30 Daes Dae’mar

Nella stanza di Loial e di Hurin, Rand scrutò dalla finestra le ordinate terrazze di Cairhien, gli edifici di pietra e i tetti di ardesia. Non scorgeva la casa capitolare degli Illuminatori: anche senza le grandi torri e i palazzi signorili, le mura della città gli avrebbero impedito di vederla, Gli Illuminatori erano sulla bocca di tutti anche ora, alcuni giorni dopo la sera in cui avevano fatto sbocciare nel cielo un solo fiore luminoso, per giunta troppo presto. C’erano almeno dieci versioni differenti dello scandalo, ma nessuna si avvicinava alla verità.

Rand girò le spalle alla finestra. Si augurava che nessuno fosse rimasto ferito nell’incendio, ma per il momento gli Illuminatori non ammettevano neppure che ce ne fosse stato uno. Quella gente teneva la bocca ben chiusa su quanto accadeva nella loro casa capitolare.

«Appena torno, farò il prossimo turno di guardia» disse Rand a Hurin,

«Non occorre, milord» rispose Hurin, con un inchino degno dei cairhienesi. «Ci penserò io. Davvero, milord, non preoccuparti.»

Rand sospirò e scambiò un’occhiata con Loial. L’Ogier si limitò a stringersi nelle spalle. L’annusatore diventava più formale ogni giorno che trascorreva a Cairhien e Loial aveva commentato con semplicità che spesso gli esseri umani si comportano in modo bizzarro.

«Hurin, fino a qualche giorno fa, mi chiamavi lord Rand e non facevi un inchino ogni volta che ti guardavo» lo rimproverò Rand. «Per favore, siediti.»

Hurin stava quasi sull’attenti e pareva pronto a scattare al primo accenno di richiesta. Non si sedette e non si rilassò neppure. «Non sarebbe corretto, milord» rispose, «Dobbiamo mostrare a questi cairhienesi che noi pure sappiamo comportarci in maniera...»

«La vuoi smettere, con questa storia?» sbottò Rand.

«Certo, milord.»

Rand si sforzò di non sospirare di nuovo. «Hurin, mi spiace. Non dovevo rimbeccarti così.»

«È tuo diritto, milord. Se non faccio come vuoi, hai il diritto di sgridarmi.»

Rand mosse un passo verso di lui, con l’intenzione d’afferrarlo per il bavero e dargli una scrollata.

Un colpo alla porta interna li fece trasalire, ma Rand notò con piacere che Hurin impugnava la spada senza aspettare il suo permesso. Lui aveva già al fianco la lama col marchio dell’airone e, nell’andare alla porta, posò la mano sull’elsa. Aspettò che Loial si sedesse sul letto e sistemasse le gambe e le code della giubba in modo da nascondere meglio lo scrigno, poi aprì di colpo la porta.

Sulla soglia c’era il locandiere, impaziente di porgere a Rand il vassoio con due fogli di pergamena sigillati. «Chiedo scusa, milord» disse, col fiatone. «Non potevo aspettare che scendessi e poi ho visto che nella tua stanza non c’eri e... e... Chiedo scusa, ma...» Dondolò il vassoio.

Rand prese gli inviti — ne aveva ricevuti fin troppi — senza guardarli e spinse il locandiere verso la porta che dava sul corridoio. «Grazie per il disturbo, mastro Cuale. Ora, se non ti spiace lasciarci soli...»

«Ma questi, milord» protestò Cuale «sono del...»

«Grazie.» Rand lo spinse nel corridoio e chiuse con decisione la porta. Gettò sul tavolo i due fogli di pergamena. «Non me li ha mai portati in camera» disse. «Loial, credi che abbia origliato, prima di bussare?»

«Cominci a pensare come i cairhienesi» rise l’Ogier, ma agitò le orecchie, pensieroso, e soggiunse: «Be’, lui è cairhienese. Perciò è possibile che abbia origliato. Ma non mi pare che parlassimo di cose che non doveva ascoltare.»

