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— La vecchia di Kessnokaty dice che nevicherà presto — mormorò vicino una voce amica. — Dobbiamo tenerci pronti a cogliere la prima occasione per filar via.

Falk non rispose, seduto ad ascoltare con orecchio attento i rumori del campo: voci in una lingua sconosciuta, smorzate per la distanza; il rumore secco di qualcuno lì vicino che raschiava una pelle; il tenue parlottare di un bimbo; gli schiocchi di un fuoco da campo.

— Horressins! — lo chiamò qualcuno dall'esterno ed egli si alzò prontamente, ma poi rimase fermo. Un attimo dopo aveva sul braccio la mano dell'amica che lo guidava dove l'avevano chiamato, presso il fuoco comune al centro del cerchio di tende, dove si stava festeggiando una caccia ben riuscita arrostendo un manzo tutto intero. Gli fu messo in mano uno stinco di bue. Si sedette per terra e cominciò a mangiare. Un grasso sugo gli colò giù per il mento ma egli non si ripulì. Sarebbe stato infamante per la dignità di un Cacciatore della Compagnia Mzurra della Nazione Basnasska. E benché straniero, prigioniero e cieco era nondimeno un Cacciatore, e stava imparando a comportarsi come tale.

Quanto più una società sta sulle difensive, tanto più è conformista. La gente in mezzo a cui si trovava percorreva un Cammino molto limitato, tortuoso e ristretto, in una vasta piana aperta. Ma fintanto che rimaneva tra loro doveva seguire tutti i contorcimenti dei loro modi, tali e quali. I Basnasska si nutrivano di manzo fresco e poco cotto, cipolle crude e sangue. Selvaggi pastori di bestiame selvaggio, non diversamente dai lupi sceglievano dalle enormi mandrie i capi che zoppicavano, che restavano indietro o deboli, facendone un interminabile banchetto di carne, una vita senza tregua. Cacciavano con pistole laser e tenevano lontani gli stranieri dal loro territorio con uccelli-bomba come quello che aveva distrutto la slitta di Falk, piccoli missili a impatto programmati per lanciarsi su qualsiasi cosa contenesse un elemento di fusione. Essi non costruivano né riparavano quelle armi, e le usavano solo dopo purificazioni e incantesimi; dove se le procurassero Falk non riuscì a scoprirlo, benché si parlasse a volte di un pellegrinaggio annuale, probabilmente collegato a quelle armi. Non praticavano l'agricoltura, né avevano animali domestici; erano analfabeti e non conoscevano nulla della storia dell'umanità, se non per certi miti ed eroi leggendari. Dissero a Falk che non poteva essere uscito dalla Foresta in quanto la Foresta era abitata solo da gigantesche serpi bianche. Praticavano una religione monoteista, il cui rituale comportava mutilazioni, castrazioni e sacrifici umani.

Fu grazie a una delle superstizioni derivanti dal loro complesso Credo se presero Falk vivo e ne fecero un membro della tribù. Normalmente, dato che aveva un laser e perciò era al di sopra della condizione di schiavitù, gli avrebbero asportato lo stomaco e il fegato per trarne gli auspici, poi lo avrebbero lasciato alle donne che lo facessero a pezzetti come volevano. Ma dato che una settimana o due prima della sua cattura, nella tribù era morto un vecchio della Compagnia Mzurra e non c'era nessun bambino senza nome cui si potesse dare quello del morto, fu dato al prigioniero che, benché cieco, sfigurato e lucido solo a momenti, era sempre meglio che niente; perché fintanto che il vecchio Horressins avesse lasciato il nome al suo spirito, questo, perfido come ogni spirito, sarebbe immancabilmente tornato a turbare la tranquillità dei vivi. Pertanto il nome fu preso allo spirito e dato a Falk, assieme a tutte le altre iniziazioni del Cacciatore durante una cerimonia che comportava frustate, emetici, danze, narrazioni di sogni, tatuaggi, cori improvvisati, banchetti, violenza carnale a una donna da parte di tutti i maschi uno dopo l'altro, e infine interminabili incantesimi per tutta la notte perché il Dio tenesse lontani dal nuovo Horressins tutti i mali. Dopo di che lo abbandonarono su una pelle di cavallo in una tenda di pelle di bue, in delirio e senza nessuna cura, a morire o a ristabilirsi, mentre lo spirito, senza nome e senza potere, se ne scappava via per la pianura uggiolando nel vento.

