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«Dirk, Dirk, lei non può parlare seriamente. No, non ci credo. Fino ad adesso avevo pensato sempre che, be’ sì, che lei fosse migliore di loro. E adesso mi viene a parlare così? No, sto sognando. Questa è assoluta follia!». Ruark si era un po’ ripreso. Con la sua vestaglia lunga, di seta verde ricamata con dei gufi, pareva più lui, anche se pareva tristemente fuori posto in mezzo alla confusione del laboratorio. Si era seduto su di uno sgabello alto e voltava la schiena agli scuri schermi rettangolari del quadro di comando del computer; i piedi calzati di pantofole erano incrociati alle caviglie e le mani grassocce tenevano un bicchiere alto, gelato, con il verde vino Kimdissi. La bottiglia era dietro di lui, messa vicina a due bicchieri vuoti.

Dirk era seduto su di una grande tavola da lavoro di plastica, con le gambe ripiegate sotto di sé ed il gomito appoggiato su di un pacco di sensori. Si era fatto un po’ di spazio spostando in là il pacco e togliendo di mezzo una serie di fotografie su carta. La stanza era in un caos incredibile. «Non vedo nessuna follia», disse testardamente. I suoi occhi vagavano per la stanza anche mentre continuava a parlare. Non era mai stato prima d’ora nel laboratorio. Era più o meno grande come il soggiorno nell’appartamento dei Kavalari, però pareva molto più piccolo. Contro una parete era allineata una batteria di piccoli computer. Dall’altra parte c’era una gigantesca mappa di Worlorn, tracciata in una dozzina di colori diversi, piena di spilli di forma diversa infilati dappertutto e diversi segnalini. Nel mezzo c’erano tre tavoli da lavoro. Era qui che Gwen e Ruark mettevano assieme i loro pezzettini di conoscenza dopo averli cacciati nelle foreste del morente pianeta del festival, ma a Dirk pareva più un quartier generale di tipo militare.

Dirk non sapeva ancora bene perché loro due fossero là. Dopo la lunga spiegazione di Vikary e l’acrimoniosa discussione che era seguita tra Ruark ed i due Kavalari, il Kimdissi era sceso nelle sue stanze, battendo vistosamente i piedi, e si era portato dietro Dirk. Non era sembrato il momento giusto per parlare con Gwen. Ma non appena Ruark si era cambiato d’abito e si era calmato i nervi con una buona sorsata di vino aveva insistito perché Dirk lo accompagnasse nel laboratorio. Si era portato dietro tre bicchieri, ma Ruark era il solo che beveva. Dirk si ricordava ancora della volta precedente e poi doveva pensare all’indomani; doveva essere scattante. Tra l’altro, se il vino Kimdissi si accordava con quello Kavalar allo stesso modo in cui i Kimdissi andavano d’accordo con i Kavalari, sarebbe stato un vero e proprio suicidio berli uno dopo l’altro.

Per cui Ruark bevve da solo. «La follia», disse il Kimdissi dopo aver sorseggiato un po’ di roba verde, «consiste nel duellare come i Kavalari. L’ho già detto, me ne ricordo bene, non riesco a crederci! Jaantony, sì, Garsey di sicuro e naturalmente quei Braith. Animali xenofobi, gente violenta. Ma lei, ah! Dirk, lei, un uomo di Avalon, non è cosa degna di lei. Possibile che parli seriamente? Ma mi dica un po’, non riesco a capire. Uno di Avalon! Lei che è cresciuto assieme all’Accademia della Sapienza Umana, sì, assieme all’Istituto di Avalon per lo Studio delle Intelligenze Non-Umane, anche quello. Il mondo di Tommaso Chung, il posto in cui è nato il Rilevamento Kleronomas, tutta quella storia e quella sapienza che le stava attorno, più di quanta ce ne sia in tutti gli altri posti tranne forse Vecchia Terra o Newholme forse. Lei ha viaggiato, è colto, ha visto un mucchio di pianeti diversi, un sacco di gente sparsa qui e là. Sì! Lei lo sa meglio di me. Deve saperlo, no! Sì!».

Dirk si accigliò. «Arkin, lei non capisce. Non sono stato io a cercare questo duello. È stato uno sbaglio, o qualcosa del genere. Ho cercato di chiedere scusa, ma Bretan non mi ha voluto ascoltare. Che cosa accidenti potevo fare?».

«Fare? Ma come, filarsela, si capisce. Poteva prendersi la dolce Gwen e filarsela; lasciare Worlorn il più in fretta possibile. Lei appartiene a Gwen, Dirk, lei lo sa, vero? E Gwen ha bisogno di uno come lei, sì, nessun altro andrebbe bene. E lei come la aiuta quella ragazza? Comportandosi in modo riprovevole come fa Jaan? Suicidandosi? Eh? Me lo dica Dirk, me lo dica».

La cosa si faceva di nuovo tutta confusa. Quando aveva bevuto con Janacek e Vikary, tutto era sembrato così chiaro e semplice da accettare. Ma adesso Ruark diceva che era tutto sbagliato. «No so», rispose Dirk. «Voglio dire, ho rifiutato la protezione di Jaan. Per cui devo proteggermi da solo, le pare? In fondo di chi è la responsabilità? Sono io che ho fatto le scelte, eccetera; il duello è ormai combinato. Non posso ritrarmi facilmente ormai».

«Ma certo che può», disse Ruark. «Chi è che la può fermare? La legge, eh? Non c’è nessuna legge su Worlorn, no, nessuna. Assolutamente vero! Ci potrebbero forse dare la caccia queste bestie se ci fosse una legge? No, ma non c’è legge, per cui ci sono guai per tutti, ma lei non è costretto al duello se non lo vuole».

Si apri la porta e Dirk si voltò nel momento in cui entrava Gwen. Dirk aggrottò la fronte e Ruark si illuminò. «Ah, Gwen», disse il Kimdissi, «vieni qui con me, cerca di riportare un po’ di buonsenso in t’Larien. Questo gran sciocco ha intenzione di duellare, vero, peggio che se fosse Garsey».

Gwen venne avanti e rimase in piedi in mezzo a loro. Indossava pantaloni di tessuto camaleontino (al momento erano grigio scuro) ed un maglione nero, con una sciarpa verde allacciata ai capelli. La faccia profumava ancora di foresta ed era seria. «Ho detto loro che venivo giù ad elaborare dei dati», disse e la punta della lingua si muoveva nervosamente sulle labbra. «Non so cosa dire. Ho chiesto a Garse di Bretan Braith Lantry. Dirk, ci sono buone possibilità che lui ti uccida».

Le sue parole lo raggelarono. Chissà perché, ma sentirselo dire da Gwen gli pareva diverso. «Lo so», disse. «Non cambia niente Gwen. Cioè, se volevo starmene al sicuro, avrei potuto restare korariel di Ferrogiada, giusto?».

Lei annuì. «Sì. Ma tu hai rifiutato. Perché?».

«Che cosa avevi detto nella foresta? E dopo, anche? Sui nomi? Non volevo diventare proprietà di qualcuno, Gwen. Io non sono korariel».

La osservò. Per un istante brevissimo il suo viso si oscurò e gli occhi le corsero alla giada-e-argento. «Capisco», disse con una voce che era quasi un sussurro.

«Be’, io no», disse Ruark sbuffando. «Allora, essere korariel. Che cosa sarà mai? Non è altro che una parola! In ogni modo si è vivi, eh?».