Rand cercò di ricordare se avessero nominato il Corno di Valere o i Trolloc o gli Amici delle Tenebre. Quando si scoprì a domandarsi che cosa poteva farsene, Cuale, di quello che loro avevano detto, si scosse. «Questo posto comincia a fare effetto anche su di me» borbottò.

«Milord?» Hurin aveva preso le pergamene e fissava con tanto d’occhi i sigilli. «Milord, questi inviti sono di lord Barthanes, capo della Casa Damodred e...» abbassò la voce, con stupore reverenziale «e del re.»

Rand scacciò con un gesto l’obiezione. «Finiranno anche loro nel fuoco. Chiusi.»

«Ma, milord!»

«Hurin» disse Rand, paziente «fra te e Loial, mi avete spiegato questo Grande Gioco. Se vado dove mi hanno invitato, i cairhienesi trarranno conclusioni e penseranno che faccia parte delle trame di qualcuno, Se non vado, trarranno altre conclusioni. Se mando una risposta, ci vedranno un significato e se non la mando, un altro. E dal momento che, a quanto pare, metà dei cairhienesi spia l’altra metà, tutti sanno quel che faccio. Ho bruciato i primi due inviti e brucerò anche questi, come tutti gli altri.» Un giorno ne aveva gettati nel fuoco addirittura dodici, ancora chiusi. «Qualsiasi idea si facciano, almeno è uguale per tutti. A Cairhien non sono a favore di nessuno e contro nessuno.»

«Ho cercato di spiegarti» disse Loial «che secondo me non funziona a questo modo. Qualsiasi cosa tu faccia, i cairhienesi vi vedranno una trama. Almeno, così ha sempre sostenuto l’Anziano Haman.»

Hurin tese a Rand gli inviti sigillati, come se offrisse oro. «Milord, questo ha il sigillo personale di Galldrian. E questo, il sigillo personale di lord Barthanes, il cui potere è secondo solo a quello del re. Se bruci gli inviti, ti inimicherai i due uomini più potenti di Cairhien. Finora ti è andata bene, perché le altre Case aspettano di vedere cos’hai in mente e pensano che tu abbia alleati potentissimi, per insultarle a questo modo. Ma lord Barthanes... e il re! Insulta anche loro e di sicuro quelli reagiranno.»

Rand si grattò la testa. «Cosa succede, se rifiuto tutt’e due gli inviti?»

«Non funzionerà, milord. Ormai, dalla prima all’ultima, tutte le Case ti hanno mandato un invito. Se declini anche questi due... be’, se non sei alleato del re né di lord Barthanes, di sicuro almeno una Casa penserà di vendicare l’offesa. Milord, ho sentito dire che attualmente le Case di Cairhien si servono di sicari. Un pugnale nella via. Una freccia dai tetti. Veleno nel vino.»

«Puoi accettarli tutt’e due» suggerì Loial. «So che non ti va, Rand, ma forse sarà perfino divertente. Una serata nel palazzo di un lord, o addirittura nel Palazzo Reale. Rand, gli shienaresi erano convinti che tu sia un lord.»

Rand fece una smorfia. Era stato un caso: una fortuita somiglianza di nomi, una voce fra i domestici, Moiraine e l’Amyrlin a completare l’opera. Ma anche Selene l’aveva creduto. Forse sarebbe stata presente a una delle due feste.

Hurin, però, scuoteva con forza la testa. «Costruttore, tu non conosci il Daes Dae’mar bene quanto credi» disse. «Non come lo giocano a Cairhien di questi tempi. Con la maggior parte delle Case, non avrebbe importanza. Anche quando tramano a morte l’una contro l’altra, in pubblico si comportano come se nulla fosse. Ma con queste due è diverso. Casa Damodred mantenne il trono finché Laman non lo perdette e ora lo rivuole. Il re li schiaccerebbe, se i Damodred non fossero potenti quasi quanto lui. Non esistono rivali acerrimi quanto Casa Riatin e Casa Damodred. Se milord accetta tutt’e due gli inviti, le due Case lo verrebbero subito a sapere e ciascuna penserebbe che si tratti d’una trama dell’altra. Non perderebbero tempo, a usare pugnale o veleno.»