La donna che quando riprese conoscenza gli stava fasciando gli occhi e curando le ferite veniva ogni volta che poteva a prendersi cura di lui. L'aveva vista soltanto per brevi momenti quando nell'imperfetto isolamento della sua tenda si era potuto togliere le fasce che il vivace ingegno di lei gli aveva procurato quando era stato portato tra loro. Se i Basnasska avessero visto aperti i suoi occhi, gli avrebbero strappato la lingua in modo che non potesse più dire il suo nome e lo avrebbero sepolto vivo. Lei gli aveva detto questo e tante altre cose che non poteva ignorare sulla Nazione dei Basnasska; ma non molto di sé. Pareva che non fosse con la tribù da molto più tempo di lui; egli giunse alla conclusione che si era smarrita nella pianura e si era unita alla tribù piuttosto che morir di fame. La tribù fu pronta ad accettare un'altra schiava da mettere a disposizione degli uomini, ed ella si dimostrò molto abile nel medicare, per cui la lasciarono in vita. Aveva capelli rossi, una voce dolcissima e il suo nome era Estrel. Oltre a ciò non sapeva nient'altro di lei; ed ella non gli aveva chiesto nulla di lui, nemmeno il nome.

L'aveva scampata bella, tutto considerato. Paristolis, la Nobile Materia dell'antica scienza Cetian, non esplode né s'incendia, per cui la slitta non gli era scoppiata sotto, benché i comandi fossero tutti saltati. Il missile nello scoppio gli aveva smangiato la parte sinistra del volto e del busto, ma ora c'era Estrel con la sua scienza medica e alcuni linimenti. Non sopravvennero infezioni; si ristabilì alla svelta e pochi giorni dopo il battesimo di sangue che aveva fatto di lui un Horressins, progettavano insieme la fuga.

Ma i giorni passavano e non si presentava mai l'occasione. Una società sulla difensiva: gente circospetta, gelosa; azioni rigidamente regolate da riti, tradizioni, tabù. Ogni Cacciatore viveva nella sua tenda, mentre le donne stavano tutte assieme e facevano con tutti ciò che facevano con uno, più che una comunità costituivano un gruppo, una mandria, membri interdipendenti di un'unica entità. Naturalmente, in nome della sicurezza, risultavano sospetti l'indipendenza e l'isolamento, perciò Falk ed Estrel dovevano approfittare di ogni occasione per poter parlare un momento. Lei non conosceva il dialetto della Foresta, ma si servivano del Galaktika, che i Basnasska parlavano in una forma corrotta.

— Sarebbe il caso di provare — disse lei una volta — durante una bufera di neve, in modo che la neve nasconda le nostre impronte. Ma quanta strada potremmo fare a piedi in una tormenta? Tu hai la bussola; ma il freddo…

Gli abiti invernali di Falk gli erano stati confiscati, assieme a ogni altra sua cosa, anche l'anello d'oro che aveva sempre avuto al dito. Gli avevano lasciato soltanto una rivoltella; faceva parte integrante della sua dignità di Cacciatore, né poteva venirgli tolta. Ma gli abiti che aveva così a lungo indossato ricoprivano ora le scarne costole e le gambe del Vecchio Cacciatore Kessnokaty, e se gli rimaneva la bussola era solo grazie a Estrel, che l'aveva sottratta e tenuta nascosta prima che lo perquisissero. Entrambi indossavano tuniche e calzoni di pelle di daino, e stivali e giacche di pelle dipinta di rosso; ma nonostante fossero indumenti confortevoli, non offrivano una protezione sufficiente contro le tormente della pianura e i gelidi venti impetuosi. Con quei vestiti indosso, era necessario poter stare al riparo in una capanna, davanti al fuoco.

— Se riusciamo ad attraversare la pianura e ad arrivare in territorio Samsit, qualche miglio a ovest da qui, potremmo ficcarci in un Vecchio Riparo che conosco, e restare nascosti finché smettono di cercarci. Avevo già pensato di provare prima che venissi tu. Ma non avevo la bussola e avevo paura di perdermi nella tormenta. Con la bussola e con un'arma possiamo anche riuscire… o forse no.

— Se è l'unica possibilità che ci rimane — disse Falk — non ci resta che provare.

Non era più ingenuo, fiducioso e facilmente influenzabile come prima di essere catturato. Si era fatto più circospetto e risoluto. Benché avesse ricevuto del male dai Basnasska, non serbava alcun rancore contro di loro; gli avevano marchiato sulle braccia, in modo irreparabile, i fregi blu dei tatuaggi della consanguineità, marchiandolo sì come un barbaro, ma anche come un uomo. Nulla di strano. Ma loro agivano a modo loro, e lui a modo suo. La tenace volontà che si era rafforzata in lui con gli insegnamenti della Casa della Foresta richiedeva che cercasse la libertà, che continuasse il viaggio, che portasse a termine quel che Zove aveva definito un'opera virile. Questa gente non aveva né meta né origini, non aveva radici nel passato dell'umanità. L'impazienza di scappar via non dipendeva soltanto dall'estrema precarietà dell'esistenza che conduceva tra i Basnasska; era un senso di soffocamento, di limitatezza e immobilità ancor più insopportabile delle fasce che gli impedivano la vista.