Gwen lo guardò, appollaiato in alto sullo sgabello. Pareva vagamente comico con la lunga vestaglia, aggrappato al suo bicchiere e con quel cipiglio. «No, Arkin», disse lei. «Anch’io ho fatto quest’errore. Anch’io pensavo che betheyn fosse solo una parola».

Lui arrossì. «Va bene, allora! Quindi Dirk non è korariel, bene, non è proprietà di nessuno. Ciò non significa che debba duellare, no, assolutamente no. Il codice di onore dei Kavalari è una cosa senza senso, veramente una grande, incommensurabile stupidaggine. Forse che lei vuole essere uno stupido, Dirk? Morire da stupido?».

«No», disse Dirk. Le parole di Ruark lo sconvolgevano. Lui non credeva nel codice di Alto Kavalaan. E allora? Non ne era affatto convinto. Forse voleva provare qualcosa, pensò, ma non sapeva che cosa e a chi. «Devo farlo, ecco tutto. È la cosa giusta da farsi».

«Parole!», disse Ruark.

«Dirk, non voglio vederti morto», disse Gwen. «Ti prego. Non farmi una cosa simile».

Il tozzo Kimdissi ridacchiò. «No, ne parliamo ancora, noi due, eh?». Sorseggiò il suo vino. «Mi ascolti, Dirk, vuol davvero fare una cosa simile?».

Dirk annuì cupamente.

«Bene. Ma prima, mi risponda a questo, lei crede nel codice duellesco? Crede che sia un’istituzione sociale? Una cosa morale? Me lo dica, la verità, lei lo crede?».

«No», disse Dirk. «Ma non credo che lo pensi nemmeno Jaan, a giudicare da alcuni commenti che ha fatto. Eppure, lui duella quando ci è costretto. Qualsiasi altra cosa sarebbe codardia».

«No, nessuno penserebbe che lei è un codardo, o che lo sia lui. Jaantony sarà sempre un Kavalar, con tutto il marcio che la cosa comporta, ma nemmeno io direi che è un codardo. Ma ci sono diversi tipi di coraggio, no? Se questa torre prendesse fuoco, rischierebbe la sua vita per salvare Gwen e magari anche me? Anche Garse forse?».

«Spererei di sì», disse Dirk.

Ruark annuì. «Vede dunque, lei è un uomo coraggioso. Non c’è bisogno di un suicidio per provarlo».

Gwen fece un cenno con il capo. «Ricordi cosa dicesti quella notte a Kryne Lamiya, Dirk, riguardo la vita e la morte. Non puoi andare e uccidere te stesso dopo tutto il discorso, non è vero?».

Dirk aggrottò le sopracciglia. «Maledizione, questo non è suicidio».

Ruark rise. «No? È la stessa cosa, quasi uguale. Pensa forse di batterlo in duello?».

«Be’, no, ma…».

«Se lui lascia cadere la spada, perché gli sudano le dita, o qualcosa del genere, lei lo ucciderebbe?».

«No», disse Dirk. «Io…».

«Sarebbe una cosa sbagliata, sì, vero? Sì! Bene, permettergli di ucciderla sarebbe ugualmente sbagliato. Anche solo dargli la possibilità. Stupido. Lei non è un Kavalar, per cui non mi porti l’esempio di Jaantony. Anche se ha delle buone intenzioni, resta sempre un assassino. Lei è migliore, Dirk. E poi lui ha una scusante, può darsi che lui creda di combattere forse per cambiare la sua gente. Ha il grosso complesso del redentore, Jaan, ma non siamo qui per prendere in giro lui, no. Ma lei, Dirk, lei non ha questo tipo di motivi. Non è vero?».

«Suppongo di no. Ma dannazione, Ruark, lui si comporta nel modo giusto. Lei non aveva un aspetto così tranquillo quando lui le ha detto che i Braith le avrebbero dato la caccia se non fosse stato per la protezione che lui le forniva».

«No, e non mi sento tranquillo neanche adesso, non dico bugie. Ma questo non cambia niente. Può darsi che io sia korariel, però i Braith sono peggiori dei Ferrogiada, e Jaan usa la violenza per arrestare la violenza. Può darsi. È giusto? Ah, non lo posso certo dire io. Sano esempio di morale, assolutamente vero! Può darsi che i duelli di Jaan abbiano un loro scopo, eh, per la sua gente, per noi. Ma i duelli che fa lei sono assolutamente una follia, non servono a niente, solo a trasformarla in cadavere. Così Gwen rimarrà per sempre con Jaan e Garse, fino a che perderanno anche loro un duello, forse, e la cosa non sarà certo piacevole».

Ruark fece una pausa e terminò il vino, poi roteò sullo sgabello per riempire un altro bicchiere. Dirk era immobile, gli occhi di Gwen lo fissavano, quello sguardo paziente era talmente concreto da risultare tangibile. La testa gli martellava. Pensò di nuovo che Ruark stesse confondendo tutto. Doveva fare la cosa più giusta, ma qual’era? All’improvviso tutte le cose che aveva pensato e che aveva deciso erano evaporate. Nel laboratorio era sceso un silenzio pesante.

«Non voglio scappare», disse alla fine Dirk. «Non voglio. Ma non voglio neanche duellare. Andrò là e dirò che ho deciso, che rifiuto di combattere».

Il Kimdissi fece dondolare il vino e ridacchiò. «Be’, ci vuole un certo coraggio morale. Assolutamente vero. Gesù Cristo, Socrate, Erika Stormjones e adesso Dirk t’Larien, grandi martiri della storia, sì. Può darsi che il poeta Rossacciaio scriva qualche cosa su di lei».

Gwen rispose in maniera più seria. «Questi sono Braith, Dirk, Braith altolegati della vecchia scuola. Su Alto Kavalaan non avrebbero mai potuto sfidarti a duello. I consigli degli altolegati stabiliscono che gli abitanti di altri mondi non sono soggetti al loro codice. Ma qui è diverso. L’arbitro assegnerà un verdetto di forfait, così Bretan Braith e i suoi fratelli di granlega ti uccideranno o ti daranno la caccia. Se rifiuti di fare il duello, secondo loro, fornirai la prova di essere un falsuomo».

«Non posso scappare», ripeté Dirk. Le sue argomentazioni erano improvvisamente scomparse; non gli era rimasto niente tranne le emozioni, la determinazione di affrontare l’alba per vedere cosa capitava.

«Lei sta dando un calcio alla sua unica possibilità di salvezza, sì, vero. Non si tratta di codardia, Dirk. La pensi in questo modo, la scelta più coraggiosa di tutte consiste nel rischiare il loro disprezzo per essere fuggito. Anche in questo caso si troverebbe di fronte al pericolo. Probabilmente le darebbero la caccia, Bretan Braith, se sopravvive, sennò gli altri, chi lo sa? Ma lei sarà vivo, magari dovrà cercare di evitarli, potrà aiutare Gwen».

«Non posso», disse Dirk. «L’ho promesso, l’ho promesso a Jaan e Garse».

«Promesse? Quali? Di morire?».

«No. Sì. Cioè, Jaan mi ha fatto promettere di essere fratello di Janacek. Non si sarebbero trovati neanche loro in questo duello se non avessero cercato di tirarmi fuori dai guai».

«Dopo che Garse ti ci aveva spinto», disse Gwen amara e Dirk sussultò sentendo la velenosità del suo tono tranquillo.

«Possono morire anche loro domani», disse Dirk incerto. «Ed io ne sono responsabile. Adesso mi venite a dire che io devo abbandonarli».