«E se accetto un invito solo» brontolò Rand «l’altra Casa penserà che sono alleato alla prima. E magari cercherà d’uccidermi per bloccare la trama in cui sono coinvolto.» Hurin annuì. «Allora mi sai consigliare cosa devo fare perché nessuno dei due mi voglia morto?» Hurin scosse la testa. «Ora rimpiango d’avere bruciato i primi due inviti.»

«Sì, milord. Ma non avrebbe fatto molta differenza: potevi accettarne uno qualsiasi e i cairhienesi avrebbero dedotto chissà cosa.»

Rand tese la mano e Hurin vi lasciò cadere le due pergamene. Un sigillo raffigurava il Cinghiale Rampante di Barthanes, anziché l’Albero e Corona della Casa Damodred. L’altro, il Cervo di Galldrian. Erano sigilli personali. A quanto pareva, Rand era riuscito a sollevare interesse nei quartieri più alti della città, senza fare assolutamente nulla.

«Questa gente è pazza» disse Rand, cercando una via d’uscita.

«Sì, milord.»

«Mi farò vedere con questi in mano, nella sala comune» disse lentamente Rand. Una cosa vista a mezzogiorno in una locanda, prima di sera era nota come minimo a dieci Case e prima del giorno dopo, a tutte le altre. «Non romperò i sigilli. In questo modo sapranno che per il momento non ho risposto né a un invito, né all’altro. Se aspettano di vedere da quale parte salto, forse riuscirò a guadagnare ancora qualche giorno. Ingtar arriverà presto. Deve arrivare!»

«Ecco un modo di pensare degno dei cairhienesi, milord» disse Hurin, con un sogghigno.

Rand gli lanciò un’occhiataccia e si mise in tasca le pergamene. «Andiamo, Loial» disse. «Forse Ingtar è arrivato.»

Nella sala comune, nessuno guardò Rand. Cuale puliva un vassoio come se dallo splendore dell’argento dipendesse la sua stessa vita. Le cameriere andavano avanti e indietro fra i tavoli, come se Rand e l’Ogier non esistessero. Tutti gli avventori, dal primo all’ultimo, fissavano il proprio boccale, come se i segreti del potere fossero nascosti nel vino o nella birra. Nessuno diceva una parola.

Dopo un momento, Rand trasse di tasca le due pergamene ed esaminò i sigilli; poi le rimise in tasca. Cuale sobbalzò, mentre Rand si dirigeva alla porta. Prima che l’uscio fosse chiuso, la conversazione era ripresa.

Rand percorse la via ad andatura così sostenuta che Loial non fu costretto ad accorciare il passo per stargli a fianco. «Dobbiamo trovare un modo di uscire dalla città, Loial. Questo trucco con gli inviti non durerà più d’un paio di giorni. Se Ingtar non sarà ancora giunto, dovremo andarcene comunque.»

«D’accordo» confermò Loial.

«Ma come?»

Loial cominciò a contare sulle dita. «Fain è nei dintorni della città, altrimenti a Fuoriporta non ci sarebbero stati i Trolloc. Se ce ne andiamo, li avremo addosso appena saremo fuori vista della città. Se ci uniamo a una carovana di mercanti, ci assaliranno di sicuro. Almeno sapessimo di quanti Trolloc e di quanti Amici delle Tenebre Fain dispone! Per fortuna ne hai eliminato qualcuno.» Non parlò del Trolloc che lui stesso aveva ucciso, ma dalla ruga sulla fronte e dal modo di tenere penzoloni le orecchie era chiaro che ci pensava.

«Non importa quanti sono» disse Rand. «Dieci valgono cento: se ci assalgono, non riusciremo a scamparla un’altra volta.»