Quella sera Estrel si fermò accanto alla sua tenda per dirgli che era cominciato a nevicare, e a bassa voce stavano facendo progetti per la fuga quando si sentì parlare all'entrata della tenda. Estrel tradusse con tono calmo: — Sta dicendo: "cacciatore cieco, vuoi la Donna Rossa questa notte?". — Non aggiunse una parola di spiegazione. Falk conosceva le regole e sapeva dell'abitudine di dividersi le donne passandosele; ma la sua mente era occupata dall'argomento della loro conversazione, per cui rispose con la più semplice delle poche parole Basnasska che conosceva: — Mieg! -. No.

La voce dell'uomo aggiunse qualcosa di più imperioso. — Se continua a nevicare forse è per domani sera — mormorò Estrel in Galaktika. Sempre pensoso, Falk non rispose. Subito dopo si accorse che lei s'era alzata ed era uscita lasciandolo solo nella tenda. Poi si rese conto che la Donna Rossa era lei, e che quell'uomo l'aveva chiamata per accoppiarsi con lei.

Sarebbe bastato che avesse detto Sì, invece di No; e quando pensò alla bravura di lei, alla gentilezza nei suoi riguardi, alla dolcezza del suo tocco e della sua voce, al contegnoso silenzio dietro a cui nascondeva l'orgoglio o la timidezza, rimase sgomento per non averla protetta, sentendosi umiliato come suo compagno, come uomo.

— È per questa sera — le disse l'indomani in un turbinio di neve vicino all'Alloggio delle Donne. — Vieni alla mia tenda. Fatti viva a notte inoltrata.

— Kokteky mi ha detto di andare nella sua tenda questa sera.

— Non puoi sgattaiolare via?

— Può darsi.

— Qual è la tenda di Kokteky?

— Dietro alla Sede della Comunità Mzurra, sulla sinistra. Sul lembo dell'apertura c'è una pezza rimessa.

— Se non vieni tu, vengo io a prenderti.

— Un'altra sera sarebbe meno pericoloso…

— Ma ci sarebbe meno neve. L'inverno è ormai avanzato; questa può essere l'ultima nevicata buona. Andiamo questa sera.

— Vengo io nella tua tenda — disse con tono accomodante e sottomesso, ma fermo.

Nella fascia aveva una fessura attraverso la quale poteva intravedere vagamente dove metteva i piedi, e adesso cercava di scrutarla; ma in quella luce opaca lei gli appariva come una forma vaga nel grigiore del giorno.

A sera inoltrata ella lo raggiunse, calma come la neve che il vento aveva deposto sulla tenda. Avevano entrambi preparato ciò che dovevano portare con sé. Nessuno dei due parlò. Falk si allacciò il cappotto di pelle, si tirò su il cappuccio, annodò i legacci, poi si chinò per slegare il lembo dell'apertura. Ma subito si scostò per far passare un uomo che entrava irruente, piegato in due, attraverso il piccolo varco dell'entrata: Kokteky, un vigoroso Cacciatore, completamente calvo, geloso del suo rango e della sua virilità. — Horressins! La Donna Rossa… — cominciò, poi la scorse nell'ombra, al di là del fuoco ormai morente. Nello stesso istante, vedendo come erano vestiti lei e Falk, si rese conto delle loro intenzioni. Indietreggiò per ostruire il passaggio o per sfuggire all'attacco di Falk, spalancando la bocca per urlare. Senza nemmeno pensarci, con un veloce riflesso e sicuro nel gesto Falk gli sparò a bruciapelo col laser e il lampo fulmineo della luce mortale spense l'urlo nella bocca del Basnasska, bruciandogli bocca cervello e vita in un solo attimo, in un perfetto silenzio.

Falk balzò al di sopra delle ceneri, afferrando la mano della donna, e la fece passare sopra il corpo dell'uomo che aveva ucciso nell'oscurità.

Una neve sottile quasi uno spolverio, turbinava in un vento leggero, mentre il respiro gli si condensava in una nuvoletta fredda. Quello di Estrel usciva mischiato a singhiozzi. Falk, tenendole il polso con la sinistra e reggendo la pistola nella destra, si diresse verso ovest tra le tende sparse, a malapena visibili, punti e macchie di un pallido arancio. In un paio di minuti anch'esse erano scomparse e non rimaneva nient'altro che notte e neve.

Le pistole laser della Foresta Orientale avevano parecchi congegni e funzioni: l'impugnatura poteva servire come accendino mentre dalla canna potevano uscire lampi luminosi non molto potenti. Falk fece partire dalla pistola un bagliore per leggere la bussola e cercare la direzione giusta, poi avanzarono, guidati dalla luce mortale.

