5 L’Ombra nello Shienar

Quietare. La parola parve sospesa nell’aria, quasi visibile. Quando si privava un uomo della capacità d’incanalare il Potere, per fermarlo prima che la pazzia lo spingesse a distruggere ogni cosa intorno a sé, lo si ‘domava’. In certi casi, anche le Aes Sedai erano ‘quietate’, ossia private della capacità d’incanalare il flusso dell’Unico Potere; percepivano sempre Saidar, la metà femminile della Vera Fonte, ma non potevano più toccarla, potevano solo ricordare ciò che avevano perduto per sempre. Ogni novizia era obbligata a imparare il nome di tutte le Aes Sedai quietate fin dalla Frattura del Mondo e i crimini da loro commessi, ma il solo pensiero dava i brividi. Le donne quietate avevano reazioni non diverse dagli uomini domati.

Fin dall’inizio Moiraine era consapevole del rischio e della necessità di correrlo; ma non per questo trovava piacevole pensarci. Socchiuse gli occhi per non mostrare la collera e la preoccupazione. «Leane ti seguirebbe giù per le pendici di Shayol Ghul, Siuan, e nel Pozzo del Destino» disse. «Non puoi pensare che ti tradirebbe.»

«No. Ma lo riterrebbe tradimento? È tradimento, tradire un traditore? Non ci pensi mai?»

«Mai. Quel che facciamo, Siuan, va fatto. Tutt’e due lo sappiamo, da una ventina d’anni. La Ruota gira e ordisce come vuole: noi due siamo state scelte dal Disegno. Siamo parte delle Profezie e le Profezie devono avverarsi. Devono!»

«Le Profezie devono avverarsi. Ci hanno insegnato che devono avverarsi e che si avvereranno, eppure così diventano tradimento verso tutto ciò che abbiamo appreso. E verso tutto ciò che rappresentiamo, direbbero alcuni.» L’Amyrlin Seat si strofinò le braccia e si accostò alla feritoia, a scrutare il giardino sottostante. Toccò le tende. «Qui, negli alloggi delle donne, mettono tendaggi per ingentilire le stanze; intorno piantano magnifici giardini; ma in questo posto non c’è niente che non sia fatto in previsione di guerra, morte, uccisioni.» Poi continuò, con lo stesso tono pensieroso: «Solo due volte, dalla Frattura del Mondo, l’Amyrlin Seat è stata spogliata di stola e bastone.»

«Tetsuan, che tradì il Manetheren per gelosia dei poteri di Ellisande, e Bonwhin, che cercò di usare Artur Hawkwing per dominare il mondo e rischiò di distruggere Tar Valon.»

L’Amyrlin continuò a esaminare il giardino. «Tutt’e due dell’Ajah Rossa, sostituite con due Amyrlin dell’Ajah Azzurra. Una bella fusione di motivi: quello per cui dai tempi di Bonwhin non c’è più stata un’Amyrlin dell’Ajah Rossa e quello per cui l’Ajah Rossa sfrutterà ogni pretesto per abbattere un’Amyrlin dell’Ajah Azzurra. Non voglio essere la terza a perdere stola e bastone, Moiraine. Tu, naturalmente, saresti quietata e cacciata fuori delle Mura Lucenti.»

«Elaida, tanto per dirne una, non lascerebbe che me la cavassi così a buon mercato.» Moiraine fissò la schiena dell’amica, domandandosi che cosa le fosse successo, che fine avessero fatto la sua forza e il suo entusiasmo. «Ma non si arriverà a questo punto, Siuan.»

L’Amyrlin continuò come se Moiraine non avesse parlato. «Per me, sarebbe diverso. Anche quietata, un’Amyrlin deposta non ha il permesso di andarsene in libertà; potrebbe essere considerata una martire e diventare il simbolo per l’opposizione. Tetsuan e Bonwhin furono tenute come serve nella Torre Bianca. Sguattere da segnare a dito per mostrare quale sorte può toccare anche alle più potenti. Non si sceglie come simbolo una donna che passa la giornata a lavare pentole e pavimenti. La si compatisce, certo, ma non la si prende a bandiera.»

Con occhi ardenti d’ira, Moiraine posò sul tavolo i pugni. «Guardami, Siuan. Guardami! Vuoi rinunciare, dopo tutti questi anni? Dopo tutto ciò che abbiamo fatto? Vuoi lasciare che il mondo vada a rotoli? Per paura delle frustate se non pulisci bene le pentole?» Mise nell’ultima frase tutto il disprezzo possibile e vide con sollievo che l’amica si girava di scatto a fronteggiarla. La forza c’era ancora: affaticata, ma c’era. Anche gli occhi celesti dell’Amyrlin mandavano lampi d’ira.

«Ricordo quale delle due ha strillato più forte, quando da novizie abbiamo assaggiato la frusta. Tu, Moiraine, hai vissuto una vita agevole, a Cairhien. Non hai lavorato in una barca di pescatori.» A un tratto diede una manata sul tavolo. «No, non suggerisco di rinunciare, ma nemmeno di stare a guardare mentre tutto ci scivola di mano e io non posso fare niente! La maggior parte dei miei guai, con il Consiglio, deriva da te. Anche le Verdi si domandano perché non ti richiamo alla Torre per insegnarti un po’ di disciplina. Metà delle Sorelle dalla mia parte ritengono che dovrei affidarti alle Rosse; e se questo accade, rimpiangerai di non essere ancora novizia e di rischiare al massimo qualche frustata. Luce santa! Se una sola si ricorda che da novizie eravamo amiche, mi ritroverei insieme con te. Abbiamo fatto un piano! Un piano, Moiraine! Localizzare il ragazzo e portarlo a Tar Valon, dove potevamo nasconderlo, tenerlo al sicuro e guidarlo. Da quando hai lasciato la Torre, mi hai mandato solo due messaggi. Due! Mi sento come chi naviga al buio fra le Dita del Drago. Un messaggio per dire che entravi nel territorio dei Fiumi Gemelli, diretta a quel villaggio, Emond’s Field. Manca poco, mi son detta; l’ha trovato e presto l’avrà in mano. Poi, da Caemlyn, ho avuto la notizia che andavi nello Shienar, a Fal Dara, non a Tar Valon. Fal Dara, con la Macchia quasi a portata di mano. Fal Dara, dove i Trolloc fanno scorrerie e i Myrddraal cavalcano ogni giorno più vicino. Quasi vent’anni di piani e di ricerche... e in pratica metti in grembo al Tenebroso tutto il nostro lavoro. Sei impazzita?»

