12 luglio Nemur, Strauss, Burt e alcuni altri che si interessano all’esperimento, mi aspettavano nell’ufficio del reparto psicologia. Hanno cercato di farmi molta accoglienza, ma ho notato quanto era ansioso Burt di riavere Algernon, e gliel’ho consegnato. Nessuno ha parlato, ma ho capito che Nemur non mi perdonerà tanto presto di averlo scavalcato mettendomi in contatto con la Fondazione. Tuttavia era necessario. Prima di tornare alla Beekman dovevo essere certo che mi avrebbero consentito di lavorare indipendentemente all’esperimento. Troppo tempo andrebbe perduto se dovessi rendere conto a Nemur di tutto quel che faccio.
Egli era stato informato della decisione della Fondazione e mi ha accolto con freddo formalismo. Mi ha teso la mano, ma senza sorridere. «Charlie», ha detto, «siamo tutti lieti che tu sia tornato e di averti come collaboratore. Jayson ha telefonato per dirmi che la Fondazione ti assegna un compito nell’esperimento. I miei collaboratori e il laboratorio sono a tua disposizione. Il centro calcolatrici elettroniche ha assicurato che il tuo lavoro avrà la precedenza… e, inutile dirlo, se pensi che io possa esserti utile in qualsiasi modo…»
Stava facendo tutto il possibile per essere cordiale, ma mi sono accorto dalla sua espressione che era scettico. In fin dei conti, quale esperienza avevo io in fatto di psicologia sperimentale? Che cosa sapevo delle tecniche elaborate da lui in tanti anni di lavoro? Bene, come dico, sembrava cordiale e disposto ad aspettare prima di esprimere un giudizio. Del resto, per il momento non potrebbe comportarsi diversamente. Se non trovo una spiegazione del comportamento di Algernon, tutte le sue fatiche sono gettate al vento, ma se risolvo il problema trascino con me l’intero gruppo di ricercatori.
Sono andato in laboratorio ove Burt stava osservando Algernon in uno dei labirinti a problemi multipli. Ha sospirato e crollato il capo. «Ha dimenticato parecchio. Quasi tutte le sue reazioni più complesse sembrano essere state cancellate. Sta risolvendo i problemi a un livello assai più primitivo di quanto mi sarei aspettato.»
«In che modo?» ho domandato.
«Be’, un tempo era in grado di capire le successioni semplici… nel labirinto a porte cieche, ad esempio: una porta sì e una no, ogni terza porta, soltanto le porte rosse o soltanto le porte verdi… ma ora ha ripetuto tre volte il labirinto e continua a procedere per tentativi.»
«Non potrebbe essere che ciò accada perché è rimasto lontano così a lungo dal laboratorio?»
«Potrebbe darsi. Lasceremo che si abitui di nuovo all’ambiente e staremo a vedere come si comporterà domani.»
Ero stato in laboratorio molte altre volte, ma ora mi trovavo lì per approfittare di tutto ciò che poteva offrirmi. In pochi giorni dovevo assimilare procedure che altri avevano impiegato anni per imparare. Burt e io abbiamo trascorso quattro ore visitando il laboratorio reparto per reparto, mentre io cercavo di familiarizzarmi con la situazione generale. Dopo aver finito, ho notato una porta nella quale non eravamo entrati.
«Che cosa c’è lì dentro?»
«Il frigorifero e il forno per rifiuti.» Ha aperto la porta massiccia e ha acceso la luce. «Congeliamo i nostri esemplari, prima di eliminarli con il forno per rifiuti; riuscendo a impedire la decomposizione si evitano i cattivi odori.»
Si è voltato per uscire, ma io mi sono trattenuto lì ancora un momento.
«Non Algernon», ho detto. «Senta… se… e quando… non voglio che venga gettato qui. Lo dia a me. Ci penserò io.» Non ha riso. Si è limitato ad annuire. Nemur gli aveva detto che da quel momento in poi potevo avere tutto quel che volevo.
L’ostacolo era il tempo. Se dovevo trovare le soluzioni per mio conto, bisognava che mi mettessi al lavoro immediatamente. Mi sono fatto dare elenchi di libri da Burt e appunti da Strauss e da Nemur. Poi, mentre stavo per andarmene, mi è venuta una strana idea.
«Mi dica», ho domandato a Nemur, «ho appena dato un’occhiata al forno per rifiuti con il quale eliminate gli animali degli esperimenti. Che progetti sono stati fatti per me?»
Poiché taceva ho insistito. «Ho il diritto di sapere tutto ciò che concerne l’esperimento, e questo comprende anche il mio avvenire.»
«Non c’è alcun motivo per cui tu non debba essere informato.» Si è interrotto e ha acceso una sigaretta. «Tu capisci, naturalmente, che sin dall’inizio riponevamo le più alte speranze nella definitività della cosa, e le nutriamo ancora… indubbiamente…»
«Ne sono certo», ho mormorato.
«Naturalmente, includerti nell’esperimento è stata una grave responsabilità. Io non so quanto tu ricordi, o quanto tu abbia potuto dedurre per ciò che concerne l’inizio del progetto, ma abbiamo cercato di spiegarti chiaramente che, con molte probabilità, i risultati sarebbero stati soltanto temporanei.»
«Questo lo scrissi allora nei miei rapporti sui progressi», ho riconosciuto, «anche se sul momento non capivo che cosa significasse. Ma la cosa non riveste più alcuna importanza, poiché ora lo so».
