Era giorno fatto, e accorgendosi di avere molta fame Ramarren, si diresse alla porta nascosta e chiese ad alta voce, in Galaktika, del cibo. Non vi fu risposta, ma un programmato gji portò la colazione e gliela servì; quando stava per terminare il pasto fuori della porta vi fu un leggero segnale. — Entra! — disse Ramarren in kelshiano; Orry entrò e dietro di lui l'alto Abundibot, quindi altri due che Ramarren non aveva mai visto. Eppure i loro nomi gli erano noti: Ken Kenyek e Kradgy. Gli furono presentati: scambi di cortesie. Ramarren scoprì di riuscire a barcamenarsi benissimo; la necessità di tenere Falk completamente nascosto, anzi sepolto dentro di lui si rivelò un vero vantaggio in quanto gli evitava di comportarsi liberamente. Si rendeva poi conto che il mentalista Ken Kenyek cercava di indagare la sua mente, e con rilevante abilità e forza, per di più; ma neppure questo lo preoccupava. Se le sue barriere avevano tenuto bene anche quand'era sottoposto al cappuccio paraipnotico, non sarebbero certo venute meno adesso.
Nessuno degli Shing gli rivolse la parola. Stavano lì attorno nel loro atteggiamento rigido, come se temessero di essere toccati, e tutto quel che dicevano lo bisbigliavano. Ramarren fece in modo di porre alcuni dei quesiti che come Ramarren ci si aspettava da lui: sulla Terra, l'umanità, gli Shing. Poi ascoltò gravemente le risposte. Una volta cercò anche di sintonizzarsi con il giovane Orry, ma non ci riuscì. Non che il ragazzo avesse delle difese, ma probabilmente era stato sottoposto a qualche trattamento mentale che gli aveva distrutto quella scarsa abilità a mettersi in sintonia che aveva imparato da bambino, e poi era sotto l'influsso della droga a cui era stato abituato. E quando Ramarren gli inviò il piccolo segnale familiare dei loro rapporti di prech-noye, Orry si diede a succhiare il suo tubicino di partiitha. Nel vivido mondo sconvolgente della semiallucinazione che la droga gli offriva le sue percezioni erano intorpidite e non riceveva nulla.
— Non hai visto nulla della Terra all'infuori di quest'unica stanza — disse a Ramarren l'unico vestito da donna, Kradgy, in un roco sussurro. Ramarren si guardava da tutti loro, ma Kradgy era quello che gli suscitava un istintivo timore, per non dire avversione; c'era un che di incubo in quel corpo possente ammantato di abiti fluttuanti, con i lunghi capelli d'un nero violetto, il roco sussurro sibilante.
— Vorrei vedere qualcos'altro.
— Ti mostreremo qualunque cosa vorrai. La Terra è aperta al suo onorevole visitatore.
— Non ricordo di avere visto la Terra dall'Alterra quando siamo entrati in orbita — disse Ramarren in un Galaktika stentato, con accento wereliano. — Né ricordo l'attacco all'astronave. Mi sapete dire perché mai?
La domanda poteva diventare rischiosa, ma era autenticamente curioso della risposta; era l'unico vuoto che gli restava nella doppia memoria.
— Eri nella condizione che definiamo di acronia — rispose Ken Kenyek. — Quando sei arrivato alla Soglia sei uscito dalla velocità della Juce troppo velocemente, perché la tua astronave non aveva il ritemporalizzatore. In quel momento, e per alcuni minuti o ore successive, hai perso la coscienza o il controllo.
— Non avevamo mai affrontato quel problema, dati i brevi viaggi alla velocità della luce.
— Quanto più dura il viaggio, tanto più forte diventa la Soglia…
— È stata un'impresa ardimentosa — disse Abundibot con il suo sussurro gracchiante e fiorito come al solito — un viaggio di centoventicinque anni in un'astronave poco collaudata!
Ramarren accettò il complimento senza correggere il numero.
— Andiamo, Signori, mostriamo al nostro ospite la Città della Terra. — Simultaneamente alle parole di Abundibot, Ramarren colse uno scambio telepatico tra Kradgy e Ken Kenyek, ma senza cogliere il senso; era troppo attento a mantenersi sulla difensiva egli stesso per riuscire a sentire mentalmente, o anche solo a ricevere impressioni empatiche.
— L'astronave su cui tornerete a Werel — disse Ken Kenyek — sarà, naturalmente, fornita del ritemporalizzatore e non soffrirai alcun danno rientrando nello spazio planetario.
Ramarren s'era alzato, piuttosto goffamente — Falk era abituato alle sedie, mentre Ramarren no, e si sentiva molto scomodo appollaiato a mezz'aria — ma poi se ne stette fermo e dopo un poco chiese: — L'astronave su cui torneremo…?