Moiraine era riuscita a scuotere l’Amyrlin; ora riprese la calma esteriore, e anche la ferma insistenza: «Il Disegno non bada ai piani umani, Siuan, e noi ci siamo dimenticate con chi abbiamo a che fare. Ta’veren. Elaida si sbaglia. Artur Paendrag Tanreall non è mai stato così fortemente ta’veren. La Ruota intesserà il Disegno intorno a questo giovanotto come vorrà, indipendentemente dai nostri piani.»

L’Amyrlin perdette l’espressione adirata e sbiancò, sconvolta. «Pare quasi che sia proprio tu a suggerire che tanto vale rinunciare. Adesso proponi di tenerci da parte a guardare il mondo bruciare?»

«No, Siuan, da parte mai» rispose Moiraine. E pensò: “Eppure il mondo brucerà, in un modo o nell’altro, qualsiasi cosa facciamo. E tu, Siuan, non sei mai riuscita a capirlo". «Ma ora» proseguì «dobbiamo renderci conto che i nostri piani sono precari. Abbiamo un controllo sugli eventi molto minore di quanto non pensassimo. Il vento del destino soffia, Siuan, e dobbiamo lasciarci trasportare dove vuole.»

L’Amyrlin rabbrividì, come se sentisse sulla nuca il gelo di quel vento. Toccò lo scrigno d’oro e con le dita tozze e abili trovò precisi punti dei complicati bassorilievi. Il coperchio si sollevò e rivelò un corno a spirale, d’oro, annidato nelle scanalature progettate apposta per contenerlo. L’Amyrlin sollevò lo strumento e col dito seguì la scritta nella Lingua Antica, intarsiata in argento intorno al bordo.

«‘La tomba non è sbarramento al mio richiamo’» tradusse, a voce assai bassa, come se parlasse tra sé. «Il Corno di Valere, fatto per richiamare dalla tomba gli eroi morti. E, secondo la profezia, sarà ritrovato giusto in tempo per l’Ultima Battaglia.» Rimise il Corno nello scrigno e chiuse il coperchio, come se non sopportasse più di vederlo. «Agelmar me l’ha dato appena terminata la cerimonia del Benvenuto. Non osava più entrare nella stanza del tesoro, ha detto. La tentazione era troppo grande: suonare il Corno e guidare l’esercito che avrebbe risposto alla chiamata, su a settentrione, attraverso la Macchia, per radere al suolo Shayol Ghul e mettere fine al Tenebroso. Ardeva dell’estasi della gloria: proprio questo gli ha fatto capire che non sarebbe stato lui, che non doveva essere lui, a suonarlo. Non vedeva l’ora di liberarsi del Corno, eppure voleva tenerlo.»

Moiraine annuì. Agelmar, come la maggior parte di coloro che combattevano contro il Tenebroso, conosceva la Profezia del Corno. — ‘Chiunque mi suoni, non pensi alla gloria, ma solo alla salvezza’ — citò Moiraine.

«Salvezza» rise l’Amyrlin, amara. «Dallo sguardo, Agelmar non sapeva se in quel momento buttava via la salvezza o respingeva la dannazione della sua stessa anima; sapeva solo di doversi liberare del Corno, prima di restarne bruciato. Ha cercato di mantenere il segreto, ma dice che nella rocca circolano già delle voci. Io non sento tentazioni, però il Corno mi fa venire la pelle d’oca. Agelmar dovrà rimetterlo nella stanza del tesoro fino alla mia partenza: non potrei dormire nemmeno se fosse solo nella stanza accanto.» Si fregò la fronte e sospirò. «Lo si doveva ritrovare solo nell’imminenza dell’Ultima Battaglia. Possibile che manchi così poco? Pensavo, anzi mi auguravo, d’avere più tempo.»

«Il Ciclo Karaethon.»

«Sì, Moiraine, è inutile che me lo ricordi. Conosco quanto te le Profezie. Mai più d’un falso Drago in ogni generazione, dalla Frattura del Mondo; e ora tre nello stesso momento e altri tre negli ultimi due anni. Il Disegno esige un Drago, perché si muove verso la Tarmon Gai’don. A volte sono piena di dubbi, Moiraine.» Lo disse in tono pensieroso, quasi meravigliata. «E se Logain fosse stato il vero Drago?» proseguì. «Era in grado d’incanalare il potere, prima che le Rosse lo portassero nella Torre Bianca e noi lo domassimo. Lo stesso vale per Mazrim Taim. E se fosse lui? Le nostre Sorelle sono già nella Saldaea e forse a quest’ora l’hanno già catturato. E se ci fossimo sbagliate fin dall’inizio? Cosa succede, se si doma il Drago Rinato prima dell’Ultima Battaglia? Anche la profezia può fallire, se l’uomo di cui parla è ucciso o domato. E allora affronteremo il Tenebroso nudi nella tempesta.»

«Nessuno dei due è il vero Drago, Siuan. Il Disegno non esige un Drago qualsiasi, ma l’unico vero Drago. Finché lui non si proclamerà, il Disegno continuerà a seminare falsi Draghi; ma dopo la proclamazione non ce ne saranno altri. Quindi né Logain né Mazrim Taim erano il vero Drago.»

«‘Perché arriverà come l’alba e con la sua venuta frantumerà di nuovo il mondo e lo costruirà a nuovo.’ O affrontiamo nudi la tempesta o ci aggrappiamo a una protezione che ci rovinerà. La Luce ci aiuti.» L’Amyrlin si scosse, come per scacciare le sue stesse parole. Poi assunse l’espressione decisa di chi si prepara a ricevere un colpo. «Tu non sei mai stata in grado di nascondermi i tuoi pensieri come fai con tutti gli altri, Moiraine. Hai altre cose da dirmi, nessuna buona.»