«Bene, decidemmo di correre il rischio nel tuo caso», ha continuato, «perché ritenevamo assai poco probabile poterti danneggiare seriamente ed eravamo invece certi che vi fossero grandi probabilità di poterti giovare almeno in parte».
«Non è necessario che si giustifichi.»
«Ma tu ti rendi conto che dovevamo essere autorizzati da qualcuno dei tuoi parenti più prossimi. Non eri in grado di assumerti personalmente la responsabilità.»
«Questo lo so già. Sta parlando di mia sorella Norma; l’ho letto sui giornali. A quanto ricordo di lei, immagino che abbia autorizzato la mia condanna a morte.»
Ha inarcato le sopracciglia, ma ha lasciato correre. «Be’, come le dissi, nell’eventualità che l’esperimento fosse fallito non avremmo potuto rimandarti alla panetteria o in quella stanza dalla quale venivi…»
«Perché no?»
«In primo luogo, saresti potuto non essere lo stesso. L’intervento chirurgico e le iniezioni di ormoni avrebbero potuto avere conseguenze di non immediata evidenza. Le esperienze fatte dopo l’operazione avrebbero potuto lasciare il segno su di te. Mi riferisco a possibili turbe emotive, tali da complicare il ritardo mentale; saresti potuto non essere più lo stesso tipo di individuo…»
«Questa è bella. Come se non fosse già abbastanza sopportare una croce.»
«E, in secondo luogo, non c’era modo di sapere se saresti regredito allo stesso livello mentale. Vi sarebbe potuta essere una regressione a un livello mentale ancora più primitivo.»
Mi stava rivelando il peggio… e si toglieva così quel peso dalla mente. «Tanto vale che sappia tutto», ho detto, «finché sono ancora in grado di esprimere il mio parere al riguardo. Che progetti sono stati fatti per quanto mi concerne?»
Si è stretto nelle spalle. «La Fondazione ha deciso di rimandarti alla Clinica statale e alla scuola di addestramento Warren.»
«Ah, questa, poi!»
«Secondo gli accordi presi con tua sorella, la retta sarebbe stata pagata dalla Fondazione e tu avresti ricevuto vita natural durante una somma mensile per le tue necessità personali.»
«Ma perché proprio là? Sono sempre riuscito a cavarmela per mio conto fuori, anche quando mi avevano ricoverato nella clinica dopo la morte dello zio Herman. Donner mi fece uscire subito, perché lavorassi e vivessi fuori. Perché adesso dovrei tornarci?»
«Se sarai in grado di badare a te stesso, non dovrai rimanere alla Warren. Ai casi meno gravi si consente di vivere all’esterno. Ma noi dovevamo provvedere a te… in ogni eventualità.»
Aveva ragione. Non c’era motivo per cui dovessi lamentarmi. Avevano pensato a tutto. La clinica Warren era il luogo più logico… il frigorifero nel quale sarei stato riposto per il resto dei miei giorni.
«Almeno non è il forno per i rifiuti», ho detto.
«Che cosa?»
«Lasci perdere. So io.» Poi mi è venuta in mente una cosa. «Mi dica una cosa, è possibile visitare la Warren, voglio dire andare laggiù a vedere com’è il posto nelle vesti di un visitatore?»
«Sì, credo che abbiano continuamente visitatori… gente che va a vedere la clinica. È un modo come un altro di avere relazioni pubbliche. Ma perché?»
«Perché voglio vederla. Voglio sapere che cosa mi accadrà finché sono ancora in grado di fare qualcosa al riguardo. Veda se può ottenermi l’autorizzazione… non appena possibile.»
Mi sono accorto che era turbato dall’idea ch’io visitassi la Warren. Come se avessi ordinato la bara per provarla prima di morire. Ma d’altro canto non posso rimproverarlo perché non si rende conto che accertare chi sono in realtà… chiarire il significato della somma della mia esistenza, implica conoscere oltre al passato le possibilità dell’avvenire e sapere dove sto andando oltre a dove sono stato. Benché sappiamo che alla fine del labirinto ci aspetta la morte (ed è questa una cosa che io non ho sempre saputo… non molto tempo fa, l’adolescente in me credeva che la morte potesse toccare soltanto agli altri), ora capisco che la via ch’io scelgo nel labirinto fa di me quello che sono. Non sono soltanto una cosa, ma anche un modo di essere, uno dei tanti modi, e conoscere le vie che ho seguito e quelle che non ho preso mi aiuterà a capire che cosa sto diventando.
Quella sera e durante i giorni successivi mi sono immerso nei testi di psicologia: clinica, personalità, psicometrica, apprendimento, psicologia sperimentale, psicologia animale, psicologica fisiologica, behaviorista. gestalt, analitica, funzionale, dinamica e così via, tutte le fazioni, le scuole e i sistemi di pensiero antichi e moderni.
È proprio deprimente il fatto che tanti concetti sui quali i nostri psicologi basano le loro convinzioni relative all’intelligenza, alla memoria e alla capacità di apprendimento degli uomini, siano soltanto pii desiderii.
Fay vuole venire a visitare il laboratorio, ma io le ho detto di no. Ci mancherebbe soltanto, adesso, che Alice e Fay si incontrassero. Ho già abbastanza preoccupazioni senza che succeda anche questo.