Sull'ampia altura dove i Basnasska avevano fissato l'accampamento invernale, il vento aveva quasi spazzato il manto di neve. Ma poco dopo, non sapevano più dove andare; si basavano unicamente sulla bussola rivolta a ovest mentre la tormenta confondeva terra e cielo in un indistinguibile turbinio. Infine arrivarono su un terreno meno elevato. Per qualche metro vi furono mulinelli attraverso i quali Estrel si trovò ad arrancare annaspando come un nuotatore esausto in alto mare. Falk si tirò via dal cappuccio la fettuccia di pelle, se la legò attorno al braccio, e le fece afferrare l'altra estremità, procedendo poi davanti a lei per aprirle il cammino. Una volta lei cadde e diede al legaccio uno strattone che per poco non tirò giù anche lui; si girò e dovette cercarla per un po' con la luce prima di scorgerla, accovacciata dietro di lui, quasi a terra. Si inginocchiò e nella pallida sfera di luce fluttuante di neve le vide il viso distintamente per la prima volta. Disse lei in un mormorio: — È peggio di quel che mi aspettavo…

— Tira un po' il fiato. In questa conca siamo al riparo dal vento.

Si accovacciarono lì insieme, minuscolo puntino luminoso. Attorno volteggiava la neve, spinta dal vento per centinaia di miglia nel buio della pianura.

Lei mormorò qualcosa che in un primo momento non capì: — Perché lo hai ucciso?

Giacendo inerte, con i sensi intorpiditi, cercando di raccogliere le forze per il proseguimento della loro lenta e difficile fuga, Falk non diede risposta. Alla fine borbottò in un mezzo sogghigno: — È cos'altro…?

— Non lo so. Dovevi farlo.

Il suo volto era pallido e teso per la fatica; egli non riusciva a seguire quello che diceva. Era troppo intirizzita per stare ferma a riposare, perciò egli si alzò in piedi costringendo anche lei ad alzarsi. — Vieni. Non deve mancare molto al fiume.

Invece mancava molto. Lei era venuta nella sua tenda alcune ore dopo che si era fatto buio, pensò — c'era una parola per dire ore nella lingua della Foresta, ma il significato era impreciso e dava solo la qualità; persone senza occupazioni e comunicazioni nello spazio e nel tempo non hanno bisogno di indicare le ore e i minuti — e restava un bel po' prima che finisse quella notte d'inverno. Essi avanzarono e avanzò la notte.

Al primo grigiore che venne a rischiarare il turbinoso buio dei fiocchi di neve, stavano scendendo a fatica giù per il pendio di erba e cespugli ghiacciati quanto folti. Un essere possente si alzò proprio davanti a Falk con un suono lamentoso e balzò via nella neve. Da qualche parte lì vicino sentirono sbuffare una vacca o un toro, poi per qualche minuto furono circondati da quelle grosse bestie, mentre la luce pioveva sui bianchi musi e sui grandi occhi liquidi, sui fianchi e sugli ispidi lombi dove si raccoglieva e si ammonticchiava la neve battente. Si lasciarono alle spalle la mandria e arrivarono alla riva del fiumiciattolo che separava il territorio Basnasska da quello dei Samsit. Il corso, molto rapido e poco profondo, non era gelato. Fu giocoforza guadare. La corrente gli intralciava il passo sui sassi lisci, impetuosa contro i piedi, poi contro le ginocchia ad altezza della cintola che pareva infuocata. Le gambe di Estrel cedettero prima che fossero arrivati dall'altra parte. Falk la trascinò fuori dell'acqua, tra i giunchi ghiacciati della sponda occidentale, poi si lasciò cadere accanto a lei in una vuota spossatezza tra i cespugli ricoperti di neve della riva sovrastante. Spense la pistola luminosa. Anche se con una luce pallida una giornata tempestosa stava ormai scacciando le tenebre lungo tutto l'orizzonte.

— Dobbiamo andare avanti, dobbiamo scaldarci con un fuoco.

Lei non rispose.

La strinse tra le braccia contro il suo petto. Avevano stivali, calzoni, eskimo, tutto irrigidito dal gelo, dalla testa ai piedi. Il viso di lei, poggiato sul suo braccio, era di un pallore mortale.

La chiamò per nome, cercando di farla alzare. — Estrel! Estrel, andiamo. Non possiamo stare qui. Dobbiamo andare avanti ancora un po'. Non è poi così duro. Andiamo, svegliati, piccolina, piccolo falco, svegliati… — In preda alla stanchezza lui stesso, le stava parlando come faceva con Parth, allo spuntar del giorno, tanto tempo fa.

Infine lei gli diede ascolto, tirandosi faticosamente in piedi col suo aiuto, riprendendo il laccio tra i guanti gelati, e seguendolo passo passo oltre la riva, poi su per la bassa sponda, quindi avanti nella neve che batteva senza tregua, sempre uguale.