Come risposta, Moiraine si sganciò dalla cintura la borsa di pelle e rovesciò sul cavolo il contenuto. Parve solo un mucchietto di cocci, bianchi e d’un nero lucente.

Incuriosita, l’Amyrlin Seat toccò un frammento e rimase senza fiato. «Cuendillar» disse.

«Pietra dell’Anima» convenne Moiraine. «L’arte di fare cuendillar è andata perduta durante la Frattura del Mondo, ma la Pietra dell’Anima già esistente ha resistito al cataclisma. Anche gli oggetti inghiottiti dalla terra o sprofondati nel mare hanno resistito: nessuna forza può spezzare cuendillar, perfino l’Unico Potere, diretto contro di essa, la irrobustisce. Ma un potere ha spezzato questa!»

L’Amyrlin ricompose in fretta i frammenti, formando un disco della grandezza d’una mano, metà più nero della pece, metà più bianco della neve; i due colori si univano lungo una linea sinuosa non rovinata dai secoli. L’antico simbolo Aes Sedai, prima che il mondo fosse distrutto, quando il Potere era sia degli uomini, sia delle donne. Una metà adesso era chiamata la Fiamma di Tar Valon; l’altra, scarabocchiata sulla porta, era detta la Zanna del Drago e accusava di malvagità gli abitanti della casa. Esistevano solo sette di quei dischi: ogni oggetto di Pietra dell’Anima era registrato nella Torre Bianca e quei sette dischi erano i più noti. Siuan Sanche fissò il disco come se fosse una vipera sul guanciale.

«Un sigillo della prigione del Tenebroso» disse infine, con riluttanza. I sette sigilli che l’Amyrlin Seat in teoria sorvegliava. La verità, nascosta al mondo, era diversa: fin dalle Guerre Trolloc, nessuna Amyrlin Seat sapeva dove fossero i sigilli.

«Il Tenebroso si agita, Siuan. La sua prigione non può rimanere chiusa in eterno. L’opera dell’uomo non può uguagliare quella del Creatore. Il Tenebroso ha di nuovo toccato il mondo, anche se, grazie alla Luce, indirettamente. Gli Amici delle Tenebre si moltiplicano; quel che solo dieci anni fa chiamavamo il male, pare un semplice capriccio, a paragone di quel che accade ogni giorno.»

«Se i sigilli già saltano... Forse non abbiamo più tempo.»

«Ne abbiamo ben poco. Ma quel poco può essere sufficiente. Deve esserlo!»

L’Amyrlin toccò i cocci del sigillo e parlò con voce tesa, come se si sforzasse. «Ho visto il ragazzo, sai. Nella corte, durante il Benvenuto. Vedere i ta’veren è uno dei miei Talenti. Raro, di questi tempi, più raro perfino dei ta’veren stessi, e certamente di scarso uso. Un ragazzo alto, un bel giovanotto. Non molto diverso da qualsiasi giovanotto si veda in qualsiasi città. Moiraine, risplendeva come un sole. In vita mia raramente ho avuto paura, ma alla vista di quel giovanotto mi sono spaventata a morte. Volevo farmi piccola piccola, ululare di paura. Riuscivo a stento a parlare. Agelmar ha pensato che fossi in collera con lui, tanto ero taciturna. Quel giovanotto... è quello che abbiamo cercato in questi ultimi vent’anni.»

Nel tono c’era una traccia interrogativa. «Sì, è lui» rispose Moiraine.

«Ne sei certa? Sa... Sa incanalare l’Unico Potere?»

Anche Moiraine sentì la tensione dell’Amyrlin Seat e provò una stretta gelida alle viscere. Però mantenne sereno il viso. «Sa farlo» disse. Un uomo che manipolava l’Unico Potere: nessuna Aes Sedai poteva pensarci senza provare un brivido di paura. Tutto il mondo ne aveva paura. E lei, Moiraine, stava per scatenare nel mondo un uomo simile. «Rand al’Thor sarà davanti al mondo il Drago Rinato.»

L’Amyrlin rabbrividì. «Rand al’Thor. Non pare un nome da ispirare paura e da mettere a fuoco il mondo.» Ebbe un altro brivido e si strusciò vivacemente le braccia, ma negli occhi mostrò un lampo di decisione. «Se è lui, allora forse abbiamo davvero tempo sufficiente. Ma è al sicuro, qui? Ho con me due Sorelle Rosse e non posso più rispondere delle Verdi e delle Gialle. Luce santa, non posso rispondere di nessuna, in questa faccenda. Perfino Verin e Serafelle balzerebbero su di lui come su di una vipera scarlatta nella stanza dei bambini.»

«È al sicuro, per il momento.»

L’Amyrlin aspettò che aggiungesse qualcosa. Il silenzio perdurò, finché non fu chiaro che Moiraine non avrebbe detto altro.

«Per te» disse infine l’Amyrlin «il nostro vecchio piano è inutile. Cosa suggerisci, ora?»

«Di proposito gli ho lasciato credere che non avevo in lui alcun interesse, che per me può andarsene dove gli pare.» Alzò le mani, per fermare la protesta dell’Amyrlin. «Era necessario, Siuan. Rand al’Thor è cresciuto nei Fiumi Gemelli, dove il sangue ostinato di Manetheren scorre in ogni vena; e il suo pare pietra contro argilla, paragonato a quello di Manetheren. Rand va manovrato con tatto, altrimenti schizzerà in tutte le direzioni tranne quella da noi voluta.»

«Allora lo tratteremo come un bambino appena nato. Lo avvolgeremo in pannolini e gli faremo il solletico, se pensi che sia necessario. Ma a quale scopo immediato?»

«I suoi due amici, Matrim Cauthon e Perrin Aybara, sono maturi per vedere il mondo, prima di sprofondare di nuovo nell’oscurità dei Fiumi Gemelli. Ammesso che ci riescano; anche loro sono ta’veren, pur se in grado minore di lui. Li indurrò a portare a Illian il Corno di Valere.» Esitò e corrugò la fronte. «C’è un guaio, con Mat. Ha con sé un pugnale proveniente da Shadar Logoth.»