Orry levò gli occhi con confusa speranza. Kradgy sbadigliò, mostrando denti gialli e robusti. Abundibot disse: — Quando avrai visto tutto quello che vorrai sulla Terra, e avrai imparato tutto quello che vorrai imparare, ti metteremo a disposizione un'astronave a velocità della luce perché possa fare, ritorno su Werel… tu, Signore Agad, e Har Orry. Noi viaggiamo molto poco. Non ci sono più guerre; non abbiamo bisogno di scambi con gli altri mondi; e non vogliamo mandare di nuovo in rovina questa povera Terra con il costo spropositato di astronavi a velocità della luce solo per soddisfare la nostra curiosità. Noi Uomini della Terra siamo ormai una razza vecchia; perciò restiamo a casa, a badare al giardino, senza mescolarci con le esplorazioni intergalattiche. Ma il tuo Viaggio deve essere portato a termine, la tua missione deve compiersi. La Nuova Alterra ti aspetta al nostro spazioporto: Werel aspetta il tuo ritorno. È un grande peccato che la civiltà cui appartieni non abbia riscoperto il principio della trasmittente istantanea; avremmo potuto metterci in comunicazione con loro. Naturalmente adesso può darsi che abbiamo il trasmettitore istantaneo; ma non possiamo inviargli nessuna segnalazione perché non abbiamo le coordinate.
— Peccato davvero — disse Ramarren educatamente.
Vi fu una pausa breve ma intensa.
— Credo di non capire — disse poi.
— Il trasmettitore istantaneo…
— Capisco cosa era in grado di fare il trasmettitore istantaneo, ma non come lo facesse. Come giustamente dite, quando ho lasciato Werel non avevamo riscoperto il principio della trasmissione istantanea. Ma non capisco cosa abbia impedito a voi di tentare di inviare segnali a Werel.
"Terreno pericoloso". Era del tutto all'erta, ora, controllatissimo, un giocatore, non una pedina; e avvertiva una tensione elettrica dietro ai tre volti rigidi.
— Prech Ramarren — disse Abundibot — dato che Har Orry era troppo giovane per aver imparato le distanze precise tra i due pianeti, non abbiamo mai avuto l'onore di conoscere esattamente dove si trovi Werel, anche se, naturalmente, ne abbiamo un'idea approssimativa. Inoltre Har Orry parlava stentatamente il Galaktika, e non conosceva il nome in Galaktika del sole di Werel; e il nome, ovviamente, sarebbe stato determinante per noi, che abbiamo in comune con voi il linguaggio, ereditato dai giorni della Lega. Ecco perché siamo stati costretti ad aspettare il tuo aiuto prima di tentare un contatto istantaneo con Werel, o di preparare le coordinate per l'astronave che teniamo pronta per te.
— Non sapete il nome della stella attorno alla quale ruota Werel?
— È così, purtroppo. Se non ti dispiace dircelo…
— Non posso dirvelo.
Gli Shing non potevano mostrare sorpresa; troppo compresi in se stessi, troppo egocentrici. Abundibot e Ken Kenyek non espressero proprio nulla. Kradgy disse col suo strano, orribile sussurro sibilante: — Intendi dire che non lo conosci neanche tu?
— Non posso dirvi il Vero Nome del Sole — disse Ramarren con aria tranquilla.
Questa volta colse un lampo di telepatia da Ken Kenyek a Abundibot: "Te l'avevo detto."
— Chiedo scusa, prech Ramarren, della mia ignoranza. Non sapevo di chiederti una cosa proibita. Mi perdonerai? Noi non conosciamo i tuoi modi, e benché l'ignoranza sia una misera scusa, è tutto quello che ti posso dire. — Abundibot stava ancora gracchiando quando all'improvviso il ragazzo Orry lo interruppe, ridestato dalla paura.
— Prech Ramarren, tu… tu riuscirai a stabilire le coordinate dell'astronave? Ti ricordi quello… che sapevi come Ufficiale di Rotta?
Ramarren si girò verso di lui e chiese con tono calmo: — Vuoi andare a casa, vesprechna?
— Sì!
— In venti o trenta giorni, se questi Signori che ci offrono un dono tanto grande ce lo permettono, torneremo a Werel sulla loro astronave. Mi spiace — proseguì rivolgendosi ora agli Shing — che la mia mente e la mia bocca siano chiuse alle vostre domande. Il mio silenzio è un misero contraccambio alla vostra generosa franchezza. — Se avessero usato la telepatia, pensò, lo scambio sarebbe stato molto meno gentile; perché lui, a differenza degli Shing, era incapace di mentire telepaticamente, e perciò, probabilmente, non avrebbe potuto pronunciare una sola parola del suo discorso.