Costeggiarono il letto del fiume, procedendo verso sud, come aveva consigliato lei quando avevano pensato alla fuga. Egli non nutriva alcuna speranza di riuscire a trovare alcunché in quel biancore turbinoso, dove le cose si confondevano come durante la tormenta notturna. Ma poco dopo giunsero a un altro corso d'acqua, tributario di quello che avevano attraversato, e presero a costeggiarlo procedendo con difficoltà sul terreno ineguale. Avanzavano incespicando. Falk ormai pensava che la miglior cosa era lasciarsi cadere e dormire, ma non si risolse a farlo. C'era qualcuno che faceva affidamento su di lui, qualcuno che lontano da lì e molto tempo prima gli aveva fatto intraprendere quel viaggio; non poteva lasciarsi andare perché aveva delle responsabilità…

Ci fu un crepitare appena percettibile vicino al suo orecchio, la voce di Estrel. Davanti a loro un gruppo di alti fusti d'albero spruzzati di neve apparvero come spettri contro il biancore, ed Estrel prese a tirarlo per il braccio. Incespicavano su e giù per le montagnole che costeggiavano la sponda settentrionale del fiume bordato di bianco, sempre lungo gli alti alberi, alla ricerca di qualcosa. — Una pietra — ripeteva lei — una pietra. — E benché non sapesse perché mai avessero bisogno di una pietra, anche lui s'era messo a cercare a tentoni nella neve con lei. Procedevano entrambi strisciando carponi, quando infine lei si imbatté nella pietra che cercava, un enorme masso coperto dalla neve, alto mezzo metro.

Con i guanti ormai rigidi ripulì la neve che si era ammucchiata sul lato orientale del masso. Falk la aiutava senza interesse, indifferente per la stanchezza. Grattando portarono alla luce un rettangolo metallico, a livello di quel terreno stranamente piatto. Estrel cercò di aprirlo. Scattò una maniglia nascosta, ma i bordi del rettangolo erano bloccati dal gelo. Falk raccolse le ultime forze nel tentativo di sollevarlo, finché tornò in sé e sgelò il metallo bloccato col raggio termico dell'impugnatura della pistola. Sollevarono quindi la porta e guardarono in giù: una ripida scala, stranamente geometrica in quella landa desolata, che portava a un'altra porta chiusa.

— È quel che cercavo — mormorò Estrel e scese le scale strisciando all'indietro come su una scala a pioli, perché non si fidava delle sue gambe. Aprì la porta, poi guardò in su verso Falk. — Vieni — lo invitò.

Scese anche lui chiudendosi la botola sulla testa come gli era stato detto. Improvvisamente fu tutto nero e Falk accovacciato sui gradini schiacciò alla svelta il bottone dell'impugnatura per fare luce. Sotto di lui biancheggiava il volto di Estrel. Scese, e passando per la porta dietro di lei entrò in un luogo assolutamente buio, vastissimo, così vasto che la luce non arrivava a richiarare né il soffitto né le pareti più vicine. Il silenzio era perfetto, l'aria immobile li avvolgeva come un debole, immutabile fluido.

— Dovrebbe esserci della legna, laggiù — disse la voce dolce e arrochita dalla fatica di Estrel, da qualche parte alla sua sinistra. — Eccola. Abbiamo bispgno di un fuoco; aiutami ad accenderlo…

In un angolo vicino all'entrata era accatastata della legna secca. Mentre egli faceva splendere una bella fiamma, predisponendo la legna dentro un cerchio di pietre annerite al centro dell'antro, Estrel scivolò via in qualche remoto angolo e tornò portando un paio di pesanti coperte. Si spogliarono, si massaggiarono per scaldarsi, poi si avvolsero nelle coperte, come nei sacchi a pelo Basnasska, in prossimità del fuoco. Ardeva come in un camino, con un forte tiraggio che spazzava via anche il fumo. Non c'era speranza di scaldare l'immensa stanza, o caverna che fosse, ma la luce e il calore del fuoco li rilassarono. Si sentirono allegri. Estrel tirò fuori dalla sacca un po' di carne secca che masticarono seduti, benché le labbra gli dolessero per il gelo e fossero troppo stanchi per aver fame. Un poco alla volta il tepore della fiamma gli entrò nelle ossa.

— Chi altri si serve di questo posto?

— Chiunque altro ne è a conoscenza, immagino.

— Doveva esserci un enorme Palazzo una volta, se questa è la cantina — disse Falk, scrutando nelle ombre tremolanti che a una certa distanza dal fuoco si ispessivano in un'oscurità impenetrabile. Gli tornarono alla mente le smisurate fondamenta sotto la Casa della Paura.

— Pare che ci fosse un'intera città qua sotto. Arriva a una buona distanza dalla porta, si dice. Io non ne so nulla.

— Come sei venuta a saperlo, sei una Samsit?

— No.

Egli non fece domande, ricordando le regole: ma fu proprio lei ad aggiungere, con i suoi modi sottomessi: — Sono una Vagabonda. Ne conosciamo molti di posti come questi, nascondigli… Credo che tu abbia sentito parlare dei Vagabondi.