«Lo penso anch’io. Non abbiamo soldi per pagarci il passaggio, ma anche se li avessimo e cercassimo di arrivare ai moli di Fuoriporta, non risolveremmo niente: di sicuro Fain avrà messo di guardia qualche Amico delle Tenebre. Se si convincerà che intendiamo andarcene per nave, se ne fregherà che la gente veda i Trolloc. E se riuscissimo a eliminarli tutti, dovremmo dare spiegazioni alle guardie della città. Nessuno crederà che non sappiamo come si apre lo scrigno e allora...»

«Non ho nessuna intenzione di mostrare lo scrigno ai cairhienesi. Loial.»

«Neppure i moli della città rappresentano una soluzione.» Quei moli erano riservati alle chiatte di granaglie e alle imbarcazioni da diporto dei nobili. Era proibito recarvisi, senza un permesso, «L’unico rifugio sicuro sarebbe Stedding Tsofu. Peccato che sia troppo lontano. I Trolloc non entrerebbero mai in uno stedding. Ma ci assalirebbero molto prima.»

Rand non rispose. Erano arrivati al corpo di guardia al di qua della porta da dove erano entrati a Cairhien. Fuoriporta formicolava di gente. Un paio di guardie teneva d’occhio i movimenti. Un uomo, vestito di stracci che un tempo erano stati un elegante abito shienarese, vide Rand e si ritrasse fra la folla. Rand lo notò, ma non poteva esserne sicuro; c’erano troppe persone, con l’abbigliamento tipico di troppi paesi, e tutte si muovevano di fretta. Salì i gradini ed entrò nel corpo di guardia, passando davanti a soldati in armatura, fermi ai lati della porta.

Nell’ampio vestibolo c’erano panche di legno per chi aveva da fare lì dentro, in genere gente in umile e paziente attesa, vestita con gli abiti scuri e brutti che indicavano i cittadini più poveri. Fra loro c’erano pochi abitanti di Fuoriporta, riconoscibili per le vesti trasandate e i colori vivaci, senza dubbio alla ricerca del permesso di lavorare dentro le mura.

Rand andò direttamente al lungo tavolo in fondo alla stanza. C’era solo un uomo, seduto a quel tavolo: un civile con una striscia verde di traverso sulla giubba e l’aria ben pasciuta, che riordinò gli scartafacci sul tavolo e spostò due volte il calamaio, prima di guardare, con un sorriso falso, Rand e Loial.

«Come posso esserti utile, milord?»

«Nello stesso modo di ieri» disse Rand, con più pazienza di quanta non ne provasse. «E l’altroieri e il giorno prima ancora. Lord Ingtar è arrivato?»

«Lord Ingtar, milord?»

Rand inspirò a fondo e lasciò uscire lentamente il fiato. «Lord Ingtar di Casa Shinowa, dello Shienar» precisò. «Lo stesso uomo di cui ho chiesto ogni giorno, da quando sono qui.»

«Nessuno con questo nome è entrato in città, milord.»

«Ne sei sicuro? Non devi almeno dare un’occhiata ai tuoi elenchi?»

«Milord, all’alba e al tramonto i corpi di guardia si scambiano l’elenco dei forestieri giunti a Cairhien e io esamino quelli che ricevo, appena me li consegnano. Da molto tempo a Cairhien non entra un lord dello Shienar.»

«E lady Selene? Prima che tu me lo chieda di nuovo, non conosco il nome della sua Casa. Ma già tre volte ti ho dato nome e descrizione. Non basta?»

L’uomo allargò le braccia. «Mi spiace, milord. Non sapendo a quale Casa appartiene, diventa una faccenda difficile.» Aveva in faccia un’espressione blanda. Rand si domandò se, anche sapendolo, glielo avrebbe detto.

Con la coda dell’occhio notò un movimento a una delle porte dietro il tavolo: un uomo stava per entrare nel vestibolo, ma si era subito ritirato.