— Non importa, Signore Agad! È il tuo sicuro ritorno, non le nostre domande che importano! E se poi riuscirai a programmare l'astronave… e tutti i nostri ritrovati e computer di rotta sono a tua disposizione, basta che tu li chieda… allora la domanda sarà bell'e soddisfatta. — E in effetti era così. Se volevano sapere dove si trovava Werel, bastava che esaminassero la rotta che avrebbe programmato nella loro astronave. Dopo di che, se ancora non avessero nutrito fiducia in lui, potevano ricancellargli la mente, spiegando a Orry che la ricostruzione della sua memoria aveva provocato il collasso finale. Avrebbero poi spedito Orry su Werel per consegnare il loro messaggio. Non si fidavano ancora di lui perché sapevano che riusciva a individuare la loro menzogna mentale. Se c'era una via d'uscita dalla loro trappola, non era ancora riuscito a individuarla.
Uscirono tutti assieme attraverso i saloni trasparenti, giù per rampe e ascensori, infine fuori del palazzo all'aria aperta. La questione della doppia mente di Falk era ormai quasi interamente controllabile, e Ramarren si muoveva, pensava e parlava del tutto liberamente come Ramarren. Avvertiva la costante acuta prontezza delie menti Shing, particolarmente di quella di Ken Kenyek, in attesa di penetrare nel minimo spiraglio, di cogliere la minima apertura. Quest'incalzare stesso lo teneva doppiamente all'erta. E così fu Ramarren, l'alieno, a guardare nel cielo del mattino avanzato il sole giallo della Terra.
Si fermò, preso da gioia improvvisa. Perché era già qualcosa, e non importava cos'era successo prima o cosa sarebbe successo poi, aver visto in una sola vita la luce di due soli. L'arancio dorato del sole di Werel, il bianco dorato del sole della Terra: poteva metterli l'uno accanto all'altro, come si può fare di due gioielli, a paragonarne la bellezza per cantarne le lodi.
Il ragazzo gli stava a fianco. Quando Ramarren mormorò il saluto che i bambini kelshiani imparano sin da piccini a rivolgere al sole, rivedendolo all'alba o dopo i lunghi temporali invernali: — Benvenuto stella della vita, centro dell'anno… — Orry si unì a lui a metà e continuarono insieme. Era il primo momento d'incontro tra loro, e Ramarren ne fu contento, perché avrebbe avuto bisogno di Orry prima che il gioco fosse finito.
Fecero venire una slitta e andarono in giro per la città, Ramarren facendo le domande appropriate, gli Shing rispondendo come gli pareva adeguato. Abundibot descriveva con molti particolari in che modo Es Toch fosse stata costruita un migliaio d'anni prima, con tutte le sue torri, ponti, strade e palazzi, sull'isolotto di un fiume dall'altra parte del pianeta, e come di secolo in secolo, ogni volta che ne sentissero il desiderio, i Signori della Terra, con le loro meravigliose macchine e strumenti, spostassero l'intera città in un nuovo posto confacente ai loro voleri. Era una bella storiella; Orry era troppo intorpidito da droghe e suggestioni per non crederci, mentre importava poco se Ramarren ci credesse o no. Evidentemente Abundibot raccontava menzogne per il puro piacere di raccontarle. Probabilmente era l'unico piacere che conosceva. Seguirono accurate descrizioni di come fosse governata la Terra; di come la maggior parte degli Shing passasse la vita tra i comuni mortali, travestiti da "nativi", ma lavorando al progetto sovrano che faceva capo a Es Toch; di come fosse libera da preoccupazioni e felice la maggior parte dell'umanità, sicura che gli Shing badavano a mantenere la pace e a sopportarne il peso; di come le arti e il sapere venissero facilmente incoraggiati, mentre gli elementi di ribellione e di distruzione altrettanto facilmente repressi. Un pianeta di umili, che vivevano nelle loro umili casupole, in tranquille tribù di tranquille cittadine; niente guerra, niente uccisioni, niente sovraffollamento; cadute in oblio le antiche imprese, le antiche ambizioni; più o meno una razza di bambini protetti dalla ferma e amorevole guida, oltre che dalla inattaccabile forza tecnologica della casta degli Shing…
La storia continuava, continuava, sempre la stessa anche se con qualche variazione, tranquillizzante, rassicurante. Nessuna meraviglia che il povero Orry ci credesse; se non avesse avuto i ricordi di Falk della Foresta e della Pianura a mostrargliene la sottile ma completa falsità, anche Ramarren ci avrebbe in buona parte creduto. Falk non era vissuto sulla Terra tra bambini, ma tra uomini, brutalizzati, sofferenti, e terrorizzati.