— Qualche volta — rispose Falk allungandosi e guardando la sua compagna al di là del fuoco. Riccioli fulvi le incorniciavano il volto mentre sedeva nel sacco informe; al collo un amuleto di giada chiara rifletteva la luce del fuoco.

— Si sa poco di noi nella Foresta.

— Nessun Vagabondo si è mai spinto tanto a est da arrivare alla mia Casa. Quel che si sapeva di loro si adatta di più ai Basnasska: selvaggi, cacciatori, nomadi. — Parlava mezzo addormentato, con la testa reclinata sul braccio.

— Alcuni Vagabondi possono esser definiti selvaggi, altri no. I Cacciatori di Bestiame, invece, sono tutti selvaggi e non conoscono nulla al di fuori del loro territorio, i Basnasska come i Samsit e gli Arksa. Noi invece andiamo da tutte le parti. Ci spingiamo a est fino alla Foresta, a sud fino alle foci del Fiume Interno, a ovest al di là della Grande Montagna e dei Monti Occidentali, fino al mare. Io stessa ho visto il sole tuffarsi nel mare, dietro alla catena di isolotti blu situati lungo la costa, dietro alle scoscese vallate della California, sconvolte dai terremoti… — La voce morbida aveva assunto la cadenza di un'arcaica cantilena o lamento. — Prosegui — sussurrò Falk, ma lei tacque, e in un batter d'occhio egli si addormentò. Lei rimase a osservare per qualche minuto il volto del dormente. Infine raccolse le ceneri, mormorò delle parole, come di preghiera, all'amuleto che portava intorno al collo, e si raggomitolò dall'altra parte del fuoco.

Quando Falk si svegliò, la donna stava costruendo un supporto di mattoni attorno al fuoco, per scaldare un bricco pieno di neve. — Fuori pare pomeriggio avanzato — disse lei — ma per quello che se ne capisce potrebbe essere anche mattina, o mezzogiorno. La tormenta infuria come al solito. Non riusciranno certo a rintracciarci. E anche se ci riuscissero, non potrebbero arrivare in questo posto… Il bricco stava in un ripostiglio assieme alle coperte. E c'è un sacco di piselli secchi. Ce la caveremo egregiamente quaggiù. — Volse verso di lui il volto duro ma delicato con un debole sorriso. — È buio, però. Non mi piacciono queste pareti spesse e questo buio.

— Sempre meglio degli occhi bendati. Certo, però mi hai salvato la vita con quella fasciatura. Un Horressins cieco è sempre meglio di un Falk morto. — Esitò un poco, poi chiese: — Cosa ti ha spinta a salvarmi?

Si strinse nelle spalle, sempre con quel sorriso debole, riservato. — Compagni di prigionia… Si dice che i Vagabondi siano bravi per le astuzie e le dissimulazioni. Non li hai sentiti chiamarmi la Volpe? Fammi vedere le tue ferite. Mi son portata dietro la borsa degli impiastri.

— I Vagabondi sono anche dei bravi guaritori?

— Non ci mancano certe doti.

— E sai l'Antica Lingua; non hai dimenticato i vecchi modi dell'uomo, come i Basnasska.

— Sì, sappiamo tutti il Galaktika. Guarda qui, il lobo del tuo orecchio si è congelato, perché ieri ti sei tolto il laccio del cappuccio, per darmelo da tenere.

— Non riesco a vederlo — replicò Falk con tono affabile, lasciandosi visitare. — Di solito non ne ho bisogno.

Mentre gli medicava la ferita ancora aperta della tempia sinistra, gli gettò due o tre occhiate al viso, infine si azzardò a chiedergli: — Sicuramente non ci sono molti Forestali che hanno gli occhi come te.

— Nessuno.

Ovviamente la regola ebbe il sopravvento. Non chiese nulla più, mentre lui, risoluto a non fidarsi di nessuno, non aggiunse altro. Ma la curiosità fu più forte, e alla fine fu lui stesso a chiedere: — Non ti spaventano, vero, i miei occhi da gatto?

— No — rispose lei nel suo modo calmo. — C'è stata una sola volta che mi hai fatto paura. Quando hai sparato, così fulmineo.

— Avrebbe dato l'allarme a tutto l'accampamento.

— Lo so, lo so. Ma noi non abbiamo armi. E tu hai sparato così velocemente, ero terribilmente spaventata; sembrava una cosa orribile che ho visto una volta, quand'ero bambina. Un uomo che uccise un altro uomo con la rivoltella, più rapido del fulmine, come te. Era uno dei Cancellati.

— I Cancellati?

— Sì, li si incontra a volte sulle Montagne.

— So ben poco delle Montagne.