«Shadar Logoth! Luce santa, perché li hai portati nelle vicinanze di quella città? Ogni sua pietra è contaminata. Da lì non si può portare via impunemente neppure un sassolino. La Luce ci aiuti, se Mordeth ha toccato il ragazzo.» L’Amyrlin parve strozzarsi. «In questo caso, il mondo è condannato.»

«Mordeth non l’ha toccato, Siuan. E siamo entrati a Shadar Logoth spinti dalla necessità. Comunque, ho preso precauzioni sufficienti perché Mat non infetti altri; però aveva il pugnale già da parecchio tempo, quando l’ho saputo. Il legame c’è ancora. Pensavo di curarlo a Tar Valon, ma con tutte le Sorelle presenti, possiamo provvedere qui. Purché ce ne siano alcune che non vedano Amici delle Tenebre dove non ce ne sono. Tu, io e altre due basteremo, usando il mio angreal.»

«Una sarà Leane e l’altra la troverò.» A un tratto l’Amyrlin Seat sorrise di storto. «Il Consiglio vuole la restituzione dell’angreal, Moiraine. Non ne rimangono molti e tu sei considerata... inaffidabile.»

Moiraine sorrise, ma solo con le labbra. «Prima che abbia finito, di me penseranno di peggio. Mat farà salti di gioia, alla possibilità d’avere una parte così importante nella leggenda del Corno. E non sarà difficile convincere Perrin: ha bisogno di qualcosa che gli tolga di mente i suoi guai. Rand sa d’essere in grado d’incanalare il Potere e ovviamente è spaventato. Vuole andarsene da qualche parte da solo, per non nuocere a nessuno. Dice che non lo userà mai più, ma teme di non riuscire a dominarsi.»

«E ha ragione. È più facile smettere di bere acqua.»

«Infatti. E vuole essere libero dalle Aes Sedai.» Moiraine sorrise senza allegria. «Se gli si presenterà l’occasione di allontanarsi dalle Aes Sedai e di stare ancora un poco con i suoi due amici, sarà ansioso quanto Mat.»

«Ma come farà? Tu di certo andrai con lui. Non possiamo perderlo proprio ora, Moiraine.»

«Non posso accompagnarlo. Bisogna togliergli il guinzaglio, per un certo tempo. Non se ne può fare a meno. Ho fatto bruciare tutti i loro vecchi indumenti. Ci sono state troppe occasioni perché un brandello di quel che portavano cadesse nelle mani sbagliate. E ripulirò anche loro, prima che partano, ma in modo che non se ne accorgano nemmeno. Sarà impossibile rintracciarli con questo mezzo e l’unica altra minaccia di questo tipo è imprigionata qui, in una cella sotterranea.» L’Amyrlin smise di annuire e le rivolse un’occhiata interrogativa, ma Moiraine non s’interruppe. «Viaggeranno con tutta la sicurezza che mi è possibile offrire loro. E quando, a Illian, Rand avrà bisogno di me, sarò lì e farò in modo che sia lui a presentare al Consiglio dei Nove e all’Assemblea il Corno di Valere. Penserò io a tutto. Gli illianesi seguirebbero il Drago o Ba’alzamon in persona, se giungesse col Corno di Valere; e lo stesso farebbe la maggior parte delle persone riunite per la Cerca. Il vero Drago Rinato non avrà bisogno di trovare seguaci prima che le nazioni muovano contro di lui: fin dall’inizio avrà intorno una nazione e alle spalle un esercito.»

L’Amyrlin si abbandonò contro lo schienale della poltrona, ma subito si sporse; pareva combattuta fra la stanchezza e la speranza. «Ma si proclamerà il Drago Rinato? Se ha paura... E la Luce sa che ha davvero motivo d’avere paura, Moiraine; ma chi si proclama il Drago vuole il potere. Se lui non lo vuole...»

«Ho i mezzi per spingerlo a proclamarsi il Drago, che voglia o no. E anche se dovessi fallire, il Disegno stesso provvederebbe. Lui è ta’veren, Siuan. Non può controllare il proprio destino più di quanto il lucignolo controlli la fiamma.»

L’Amyrlin sospirò. «È rischioso, Moiraine. Rischioso. Ma mio padre soleva dire: ‘Ragazza, se non corri il rischio, non guadagnerai mai un soldo’. Dobbiamo fare nuovi piani. Siediti, ci vorrà del tempo. Mando a prendere vino e formaggio.»

Moiraine scosse la testa. «Siamo rimaste da sole già troppo. Se hanno provato a origliare, si chiederanno il perché della Protezione. Il gioco non vale la candela. Stabiliamo un altro incontro per domani.» E pensò: “Inoltre, amica mia, non posso dirti tutto, né rischiare che tu ti accorga che ti nascondo qualcosa".

«Hai ragione. Sarà il mio primo impegno di domattina. Devo sapere un mucchio di cose.»

«Domattina» convenne Moiraine. «Domattina ti dirò tutto quel che devi sapere.» L’Amyrlin si alzò e si abbracciarono di nuovo.

Quando Moiraine uscì nell’anticamera, Leane le scoccò un’occhiata penetrante e si precipitò nella stanza dell’Amyrlin. Moiraine cercò d’assumere un’espressione contrita, come se avesse subito una delle ben note sgridate dell’Amyrlin Seat, ma non ci riuscì: più che altro, parve in collera, ma per i suoi scopi andava bene lo stesso. Solo vagamente si accorse delle altre donne presenti nell’anticamera; pensò che, da quando era entrata, alcune fossero andate via e altre fossero arrivate, ma quasi non le guardò. Il tempo volava e lei aveva un mucchio di cose da fare, prima dell’indomani. Prima di parlare di nuovo con l’Amyrlin Seat.

Allungò il passo e si diresse nel cuore della rocca.