«Forse il capitano Caldevwin mi può aiutare» disse Rand al funzionario.

«Il capitano Caldevwin, milord?»

«L’ho appena visto alle tue spalle.»

«Mi spiace, milord. Se nel corpo di guardia ci fosse un capitano Caldevwin, lo saprei.»

Rand rimase a fissare il funzionario, finché Loial non gli toccò la spalla. «Rand» disse l’Ogier «tanto vale andare via.»

«Grazie per l’aiuto» disse Rand, in tono asciutto. «Tornerò domani.»

«Sono lieto di fare quel che è in mio potere» rispose l’altro, con lo stesso sorriso falso.

Rand uscì dal corpo di guardia con tale rapidità che Loial fu costretto ad affrettarsi per raggiungerlo nella via.

«Mentiva, sai, Loial» disse Rand. Non rallentò, anzi allungò il passo, come per bruciare con l’esercizio fisico parte della frustrazione. «Caldevwin era là dentro. Quindi è possibile che menta su tutto. Forse Ingtar è già in città e ci cerca. E scommetto che quell’uomo sa anche dove si trova Selene.»

«Può darsi, Rand. Daes Dae’mar...»

«Luce santa, sono stufo di sentir parlare del Grande Gioco. Non voglio giocarlo. Non voglio averci niente a che fare.»

Loial gli camminò a fianco, senza replicare.

«Lo so» riprese Rand. «Pensano che io sia un lord e a Cairhien anche i lord stranieri fanno parte del Gioco. Non avessi mai indossato questa giubba!» Moiraine, si disse con amarezza, continuava a metterlo nei guai. Quasi subito, però, ammise con riluttanza che non poteva incolparla della situazione. Aveva avuto sempre un motivo per fingere d’essere quel che non era: prima per tenere alto il morale di Hurin, poi per fare colpo su Selene. Dopo, non c’era stato verso di togliersi di dosso l’etichetta di lord. Rallentò fino a fermarsi. «Quando Moiraine mi ha lasciato andare via, credevo che tutto si sarebbe semplificato di nuovo. Anche se inseguivo il Corno, anche se... anche per il resto.» Anche, si domandò, con Saidin nella testa? «Luce santa, cosa non darei perché tutto fosse di nuovo semplice come una volta!»

«Ta’veren» cominciò Loial.

«Non voglio sentir parlare nemmeno di questo» lo bloccò subito Rand. Allungò di nuovo il passo. «Voglio solo dare il pugnale a Mat e il Corno a Ingtar.» E poi? Impazzire? Morire? Se fosse morto prima d’impazzire, almeno non avrebbe danneggiato nessuno. Ma non voleva nemmeno morire. Lan poteva parlare di Inguainare la spada, ma lui, Rand, era un pastore, non un Custode. «Se solo non lo tocco» borbottò «forse riesco a... Owyn ce l’ha quasi fatta.»

«Come, Rand? Non ho capito.»

«Niente, niente» rispose Rand, in tono stanco. «Vorrei che Ingtar fosse qui. E Mat e Perrin.»

Per un poco camminarono in silenzio. Rand rifletteva. Il nipote di Thom era durato quasi tre anni, incanalando il Potere solo quando lo riteneva indispensabile. Se Owyn era riuscito a limitarsi, era certo possibile non incanalare mai, per quanto seducente Saidin fosse.

«Rand» disse Loial. «C’è un incendio, più avanti.»

Rand lasciò perdere quei pensieri poco piacevoli e guardò, accigliato. Una densa colonna di fumo nero s’alzava sopra i tetti. Non si vedeva che cosa c’era alla base della colonna, ma il fumo era troppo vicino alla locanda.

«Amici delle Tenebre» disse, fissando il fumo. «I Trolloc non possono entrare senza farsi vedere, ma gli Amici delle Tenebre... Hurin!» Si lanciò di corsa, seguito da Loial.