Quel giorno fecero vedere a Ramarren tutta Es Toch: e a lui che era vissuto tra le vecchie vie di Wegest e nelle grandi Case d'Inverno di Kaspol sembrava una città squallida, insignificante e artificiale, impressionante solo per la fantastica collocazione naturale. Poi cominciarono a portare lui e Orry in giro per il mondo in aeromobile o nelle navi planetarie, giri di un giorno sotto la guida di Abundibot o di Ken Kenyek, gite sui continenti della Terra e fino alla Luna desolata e da tempo abbandonata. Passarono i giorni; e gli Shing continuavano a rappresentare quella scena a beneficio di Orry, allettando Ramarren per avere da lui quél che volevano sapere. Pur essendo sorvegliato ogni momento, direttamente o con spie elettroniche, visivamente o telepaticamente, non era in nessun modo limitato; evidentemente sentivano di non avere ormai nulla da temere da lui.
E allora forse l'avrebbero lasciato partire assieme a Orry. E allora forse, ritenendolo abbastanza innocuo nella sua ignoranza, gli avrebbero consentito di lasciare la Terra con la mente raggiustata, intatta.
Ma egli poteva ottenere di lasciare la Terra solo a prezzo dell'informazione che gli chiedevano, dove si trovava Werel. Fino a ora non aveva detto nulla, né gli erano state rivolte altre domande. E importava così tanto, dopo tutto, che gli Shing sapessero dove si trovava Werel?
Sì. Pur non progettando nessun attacco immediato sul potenziale nemico, era probabile che pensassero di mandar dietro alla Nuova Alterra un robot monitor con un trasmettitore istantaneo a bordo che li tenesse informati delle intenzioni dei Wereliani. Il trasmettitore istantaneo poteva fornir loro centoquarant'anni di vantaggio sui Wereliani; se questi ultimi avessero progettato una spedizione sul pianeta Terran avrebbero potuto fermarla prima ancora che cominciasse. L'unico vantaggio tattico dei Wereliani sugli Shing restava l'ignoranza di questi ultimi circa l'ubicazione nello spazio di Werel: per trovarlo con i loro mezzi potevano impiegare molti secoli. Ramarren era dunque in grado di conquistarsi una possibilità di fuga, ma a prezzo di un sicuro pericolo per il mondo verso cui si sentiva responsabile.
E così cercava di guadagnar tempo, nella speranza di escogitare una via di scampo, mentre con Orry e l'uno o l'altro degli Shing volava qua e là per la Terra che si stendeva sotto di loro come un giardino grande e bello, ma invaso dalle erbe, diventato una landa incolta. Con tutte le forze della sua acuta intelligenza cercava un modo per capovolgere la situazione e assumerne il controllo, anziché esserne controllato: perché in tal modo la sua mentalità kelsiana gli faceva valutare la situazione. Vista con chiarezza, ogni situazione, anche la più caotica o insidiosa, diventa semplice e conduce da sé alla soluzione più adeguata: perché nei tempi lunghi non esistono disarmonie, ma solo malintesi; non fortuna o sfortuna, ma solo incapacità di capire. Così pensava Ramarren e la seconda anima, Falk, non si mise a discutere le sue conclusioni; non perse tempo per accettarle. Perché Falk aveva visto le pietre opache o brillanti scivolare lungo i fili del telaio crea-forme e aveva vissuto con gli uomini nella loro estate in declino, re in esìlio nei loro domini terrestri, e a lui non pareva che gli uomini potessero decidere il proprio destino o tenere il gioco sotto controllo, ma solo aspettare che il gioiello brillante della fortuna infilasse il filo giusto del tempo. L'armonia esiste, ma non è capita; la Via non può essere percorsa. Così, mentre Ramarren si spremeva il cervello, Falk aspettava in subordine. Ma quando si presentò l'occasione, non mancò di coglierla.
O meglio, al verificarsi dell'occasione stessa, fu preso in mezzo.
Non era successo nulla di speciale in quel momento. Erano con Ken Kenyek in un agile aeromobile a pilota automatico, una delle splendide, ottime macchine che consentivano agli Shing di controllare e vigilare sul mondo con tanta prontezza. Stavano tornando a Es Toch dopo aver sorvolato un gruppo di isole dell'Oceano Occidentale, in una delle quali erano scesi fermandosi per varie ore in un insediamento umano. La popolazione dell'arcipelago che avevano visitato era bella, contenta, totalmente assorbita dagli svaghi marini e dal sesso. Lì, in mezzo a quell'amniotico mare azzurro, era un esempio chiarissimo di felicità umana e insieme di arretratezza da mostrare ai Wereliani. Nulla di cui preoccuparsi, nulla di cui aver timore.
