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Il sentiero che andava dall’edificio principale alla baracca di Donald Latimer era quasi tutto in discesa, e di questo Barrett fu felice, anche se fra poco avrebbe dovuto affrontare la dura fatica del ritorno. La cupola di Latimer era all’estremità est della stazione, proprio di fronte all’oceano. Percorsero la strada lentamente. Hahn si preoccupava per la gamba malata di Barrett, e Barrett era seccato per l’esagerata premura del giovane nel tenere il passo con lui.

Hahn lo lasciava perplesso. Quel ragazzo era una contraddizione vivente. Era arrivato lì con il peggiore shock che Barrett avesse mai visto, e si era ripreso con una rapidità sconcertante. Sembrava fragile e delicato ma sotto il giubbotto nascondeva muscoli ben saldi. Dava l’impressione di essere uno sprovveduto ma parlava con calma e sicurezza. Barrett si domandò cosa avesse fatto per meritarsi l’esilio ad Hawksbill Station. Ma c’era tempo per scoprirlo. Tutto il tempo necessario, e anche di più.

«È tutto così?» domandò Hahn. «Solo rocce e oceano?»

«Tutto così. La vita sulla terra non si è ancora sviluppata. Ogni cosa è meravigliosamente semplice, non ti pare? Niente fracasso. Niente centri urbani. Sulla terra è comparso qualche muschio, ma non gran che.»

«E nel mare? Ci sono i dinosauri?»

Barrett scosse la testa.

«Non ci saranno vertebrati per un altro mezzo milione di anni. Non abbiamo nemmeno pesci veri e propri, per non parlare dei rettili. Abbiamo da offrire solo conchiglie e grossi molluschi che somigliano a calamari e trilobiti. Settecento milioni di differenti specie di trilobiti. C’è con noi un certo Rudiger, quello che ti ha offerto da bere, che sta facendo la collezione di questi molluschi. E sta scrivendo un libro molto circostanziato sui trilobiti.»

«Ma nessuno lo leggerà mai… nel futuro.»

«Noi diciamo Lassù.»

«E va bene. Lassù.»

«Questo è un vero peccato» disse Barrett. «Abbiamo consigliato a Rudiger di scrivere il suo libro su lastre d’oro indistruttibili, nella speranza che poi vengano trovate da qualche paleontologo. Ma lui dice che è inutile. Due miliardi di anni geologici possono tranquillamente distruggere qualsiasi cosa prima che qualcuno le trovi.»

Hahn annusò l’aria.

«Perché ha questo strano odore?»

«È la diversa composizione» disse Barrett. «L’abbiamo analizzata. C’è più azoto, un po’ meno di ossigeno, e quasi nessuna traccia di CO2. Ma non è solo per questo che ti sembra di sentire uno strano odore. Il fatto è che si tratta di aria pura, non contaminata dalle esalazioni della vita. Nessuno l’ha mai respirata. Soltanto noi, e siamo troppo pochi per guastarla.»

«Mi sento un po’ ingannato per aver trovato un mondo così vuoto. Mi aspettavo di trovare foreste impenetrabili, con piante strane, pterodattili in volo, e magari un tirannosauro che cercava di abbattere la barricata attorno alla stazione.»

«Niente giungle. Niente pterodattili. Niente tirannosauri. E niente barricate. Hai sbagliato tutto.»

«Mi dispiace.»

«Qui siamo nel tardo Cambriano. C’è solo vita marina.»

«Sono stati gentili a scegliere un’era tanto pacifica come campo di esilio per dei prigionieri politici. Temevo di finire in mezzo a zanne e artigli.»

«Gentili un corno! Hanno scelto un’era in cui non potessimo fare il minimo danno. Ci hanno mandato prima dell’evoluzione dei mammiferi, per evitare che venissimo accidentalmente in contatto con l’antenato di tutta l’umanità e lo eliminassimo. Ci hanno mandato più indietro di qualsiasi forma di vita terrestre, in base alla teoria che se avessimo ucciso anche un piccolo dinosauro avremmo forse potuto cambiare il corso del futuro.»

«Non si preoccupano se uccidiamo qualche trilobite?»

«Evidentemente no» disse Barrett. «La stazione esiste da venticinque anni, e non mi sembra che la storia del futuro sia cambiata in modo considerevole. Naturalmente si guardano bene dal mandarci anche una sola donna.»

«Perché?»