Prese a spiegargli, anche se di malavoglia. — Conosci la Legge dei Signori. Non uccidono, come sai. Se nella loro città c'è un assassino, per impedirgli di rifarlo non possono ucciderlo, perciò ne fanno un Cancellato. Agiscono sulla mente. Poi lo lasciano libero e lui ricomincia a vivere, innocente come un agnellino. L'uomo di cui parlo era più vecchio di te, ma la sua mente era come quella di un bambino. Però aveva una pistola in mano, e le sue mani sapevano come si usa, perciò lui… sparò a un uomo a distanza ravvicinata, come hai fatto tu…

Falk rimase zitto. Guardò la pistola al di là del fuoco, in cima al suo fagotto, meraviglioso aggeggio che aveva acceso il fuoco, aveva fornito il cibo e rotto l'oscurità per tutto il cammino. Nelle sue mani non c'era particolare conoscenza di come usarlo, vero? Metock gli aveva insegnato come si spara. Aveva imparato da Metock ed era diventato sempre più abile a cacciare. Ne era sicuro. Non poteva essere una semplice anomalia, un criminale, cui l'arrogante carità dei Signori di Es Toch aveva concesso una seconda occasione…

Eppure non era più plausibile questa interpretazione dei vaghi sogni e pensieri che aveva nutrito sulla sua origine?

— E come fanno ad agire sulla mente umana?

— Non lo so.

— Può darsi — disse aspramente — che non lo facciano solo ai criminali, ma anche ai… ribelli.

— Cosa sono i ribelli?

Lei parlava il Galaktika più speditamente di lui, ma quella parola non l'aveva mai sentita.

Aveva finito di medicargli la ferita e stava riponendo con cura le medicine nella borsa. Si girò verso di lei così bruscamente che la fece trasalire. Lei si ritrasse di colpo.

— Hai mai visto occhi come i miei, Estrel?

— No.

— La conosci la Città?

— Es Toch? Sì, ci sono stata.

— Allora hai visto gli Shing?

— Tu non sei Shing.

— No. Ma vado tra loro — disse con fierezza. — Ma ho paura… — Si interruppe.

Estrel chiuse la borsa dei medicinali e la ripose nella sacca. — Es Toch è strana per chi viene dalle Case Solitarie e dalle zone lontane — disse infine la sua voce morbida e carezzevole — io ho percorso le sue strade senza alcun pericolo; ci vive molta gente che non ha alcun timore dei Signori. Non è necessario che tu ci vada pieno di paura. I Signori sono potentissimi, certo; ma di Es Toch si dicono molte cose che non sono vere…

I loro occhi si incontrarono. Poi con decisione improvvisa, e raccogliendo tutte le virtù oratorie che aveva le chiese per la prima volta: — E allora dimmi cosa è vero di Es Toch!

Lei scrollò il capo, rispondendo a voce chiara: — Ti ho salvato la vita e tu l'hai salvata a me, siamo compagni e viaggiamo insieme per un po'. Ma io non chiederei nulla né a te né a nessuna persona incontrata per caso; né ora né mai.

— Mi credi uno Shing dopo tutto? — le chiese ironicamente, un po' umiliato perché sapeva che aveva ragione.

— Chi lo sa mai? — rispose lei. E aggiunse, con un sorriso appena accennato: — Certo che mi sarebbe difficile crederlo di te… Ecco, la neve nel bricco si è sciolta. Vado a prenderne ancora. Ce ne vuole un mucchio per fare un goccio d'acqua abbiamo sete entrambi. Tu… ti chiami Falk?

Egli annuì, guardandola.

— Non diffidare di me, Falk — gli disse. — Giudicami dalle mie azioni. Le parole da sole non dimostrano nulla; la fiducia dipende dalle azione che uno compie, giorno dopo giorno.

— Bene, aspettiamo — disse Falk — e speriamo che cresca.

Più tardi, nella lunga notte silenziosa della caverna, egli si svegliò e la vide seduta tutta rannicchiata vicino alle ceneri residue, col capo fulvo appoggiato alle ginocchia. La chiamò per nome.

— Ho freddo — rispose. — Non c'è più un briciolo di calore.

— Vieni qui da me — replicò mezzo addormentato con un sorriso. Lei non disse nulla, ma un momento dopo lo raggiunse in quell'oscurità appena rotta dalle braci, completamente nuda, con solo la pallida giada che le pendeva tra i seni. Era minuta e tremava dal freddo. Nell'animo, sotto certi aspetti ancora vergine, egli aveva il proposito di non toccarla, perché aveva dovuto così duramente sopportare quei selvaggi; ma lei gli sussurrò: — Scaldami, fammi divertire. — Ed egli avvampò come fuoco al vento, mentre tutti i buoni propositi si dileguavano spazzati via dalla presenza di lei, dalla sua dedizione. Per tutto il resto della notte gli stette tra le braccia, vicino alle ceneri ormai spente.