Orry sonnecchiava, con un tubicino di pariitha in mano. Ken Kenyek aveva innestato il pilota automatico e con Ramarren, ma a circa un metro da lui, come sempre, perché gli Shing non si avvicinavano mai fisicamente a nessuno, guardava fuori dall'oblò dell'aeromobile verso la distesa di cinquecento miglia di bel tempo e mare azzurro che li circondava. Ramarren era stanco e si era abbandonato rilassato a quel piacevole attimo di sospensione, lassù, in una bolla di vetro al centro della grande sfera azzurro-dorata.
— È bello questo mondo — disse lo Shing.
— Molto.
— Il giojello di tutti i mondi… Werel è altrettanto bello?
— No. È più accidentato.
— Naturale, l'anno lungo lo rende così. Quanti anni? Sessanta anni terrestri?
— Sì.
— Sei nato d'autunno, hai detto. Il che significa che non avevi mai visto il tuo mondo d'estate, quando sei partito.
— Una volta, quando ho fatto un volo sull'Emisfero Meridionale. Ma queste estati sono più fresche, come gli inverni sono più temperati, che non presso i Kelshiani. Io non ho mai visto la Grande Estate del nord.
— Fai ancora in tempo. Se ritorni tra pochi mesi che stagione ci sarà su Werel?
Ramarren fece il calcolo in un paio di secondi, poi rispose: — Estate avanzata; circa la ventesima fase lunare estiva, probabilmente.
— Avevo calcolato che fosse autunno… quanto ci vuole per il viaggio?
— Centoquarantadue anni terrestri — disse Ramarren, e nel dirlo una folata di panico gli spazzò il cervello, ma subito si dileguò. Avvertì la presenza della mente dello Shing nella sua; mentre stavano parlando Ken Kenyek l'aveva indagato mentalmente, aveva trovato sguarnite le sue difese, e aveva messo sotto controllo la sua mente. Tutto bene. Da parte dello Shing indicava un'incredibile dose di pazienza e di capacità telepatica. Ne aveva avuto timore, ma ora che era successo, andava perfettamente.
Ken Kenyek gli comunicava, non nel gracchiante sussurro verbale degli Shing, ma con una chiara e piacevole telepatia: — Adesso va bene, bene ottimamente. Non è piacevole che ci siamo sintonizzati, infine?
— Molto piacevole — convenne Ramarren.
— Davvero. Adesso possiamo rimaner sintonizzati e tutte le nostre preoccupazioni svaniranno. Bene, dunque… centoquarantadue anni luce da qui… ciò significa che il vostro sole deve essere quello della costellazione Drago. Come si chiama in Galaktika? No, hai ragione, non puoi dirlo o comunicarlo qui. Eltanin, è questo il nome del tuo sole?
Ramarren non diede risposta, di nessun tipo.
— Eltanin, l'Occhio del Drago, sì, molto bella. Le altre che avevamo ritenuto possibili sono un po' più vicine. E adesso questo ci fa risparmiare un mucchio di tempo. Avevamo quasi…
La telepatia veloce, chiara, ironica, tranquilizzante, si interruppe all'improvviso e Ken Kenyek ebbe un movimento convulso; lo stesso fece Ramarren nel medesimo istante. Lo Shing si girò di scatto verso i controlli dell'aeromobile, poi altrove. Si chinò su se stesso in uno strano atteggiamento, troppo distaccato, come una marionetta a fili guidata maldestramente, poi tutto d'un colpo scivolò sul pavimento della macchina, e restò immobile, con la bella faccia immota rivolta rigida all'insù.
Orry, rinvenuto dal suo assopimento euforico, guardava stupito. — Qualcosa non va? Cos'è successo?
Non ebbe risposta. Ramarren era in piedi, rigido quanto lo Shing adagiato a terra, e i suoi occhi erano fissati su quelli dello Shing, in un reciproco fissare senza vedere. Quando infine si mosse, parlò in una lingua che Orry non conosceva. Allora, faticosamente, parlò in Galaktika. — Metti in assetto la nave — disse.
Il ragazzo restò a bocca aperta. — Cos'è successo al Signore Ken, predi Ramarren?
— In piedi. Fai alzare la nave!
Ora parlava il Galaktika non con il suo accento wereliano, ma nella forma degradata in uso presso i nativi della Terra. Però, per cattivo che fosse il suo modo di esprimersi, la forza esercitata da quelle parole era potentissima. Orry gli obbedì. La piccola sfera di vetro si sollevò in verticale, poi restò immobile al centro della cavità dell'oceano, a est del sole.