Ci fosse stato qualcuno a vederla, la colonna in marcia nella notte del Tarabon avrebbe fatto una magnifica impressione, sotto la luna calante, fra il tintinnio di bardature. Ben duemila Figli della Luce, a cavallo, con sopravveste e mantello bianchi, corazza brunita, con il convoglio di carri per le provviste e maniscalchi e mozzi di stalla con le cavalcature di scorta.

In quella regione scarsamente alberata c’erano dei villaggi, ma i Figli della Luce si erano lasciati alle spalle le strade e si tenevano alla larga perfino dalle piccole fattorie. Dovevano incontrare... una certa persona, in un piccolo villaggio nei pressi della frontiera settentrionale del Tarabon, al limitare della Piana di Almoth.

Geofram Bornhald, alla testa dei suoi uomini, si domandò che cosa riguardasse la missione. Ricordava fin troppo bene il colloquio con Pedron Niall, capitano comandante dei Figli della Luce; ma ad Amador aveva appreso ben poco.

«Siamo da soli, Geofram» aveva detto Pedron Niall, un uomo dai capelli bianchi, con voce sottile e rauca per l’età. «Mi ricordo d’averti fatto fare il giuramento, trentasei anni fa, mi sembra.»

Bornhald si era messo sull’attenti. «Milord capitano comandante, posso sapere perché mi hai richiamato da Caemlyn, e con tanta urgenza? Basterebbe una piccola spinta per far cadere Morgase. Nell’Andor ci sono Case che la pensano come noi, sui traffici con Tar Valon, e che sono pronte ad avanzare pretese sul trono. Ho lasciato il comando a Eamon Valda e lui mi pareva intenzionato a seguire l’Erede fino a Tar Valon. Non mi stupirei di venire a sapere che ha rapito la ragazza o addirittura assalito Tar Valon stessa.» E Dain, figlio di Bornhald, era arrivato proprio prima che il padre fosse richiamato. Dain era pieno di zelo; troppo, a volte. Quanto bastava ad accettare ciecamente qualsiasi proposta di Valda.

«Valda cammina nella Luce, Geofram. Ma in battaglia tu sei il miglior comandante dei Figli. Radunerai una legione degli uomini più validi che riuscirai a trovare e la porterai nel Tarabon, evitando occhi curiosi e lingue loquaci. E zittendo queste ultime, se gli occhi vedono.»

Bornhald aveva esitato. Un gruppo di cinquanta Figli, perfino di cento, poteva entrare in qualsiasi regione senza sollevare curiosità, almeno apertamente; ma una legione intera... «È la guerra, capitano comandante? Per le vie corrono voci. Chiacchiere assurde riguardanti soprattutto il ritorno degli eserciti di Artur Hawkwing.» Il vecchio non replicò. «Il re,..»

«Non comanda i Figli, capitano Bornhald.» Per la prima volta c’era stato un tono brusco, nella voce del lord capitano comandante. «Io sì. Che il re se ne stia a palazzo e faccia quel che riesce a fare meglio. Nulla, cioè. Sei atteso in un villaggio chiamato Alcruna e lì riceverai gli ordini conclusivi. Mi aspetto che la tua legione arrivi ad Alcruna in tre giorni di cavallo. Ora vai pure, Geofram. Hai del lavoro da fare.»

Bornhald aveva corrugato la fronte. «Chiedo scusa, capitano comandante, ma chi devo incontrare? Perché rischio la guerra col Tarabon?»

«Ad Alcruna ti sarà detto quel che devi sapere.» A un tratto il capitano comandante era parso invecchiato. Con aria assente aveva tormentato la tunica bianca con il ricamo in oro del sole raggiato. «Si muovono forze che non conosci, Geofram. Che non puoi conoscere, addirittura. Scegli in fretta i tuoi uomini. Vai, ora. Non domandare altro. E la Luce sia con te.»

Bornhald si raddrizzò in arcione per dare sollievo alla schiena irrigidita. Diventava vecchio, si disse. Dopo un giorno e una notte in sella, con due brevi soste per abbeverare i cavalli, già sentiva il peso d’ogni capello grigio. Ma, almeno, non aveva ucciso innocenti. Con gli Amici delle Tenebre si comportava con la durezza di qualsiasi uomo giurato alla Luce — bisognava uccidere gli Amici delle Tenebre prima che tirassero il mondo intero sotto l’Ombra — ma per prima cosa voleva assicurarsi che lo fossero davvero. Era stato difficile, con una legione intera, evitare anche nelle campagne gli occhi dei taraboniani, ma lui c’era riuscito. E senza zittire per sempre qualche lingua.

Tornarono gli esploratori inviati in avanscoperta; dietro di loro giunsero altri uomini in manto bianco, alcuni muniti di torce per abbagliare quelli in testa alla colonna. Con un’imprecazione sottovoce Bornhald ordinò l’alt ed esaminò i nuovi arrivati.

Sul petto del mantello avevano lo stesso stemma del sole raggiato e, a giudicare dai nodi dorati, il loro comandante aveva lo stesso grado di Bornhald. Ma dietro l’emblema del sole raggiato c’era il pastorale rosso. Quegli uomini erano Inquisitori. Con ferri roventi e pinze e acqua sgocciolante gli Inquisitori strappavano agli Amici delle Tenebre confessione e pentimento; ma c’era chi diceva che stabilivano la colpevolezza ancora prima d’iniziare. Geofram Bornhald era uno di costoro.

L’avevano mandato lì, si domandò, a incontrare degli Inquisitori?

«Ti aspettavamo, capitano Bornhald» disse con voce aspra il comandante del drappello. Era alto, col naso a becco e negli occhi la luce di certezza d’ogni Inquisitore. «Potevi fare più in fretta. Sono Einor Saren, secondo di Jaichim Carridin, che nel Tarabon comanda la Mano della Luce.» La Mano della Luce... la Mano che scavava la verità, dicevano. Non amavano il termine Inquisitori. «Al villaggio c’è un ponte. Ordina ai tuoi uomini di attraversarlo. Parleremo nella locanda. È sorprendentemente comoda.»

«Il capitano comandante in persona mi ha detto di evitare sguardi indiscreti.»

«Il villaggio è stato... pacificato. Ora sposta gli uomini. Qui comando io. Se hai dubbi, ho ordini scritti, col sigillo del capitano comandante.»