Gwen si fece vicinissima a lui e sollevò le mani. Gli accarezzò leggermente le guance con le dita allontanandogli dalla fronte i capelli grigi e bruni ed i grandi occhi verdi lo fissarono. Improvvisamente lui si ricordò di altre promesse: la gemma mormorante, la gemma mormorante. Ed epoche passate da tanto tempo gli si accesero nella mente ed il pianeta prese a vorticare e la ragione e il torto cominciarono a mescolarsi girando velocemente.

«Dirk, ascoltami», disse lentamente Gwen. «Jaan ha fatto sei duelli per causa mia. Garse, che non mi ama nemmeno, ha partecipato a quattro di quei duelli. Hanno ucciso per me, per il mio orgoglio, per il mio onore. Io non l’avevo chiesto, come tu non avevi chiesto la loro protezione. Si trattava del loro concetto del mio onore, non era il mio concetto. Eppure quei duelli furono per me la stessa cosa che questo è per te. Malgrado ciò tu mi chiedi di lasciarli, di ritornare con te, per amarti di nuovo».

«Sì», disse Dirk. «Ma… non so. Ho lasciato dietro una traccia, fatta di promesse spezzate». La sua voce era tormentata. «Jaan mi ha nominato keth».

Ruark sbuffò. «Se l’avesse nominato pranzo, lei salterebbe nel forno, eh?».

Gwen si limitò a scuotere il capo tristemente. «Ma tu che cosa senti? Come un dovere? Un obbligo?».

«Direi di si», disse lui riluttante.

«Allora ti sei risposto da solo, Dirk. Tu mi hai detto quale deve essere la risposta che io ti devo dare. Se senti con tanta forza di dover soddisfare dei doveri per un termine da poco conto come keth, un legame che in realtà non esiste nemmeno su Alto Kavalaan, come mi puoi chiedere di rinunciare alla giada-e-argento? Betheyn è molto più importante di keth».

Le mani morbide di lei si allontanarono dal suo viso. Fece un passo indietro.

La mano di Dirk scattò in avanti e l’afferrò per un polso. Il polso sinistro. La sua stretta si serrò attorno al freddo metallo e alla giada levigata. «No», disse lui.

Gwen non parlò. Aspettava.

Per Dirk, Ruark non esisteva, il laboratorio si era riempito di tenebre. C’era solo Gwen, che lo osservava, occhi verdi e grandi e pieni di… che cosa? Promesse? Minacce? Sogni perduti? Lei aspettava, in silenzio, e lui cercava di mettere assieme delle parole, senza sapere cosa dire. E la giada-e-argento era fredda nella sua mano e Dirk stava ricordando:

Rosse gocce piene di amore, avvolte nell’argento e nel velluto, che bruciavano ferocemente fredde.

La faccia di Jaan: zigomi alti, la mascella quadrata, i capelli neri, facile al sorriso. La sua voce era calma come l’acciaio, sempre dello stesso tòno: ma io esisto.

La bianca torre fantasma di Kryne Lamiya, che ululava, derideva, cantava una luminosa disperazione mentre un lontano tamburo batteva i suoi rombi bassi senza senso. In mezzo a tutto questo, la sfida, la soluzione. Per un istante, seppe che cosa dire.

La faccia di Garse Janacek: distante (gli occhi azzurro fumo, il capo tenuto rigido, la bocca dura), ostile (ghiaccio nelle orbite, un sorriso selvatico che giocava sulla sua barba), pieno di amaro umorismo (gli occhi che si spalancavano, i denti snudati nel suo ghigno mortale).

Bretan Braith Lantry: un tic ed un occhio di pietraluce, una figura di terrore e di pietà con un bacio freddo e terribile.

Vino rosso nei calici di ossidiana, vapori che facevano piangere gli occhi, bevendo in una stanza piena di cannella e di una strana compagnia.

Parole. Un tipo nuovo e speciale di fratello di granlega, aveva detto Jaan.

Parole. Sarà falso, aveva predetto Garse.

La faccia di Gwen, una Gwen più giovane, più sottile, con occhi chissà perché più grandi. Gwen che rideva. Gwen che piangeva. Gwen in orgasmo. Che lo stringeva, coi seni caldi e rossi, mentre il rossore le si spargeva per tutto il corpo. Gwen che gli sussurrava, ti amo, ti amo. Jenny!

Una solitaria ombra nera, che spingeva con un palo una barca bassa lungo un infinito canale buio.

Ricordi.

La mano gli tremava mentre stringeva Gwen. «Se io non duello», disse lui, «tu lascerai Jaan, allora? E verrai con me?».

Il suo cenno di risposta fu penosamente lento. «Sì. È tutto il giorno che ci penso, ne ho parlato con Arkin. Avevamo stabilito che lui ti avrebbe portato qui ed io avrei detto a Jaan e Garse che avevo del lavoro da fare».

Dirk allungò le gambe che aveva tenuto sotto il corpo e percepì la puntura di cento piccoli coltelli provocati dalla posizione che aveva assunto. Si alzò in piedi ed era ormai deciso. «Allora lo avresti fatto in ogni caso? Non è stato solo per il duello?».

Lei scosse il capo.

«Allora verrò. Quand’è che potremo lasciare Worlorn?».

«Tra due settimane e tre giorni», disse Ruark. «Fino ad allora non c’è nessuna nave».

«Dovremo nasconderci», disse Gwen. «Tutto considerato è la cosa più sicura. Questo pomeriggio non sapevo se era meglio che lo dicessi a Jaan o se meglio che me ne andassi e basta. Pensavo che forse si poteva parlare, poi magari andar su tutti e due ad affrontarli. Ma la questione del duello sistema tutto. Adesso non ti sarebbe permesso in nessun caso di andar via».

Ruark scivolò giù dal suo sgabello. «Andate, allora», disse. «Io starò qui, farò la guardia, voi potrete telefonare ed io vi dirò cosa succede. Per me è abbastanza sicuro, a meno che Garsey e Jaantony non perdano il loro duello. Poi mi affretterò anch’io, scapperò e vi raggiungerò, eh?».

Dirk prese la mano di Gwen. «Ti amo», disse. «Ancora. Davvero».

Lei sorrise gravemente. «Sì. Sono felice, Dirk. Forse funzionerà ancora. Ma dobbiamo fare in fretta, perderci completamente. Da questo momento in poi, tutti i Kavalari sono velenosi per noi».

«Va bene», disse lui. «Dove?».

«Va giù a prendere la tua roba, ti serviranno dei vestiti caldi. Ci troveremo sul terrazzo. Prenderemo l’aerauto e decideremo quando saremo in viaggio».

Dirk annuì e la baciò rapidamente.


Stavano volando sui fiumi scuri e le colline ondulate del Comune quando il primo rossore dell’alba toccò il cielo, un bagliore cremisi basso ad oriente. Subito dopo sorse il piccolo sole giallo e la tenebra sotto di loro si trasformò in grigia bruma mattutina che si dissolse in fretta. La macchina a forma di manta era aperta, come sempre, e Gwen aveva spinto la velocità al massimo e il gelo soffiava forte attorno a loro ed era impossibile parlare. Mentre volavano, Dirk dormì un po’ accanto a lei, avvolto in un grande scialle a scacchi che gli aveva dato Ruark prima di partire.