«Perché potremmo riprodurci e perpetuarci. Verrebbe sconvolta tutta la storia del mondo. Una razza umana intelligente, che si sviluppa due miliardi di anni prima di Cristo, avrebbe tutto il tempo di evolversi, mutare e moltiplicarsi. All’arrivo del ventunesimo secolo i nostri discendenti si troverebbero al potere, e le altre razze sarebbero relegate allo stato di schiavitù. Non sarebbe peggio che lasciarci pescare qualche trilobite? Così, non mandano donne. C’è un campo di prigionia per donne, ma si trova spostato nel tempo di qualche milione d’anni, nel tardo Siluriano. Non abbiamo la minima probabilità d’incontrarci. Ecco perché Ned Altman cerca di costruire una donna con la terra e qualche prodotto chimico.»

«Dio ha fatto l’uomo con molto meno.»

«Altman non è Dio» disse Barrett. «Questo è il punto. Ecco la baracca dove alloggerai. Ti ho messo con Don Latimer. È una persona molto comprensiva, intelligente e simpatica. Era fisico, prima di dedicarsi alla politica, e si trova qui da circa dodici anni. Devo informarti che ultimamente gli si è sviluppata una forte e in un certo senso assurda passione mistica. Il compagno con il quale abitava si è ucciso l’anno scorso, e da allora lui sta cercando di andarsene da qui per mezzo di poteri extrasensori.»

«Ma fa sul serio?»

«Temo di sì. E noi cerchiamo di trattarlo con serietà. Alla stazione ci si asseconda l’un l’altro. È l’unico mezzo per evitare una psicosi di massa. Latimer cercherà probabilmente di convincerti a collaborare con lui al suo progetto. Se non ti piace vivere con lui vedrò di trasferirti da qualche altra parte. Ma voglio vedere come reagisce con una persona appena arrivata tra noi. Vorrei che gli fossi un poco d’aiuto, se sarà possibile.»

«Forse, insieme, riusciremo a trovare il mezzo per andarcene.»

«Se lo trovate, fatemelo sapere» disse Barrett, e scoppiò a ridere. Poi bussò alla porta di Latimer. Nessuno rispose. Dopo un attimo Barrett spinse la porta ed entrò. Alla stazione non esistevano serrature.


Latimer era seduto sul pavimento nudo, al centro della cupola, a gambe incrociate. Era immerso in meditazione. In quel momento sembrava a milioni di chilometri da lì, e li ignorò completamente. Hahn fece un passo avanti, e Barrett si mise un dito sulle labbra. Aspettarono in silenzio per qualche minuto, poi Latimer parve uscire dal suo stato di trance.

Si alzò in piedi con un movimento elastico, senza aiutarsi con le mani.

«Sei appena arrivato? domandò, rivolgendosi cortesemente ad Hahn.

«Circa un’ora fa. Mi chiamo Lew Hahn.»

«Io sono Donald Latimer. Mi spiace di doverci conoscere in un posto come questo, ma forse non dovremo sopportare questo esilio illegale ancora per molto tempo.»

«Don» disse Barrett «Lew dovrà dividere questa baracca con te. Penso che andrete d’accordo. È stato economista fino al 2029, poi lo hanno messo nel Martello.»

«Di dove sei?» domandò Latimer, con una luce febbrile negli occhi.

«Di San Francisco.»

La luce si spense.

«Non sei mai stato a Toronto? È la mia città. Avevo una figlia… ora dovrebbe avere ventitré anni. Si chiama Nella. Nella Latimer. Non l’hai mai conosciuta?»

«No, mi spiace.»

«Era poco probabile, infatti. Ma mi piacerebbe sapere che tipo di donna è diventata. Era una bambina, l’ultima volta che l’ho vista. Ora immagino che si sia sposata. O forse l’hanno mandata nell’altra stazione. Nella Latimer… sei sicuro di non averla mai conosciuta?»

