la rassicurò. Con aria allegra osservò la Sala. Il flusso del potere era arrivato subito dopo il discorso di Fax, come per commentarlo. F’lar si accorse che i dragonieri stavano analizzando ogni volto. Gli uomini di Fax e quelli del Connestabile erano da escludere… e oltretutto il potere pareva essenzialmente femminile.

Una delle dame di Fax? Era quasi impossibile. Mnementh le aveva avvicinate tutte, e nessuna aveva fatto supporre non solo la minima parvenza di potere, ma neppure di intelligenza… a esclusione di dama Gemma.

Doveva essere una delle donne della sala. Per ora aveva potuto intravvedere solo le sguattere e le vecchie al servizio del Connestabile. Che si trattasse della donna personale del Connestabile? Non sapeva neanche se ce l’aveva. Doveva scoprirlo. O forse una delle donne della fortezza? A fatica F’lar si trattenne dall’alzarsi per andare subito a cercarla.

— C’è un servizio di guardia? — domandò distrattamente a Fax.

— Doppio, qui a Ruatha — rispose quello con una voce tesa e dura come se gli uscisse dal profondo dei visceri.

— Qua? — A stento si trattenne dal ridere, mentre accennava a quel locale così malandato.

— Qua! — Fax passò ad altro con un ruggito. — Portate in tavola!

Cinque sguatteri avanzarono barcollando sotto il peso di un animale arrostito per intero. Due di essi erano donne. Erano coperte di stracci tanto sporchi che F’lar si augurò non avessero partecipato alla preparazione del cibo. Nessuno con la minima parvenza di potere sarebbe caduto tanto in basso, a meno che…

L’odore che emanava dal piatto di portata lo nauseò. Era odore di osso carbonizzato e di carne bruciata. E non migliore era l’odore della caraffa di Klah che si passavano dall’uno all’altro. Il Connestabile stava affilando con frenesia i coltelli per poter tagliare in maniera decente quella ripugnante carcassa.

Dama Gemma trattenne il fiato e F’lar si accorse che stava stringendo nervosamente i braccioli della sedia. La sua gola aveva dei movimenti convulsi. Del resto neppure lui aveva la minima voglia di iniziare quel pranzo.

Riapparvero gli sguatteri con vassoi colmi di pane. Prima di servirlo avevano raschiato le parti bruciate, in qualche punto lo avevano addirittura tagliato. All’arrivo dei vassoi, F’lar cercò di vedere il volto dei servitori. Una massa di capelli opachi copriva il viso della sguattera che porse a dama Gemma un piatto di legumi annegati in un liquido unto. Nauseato, F’lar frugò per trovare qualche boccone decente e offrirlo alla dama, ma lei si oppose, incapace di celare il proprio disagio.

Sul punto di voltarsi per servire dama Tela, si accorse però che il disgusto di dama Gemma non era dovuto solo al cibo. All’improvviso, era stata colta dalle prime avvisaglie del parto.

F’lar guardò Fax. Questi stava fissando il Connestabile intento a cercare qualche boccone decente da servire.

Sfiorò allora il braccio della donna, che si volse quel tanto necessario per vederlo con la coda dell’occhio. Dama Gemma riuscì a sorridergli educatamente.

— Non ho il coraggio di andarmene adesso, nobile F’lar. Fax è una mina vagante quando si trova a Ruatha e questi dolori potrebbero anche essere un falso allarme. Sa, alla mia età…

Un altro lungo tremito fugò ogni dubbio. Quella donna avrebbe potuto diventare una splendida dama del Weyr, se solo fosse stata più giovane, pensò tristemente F’lar.

Il Connestabile offrì a Fax una porzione alquanto scarsa di carne troppo cotta. Le sue mani tremavano.

Fax agitò furente il pugno e il piatto, unitamente al suo contenuto, finì in faccia al Connestabile. A F’lar sfuggì un sospiro: quella era l’unica carne commestibile dell’intero animale.

— Secondo te è cibo? Secondo te è cibo? — gridò il signore della fortezza. Le vibrazioni prodotte dalla sua voce fecero cadere gli insetti appesi al soffitto. — Questa è banalissima sbobba!

F’lar si diede da fare per scacciare gli insetti da dama Gemma, in preda a una fortissima contrazione.

— Non avevamo altro a disposizione, così, senza preavviso — gemette il Connestabile con le guance ricoperte di quel sugo sanguinolento. Fax gli lanciò addosso la coppa e il vino gli si riversò sul petto, quindi fu la volta del piatto delle radici, che fecero urlare l’uomo con il loro liquido bollente.

— Mio signore, mio signore, se fossi stato avvertito!

— È chiaro che Ruatha non è in grado di ricevere adeguatamente il suo signore. Devi lasciarla libera — F’lar si ritrovò a dire.

Nell’udire quelle parole, rimase colpito quanto gli astanti. Calò il silenzio, interrotto solo dagli insetti e dal brodo delle radici che colava a terra dai vestiti del Connestabile. I tacchi degli stivali di Fax furono perfettamente uditi da tutti mentre si giravano verso il pilota di bronzo.