Bornhald soffocò il ringhio che gli si formava in gola. Pacificato! Si domandò se i cadaveri erano stati ammucchiati fuori del villaggio o gettati nel fiume. Sarebbe stato tipico degli Inquisitori: spietati al punto da uccidere la popolazione di un intero villaggio per mantenere la segretezza e stupidi al punto da gettare nel fiume i cadaveri e lasciare che la corrente rendesse nota la loro impresa, da Alcruna giù fino a Tanchico. «I miei dubbi, Inquisitore, riguardano solo la mia presenza nel Tarabon, con duemila uomini.»

Saren irrigidì il viso, ma non cambiò il tono di voce, aspro ed esigente. «Semplice, capitano. Nella Piana di Almoth ci sono paesi e villaggi la cui massima autorità non supera il livello di Sindaco o di Consiglio locale. È tempo di portarli alla Luce. In luoghi simili abbondano gli Amici delle Tenebre.»

Il cavallo di Bornhald batté lo zoccolo, inquieto. «Vorresti dire, Saren, che ho portato in tutta segretezza un’intera legione attraverso gran parte del Tarabon solo per sradicare da qualche sporco villaggio alcuni Amici delle Tenebre?» replicò Bornhald.

«Sei qui per eseguire gli ordini, Bornhald. Per fare il lavoro della Luce! O te ne allontani?» Il sorriso di Saren fu una smorfia. «Se cerchi battaglia, forse avrai l’occasione. A Capo Toman gli invasori hanno un grosso contingente, più di quanto il Tarabon e l’Arad Doman insieme possano affrontare, se decidono di smettere per un poco di litigare. I tarabonesi sostengono che gli invasori sono mostri, creature del Tenebroso. Corre voce che in battaglia abbiano l’aiuto delle Aes Sedai, Se questi invasori sono davvero Amici delle Tenebre, bisogna provvedere.»

Per un attimo Bornhald rimase senza fiato. «Allora le voci sono vere. Sono tornati gli eserciti di Artur Hawkwing.»

«Invasori» disse Saren, in tono piatto, come se rimpiangesse d’averne parlato. «Invasori e probabilmente Amici delle Tenebre, da qualsiasi parte siano venuti. Non sappiamo altro e non ti occorre sapere altro. Per il momento non ti riguardano. Sprechi tempo. Ordina ai tuoi uomini di attraversare il fiume, Bornhald. Nel villaggio ti darò gli ordini.» Girò il cavallo e tornò al galoppo da dove era venuto, seguito da vicino dai cavalieri con le torce.

Bornhald chiuse gli occhi per riabituarli in fretta alla mancanza di luce. Lui e i suoi uomini erano usati come sassolini sul tavoliere da gioco. «Byar!» chiamò; il suo secondo gli comparve a fianco, rigido in sella al cospetto del capitano. Byar, dal viso magrissimo, aveva negli occhi quasi la stessa luce dell’Inquisitore, tuttavia era un buon soldato.

«Più avanti c’è un ponte» disse Bornhald. «Sposta la legione al di là del fiume e disponi l’accampamento. Ti raggiungo appena posso.»

Tirò le redini e spinse il cavallo nella direzione presa dall’Inquisitore. Sassolini sul tavoliere, si disse. Ma chi li muoveva? E perché?

Mentre le ombre del pomeriggio lasciavano posto alla sera, Liandrin si recò negli alloggi delle donne. Al di là delle feritoie, il buio si era infittito e premeva sulla luce proveniente dai lumi del corridoio. Il crepuscolo, ultimamente, era un momento che turbava Liandrin; il crepuscolo e l’alba. All’alba il giorno nasceva, proprio come il crepuscolo faceva nascere la notte; ma all’alba la notte moriva e al crepuscolo moriva il giorno. Il potere del Tenebroso aveva le radici nella morte, ricavava forza dalla morte, e in quei momenti Liandrin sentiva il potere agitarsi. Almeno, qualcosa si agitava, nel quasi buio. Qualcosa che lei credeva di poter cogliere, se si fosse girata con la rapidità necessaria, qualcosa che era sicura di vedere, se avesse guardato con sufficiente intensità.

Domestiche in livrea nero e oro le fecero la riverenza, ma Liandrin non rispose. Con lo sguardo fisso davanti a sé, non le vide nemmeno.

Giunse alla porta che cercava e si soffermò a dare una rapida occhiata ai due lati del corridoio. In vista c’erano solo donne di servizio e, ovviamente, nessun uomo. Liandrin aprì la porta ed entrò senza bussare.

L’anticamera delle stanze di lady Amalisa era vivacemente illuminata e nel camino un bel fuoco teneva lontano il freddo delle notti dello Shienar. Amalisa e le sue dame sedevano nella stanza, sulle poltrone e sui tappeti, e ascoltavano una di loro leggere ad alta voce La danza del falco e del colibrì, di Teven Aerwin, che si proponeva di stabilire il comportamento ideale dell’uomo verso la donna e viceversa. Liandrin serrò le labbra: lei non aveva certo letto quel libro, ma ne aveva sentito parlare quanto bastava. Amalisa e le sue dame accoglievano con scoppi di risa ogni asserzione, agitandosi come ragazzine.

La donna che leggeva fu la prima ad accorgersi della presenza di Liandrin. S’interruppe e sgranò gli occhi, sorpresa. Le altre si girarono a guardare e il silenzio sostituì le risate. Tutte, tranne Amalisa, scattarono in piedi, lisciandosi le vesti e i capelli.

Lady Amalisa si alzò con grazia e sorrise. «Ci onori con la tua presenza, Liandrin» disse. «Una piacevole sorpresa. Non t’aspettavo prima di domani. Credevo che volessi riposarti delle fatiche del via...»

Liandrin la interruppe bruscamente, rivolgendosi a nessuna in particolare. «Voglio parlare in privato a lady Amalisa. Andate via tutte. Subito.»