Per tre giorni e tre notti Falk ed Estrel rimasero nella caverna, mentre la tormenta infuriava e poi si calmava sopra di loro. Dormivano e facevano all'amore. Lei era sempre uguale: docile, condiscendente. Egli, che ricordava soltanto il piacevole e gioioso amore vissuto con Parth, era sgomentato dall'insaziabilità e dalla violenza del desiderio che Estrel destava in lui. Spesso gli tornava il pensiero di Parth, accompagnato dalla vivida immagine di una fonte dalle acque rapide, chiare, che sgorgava in mezzo alle rocce in un ombroso recesso della foresta, vicino alla Radura. Ma il ricordo non bastava ad acquietare la brama, e ancora cercava appagamento nella smisurata dedizione di Estrel, per trovare, alla fine, uno spossato nirvana. Una volta sfociò invece in un'inspiegabile rabbia. Le urlò con tono di accusa: — Mi vuoi solo perché pensi che sia inevitabile, che altrimenti ti avrei fatto violenza.

— Perché, non l'avresti fatto?

— No! — le urlò, credendo in quel che diceva. — Non voglio che tu mi sia sottomessa, che tu faccia quello che voglio… Non è forse il calore, il calore umano, quello che andiamo cercando?

— Sì — sussurrò lei.

Non le si avvicinò per un po' di tempo; aveva preso la decisione di non toccarla mai più. Se ne andò per conto suo con la pistola luminosa a esplorare lo strano posto in cui si trovavano. Dopo qualche centinaio di metri la caverna si stringeva e diventava un'alta galleria, molto ampia e liscia. Oscura e immota, continuava perfettamente diritta per un bel tratto, poi improvvisamente curvava, senza restringersi o biforcarsi, e dopo l'angolo buio continuava, continuava. I suoi passi riecheggiavano debolmente. Nulla veniva illuminato o proiettava ombra sotto la luce della lampada. Camminò fino a che fu stanco ed ebbe fame, poi tornò indietro. Era sempre uguale, non portava da nessuna parte. Tornò da Estrel, all'insaziabile promessa e al senso di incompiutezza del suo abbraccio.

La bufera era cessata. La pioggia durata tutta la notte aveva sciolto il manto di neve che ricopriva la terra scura, e ogni tanto gli ultimi radi spruzzi di neve cadevano su tutto quel bagnato. Falk salì in cima alla scala, con la luce del giorno negli occhi, l'aria fresca che gli alitava sul viso, gli entrava nei polmoni. Si sentì come una talpa che esce dal letargo, un topo che vien fuori dal suo buco. — Andiamo — gridò a Estrel e ridiscese nella caverna per aiutarla a riporre tutto prima di andarsene.

Le chiese se sapeva dove si trovassero i suoi, e lei rispose. — Probabilmente molto più a ovest, ormai.

— Sapevano che stavi attraversando da sola il territorio dei Basnasska?

— Da sola? Soltanto nelle favole, al Tempo delle Città, le donne se ne vanno sempre in giro da sole. C'era un uomo con me, un uomo forte ma lo hanno ucciso i Basnasska. — Il suo volto delicato era fermo, immoto, senza espressione.

Solo allora Falk cominciò a spiegarsi la strana passività di quella donna, l'assenza di reazioni che era parsa quasi un tradimento dei suoi sentimenti più vigorosi. Aveva dovuto sopportare molto e ora non aveva più reazioni. Chi era il compagno che i Basnasska le avevano ucciso? Non era affare di Falk chiederlo, a meno che non fosse lei a dirlo. Ma gli era scomparsa la rabbia e da allora trattò Estrel amichevolmente e con tenerezza.

— Posso aiutarti a trovare i tuoi?

Gli rispose affabilmente: — Sei molto gentile, Falk. Ma saranno lontanissimi e non posso setacciare tutte le Pianure Occidentali…

L'intonazione assente e passiva della sua voce lo commosse. — Vieni a ovest con me, allora, finché non avrai notizie di loro. Sai che strada faccio.

Gli era ancora difficile pronunciare il nome di Es Toch, che nella lingua della Foresta era un'oscenità impronunciabile. Non riusciva ad abituarsi al modo in cui Estrel parlava della città Shing, come un posto tra tanti altri.

Lei esitava, ma lui insistette e infine accettò di accompagnarlo. Gli fece piacere sia per il desiderio e la compassione che provava per lei, sia per la solitudine che aveva conosciuto sino allora e non voleva più provare. Si incamminarono assieme sotto un sole freddo e ventoso. Il cuore di Falk era leggero perché era all'aperto, libero, in cammino. Ora non gli interessava lo scopo del viaggio. Il giorno era splendente, sul loro capo trascorrevano grosse nuvole bianche; procedere era lo scopo, in sé. E così camminava, con quella donna gentile, docile e tenace che gli stava al fianco.

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