— Prechna, è…
— Sta' zitto!
Silenzio. Ken Kenyek giaceva immobile. Molto gradualmente, la evidente e intensa tensione di Ramarren calò, ed egli tornò calmo.
In campo mentale, tra lui e Ken Kenyek era avvenuta una specie di imboscata e contro-imboscata. Tradotto in termini fisici: lo Shing era piombato su Ramarren, pensando di catturare un uomo solo, ed era stato a sua volta sorpreso da un secondo uomo, una mente in agguato: Falk. Solo per un secondo Falk era stato in grado di dominare la situazione, e solo grazie alla sorpresa, ma quel tempo era stato lungo abbastanza per liberare Ramarren dal controllo di sintonia dello Shing. Nell'istante in cui fu libero, e la mente di Ken Kenyek era ancora in sintonia con la sua, e quindi vulnerabile, Ramarren aveva preso il controllo della situazione. C'era voluta tutta la sua abilità e la sua forza per costringere la mente di Ken Kenyek a restare in sintonia, dominata e senza speranze, come era stata la sua mente un attimo prima. Ma aveva sempre quel suo vantaggio: era un uomo dalla doppia mente, e mentre Ramarren teneva bloccato lo Shing, Falk era libero di pensare e agire.
Quella era l'occasione, il momento buono; non ce ne sarebbe più stato un altro.
Falk chiese a voce alta: — Dov'è la nave a velocità della luce pronta per decollare?
Era curioso sentire lo Shing rispondere con la sua voce sussurrante, e sapere, una volta tanto con certezza assoluta, che non mentiva. — Nel deserto, a nordovest di Es Toch.
— È custodita?
— Sì.
— Da guardie viventi?
— No.
— Ci guiderai laggiù?
— Vi guiderò laggiù.
— Guida la macchina dove lui ti dirà, Orry.
— Io non capisco, prech Ramarren. Stiamo…
— Stiamo per partire dalla Terra. Subito. Prendi i comandi.
— Prendi i comandi — ripeté adagio la voce di Ken Kenyek.
Orry ubbidì, seguì le istruzioni dello Shing con estremo puntiglio e rapidità. L'aeromobile guizzò alla massima velocità verso l'est, e tuttavia sembrava ancora appeso nel centro immutabile della cavità dell'oceano, sul bordo della quale il sole, sotto di loro stava cadendo a vista d'occhio. Quando apparvero le Isole Occidentali, sembrò che stessero navigando incontro a loro sulla superficie curva corrugata e scintillante del mare; poi, dietro le isole, le cime bianche e aguzze della costa apparvero, si avvicinarono e corsero via, alle spalle dell'aeromobile. Ora erano sul deserto, chiaro, interrotto dalle linee rugose di aride catene di colline, che allungavano le loro ombre verso est. Sempre seguendo le istruzioni mormorate da Ken Kenyek, Orry rallentò la velocità della macchina, descrisse un cerchio su una delle catene, predispose gli strumenti per captare i segnali del radiofaro, e lasciò che l'aeromobile atterrasse automaticamente. Le alte montagne senza vita si alzarono tutt'intorno a loro, chiudendoli in una muraglia, mentre l'aeromobile atterrava in una pianura chiara e ombrosa.
Non si vedeva nessuno spazioporto o campo d'aviazione, niente strade, niente case, solo certe grandi forme imprecisate, che apparivano tremolanti come miraggi, al di sopra della sabbia e dei cespugli di salvia, ai piedi dei pendii oscuri delle montagne. Falk le fissò, e non riuscì a mettere a fuoco gli occhi su di loro; fu Orry che disse, con un sussulto nel respiro: — Navi stellari.
Erano le navi interstellari degli Shing, la loro flotta, o una parte di essa, camuffate con reti antiluce. Le prime che Falk vide erano le più piccole; ce ne erano altre, che egli aveva scambiato per promontori di colline… L'aeromobile si era posato inavvertibilmente a terra, accanto a una minuscola baracca in rovina e senza tetto, con le assi scolorite e strappate dal vento del deserto.
— Cos'è quella baracca?
— L'ingresso alle stanze sotterranee si trova lì, su un lato.
— Ci sono computer di terra laggiù?
— Sì.
— C'è qualche piccola nave pronta a partire?
— Tutte sono pronte a partire. Sono quasi tutte navi militari, guidate da robot.
— Ce n'è una che può esser guidata da un pilota?
— Sì. Quella preparata per Har Orry.