Lei lo svegliò quando furono in vista della grande punta scintillante di Sfida. Gli diede dei piccoli colpetti sulla spalla. Aveva dormito con un occhio solo, non era comodo. Immediatamente si stirò e sbadigliò. «Eccoci arrivati», disse senza nessuna necessità.

Gwen non rispose. La manta diminuì la velocità man mano che si avvicinava alla città degli Emereli che diventava sempre più grande.

Dirk voltò lo sguardo verso l’alba. «I soli sono sorti», disse, «e guarda, si riesce quasi a vedere Grasso Satana. Immagino che ormai sapranno che ce ne siamo andati». Si immaginò Vikary e Janacek che lo aspettavano al quadrato della morte tracciato sulla strada con il gesso, che lo aspettavano assieme a Bretan. Bretan avrebbe camminato impaziente, questo era certo, e poi avrebbe fatto quello strano verso. Al mattino doveva avere il suo occhio esangue e freddo, come un tizzone morto nella faccia devastata. Forse in questo momento era già morto, o lo era Jaan, o Garse Janacek. Per un istante Dirk si senti arrossire di vergogna. Si spostò più vicino a Gwen e le mise un braccio attorno alle spalle.

Sfida si gonfiava davanti a loro. Gwen fece salire la macchina in un’ascesa vertiginosa attraverso un banco di bianche nuvole filose. L’abisso nero della terrazza d’atterraggio si accese mentre loro si avvicinavano e Dirk vide i numeri mentre Gwen si apprestava ad entrare. Il livello 520, una terrazza vasta ed immacolata e deserta.

«Benvenuti», disse una voce familiare quando la manta si posò sulle lastre del pavimento. «Io sono la Voce di Sfida. Posso fare qualcosa per voi?».

Gwen spense il motore della macchina e si arrampicò sull’ala. «Vogliamo diventare residenti temporanei».

«La quota è piuttosto ragionevole», disse la Voce.

«Allora conducici ad un appartamento».

Si aprì una parete e rotolò fuori una di quelle auto con le ruote a pallone che si fece loro incontro. Era esattamente uguale a quella che li aveva condotti durante la loro prima visita, tranne il colore. Gwen entrò dentro e Dirk cominciò a caricare il veicolo con i bagagli che avevano messo sul sedile posteriore dell’aerauto: dei sensori che Gwen si era portata dietro, tre valigie piene di vestiti, un pacco di provviste d’emergenza per le gite nei boschi. I due scooter volanti, completi di stivali da volo, erano in fondo al mucchio, ma Dirk li lasciò sulla macchina.

Il veicolo partì e la Voce cominciò a parlare dei vari tipi di appartamenti disponibili. Sfida possedeva stanze arredate in un centinaio di stili diversi per far sentire come a casa loro gli abitanti degli altri mondi, anche se predominava un certo gusto di-Emerel.

«Vogliamo qualcosa di semplice e di economico», disse Dirk. «Camera doppia con possibilità di cucina e doccia ad acqua».

La Voce li depositò in un piccolo cubicolo con pareti blu pastello, due livelli più sopra. C’era un letto matrimoniale, che riempiva quasi tutta la stanza, più un cucinino ricavato all’interno di una parete ed un gigantesco schermo telefonico che riempiva tre quarti di un altro muro.

«Autentico splendore Emereli», disse Gwen sarcastica, quando entrarono. Lei posò i suoi sensori ed i vestiti e si gettò finalmente sul letto. Dirk sistemò le valigie che aveva portato dietro ad un pannello scorrevole, posto vicino ai piedi di Gwen sul bordo del letto ed osservò lo schermo.

«È disponibile una vasta selezione di libri per soddisfare la vostra vista», disse la Voce. «Sono spiacente di informarvi che tutti i normali programmi del festival sono stati interrotti».

«Ma non te ne vai mai via?», scattò Dirk.

«Le funzioni base di controllo continuano sempre, per la vostra sicurezza e per la vostra protezione; ma se lo desiderate, la mia funzione di servizio può essere temporaneamente disattivata in vostra vicinanza. Ci sono residenti che preferiscono così».

«Anch’io», disse Dirk. «Disattivati».

«Se cambiasse idea, o avesse bisogno di qualche servizio», disse la Voce, «non ha che da premere il bottone contrassegnato da una stella posto su qualsiasi schermo ed io sarò di nuovo ai suoi comandi». Poi rimase zitta.

Dirk aspettò un momento. «Voce?», disse. Non ci fu risposta. Annui soddisfatto ed andò ad ispezionare lo schermo. Gwen, dietro di lui, dormiva già, con le mani sotto il capo, tutta rannicchiata su di un fianco.

Aveva una gran voglia di chiamare Ruark, per vedere che cosa era successo al duello, per sapere chi era vivo e chi era morto. Ma non gli pareva ancora una cosa sicura da farsi. Poteva darsi che uno dei Kavalari — o anche più di uno — stesse tenendo compagnia a Ruark nella sua stanza o nel laboratorio ed una telefonata avrebbe facilitato il loro intercettamento. Doveva aspettare. Prima del decollo, il Kimdissi aveva dato loro un numero di telefono di un appartamento disabitato due piani sopra di lui e aveva detto a Dirk di provare a telefonare subito dopo il tramonto. Se la via era libera, aveva promesso che sarebbe stato là a rispondere. Se no, non ci sarebbe stata risposta alcuna. Ad ogni modo, Ruark non sapeva dove sarebbero andati i fuggiaschi, in modo che i Kavalari non potessero obbligarlo ad informarli.

Dirk era stanchissimo. Malgrado il sonnellino che aveva fatto durante il viaggio, la stanchezza gli pesava enormemente addosso, venata dalle tenebrose tinte della colpa. Ora aveva di nuovo Gwen vicino a sé, ma non si sentiva felice. Forse questo sarebbe venuto dopo, quando sarebbero scomparsi tutti gli altri pensieri e loro due avessero imparato di nuovo a conoscersi come su Avalon, sette lunghi anni prima. Comunque una cosa simile sarebbe successa solo nel momento in cui fossero riusciti ad andare ben lontano da Worlorn, lontani da Jaan Vikary, Garse Janacek e tutti gli altri Kavalari, lontani dalle città morte e dalle foreste agonizzanti. Sarebbero ritornati dall’altra parte del Velo Tentatore, pensava Dirk, poi si sedette e fissò senza vedere lo schermo nero. Avrebbero abbandonato lo stesso Margine. Sarebbero andati su Tara, o Braque, o qualche altro pianeta ancora sano, magari di nuovo su Avalon, magari anche più lontano, su Gulliver, o Vagabondo, o Vecchio Poseidone. C’erano centinaia di mondi che lui non aveva mai veduto, migliaia, anche di più… Mondi di uomini, di nonuomini e di alieni, tanti tipi di lontani lidi romantici, dove nessuno aveva mai sentito parlare di Alto Kavalaan, o di Worlorn. Lui e Gwen avrebbero potuto vedere assieme questi mondi, ormai.

Troppo stanco per dormire, nervoso e senza possibilità di rilassarsi, Dirk cominciò a giocherellare con lo schermo, provando le varie funzioni oziosamente. Lo accese e premette il pulsante su cui era stato disegnato un punto interrogativo, come aveva fatto il giorno prima nell’appartamento di Ruark a Larteyn ed apparve la stessa lista di servizi, in caratteri tre volte più grandi del normale. Lesse attentamente le scritte, per capire tutto ciò che era possibile capire. Magari sarebbe riuscito ad imparare delle cose che gli sarebbero potute risultare utili, rendersi conto di qualcosa che li avrebbe potuti aiutare.