Intento a reagire al proprio stupore e a cercare un modo per aggiustare le cose, F’lar vide F’nor alzarsi adagio con la mano appoggiata all’impugnatura della daga.

— Ho capito bene? — domandò Fax con il volto inespressivo e gli occhi sfolgoranti.

Non riuscendo a capacitarsi di come avesse potuto fare una cosa simile, F’lar assunse una posa languida.

— L’hai detto tu stesso che se una delle tue fortezze non fosse stata autosufficiente e si fosse dimostrata incapace di ricevere il suo signore l’avresti abbandonata — mormorò.

Fax lo guardò a sua volta con un’espressione che rivelava molti istinti repressi sotto l’atteggiamento di trionfo. F’lar stava facendo funzionare il proprio cervello a tutta velocità. Nel nome dell’Uovo, dove era finita la sua discrezione?

Cercando di apparire disinvolto infilzò qualche pezzo di verdura e iniziò a mangiarlo. F’nor intanto stava studiando i presenti. Improvvisamente la mente di F’lar si illuminò: quella sua reazione era stata la risposta a un’azione segreta del potere. Lui, il cavaliere di bronzo, era stato portato a battersi con Fax. Per quale motivo? Per costringerlo a rinunciare a Ruatha? Era da non credere! Ma era l’unica spiegazione possibile a quanto era successo. F’lar provò una baldanza quasi dolorosa. L’unica cosa da farsi era mantenere quella posa annoiata e cercare in ogni modo di stornare Fax dall’idea di un duello. Non avrebbe avuto senso arrivare a tanto, non aveva tempo da perdere, lui.

Un lamento di dama Gemma ruppe la tensione dei due che continuavano a fissarsi negli occhi. Scocciato, Fax guardò la donna con il pugno serrato pronto a colpire quella temerarietà verso il signore e padrone, ma le contrazioni erano ormai inequivocabili, come il dolore. F’lar non ebbe il coraggio di guardarla. Si chiese, però, se quel gemito non fosse stato un volontario tentativo di mettere fine alla scena.

Con grande stupore di tutti, Fax iniziò a ridere, rovesciando indietro la testa e mettendo in mostra i denti macchiati. Sembrava che ruggisse.

— Certo che rinuncio a Ruatha, lo faccio in favore di suo figlio, se è maschio… e se è vivo! — gracchiò rauco.

— Sentito e testimoniato! — scattò F’lar balzando in piedi e accennando ai suoi uomini. I dragonieri si alzarono subito: — Sentito a testimoniato! — dichiararono, rispettando la tradizione.

I presenti si misero a parlare contemporaneamente, in preda a un sollievo nervoso. Le donne si diedero da fare, ognuna a modo proprio, per l’imminente parto, davano ordini alle serve e si scambiavano suggerimenti. Circondarono dama Gemma, mantenendosi fuori della portata di Fax, simili a stupidi wherry allontanati dai loro trespoli. Era evidente la loro indecisione: desideravano aiutare la partoriente, ma nello stesso tempo erano intimorite dal loro signore.

Fax capì la situazione e, continuando a ridere, arretrò. Fece cadere la sedia, la scavalcò e si incamminò verso la tavola delle carni. Tagliò dei pezzi con il suo coltello e se li mise in bocca, sempre continuando a sghignazzare.

F’lar si piegò su dama Gemma per aiutarla a mettersi in piedi. La donna gli strinse convulsamente il braccio e lo attirò più vicino. Si guardarono; gli occhi di lei erano velati dal dolore.

— Vuole ucciderti, cavaliere di bronzo. È una cosa che gli piace fare — sussurrò.

— Non è facile ammazzare un dragoniere, nobile dama. Comunque ti ringrazio.

— Non voglio che tu muoia — rispose la donna mordendosi le labbra. — Ce ne sono talmente pochi di cavalieri di bronzo. — F’lar rimase senza parole. Possibile che la moglie di Fax desse credito alle Vecchie Leggi? Indicò a due uomini del Connestabile di riportarla nella fortezza, quindi afferrò per un braccio dama Tela che gli stava passando di fianco svolazzando.

— Cosa ti serve?

— Oh, oh! — esclamò la donna, torcendosi le mani in preda al panico. — Dell’acqua calda e pulita. Dei panni. Una levatrice. Sì, certo, ci vuole una lavatrice.

F’lar si volse a guardare la sguattera che aveva iniziato a ripulire il pavimento dal cibo, quindi fece un cenno al Connestabile e gli ordinò di procurarsi una levatrice. Il Connestabile sferrò un calcio alla serva china a terra.

— Tu… tu, come ti chiami, corri dagli artigiani a prenderla. Saprai bene chi è.

Con un’agilità sorprendente per il suo aspetto decrepito, la sguattera schivò il calcio del Connestabile e correndo attraverso la sala sparì in cucina.

Fax continuava a tagliare la carne e di tanto in tanto scoppiava ancora a ridere, divertito dai propri pensieri. F’lar gli si avvicinò e, senza essere stato invitato a farlo, iniziò a sua volta a prendersi della carne, invitando i suoi a fare altrettanto. I soldati di Fax, invece, aspettarono che il loro signore avesse terminato di mangiare.

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