Ramarren strinse ancora più strettamente la sua presa telepatica sulla mente dello Shing, mentre Falk gli ordinava di guidarli alla nave e di mostrare loro i computer di bordo. Ken Kenyek ubbidì istantaneamente. Falk-Ramarren non era del tutto convinto che l'avrebbe fatto: c'erano dei limiti invalicabili al controllo mentale, così come ne esistevano per la normale suggestione ipnotica. L'istinto di auto-conservazione spesso resisteva anche al controllo mentale più energico, e a volte quando si ordinava di trasgredirlo si perdeva ogni controllo sul soggetto. Ma il tradimento che era obbligato a compiere non sembrava provocare nessuna reazione istintiva in Ken Kenyek; li guidò dentro la nave spaziale e rispose ubbidiente a tutte le domande di Falk-Ramarren, poi li condusse nuovamente alla decrepita baracca e, come gli fu ordinato, sbloccò, con segnali fisici e mentali, la botola nascosta nella sabbia che trovarono accanto alla porta. Entrarono nel tunnel che si apriva lì sotto. A ognuna delle porte, difese e scudi protettivi che incontrarono sotto terra, Ken Kenyek dava il giusto segnale, o la giusta risposta, e così li portò infine alle stanze protettissime, sicure contro ogni attacco, cataclisma o violatore, che si trovavano a gran profondità dove c'erano i dispositivi automatici di guida e i computer che calcolavano le rotte. Più di un'ora era ormai passata dal momento decisivo sull'aeromobile. Ken Kenyek, ubbidiente e remissivo tanto che a Falk ricordava a volte la povera Estrel, rimaneva inoffensivo, inoffensivo finché Ramarren manteneva un controllo totale sul suo cervello. Appena la presa di Ramarren si fosse allentata per un attimo, Ken Kenyek avrebbe inviato un segnale mentale fino a Es Toch, se ne aveva la forza, oppure fatto scattare qualche allarme, e gli altri Shing e i loro uomini programmati sarebbero arrivati in un paio di minuti. Ma Ramarren doveva allentare la stretta: aveva bisogno della sua mente per pensare. Falk non sapeva programmare un computer per un viaggio a velocità della luce fino a Werel, pianeta del sole Eltanin. Solo Ramarren era in grado di farlo.
Falk, però, non mancava di buone risorse. — Dammi la tua pistola.
Ken Kenyek subito porse una piccola arma, nascosta nel suo vestito elaborato. Questa mossa lasciò Orry terrorizzato, a bocca aperta. Falk non fece niente per mitigare l'agitazione del ragazzo, anzi la aggravò. — Rispetto per la Vita? — chiese freddamente, esaminando l'arma. In realtà, come si era aspettato, non si trattava di una pistola o di un laser, ma di una modesta arma per stordire, non sufficiente a uccidere. La puntò contro Ken Kenyek, perfino con compassione per la sua estrema mancanza di resistenza, e sparò. Orry gridò e si slanciò in avanti, e Falk rivolse l'arma contro di lui. Poi girò le spalle alle due figure che giacevano scompostamente, paralizzate, aveva le mani che tremavano, e lasciò che Ramarren prendesse il sopravvento a suo piacere. Aveva portato a termine il suo compito, per il momento.
Ramarren non ebbe tempo da sprecare in dispiaceri e ansie. Si diresse verso i computer e si mise al lavoro. L'esame dei computer di bordo gli aveva già rivelato che la matematica necessaria per alcune operazioni della nave non era l'ordinaria matematica di Cetian che gli abitanti di Terran utilizzavano ancora comunemente, e da cui derivava anche la matematica di Werel, per il tramite della Colonia. Alcuni dei procedimenti usati dagli Shing nei loro computer erano interamente estranei ai procedimenti e alla logica della matematica di Cetian; e nessuna prova meglio di questa avrebbe potuto confermare a Ramarren che gli Shing erano, in realtà, alieni rispetto alla Terra come a tutti i mondi della vecchia Lega, conquistatori venuti da un mondo molto lontano. Non era mai stato del tutto certo che le vecchie storie e i racconti che si narravano sulla Terra dicessero la verità a questo proposito, ma ora ne era convinto. Dopo tutto, egli era fondamentalmente un matematico.
Era altrettanto sicuro, o quasi, che alcuni di quei procedimenti lo avrebbero tenuto occupato per molto tempo, bloccando i suoi sforzi di predisporre la rotta per Werel sul computer degli Shing. In pratica, il lavoro richiese cinque ore. Per tutto questo tempo dovette, alla lettera, dedicare metà della sua mente a controllare Ken Kenyek e Orry. Era più semplice tenere Orry in stato di incoscienza che spiegargli la situazione, o dargli ordini opportuni; ed era assolutamente vitale che Ken Kenyek non riprendesse conoscenza, nemmeno in parte. Fortunatamente la piccola arma si rivelò molto efficace, e una volta scoperto il modo di regolarla opportunamente, bastò che Falk la usasse solo un'altra volta. Poi egli fu libero di coesistere, mentre Ramarren sgobbava sui calcoli.