Seguì un momento di silenzio e di stupore; poi le dame salutarono Amalisa, rivolsero a Liandrin la riverenza, ma l’Aes Sedai non rispose. Continuò a fissare dritto davanti a sé, ma le vide e le udì. Omaggi profferti a disagio per l’umore dell’Aes Sedai. Occhi abbassati, quando lei li ignorò. Per uscire, le donne passarono davanti a Liandrin, tenendosi goffamente discoste in modo da non disturbarla con le loro vesti.

Quando la porta si chiuse alle spalle dell’ultima, Amalisa disse: «Liandrin, non capi...»

«Cammini nella Luce, figlia mia?» Lì non intendeva usare un tono familiare, chiamandola Sorella. Amalisa era più anziana di alcuni anni, ma avrebbero osservato le antiche formalità. Anche se dimenticate da tempo, era il momento di ricordarle.

Appena fatta la domanda, però, Liandrin capì d’avere commesso un errore: la domanda avrebbe provocato dubbi e ansie, provenendo da una Aes Sedai. Amalisa irrigidì la schiena e indurì l’espressione del viso.

«Questo è un insulto, Liandrin Sedai. Sono shienarese, di nobile Casa e di sangue di soldati. I miei avi hanno combattuto l’Ombra prima ancora che lo Shienar esistesse: tremila anni, senza un fallimento né un giorno di debolezza.»

Liandrin cambiò linea d’attacco, ma non si ritirò. Avanzò nella stanza, prese dalla mensola del caminetto la copia rilegata in pelle de La danza del falco e del colibrì e la tenne a mezz’aria, senza guardarla. «Nello Shienar, più che in altre regioni, bisogna tenere in gran conto la Luce e temere l’Ombra.» Con noncuranza gettò nel fuoco il libro. Le fiamme si alzarono come da un ceppo di legno resinoso e lambirono rumorosamente la canna fumaria. Nello stesso istante ogni lume della stanza sibilò e brillò più intensamente. «Qui, soprattutto. Qui, così vicino alla maledetta Macchia, dove la corruzione è in attesa. Qui, perfino chi ritiene di camminare nella Luce può essere ancora corrotto dall’Ombra.»

Goccioline di sudore luccicarono sulla fronte di Amalisa. La mano alzata in segno di protesta per la sorte del libro ricadde lungo il fianco. La donna non mutò espressione, ma Liandrin la vide deglutire e spostare da un piede all’altro il peso del corpo. «Non capisco, Liandrin Sedai. Si tratta del libro? Sono solo sciocchezze.»

Nella voce c’era un debole tremito. Il parafiamma di vetro dei lumi si crepò; le fiamme diventarono più alte e più calde, illuminarono la stanza con l’intensità del sole di mezzogiorno. Amalisa rimase rigida come un palo, col viso tirato, e cercò di non socchiudere gli occhi.

«Sei tu, la sciocca, figlia mia. I libri non m’interessano. Qui, gli uomini entrano nella Macchia e camminano nella contaminazione. Nell’Ombra stessa. Perché ti meravigli che la contaminazione possa filtrare in loro? Anche se non vogliono, può sempre accadere. Secondo te, per quale motivo l’Amyrlin Seat è venuta fin qui?»

«No.» Fu un ansito.

«Appartengo all’Ajah Rossa, figlia mia» continuò Liandrin, senza darle respiro. «Do la caccia a tutti gli uomini corrotti.»

«Non capisco.»

«Non solo a quegli infami che tentano di usare l’Unico Potere. Tutti gli uomini corrotti. Importanti e trascurabili.»

«Non...» Amalisa si umettò le labbra a disagio e si sforzò di riprendersi. «Non capisco, Liandrin Sedai. Ti prego di...»

«Importanti, prima dei trascurabili.»

«No!» Come se un sostegno invisibile le fosse venuto a mancare, Amalisa cadde sulle ginocchia e abbassò la testa. «Ti prego, Liandrin Sedai, dimmi che non ti riferisci ad Agelmar. Non può essere lui.»

In quel momento di dubbio e di confusione, Liandrin colpì. Non si mosse, ma vibrò un colpo utilizzando l’Unico Potere. Amalisa ansimò e sobbalzò, come punta da un ago, e le labbra petulanti di Liandrin si schiusero in un sorriso.

Questo era il suo trucco personale, il primo imparato da ragazzina. Le era stato vietato, appena la Maestra delle Novizie l’aveva scoperto, ma per Liandrin significava solo una cosa in più da nascondere a quelle che la invidiavano.

Venne avanti e sollevò il mento di Amalisa. Lasciò che i fuochi tornassero normali, perché non erano più necessari. Ammorbidì le parole, ma il tono era inflessibile come acciaio.

«Figlia, nessuno vuole vedere te e Agelmar gettati in pasto alla gente come Amici delle Tenebre. Ti aiuterò, ma tu devi aiutare me.»

«Aiutare te?» Amalisa si strofinò le tempie e parve confusa. «Ti prego, Liandrin Sedai, non capisco. È tutto così... È tutto...»

Il talento di Liandrin non era perfetto: non poteva costringere nessuno a fare quel che voleva lei... anche se Liandrin aveva tentato, in tutti i modi. Ma poteva rendere la gente aperta ai suoi argomenti, costringerla a volerle credere, a convincersi più d’ogni altra cosa che lei era nel giusto.

«Ubbidisci, figlia. Rispondi sinceramente alle mie domande e ti prometto che nessuno accuserà te e lord Agelmar d’essere Amici delle Tenebre. Non sarai trascinata nuda nelle vie per essere frustata dalla gente. Non lo permetterò. Capisci?»

«Sì, Liandrin Sedai. Ti ubbidirò e ti risponderò sinceramente.»

Liandrin si raddrizzò e la guardò dall’alto. Lady Amalisa rimase in ginocchio, fiduciosa come una bambina in attesa del conforto e dell’aiuto di una donna più saggia e più forte.

Era giusto, si disse Liandrin, che Amalisa restasse in ginocchio; non capiva perché per le Aes Sedai bastasse un semplice inchino o una riverenza, quando uomini e donne s’inginocchiavano davanti a re e regine. E quale regina aveva in sé il potere che aveva lei? Mosse le labbra in una smorfia d’ira e Amalisa rabbrividì.