Più si avvicinavano, più erano sicuri; girarono l’ultimo angolo e si trovarono davanti al Difensore del Muro del Drago: dalle finestre superiori della locanda usciva fumo e dal tetto scaturivano fiamme. Una folla si era raccolta davanti alla locanda. Cuale gridava e si scalmanava seguendo il lavoro di uomini che portavano nella via i mobili. Altri, in doppia fila, passavano secchi pieni d’acqua, da un pozzo in fondo alla via, e viceversa. La maggior parte della gente si limitava a guardare; un altro getto di fiamme scaturì dal tetto d’ardesia; la folla mandò esclamazioni di stupore.

Rand si aprì un varco fino al locandiere. «Dov’è Hurin?» domandò.

«Attenti, con quel tavolo!» gridò Cuale, sporco di fuliggine. «Non graffiatelo!» Sorpreso, guardò Rand. «Milord? Chi? Il tuo servitore? Non ricordo d’averlo visto, milord. Senza dubbio è uscito. Non far cadere quei candelieri, stupido! Sono d’argento!» Si allontanò e continuò a vociare contro gli uomini che portavano in salvo l’arredamento della locanda.

«Hurin non sarebbe uscito» disse Loial. «Non avrebbe mai abbandonato il...» Si guardò intorno e non terminò la frase. Alcuni spettatori, pareva, trovavano un Ogier interessante quanto l’incendio.

«Lo so» disse Rand. Si tuffò nell’edificio.

A giudicare dalla sala comune, nessuno avrebbe detto che la locanda andava a fuoco. La doppia fila di uomini proseguiva sulla scala, passando i secchi; altri portavano fuori i mobili rimasti; ma non c’era più fumo di quanto ce n’era se in cucina bruciava un pezzo d’arrosto. Mentre Rand saliva la scala, il fumo divenne più denso. Tossendo, Rand si lanciò di corsa.

La doppia fila si fermava al secondo pianerottolo. Gli uomini gettavano acqua nel corridoio pieno di fumo nero, dove fiamme rossastre guizzavano e lambivano le pareti.

Un uomo afferrò Rand per il braccio. «Non puoi salire, milord. Al piano di sopra, tutto è perduto. Ogier, faglielo capire.»

Solo allora Rand s’accorse che Loial l’aveva seguito. «Indietro, Loial» disse. «Lo porterò fuori.»

«Non puoi portare Hurin e scrigno insieme, Rand» replicò l’Ogier. Si strinse nelle spalle. «E poi, non lascerò bruciare i miei libri.»

«Allora tieniti basso. Sotto il fumo.» Si lasciò cadere carponi e salì gli ultimi gradini. Contro il pavimento, l’aria era respirabile, anche se il fumo faceva tossire. Tuttavia anche l’aria pareva ardente. Rand non riusciva a respirare solo dal naso. Usò la bocca e si sentì seccare la lingua.

Un getto d’acqua lo colpì, inzuppandolo. La frescura fu sollievo momentaneo. Rand avanzò strisciando, deciso, capì di avere alle spalle Loial solo perché lo sentiva tossire.

Una parete del corridoio pareva solida fiamma e nelle vicinanze il pavimento aveva già iniziato ad aggiungere riccioli di fumo alla nube addensata in alto. Rand fu contento di non scorgere che cosa c’era sopra il fumo: gli bastava udire gli scricchiolii di malaugurio.

La porta della stanza di Hurin non aveva ancora preso fuoco, ma era tanto calda che Rand riuscì ad aprirla solo al secondo tentativo. Vide subito Hurin, disteso scompostamente sul pavimento, Strisciò accanto a lui e lo sollevò: l’annusatore aveva in testa un bernoccolo grosso come una prugna.

Hurin aprì gli occhi, confuso. «Lord Rand?» mormorò debolmente. «...bussato alla porta... credevo altri invi...» Rovesciò gli occhi. Rand gli cercò il battito del cuore e sospirò di sollievo.