La lista comprendeva un numero di telefono per le notizie del pianeta. Dirk formò la combinazione, sperando che il duello all’alba a Larteyn fosse stato osservato, magari come notizie di cronaca nera. Ma lo schermo diventò grigio e si accesero e si spensero delle lettere bianche: «Servizio interrotto». Cancellò lo schermo.

Dirk aggrottò la fronte e provò un’altra combinazione, per avere informazioni dallo spazioporto e per controllare i dati che gli aveva dato Ruark riguardo alle navi. Questa volta fu più fortunato. Erano previste tre navi nei successivi due mesi standard. La prima, come aveva detto il Kimdissi, sarebbe arrivata poco più tardi di due settimane da quel momento, un traghetto del Margine che si chiamava Teric neDahlir. Ma ciò che Ruark non aveva detto era che la nave faceva la linea esterna, veniva da Kimdiss e andava verso Eshellin, poi al Mondo dell’Oceano Nerovino e finalmente a di-Emerel, il suo mondo di origine. Una settimana più tardi c’era una nave di approvvigionamenti che proveniva da Alto Kavalaan. Che andava verso l’interno c’era soltanto il Tremito dei Nemici Dimenticati, nel suo viaggio di ritorno.

Aspettare tanto a lungo era fuori discussione; perciò lui e Gwen non potevano far altro che prendere il Teric neDahlir per poi cambiare nave su qualche altro mondo. Prendere quella nave comportava la maggior parte dei rischi, decise Dirk. I Kavalari non avevano, in pratica, nessuna possibilità di ritrovarli a Sfida, dato che dovevano cercarli per tutto il pianeta, ma Jaan Vikary avrebbe certamente immaginato che la loro intenzione era quella di abbandonare il pianeta il più presto possibile. Il che significava che probabilmente li avrebbe aspettati allo spazioporto, quando sarebbe stato il momento. Dirk non sapeva proprio che cosa avrebbe potuto inventare. Poteva solo sperare che non ci sarebbe stato bisogno di inventare niente.

Dirk cancellò lo schermo e provò con degli altri numeri, osservando quali erano le funzioni che erano state annullate, o che erano state ridotte a semplici schemi: servizio medico d’emergenza, ad esempio. Alcune invece funzionavano ancora come ai tempi del festival. Spesso c’erano delle cadute di linea tra città e città, il che lo convinse che avevano fatto la scelta giusta venendo a Sfida. Gli Emereli erano stati decisi nel provare che la loro città-torre era immortale e avevano lasciato tutto funzionante a sfidare il freddo e la tenebra ed il ghiaccio che avanzava. Questo posto doveva essere un bel posto per abitarci. Le altre città, al confronto, erano davvero malmesse. Quattro delle quattordici erano sempre al buio e disattivate e una di quelle aveva patito a tal punto l’erosione del vento e delle piogge che stava ormai crollando in rovine polverose.

Per un po’ Dirk continuò a premere bottoni, ma alla fine il giochino cominciò a stancarlo e si sentì annoiato ed irrequieto. Gwen dormiva sodo. Era ancora mattino, impossibile chiamare Ruark. Spense lo schermo, si lavò approssimativamente nel cubicolo dei servizi e poi si mise a letto anche lui, dopo aver spento i pannelli luminosi. Ci volle un po’ perché si addormentasse. Rimase sdraiato nel buio tiepido fissando il soffitto ed ascoltando il leggero respiro di Gwen, ma la sua mente era lontana e piena di preoccupazioni.

Presto tutto ritornerà come prima; diceva a se stesso, tutto sarà come su Avalon. Eppure non riusciva a crederci. Non riusciva a sentirsi come il vecchio Dirk t’Larien, il Dirk di Gwen, quella persona che lui aveva promesso di diventare ancora. Invece si sentiva come se niente fosse cambiato; continuava a tirare avanti, stancamente, senza speranze, come quando era su Braque e sugli altri mondi prima di quello. La sua Jenny era di nuovo con lui e lui avrebbe dovuto essere pieno di gioia, invece provava solo un’amara sensazione di stanchezza. Come se ancora una volta lui avesse fallito con Gwen.

Dirk mise da parte i suoi pensieri e chiuse gli occhi.


Quando si svegliò, era pomeriggio inoltrato. Gwen era già alzata e si dava da fare. Dirk fece una doccia ed indossò morbidi abiti di colore delicato fatti di materiale sintetico, provenienti da Avalon. Poi tutti e due uscirono nel corridoio per esplorare il cinquecentoventiduesimo livello di Sfida. Camminarono tenendosi per mano.

Il loro appartamento era uno dei mille posti in un settore residenziale dell’edificio. Attorno c’erano altri appartamenti, identici al loro tranne per il numero scritto sulle porte nere. I pavimenti, le pareti ed i soffitti dei corridoi in cui camminavano erano rivestiti di ricchi tappeti color cobalto e le luci agli incroci — pallidi globi, riposanti, piacevoli a vedersi — si adattavano perfettamente.

«Che noia», disse Gwen dopo che ebbero camminato per qualche minuto. «Le cose sempre uguali sono deprimenti. E fino adesso non ho visto nemmeno delle mappe. Mi stupisce che la gente non si perda».

«Suppongo che basti chiamare la Voce per sapere da quale parte andare», disse Dirk.

«Già. Me ne ero dimenticata». Corrugò la fronte. «Che cosa è successo alla Voce? Non aveva più niente da dire».

«Le ho chiuso il becco io», le disse Dirk. «Ma è sempre di guardia».

«Si può far funzionare di nuovo?».

Lui annuì e si fermò, poi la condusse verso la porta nera più vicina. L’appartamento, come lui si immaginava, era libero e si apri facilmente al semplice tocco. All’interno, il letto, i mobili, lo schermo… erano tutti uguali.

Dirk si avvicinò allo schermo, schiacciò un pulsante con su una stella, poi spense di nuovo tutto.

«Posso aiutarvi?», chiese la Voce.

Gwen sorrise a Dirk; una specie di sorriso tirato, debole. Anche lei era stanca, si sarebbe detto. C’erano delle rughe di preoccupazione attorno agli angoli della bocca.

«Sì», disse lei. «Vogliamo qualcosa da fare. Facci divertire. Tienici impegnati. Facci visitare la città». Dirk pensò che lei parlava un po’ troppo in fretta, come se cercasse in tutti i modi di distrarsi e tenere la mente lontana da pensieri spiacevoli. Si chiese se fosse preoccupazione per la loro salvezza, o magari preoccupazione per Jaan Vikary.

«Capisco», rispose la Voce. «Permettetemi di farvi da guida, allora, verso le meraviglie di Sfida, la gloria di di-Emerel, ricostruita sul lontano Worlorn». Poi cominciò a dirigerli ed essi si avviarono verso il più vicino gruppo di ascensori, al di fuori del regno degli infiniti corridoi rettilinei color cobalto, in regioni più colorate e divertenti.

Salirono ad Olimpo, un salone di felpa esattamente in cima alla città, ed osservarono al di fuori di Sfida da un’unica gigantesca finestra, con i piedi sprofondati fino alle caviglie in un tappeto nero. Un chilometro sotto di loro, file di nubi scure correvano, sospinte da un vento amaro che loro non potevano sentire. La giornata era pallida e cupa; Occhiodaverno bruciava e brillava come sempre, ma i suoi gialli compagni erano nascosti dalla nebbia grigia che imbrattava il cielo. Si vedevano le montagne lontane dalla torre ed il lontano Comune leggermente verde. Un robocameriere servì loro delle bibite ghiacciate.