Barrett li lasciò soli. Aveva l’impressione che sarebbero andati d’accordo. Disse a Latimer di accompagnare Hahn all’edificio principale, all’ora di cena, per presentarlo agli altri, e uscì. Una sottile pioggia gelata aveva ricominciato a cadere. Barrett ripercorse la strada lentamente, arrancando con fatica su per la collina. Aveva provato un profondo dolore nel vedere la luce sparire negli occhi di Latimer quando Hahn gli aveva detto di non conoscere sua figlia. Gli uomini della stazione non parlavano mai delle loro famiglie, e cercavano di cancellare il più possibile ogni ricordo. Ma ogni nuovo arrivo faceva rinascere il desiderio di sapere qualcosa delle persone lontane. Non avevano mai avuto notizie dei parenti, né avevano modo di ottenerle, perché non era possibile comunicare con Lassù. Non c’era modo di chiedere la foto della persona amata, né una particolare medicina, né un certo libro, o un disco. Di tanto in tanto, saltuariamente, da Lassù arrivavano i rifornimenti periodici per la stazione, cose che loro consideravano utili: libri, medicinali, parti meccaniche, cibo. Qualche volta riuscivano anche a stupire, per la loro generosità, come quella volta in cui avevano mandato una cassa di vino di Borgogna o la scatola di strumenti sensori, o la ricarica per le batterie. Quei doni significavano di solito un disgelo nella situazione mondiale, che si esternava nel desiderio di essere gentili con quelli della stazione. Però non mandavano più nessuna notizia sui parenti. Né i giornali del momento. Vini pregiati, sì. Una fotografia tridimensionale di una figlia che non avrebbero mai più rivista, no.

Per quanto ne sapevano quelli di Lassù, alla stazione poteva anche non esserci più un solo superstite. Una epidemia poteva aver ucciso tutti una decina d’anni prima. Ma non avevano modo di saperlo. Ecco perché continuavano ad arrivare i rifornimenti. Il governo faceva regolarmente il suo dovere. Il governo, qualsiasi fosse, non era disumano e crudele. In fondo esistono altri mezzi di totalitarismo, oltre la repressione nel sangue.


Barrett si fermò in cima alla collina per riprendere fiato. Per lui l’aria non aveva più un odore strano. Respirò a pieni polmoni. La pioggia aveva smesso ancora una volta di cadere. Attraverso le nuvole grigie filtrò un raggio di sole che fece brillare le rocce. Barrett si appoggiò alla stampella e chiuse gli occhi per un attimo. E vide, come su uno schermo, le creature con piccole zampe che salivano dal mare, e i tappeti di muschio che si allargavano, e le piante senza fiori che srotolavano i loro rami e le scure pelli dei primi anfibi luccicare sulle spiagge, e il calore tropicale dell’epoca in cui si sarebbe formato il carbone scendere come un guanto sul mondo.

Erano tutti fatti del futuro. I dinosauri. I piccoli mammiferi. Il pitecantropo delle foreste di Giava, Sargon, e Annibale, e Attila, e Orville Wright, e Thomas Edison, ed Edmond Hawksbill. E alla fine un governo paternalista che non poteva tollerare il pensiero di certi uomini e decideva di bandirli su un mondo di roccia all’inizio del tempo. Il governo era troppo civile per condannare a morte uomini colpevoli di attività sovversive, e troppo codardo per lasciarli in vita. Il compromesso era la morte civile alla stazione del Paleozoico. Due miliardi di anni di tempo insuperabile erano un esilio sufficientemente sicuro anche per le idee più sovversive.

Barrett fece una smorfia, poi riprese la strada verso la sua baracca. Si era ormai rassegnato da molto ad accettare il suo esilio, ma accettare il piede mutilato era tutta un’altra cosa. Il folle desiderio di riconquistare la libertà nel suo tempo era ormai scomparso. Tuttavia desiderava con tutta la sua anima che l’ignoto amministratore di Lassù gli mandasse gli apparecchi per rimettere a posto il suo piede.

Entrò nella baracca, lanciò la stampella in un angolo, e si lasciò cadere sulla branda. Non c’erano brande quando lui era arrivato alla stazione. Le avevano mandate dopo quattro anni, quando c’erano ancora soltanto una dozzina di edifici e pochissime comodità. Un luogo infame, che a poco a poco, con il materiale inviato da Lassù, era diventato abitabile. Dei cinquanta prigionieri circa che avevano preceduto Barrett alla stazione, nessuno era più in vita. Da circa dieci anni lui manteneva il suo primato di anzianità. Lì da loro il tempo si muoveva in relazione a quello di Lassù. Il Martello era fissato in quel punto del tempo, così che Hahn, arrivato quel giorno, vent’anni dopo Barrett, era partito da Lassù vent’anni dopo l’espulsione di Barrett. Barrett non aveva avuto il coraggio di chiedere immediatamente ad Hahn le notizie fino al 2029. Avrebbe comunque saputo tutto quello che voleva sapere, prima o poi, ma non gli sarebbe stato di grande soddisfazione.

Barrett prese un libro. Ma la lunga camminata l’aveva stancato più del previsto. Tenne gli occhi fissi sulla pagina per qualche istante. Poi depose il libro, chiuse gli occhi, e si appisolò.

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