«Rand...» Loial tossì. Era accanto al letto. Le coperte scostate mostravano le assi del pavimento. Lo scrigno era scomparso.

Sopra il fumo, il soffitto scricchiolò; caddero pezzi di legno ardente.

«Prendi i tuoi libri» disse Rand. «Io porto Hurin. Sbrigati!» Iniziò a mettersi in spalla il corpo inerte di Hurin, ma Loial glielo tolse.

«I libri brucino pure, Rand. Non puoi portarlo in spalla e strisciare; se ti alzi, non arriverai mai alla scala.» Si mise sulla schiena Hurin. Il soffitto scricchiolò rumorosamente. «Sbrighiamoci, Rand.»

«Vai, Loial. Ti seguo.»

L’Ogier strisciò nel corridoio e Rand gli andò dietro. Poi si fermò e guardò la porta interna. Nella sua stanza c’era lo stendardo. Lo stendardo del Drago. “Che bruci!" pensò. Gli parve di udire la voce di Moiraine: «La tua vita può dipendere da esso». “Cerca ancora di usarmi. Le Aes Sedai non mentono mai."

Con un grugnito, rotolò sul pavimento e con un calcio spalancò la porta.

L’altra stanza era tutta in fiamme. Il letto era un falò, lingue di fiamma già correvano sul pavimento. Impossibile strisciarvi sopra. Rand si alzò, corse acquattato nella stanza, tossendo e soffocando. La giubba bagnata mandava fumo. Un lato dell’armadio bruciava, Rand spalancò l’anta. Dentro c’erano le bisacce, ancora intatte. Una era gonfia per lo stendardo di Lews Therin Telamon; accanto all’altra c’era l’astuccio di legno col flauto. Per un istante Rand esitò: poteva ancora lasciarlo bruciare.

Il soffitto mandò un gemito. Rand afferrò le bisacce e l’astuccio. Si tuffò verso la porta e atterrò sulle ginocchia, mentre pezzi di travatura in fiamme si schiantavano nel punto dove si era trovato l’attimo prima. Trascinando il carico, strisciò nel corridoio. Il pavimento tremò per la caduta di altri pezzi di travatura.

Rand arrivò alla scala e vide che gli uomini con i secchi erano spariti. Scivolò lungo i gradini fino al pianerottolo, si mise in piedi, attraversò di corsa l’edificio ormai vuoto e uscì nella via. Gli astanti lo fissarono: con la faccia annerita e la giubba coperta di fuliggine, Rand barcollò fino alla casa di fronte: Loial aveva appoggiato Hurin alla parete. Una donna puliva con uno straccio il viso dell’annusatore, che però teneva ancora gli occhi chiusi e aveva il respiro irregolare.

«Non c’è una Sapiente qui vicino?» domandò Rand. «Ha bisogno d’aiuto.»

La donna lo guardò, senza espressione. Rand cercò di ricordare gli altri nomi con cui aveva udito definire le Sapienti, fuori dei Fiumi Gemelli. « Una Curatrice? Una donna chiamata Mamma qualcosa? Una donna che conosce le erbe e i medicamenti?»

«Io sono Lettrice, se è questo che intendi» rispose la donna. «Ma per lui non so cosa fare, se non metterlo comodo. Ho paura che abbia qualcosa di rotto dentro la testa.»

«Rand! Sei proprio tu!»

Rand sgranò gli occhi. Mat, con l’arco a tracolla, spingeva tra la ressa il proprio cavallo. Un Mat dal viso più tirato, dal sorriso più pallido, ma sempre Mat. E dietro di lui veniva Perrin: i suoi occhi gialli brillavano alla luce dell’incendio e attiravano sguardi di stupore quanto le fiamme. Ingtar, con una giubba dal collo alto al posto dell’armatura, ma sempre con la spada che sporgeva da sopra la spalla, smontava da cavallo.

Rand sentì un brivido. «Siete giunti tardi» disse. «Troppo tardi.» Si lasciò cadere seduto sulla via e cominciò a ridere.

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