Andarono a piedi al mozzo centrale, un profondo cilindro posto al centro della città-torre e che andava dal soffitto fino a terra. Stavano sul balcone più alto e guardavano di sotto tenendosi per mano. Sotto c’erano moki altri balconi in file senza fine che diventavano sempre più piccoli per la lontananza e l’abisso era leggermente luminoso. Poi spalancarono il cancello di ferro lavorato e saltarono e galleggiarono, mano nella mano, tenuti in aria dal morbido abbraccio della calda corrente d’aria ascendente. Il mozzo centrale era stato costruito per divertimento, dove era mantenuta una forza di gravità molto ridotta, anzi tanto bassa che quasi non era più lecito chiamarla gravità… meno dello 0,01 per cento della normale Emereli.

Passeggiarono per il viale esterno, un corridoio largo e ripido che scendeva a spirale attorno al bordo della città come il filetto di una vite gigantesca, in modo da permettere ad un eventuale turista ambizioso di arrampicarsi dal pian terreno fino alla vetta. Ristoranti, musei e negozi erano allineati su entrambi i lati del viale; in mezzo c’erano le carreggiate deserte riservate ai veicoli con le ruote a pallone ed agli altri mezzi più veloci. Una dozzina di marciapiedi — sei verso l’alto e sei verso il basso — formavano la linea centrale dell’arteria che si piegava leggermente. Quando cominciarono ad essere stanchi, salirono su di un nastro, poi su un altro più veloce, poi su uno più veloce ancora. La scena correva via accanto a loro velocemente e la Voce sottolineava i soggetti più interessanti, anche se non c’era niente che fosse particolarmente interessante.

Nuotarono nudi nell’Oceano Emereli, uno pseudomare di acqua fresca che occupava la maggior parte del livello 231 e 232. L’acqua pareva fatta di scintillante cristallo verde, talmente trasparente che si potevano vedere le alghe che si attorcigliavano in catene sinuose sul fondo, due livelli più sotto. Gettava luccichii su pannelli di luce che davano l’impressione di essere in una luminosa giornata di sole. Piccoli pesci spazzini scattavano avanti e indietro nei fondali più bassi dell’oceano; in superficie, delle piante galleggianti ballonzolavano e fluttuavano come funghi giganti fatti di feltro verde.

Usarono degli sci elettrici per scendere lungo la rampa, un tuffo, un volo rallentato su di una plastica a debole attrito che li condusse dal centesimo livello fino al primo, in un istante. Dirk cadde due volte, ma ritornò subito in piedi.

Visitarono una palestra a caduta libera.

Guardarono un auditorium buio fatto per mille persone e rifiutarono di vedere un olonastro con un film che la Voce aveva loro proposto di proiettare.

Mangiarono, in fretta e senza assaporare i cibi, in un bar costruito ai bordi di una via che un tempo doveva essere stata piena di gente intenta a fare acquisti.

Vagarono per una giungla di alberi contorti e di muschio giallo dove i versi degli animali erano tutti registrati ed echeggiavano in modo strano sulle pareti del parco, caldo e fumigante.

Alla fine, sempre inquieti e preoccupati permisero alla Voce di riportarli nella loro stanza. Non erano quasi riusciti a distrarsi. Seppero che fuori stava calando l’autentico crepuscolo di Worlorn.

Dirk si mise in piedi in uno stretto spazio compreso tra il letto e la parete e premette i pulsanti che componevano il codice. Gwen si era seduta proprio dietro di lui.

Ruark ci mise moltissimo tempo a rispondere, troppo. Dirk si chiese con apprensione se fosse successo qualcosa di terribile. Ma proprio in quel momento il segnale blu pulsante scomparve e lo schermo si riempì del viso grassoccio dell’ecologo Kimdissì. Dietro di lui, come un manto grigiastro, c’era la polvere di un appartamento deserto.

«Allora?», disse Dirk. Si voltò ad osservare Gwen. Si mordeva un labbro e la mano destra era immobile, posata sul braccialetto giada-e-argento che continuava a portare al braccio sinistro.

«Dirk? Gwen? Siete voi? Non riesco a vedervi, no, il mio schermo è buio». Gli occhi pallidi di Ruark si muovevano continuamente dietro ai capelli anche più pallidi secchi e diritti.

«Si capisce che siamo noi», scattò Dirk. «Chi altro potrebbe chiamare questo numero?».

«Non riesco a vedervi», ripeté Ruark.

«Arkin», disse Gwen restando seduta sul letto, «se ci vedessi potresti capire dove siamo».

La testa di Ruark oscillò. C’era un leggerissimo accenno di doppio mento. «Sì, non ci avevo pensato, avete ragione. Meglio che non lo sappia, sì».

«Il duello», gli ricordò Dirk. «Stamattina. Che cosa è successo?».

«Jaan sta bene?», chiese Gwen.

«Non c’è stato nessun duello», disse loro Ruark. Gli occhi continuavano a muoversi da una parte all’altra, cercando qualcosa da vedere, pensò Dirk. O forse era nervoso perché temeva che i Kavalari potessero fare irruzione nell’appartamento vuoto. «Sono andato a vedere, ma non c’è stato nessun duello, assolutamente vero».

Gwen sospirò forte. «Allora stanno tutti bene? Jaan?».

«Jaantony è vivo e vegeto, come Garsey ed i Braith», disse Ruark. «Nessuno ha sparato o ucciso, ma quando Dirk non si è presentato al suo ammazzamento, come era previsto, sono diventati tutti matti, sì».

«Mi dica», disse tranquillamente Dirk.

«Sì, be’, lei è stato la causa del rinvio dell’altro duello».

«Rinviato?», disse Gwen.

«Rinvio», rispose Ruark. «Combatteranno di nuovo, con le stesse modalità e con le stesse armi, ma non adesso. Bretan Braith si è appellato all’arbitro. Ha detto che aveva il diritto di affrontare per primo Dirk, poiché avrebbe potuto morire nel duello con Jaan e Garsey e non avrebbe potuto così appianare il contrasto con Dirk. Ha chiesto che il secondo duello fosse sospeso finché lui non fosse riuscito a trovare Dirk. L’arbitro gli ha detto di sì. Uno strumento dei Braith, l’arbitro, sì, si trovava d’accordo con tutto ciò che volevano quegli animali. Roseph alto-Braith, lo chiamavano loro, un uomo Piccolino e assolutamente orribile».

«I Ferrogiada», disse Dirk. «Jaan e Garse. Hanno detto qualcosa?».

«Jaantony, no. Non ha detto nemmeno una parola, no, si è limitato a stare in piedi nel suo angolo del quadrato della morte. Tutti gli altri continuavano a correre in giro, urlando e strillando e comportandosi da Kavalari. Nel quadrato non c’era nessuno oltre a Jaan, no, ma lui continuava a starsene là e si guardava in giro, come se si aspettasse che il duello cominciasse da un momento all’altro. Garsey, per la verità, si è arrabbiato parecchio. Prima, quando lei non è venuto, ha scherzato col fatto che forse era malato, poi è diventato freddissimo ed è stato zitto per un po’, come Jaan, ma dopo doveva essere un po’ meno arrabbiato, penso, così ha cominciato a chiacchierare con Bretan Braith, con l’arbitro e con l’altro duellante, Chell. E i Braith erano tutti qui, forse per fare da testimoni. Non avrei mai creduto che avessimo tanta compagnia a Larteyn, no. Be’, dal punto di vista teorico lo sapevo, ma è ben diverso vederli tutti riuniti in un unico posto. Sono venuti anche un paio di Scianagate, però il poeta Rossacciaio non è venuto. Per cui mancavano tre persone: voi due e lui. Inoltre erano tutti vestiti in gran pompa, forse per loro era come un incontro del consiglio cittadino». Ridacchiò.