Falk non guardava nulla, mentre Ramarren lavorava, ma teneva le orecchie tese per cogliere ogni rumore, ed era sempre attento alle due figure immobili, inanimate, stese lì accanto. E intanto pensava; pensò a Estrel, domandandosi dov'era in quel momento, e cosa era mai divenuta ora. L'avevano riaddestrata, cancellata, o uccisa? No, essi non uccidevano. Avevano paura di uccidere e paura di morire, e chiamavano la loro paura Rispetto per la Vita. Gli Shing, il Nemico, i Mentitori…
Ma veramente mentivano? Forse le cose non stavano esattamente in quel modo; forse la ragione fondamentale delle loro menzogne era una irrimediabile incapacità di comprendere. Essi non potevano entrare in contatto diretto con gli uomini. Di questo fatto si erano serviti con profitto, traendone un'arma formidabile, la menzogna mentale; ma ne era valsa la pena, tutto sommato? Dodici secoli di menzogne erano passati da quando essi erano giunti qui per la prima volta, esuli o pirati, o conquistatori di imperi, venuti da qualche stella lontanissima, decisi a dominare su quelle razze, anche se per loro quelle menti restavano impenetrabili, e quei corpi erano irrimediabilmente sterili. Soli, isolati, sordomuti che governano sordomuti in un mondo di illusioni. Oh, desolazione…
Ramarren aveva terminato. Dopo cinque ore di fatiche sulla impostazione, e otto secondi di lavoro del computer, la piccola striscia di iridio fu nelle sue mani, pronta per programmare i controlli automatici della nave.
Si voltò, guardò Orry e Ken Kenyek, confuso. Che fare di loro? Dovevano venir via, evidentemente. "Cancella le registrazioni dei computer", disse una voce dentro la sua mente, una voce familiare, la sua — quella di Falk. Ramarren era istupidito dalla fatica, ma riuscì a comprendere il motivo di quel consiglio, e obbedì. Poi, non riusciva più a concentrarsi sulla prossima mossa. Così, infine, per la prima volta, rinunciò, non fece più sforzi per dominare e si lasciò incorporare dentro… se stesso.
Falk-Ramarren si mise subito al lavoro. Trascinò faticosamente Ken Kenyek fino alla superficie, poi, sulla sabbia rischiarata dalle stelle, fino alla nave che tremava, solo parzialmente visibile, opalescente, nella notte del deserto; sistemò il corpo inerte su una sedia avvolgente, gli diede un altro colpo con l'arma e tornò a prendere Orry.
Orry cominciava a riaversi, in parte, e già stava tentando di raggiungere la nave con le sue deboli forze. — Prech Ramarren — disse a bassa voce, appoggiandosi a un braccio di Falk-Ramarren — dove stiamo andando?
— A Werel.
— Viene anche lui… Ken Kenyek?
— Sì. Racconterà su Werel ciò che ha da dire della Terra, e tu dirai la tua storia e io la mia… C'è sempre più di una via verso la verità. Legati bene. Ci siamo.
Falk-Rarnarren introdusse la piccola striscia di metallo nei meccanismi di guida automatica. Fu accettata dalla macchina, nel giro di tre minuti la nave avrebbe cominciato a muoversi. Con un ultimo sguardo al deserto e alle stelle, chiuse i portelli e, vacillando per la fatica e la tensione, si affrettò ad andare a legarsi accanto a Orry e allo Shing.
Il motore per il decollo era a fusione: la spinta a velocità della luce iniziava solo nella estrema fascia esterna dello spazio terrestre. Decollarono molto dolcemente, e furono fuori dell'atmosfera in pochi secondi. Gli schermi dei visori si aprirono automaticamente, e Falk-Ramarren vide la Terra che cadeva via, un grande cerchio scuro e bluastro, orlato di luce. Poi la nave entrò nella luce perenne del sole.
Stava lasciando la sua patria o vi faceva ritorno?
Sullo schermo l'alba che appariva sull'Oceano Orientale brillò per un attimo a semicerchio, in contrasto con l'oscurità del cielo stellato, come una gemma su un grandioso telaio crea-forme. Poi il telaio e la forma si frantumarono, la Soglia era passata, e la piccola nave irruppe avanti, libera dal tempo, e li portò via, di là dalle tenebre.