«Stai tranquilla, figlia mia. Sono venuta ad aiutarti, non a punirti. Solo chi merita, sarà punito. Ma dimmi la verità.»

«Certo, Liandrin. Lo giuro sul mio nome e sul mio onore.»

«Moiraine è giunta a Fal Dara in compagnia di un Amico delle Tenebre.»

Amalisa era troppo spaventata per mostrare sorpresa. «Oh, no, Liandrin Sedai. No. Quell’uomo giunse dopo. E ora si trova nelle prigioni sotterranee.»

«Dopo, dici. Ma è vero che lei gli parla spesso? Che si trattiene da sola in sua compagnia?»

«Qualche volta, Liandrin Sedai. Solo qualche volta. Vuole scoprire perché quell’uomo è venuto qui. Moiraine Sedai è...» Liandrin alzò bruscamente la mano e Amalisa ingoiò il resto della frase.

«Moiraine era in compagnia di tre giovani. Questo lo so per certo. Dove sono? Non li ho trovati nella loro stanza.»

«Non... non lo so, Liandrin Sedai. Sembrano bravi ragazzi. Non penserai che siano Amici delle Tenebre, vero?»

«No. Peggio, Sono molto più pericolosi, figlia mia. Il mondo intero è in pericolo, a causa loro. Bisogna trovarli. Ordinerai ai tuoi servi e alle tue dame di frugare la rocca e controllerai di persona. Di persona! E non farai parola a nessuno, tranne a chi ti dirò io. Nessun altro deve sapere niente. Questi giovani devono essere portati in segreto a Tar Valon. Nella massima segretezza.»

«Come vuoi, Liandrin Sedai. Ma non capisco la necessità del segreto. Qui nessuno intralcerà le Aes Sedai.»

«Hai sentito parlare dell’Ajah Nera?»

Amalisa sbarrò gli occhi e si ritrasse, alzando le mani quasi a ripararsi da un colpo. «Ignobili dicerie, Liandrin Sedai. Ignobili. Non ci sono Aes Sedai al servizio del Tenebroso. Non posso crederci. Luce Santa, non ci credo, te lo giuro. Sul mio onore e sul mio nome, ti giuro che...»

Freddamente Liandrin la lasciò continuare e osservò le ultime forze della donna colare via. Si sapeva che le Aes Sedai andavano in collera con chi solo menzionava l’Ajah Nera, altro che credere nella sua esistenza. Dopo questo, con la volontà già indebolita da quel piccolo trucco, Amalisa sarebbe stata come argilla nelle sue mani.

«L’Ajah Nera esiste davvero, figlia mia. Ed è presente fra le mura di Fal Dara.» Amalisa rimase a bocca aperta. L’Ajah Nera: Aes Sedai che erano anche Amici delle Tenebre. Una cosa orribile, quasi come la notizia che il Tenebroso in persona si aggirava nella rocca. Ma ora Liandrin non intendeva smettere. «Ogni Aes Sedai che incontri nei corridoi potrebbe essere una Sorella Nera. Non posso dirti chi sono, ma posso proteggerti. Se cammini nella Luce e mi ubbidisci.»

«Ti ubbidirò» bisbigliò Amalisa, con voce rauca. «Ti prego, Liandrin Sedai, dimmi che proteggerai anche mio fratello, le mie dame...»

«Proteggerò chi lo merita. Pensa a te, figlia mia. E all’ordine che ti ho dato. Solo a questo. È in ballo la sorte del mondo, figlia mia. Devi dimenticare tutto il resto.»

«Sì, Liandrin Sedai. Certo, certo.»

Liandrin andò alla porta e si girò solo quando fu sulla soglia. Amalisa, ancora in ginocchio, guardava con ansia. «Alzati, milady Amalisa» disse Liandrin, in tono amabile, ma con una lieve traccia di derisione: altro che Sorella! Quella donna non avrebbe resistito un giorno, da novizia, eppure aveva il potere di dare ordini. «Su, alzati.» Amalisa si alzò, con movimenti rigidi, a scatti, come se per delle ore fosse stata legata mani e piedi. E quando infine si fu alzata, Liandrin disse, con tono di nuovo inflessibile: «E se manchi alla parola, invidierai la sorte di quello sventurato nelle prigioni sotterranee.»

Dall’espressione di Amalisa, Liandrin si disse che, se fallimento ci fosse stato, non sarebbe dipeso dalla sua mancanza di buona volontà.

Nel chiudersi alle spalle la porta, sentì a un tratto un formicolio sulla pelle. Senza fiato, si girò di scatto a guardare da una parte e dall’altra il corridoio fiocamente illuminato. Nessuno. Dalle feritoie si vedeva che era notte fonda. Il corridoio era deserto, eppure lei si era sentita osservata. Le ombre fra un lume e l’altro parevano irriderla. Liandrin scrollò le spalle, a disagio, poi si avviò, decisa. Si lasciava prendere dall’immaginazione, tutto qui.

Era già notte fonda e c’era un mucchio da fare, prima dell’alba. Aveva ricevuto ordini chiarissimi.

Nelle prigioni sotterranee c’era buio a qualsiasi ora, a meno che qualcuno non vi portasse una lanterna; ma Padan Fain, seduto sull’orlo della brandina, fissava un punto in alto e sorrideva. Udiva gli altri due carcerati borbottare nel sonno, in preda agli incubi. E aspettava qualcosa, una cosa attesa da tempo. Per troppo tempo. Ma non per altro tempo.

La porta che dava sulla stanza delle guardie si aprì e lasciò entrare la luce, mettendo in rilievo una figura nel vano.

Fain si alzò, «Tu!» disse. «Aspettavo un altro.» Si stiracchiò con una noncuranza che non provava. Sentì il sangue scorrere più rapidamente. «Sorpresa per tutti, eh? Bene, entra. La notte invecchia e devo dormire, prima o poi.»

Mentre un lume illuminava la cella, alzò la testa e sogghignò a un punto, non visto ma intuito, nel soffitto di pietra. «Non è ancora finita» mormorò. «La battaglia non finisce mai.»

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