«Lei sa che cosa succederà adesso?», disse Dirk.

«Non si preoccupi», disse Ruark. «Voi due pensate a nascondervi e a prendere la nave, si. Loro non possono inseguirvi, dovrebbero setacciare l’intero pianeta! I Braith, penso io, non vi cercheranno neanche. Vero, loro hanno detto che lei era un falsuomo. Bretan Braith era quello che insisteva di più ed il suo socio parlava delle vecchie tradizioni ed anche gli altri Braith e l’arbitro hanno detto di sì, che se lei non veniva al duello lei non era un vero uomo per niente. Per cui forse le daranno la caccia, ma non con qualche scopo particolare, solo perché lei adesso è un altro animale da ammazzare e gli altri la penseranno allo stesso modo».

«Falsuomo», disse Dirk mestamente. Strano, gli pareva di aver perduto qualcosa.

«Per Bretan Braith e quegli altri, sì. Garse, direi, cercherà di trovarla in ogni modo, ma lui non le darà la caccia come si dà ad un animale. Ha giurato che la farà duellare, duellare con Bretan Braith e poi con lui, o magari prima con lui».

«Che mi dice di Vikary?», disse Dirk.

«Gliel’ho detto, non ha spiaccicato parola, niente».

Gwen si alzò dal letto. «Tu hai parlato solo di Dirk», disse a Ruark. «Che dicono di me?».

«Di te?». I pallidi occhi di Ruark sbatterono. «I Braith dicono che sei anche tu un falsuomo, ma Garse non lo ha permesso. Ha parlato con molta durezza di duello contro chiunque osasse toccarti. Roseph alto-Braith parlava a vanvera. Voleva che tu fossi un falsuomo, come anche Dirk, ma Garsey era arrabbiatissimo e da quel che ho capito i duellanti Kavalari possono anche sfidare gli arbitri che prendono delle decisioni sbagliate, anche se rimangono sempre legati alla decisione da lui presa, proprio così. Per cui, dolce Gwen, tu sei sempre betheyn e sempre protetta e loro, se ti trovano, dovranno limitarsi a riportarti indietro. In seguito sarai punita, ma la punizione la decideranno i Ferrogiada. Per la verità, non hanno parlato di te più di tanto, per lo più si è parlato di Dirk. Tu sei solo una donna, eh?».

Gwen non disse niente.

«La richiameremo di nuovo tra pochi giorni», disse Dirk.

«Dirk, dovremmo stabilire il momento adesso, no? Io non mi trovo sempre in questo buco polveroso». Ruark fece un’altra risatina a questa battuta.

«Fra tre giorni, allora, di nuovo al tramonto. Dobbiamo pensare qualcosa per riuscire a prendere la nave. Immagino che Jaan e Garse controlleranno lo spazioporto quando sarà l’ora».

Ruark annuì. «Ci penserò su».

«Puoi fornirci delle armi?», chiese improvvisamente Gwen.

«Armi?». Il Kimdissi fece un verso strozzato. «Davvero, Gwen, i Kavalari ti stanno entrando nel sangue. Io vengo da Kimdiss. Cosa vuoi che ne sappia di laser e roba del genere, queste cose violente? Posso tentare, comunque, per te, per Dirk, che è mio amico. Ne parleremo quando ci risentiremo; adesso devo andare».

La faccia si dissolse e Dirk cancellò lo schermo prima di voltarsi verso Gwen. «Tu vuoi combatterli? Ti pare prudente?».

«Non lo so», disse lei. Andò fino alla porta lentamente, si voltò e ritornò indietro. Poi si fermò; l’appartamento era così piccolo che era impossibile camminare su e giù con una certa veemenza.

«Voce!», disse improvvisamente Dirk colpito dall’ispirazione. «C’è un negozio di pistole a Sfida? Un posto dove si possono acquistare laser o altre armi?».

«Sono spiacente di informarla che le norme di di-Emerel proibiscono il porto di armi personali», rispose la Voce.

«Armi da tiro a segno?», suggerì Dirk. «Oppure per andare a caccia?».

«Sono spiacente di informarla che le norme di di-Emerel proibiscono tutti gli sports sanguinosi ed i giochi basati sulla sublimazione della violenza. Se lei è membro di una cultura dove sono stimati simili propositi, la prego di comprendere che non ho inteso portare alcun insulto al suo pianeta di origine. Tali forme di ricreazione si possono trovare su Worlorn in altri luoghi».

«Dimenticatene», disse Gwen. «Comunque era una cattiva idea».

Dirk le mise le mani sulle spalle. «In ogni caso a noi non serviranno le armi», disse con un sorriso, «anche se ammetto che portarne una mi farebbe stare un po’ meglio. Però dubito che saprei usarla se ce ne fosse bisogno».

«Io sì», disse lei. I suoi occhi — i suoi grandi occhi verdi — avevano una durezza che Dirk non aveva visto mai. Per un solo strano secondo gli fece venire in mente Garse Janacek con il suo gelido sdegno azzurro.

«Come mai?», disse lui.

Lei agitò impaziente la mano e si strìnse nelle spalle, sicché le mani di Dirk scivolarono via dalle sue spalle. Poi Gwen si voltò dall’altra parte. «Nella foresta, Arkin ed io usiamo delle pistole a proiettili. Per sparare degli aghi spia quando dobbiamo seguire le tracce di un animale, per studiare i suoi schemi di migrazione. Anche frecce soporifere. Poi ci sono degli aghi sensori che hanno le dimensioni di un’unghia ed inviano notizie su qualsiasi cosa si possa voler sapere su una forma di vita… come caccia, che cosa mangia, le abitudini nuziali, le onde cerebrali durante i vari stadi del suo ciclo vitale. Tutte informazioni come queste, da cui si può elaborare l’intero ecosistema leggendo i dati relativi alle varie specie. Ma per prima cosa è necessario conficcare le spie, cosa che si fa immobilizzando il soggetto con dardi. Ne ho sparati a migliaia. Sono brava. Vorrei solo averci pensato prima in modo da portarne un po’».

«È un’altra cosa», disse Dirk. «Ben diverso è usare un’arma per quello scopo, oppure per sparare ad un uomo con un laser. Io non ho fatto mai nessuna delle due cose, ma penso che non ci sia nessun paragone».

Gwen si appoggiò contro la porta e lo fissò aspramente da parecchi metri di distanza. «Tu credi che io non saprei uccidere un uomo?».

«No».

Gwen sorrise. «Dirk, io non sono la ragazzina che tu avevi conosciuto su Avalon. Da allora ad adesso ho trascorso parecchi anni su Alto Kavalaan. Non sono stati anni facili. Ci sono state altre donne che mi hanno sputato in faccia. Ho sentito un migliaio di conferenze di Garse Janacek sugli obblighi derivanti dalla giada-e-argendo. Sono stata chiamata falsuomo e betheyn-vacca dagli altri Kavalari uomini. La cosa è capitata così spesso che a volte ho osato rispondere». Scosse il capo. Sotto la larga fascia tesa attorno alla fronte, i suoi occhi erano dure pietre verdi. Giada, pensò Dirk oziosamente, giada come nel braccialetto che lei indossava ancora.

