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Hahn aveva una scrittura sottile, e riusciva a concentrare il massimo delle informazioni in pochissimo spazio, come se considerasse peccato mortale lo spreco della carta. Una cosa molto giusta. Per loro la carta era un lusso, e Hahn doveva essersi portato quel foglio da Lassù. La scrittura però era molto chiara. E anche le sue opinioni. Penosamente chiare.

Aveva tracciato una analisi delle condizioni alla stazione, descrivendo in circa cinquemila parole tutto quello che andava male. E aveva esattamente catalogato gli uomini come vecchi rivoluzionari il cui antico fervore era diventato rancido. Elencava quelli che erano decisamente pazzi, quelli al limite della follia, e quelli che riuscivano a resistere, come Quesada, Norton e Rudiger. Però Hahn riteneva che anche questi tre soffrissero per la tensione eccessiva e che fossero pronti a crollare da un momento all’altro. Per lui, Quesada, Norton e Rudiger erano sani come quando li aveva visti scendere sull’Incudine, ma questo era forse dovuto a un effetto distorto delle sue percezioni confuse. Per chi veniva da fuori, come Hahn, il punto di vista era diverso, e forse più preciso.

Barrett si sforzò di non saltare quello che il giovane aveva scritto su di lui.

E quello che lesse non gli piacque.

“Barrett” scriveva Hahn “è come un grosso timone roso all’interno dalle termiti. Sembra solido, ma un colpo lo può spezzare. Una recente ferita al piede deve aver avuto su di lui dei pessimi effetti. Gli altri dicono che era molto forte, e che deve tutta la sua autorità alla sua mole e al suo vigore. Ora può camminare a stento. Io però sento che le sue preoccupazioni sono dovute più all’andamento della stazione che non alla sua infermità. È stato tagliato dai contatti umani per troppo tempo. L’esercizio del comando gli ha dato una certa illusione di stabilità, ma è un comando sterile, e dentro di lui forse ci sono state delle rotture che lui stesso ignora. Ha bisogno urgente di terapia.”

Barrett lesse quelle righe diverse volte.

“Roso all’interno dalle termiti… un colpo lo può spezzare… dentro di lui forse ci sono state delle rotture… bisogno urgente di terapia…”

Provò meno rabbia di quanto avesse pensato. Hahn aveva tutto il diritto di avere una sua opinione. Alla fine, Barrett smise di leggere quello che Hahn aveva scritto di lui, e passò all’ultima pagina. “Raccomando quindi l’immediata chiusura della stazione, e dove possibile, la riabilitazione terapeutica dei suoi occupanti.”

Che diavolo voleva dire?

Sembrava quasi il rapporto di un assistente alla libertà condizionata. Ma non c’era libertà condizionata per quelli della stazione. La sentenza era definitiva. Evidentemente Hahn aveva fatto un rapporto da spedire al Governo di Lassù. Ma una parete di due miliardi di anni ne impediva l’inoltro. Così Hahn soffriva delle stesse delusioni di Altman, di Valdosto, e gli altri. Nella sua mente malata aveva pensato di poter inviare al governo il documento in cui descriveva le condizioni dei suoi compagni di prigionia.

Questo faceva sorgere un terribile sospetto: Hahn era pazzo, ma siccome non era stato alla stazione il tempo sufficiente per diventarlo, doveva essere già malato in partenza.

Che cosa sarebbe successo se avessero smesso di usare la stazione come esilio di prigionieri politici per adibirla ad asilo di malati mentali?

Sarebbe scesa su di loro una cascata di pazzi. Uomini che avevano perso la ragione durante il confino avrebbero dovuto convivere con psicopatici normali. Barrett ebbe un brivido. Piegò il foglio, e lo porse a Latimer che lo stava osservando seduto poco lontano.

«Che cosa ne pensi?» domandò Latimer.

«È molto difficile dare un giudizio» disse Barrett. «È probabile che il nostro amico Hahn abbia la mente sconvolta. Rimetti questo foglio esattamente dove lo hai trovato, Don. E non fare minimamente capire ad Hahn che l’hai letto e visto.»

«D’accordo.»

«E vienimi a dire tutto quello che scopri d’interessante su di lui» soggiunse Barrett. «Può essere molto malato. E può avere bisogno di tutto l’aiuto che gli possiamo dare.»


I pescatori tornarono nelle prime ore del pomeriggio. L’imbarcazione era carica, e Hahn arrivò alla base con una bracciata di trilobiti. Aveva la faccia bruciata dal sole, e sembrava soddisfatto della giornata passata sul mare. Barrett li raggiunse per vedere cos’avevano preso. Rudiger era esultante, e mostrava a tutti un crostaceo rosso che poteva essere il bis-bis-bisnonno di un’aragosta bollita, tranne che mancava delle pinze anteriori, e aveva tre lunghi aculei al posto della coda. Era lunga circa sessanta centimetri.

«Una nuova specie!» gridò Rudiger. «Non c’è un animale simile in nessun museo. Vorrei poterlo mettere in un posto dove poi qualcuno lo trovi. In cima a una montagna, forse.»

«Sé fosse possibile trovarlo, sarebbe già stato trovato» gli ricordò Barrett. «I paleontologi del ventesimo secolo lo avrebbero sicuramente. Quindi, lascia perdere, Mel.»

«Mi sono domandato una cosa» disse Hahn. «Come mai nessuno di Lassù ha mai scoperto qualche fossile della stazione?»

«Tra due miliardi di anni» disse Rudiger con tristezza, «questa striscia di roccia sarà sul fondo dell’Atlantico, ricoperta da un paio di chilometri di sedimenti. Non c’è pericolo che qualcuno lo trovi mai. Nessuno di Lassù vedrà quello che ho pescato oggi. Non che me ne importi. Io l’ho visto. Peggio per loro.»

«Però rimpiangevi il fatto che la scienza non verrà mai a conoscere questa specie» disse Hahn.

«Certo. Ma è colpa mia? La scienza conosce questa specie. Io sono la scienza. Io dirigo il gruppo di paleontologi di questa epoca. Che colpa ne ho se non posso pubblicare le mie scoperte su una rivista specializzata?» Si strinse nelle spalle, e se ne andò con il suo grosso crostaceo rosso.

Hahn e Barrett si guardarono. E si sorrisero per commentare lo sfogo di Rudiger. Poi il sorriso di Barrett scomparve all’improvviso.

“Termiti… una spinta… terapia”

«Qualcosa che non va?» domandò Hahn.

«Perché?»

«Di colpo hai cambiato espressione.»

«Ho avuto una fitta al piede» disse Barrett. «Capita ogni tanto. Vieni, ti do una mano a trasportare quello che hai pescato. Questa sera a cena ci faremo un cocktail di trilobiti.»

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