«Devi essere furiosa», disse lui. «È facile arrabbiarsi. Ma io ti ho conosciuta bene, amore, e tu sei una persona sosprattutto gentile».

«Lo ero. Cerco di esserlo. Ma per lo più si trattava di tanto tempo fa, Dirk, tanto, tanto tempo fa, e sono state costruite tante cose, e Jaan Vikary è stata l’unica cosa bella in tutto questo. L’ho detto ad Arkin; lui sa che cosa provo, cosa ho provato. Ci sono state delle volte in cui mi sono trovata vicinissima… maledettamente vicina. Soprattutto con Garse, perché lui è parte di me, in un modo stranissimo ed è soprattutto parte di Jaan e fa male quando si tratta di qualcuno a cui si vuol bene, qualcuno che sarebbe quasi possibile amare, se non fosse per…».

Non prosegui. Teneva le braccia incrociate strette sul petto e corrugava la fronte, ma non proseguì. Doveva aver visto l’espressione sulla sua faccia, pensò Dirk. Lui si chiese che cosa fosse.

«Può darsi che tu abbia ragione», disse lei dopo un po’, togliendo le braccia da quella posizione. «Forse non sarei capace di uccidere nessuno. Ma, sai, certe volte mi sembra che potrei farlo. E in questo momento, Dirk, vorrei proprio avere una pistola in mano». Rise; una piccola risata senza allegria. «Su Alto Kavalaan non mi era permesso portare armi, naturalmente. Perché mai una betheyn dovrebbe aver bisogno di armi? Il suo altolegato ed il di lui teyn sono li per proteggerla. Poi una donna con la pistola potrebbe anche spararsi addosso. Jaan… be’, Jaan ha combattuto per cambiare un mucchio di cose. Lui fa di tutto. Del resto sono qui. La maggior parte delle donne non abbandona mai le sicure pietre della loro granlega dopo aver assunto la giada-e-argento. Ma malgrado i suoi sforzi — ed io lo rispetto per questo — Jaan non mi ha capita. In definitiva lui è un altolegato e combatte anche per altre cose e per ogni cosa che gli dico io, Garse trova il modo di dirgli qualcosa d’altro. Certe volte Jaan non ci fa nemmeno caso. E poi dice che le cose poco importanti, come il fatto che io possa andare armata, non servono a niente. Una volta gli ho parlato di questo e lui ha sottolineato che io contestavo l’uso stesso di portarsi dietro delle armi e tutto il grande artificio del codice duellesco, il che è vero. Eppure… sai Dirk, io capisco benissimo quel che stavi dicendo l’altra sera ad Arkin quando affermavi di voler affrontare Bretan anche se non ti sentivi legato al suo codice. Certe volte ho sentito anch’io la stessa sensazione».

Le luci della stanza baluginarono per un momento, si abbassarono, poi scintillarono più forti, al massimo dell’intensità. «Cosa succede?», disse Dirk sollevando lo sguardo.

«I residenti non devono allarmarsi», disse la Voce con il suo più tranquillo tono basso. «Un temporaneo calo di potenza ha interessato il vostro livello, ma è già stato recuperato».

«Calo di potenza!». Un’immagine balenò nella mente di Dirk, l’immagine di Sfida… sigillata, senza finestre, Sfida completamente racchiusa in se stessa, senza energia. L’idea non gli piaceva. «Che cosa succede?».

«Vi prego di non essere allarmati», ripeté la Voce, ma le luci del soffitto smentivano le sue parole. Si spensero completamente e, per un breve istante, Gwen e Dirk rimasero in un’oscurità terrificante e totale.

«Penso che sia meglio andarcene», disse Gwen quando ritornarono le luci. Si voltò ed aprì il pannello della parete e cominciò a tirare fuori le valigie. Dirk andò ad aiutarla.

«Vi prego di non farvi prendere dal panico», disse la Voce. «Per la vostra sicurezza, vi invito a rimanere nel vostro appartamento. La situazione è sotto controllo. Sfida ha parecchi sistemi di sicurezza, oltre a diverse emergenze per tutti i sistemi più importanti».

Finirono di fare i bagagli. Gwen andò presso la porta. «Sei sull’impianto d’energia secondario, in questo momento?», chiese lei.

«I livelli da uno a cinquanta, da 251 a 300, da 351 a 451 e da 501 a 550 sono al momento sull’impianto di energia secondario», ammise la voce. «Questo non deve provocare allarme. I robotecnici stanno riparando l’impianto primario che sarà rimesso in funzione al più presto possibile, inoltre esistono altri dispositivi di supporto nel caso assai improbabile che debba venire a mancare anche l’erogazione secondaria».

«Non capisco», disse Dirk. «Perché? Qual è la causa del guasto?».

«Vi prego di non essere allarmati», disse la Voce.

«Dirk», disse Gwen calma. «Andiamo». Uscì nel corridoio, con una valigia nella mano destra ed un pacco di sensori appeso alla spalla sinistra con una cinghia. Dirk prese le altre due valige e la seguì nei corridoi di cobalto. Si affrettarono verso gli ascensori. Gwen stava due passi più avanti ed i tappeti ne inghiottivano l’eco.

«I residenti che si faranno cogliere dal panico potranno più facilmente causare incidenti a se stessi di quelli che sceglieranno di rimanere tranquilli nei loro alloggi per tutta la durata di questo piccolo inconveniente», li rimproverò la Voce.

«Dicci che cosa sta succedendo e forse cambieremo idea», disse Dirk. Ma non si fermarono, né rallentarono.

«Sono state messe in atto le disposizioni di emergenza», disse la Voce. Sono stati inviati dei controllori per ricondurvi al vostro appartamento. È per il vostro bene. Ripeto, sono stati inviati dei controllori per ricondurvi al vostro appartamento. Le norme di di-Emerel proibiscono…». Le parole cominciarono improvvisamente a farsi confuse e la voce bassa prese a farsi acuta e diventò un gemito gracchiante che per brevi attimi graffiò le orecchie. Poi venne un improvviso tremendo silenzio.

Le luci si spensero.

Dirk si fermò un istante, poi fece due passi avanti nel buio più assoluto ed andò a sbattere contro Gwen. «Che?», disse. «Scusa».

«Zitto», mormorò Gwen. Cominciò a conteggiare i secondi. Al tredici, i globi appesi agli incroci si riaccesero. Ma la radiazione azzurra si era trasformata in una luminosità spettrale, appena sufficiente per vedere.

«Vieni», disse Gwen. Riprese a camminare, ma questa volta più lentamente, trascinando i piedi con cautela nella debole luce azzurra. Gli ascensori non erano lontani.

Quando i muri ripresero a parlare, la voce non era quella della Voce.

«Questa è una grande città», dissero i muri, «ma non è abbastanza grande da nasconderti, t’Larien. Io ti sto aspettando nelle più basse cantine degli Emereli, al cinquantaduesimo sottolivello. La città è nelle mie mani. Vieni subito. L’energia sarà tolta completamente ed il mio teyn ed io ci metteremo a caccia quando tutto sarà buio».

Dirk riconobbe la persona che parlava. Era difficile sbagliare. Su Worlorn, o su un qualsiasi altro mondo, non sarebbe stato facile trovare qualcuno che possedesse la voce tormentata, gracchiante di Bretan Braith.

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