— Leo! — Silver si afferrò con una mano e con le altre tre prese a battere freneticamente alla porta dell’alloggio dell’ingegnere. — Leo, presto! Svegliati, mi serve il tuo aiuto! — Appoggiò la guancia alla plastica fredda, spegnendo il grido in un sussurro soffocato. — Leo? — Non osava gridare più forte, per paura di farsi sentire da qualcun altro.
Finalmente la porta si aprì, scivolando di lato. Leo indossava una maglietta rossa, un paio di calzoncini ed era a piedi nudi; i radi capelli biondi erano tutti arruffati, mentre il sacco in cui dormiva penzolava aperto come un baccello vuoto sulla parete opposta. — Che cosa diavolo… Silver? — La sua espressione era ancora assonnata e gli occhi erano semichiusi, ma si stava risvegliando in fretta.
— Vieni, presto! Presto! — sibilò Silver, afferrandogli una mano. — Si tratta di Claire: ha cercato di uscire da un portello stagno. Io ho bloccato i comandi e adesso non può aprire la porta esterna, ma io non riesco più ad aprire quella interna, e lei è intrappolata nel mezzo. Il nostro supervisore sarà di ritorno tra poco e allora non so che cosa ci farà…
— Per la miseria… — imprecò, lasciandosi trascinare nel corridoio; poi si rituffò dentro per prendere la cintura degli attrezzi. — Va bene, andiamo, andiamo.
Percorsero in fretta il labirinto dell’Habitat, rivolgendo sorrisi tirati e privi di espressione ai quad e ai terricoli che di volta in volta superavano nei corridoi. Finalmente, la porta con la familiare scritta «Idroponica D» si richiuse dietro di loro.
— Che cosa è successo? Come è potuta accadere una cosa simile? — le chiese Leo mentre sfioravano i canali di nutrizione dirigendosi verso l’estremità del modulo.
— L’altro ieri non mi hanno lasciato far visita a Claire, quando tu l’hai riportata qui con il traghetto, anche se in quel momento eravamo tutte e due in infermeria. Ieri ci hanno assegnato a squadre diverse, credo di proposito. Oggi ho scambiato il mio turno con quello di Teddie. — Dalla voce di Silver traspariva tutto il suo sconforto. — Claire mi ha detto che, quando non è in servizio, non la lasciano neppure entrare al nido per vedere Andy. Sono andata a prendere del fertilizzante dai magazzini per riempire i tubi di crescita ai quali stavamo lavorando e, quando sono tornata, il portello stagno stava cominciando a ruotare… — Se non avesse lasciato sola Claire… se solo non li avesse lasciati salire sul traghetto… se non li avesse traditi sotto l’influenza della droga della dottoressa Yei… se solo fossero nati terricoli… se solo non fossero nati affatto…
Il portello stagno in fondo al modulo non veniva mai usato, era lì in attesa di diventare la porta stagna del prossimo modulo che fosse stato aggiunto secondo le necessità. Silver premette il viso contro la finestrella e, con immenso sollievo, vide che Claire era ancora lì.
Ma continuava a gettarsi ora contro l’uno ora contro l’altro portello, con il viso sporco, macchiato di lacrime e di sangue e le dita rosse. Silver non era in grado di dire se avesse la bocca aperta perché cercava di respirare o se invece stava solo gridando, perché il suono non superava la barriera della porta, come un olovideo a cui fosse stato tolto il sonoro. La stessa Silver si sentiva soffocare da qualcosa che le stringeva il petto.
Leo guardò all’interno. Tese le labbra, scoprendo i denti in una smorfia inferocita e, pallido in viso, si voltò sibilando in direzione del meccanismo di chiusura, frugando nella cintura degli attrezzi. — Hai fatto proprio un bel lavoro, Silver…
— Dovevo fare qualcosa, e in fretta. Metterlo in corto circuito in questo modo era l’unico sistema per impedire all’allarme di suonare alla Centrale.
— Oh… — le mani di Leo ebbero un attimo di esitazione. — Allora non è stato un colpo alla cieca.
— Alla cieca? Nella scatola di controllo di un portello? — Lo guardò sorpresa e anche un po’ indignata. — Non ho più cinque anni!
— Effettivamente no — un sorriso di scusa gli illuminò per un attimo il viso teso. — Qualunque quad di sei anni sa una cosa simile. Le mie scuse, Silver. Quindi, il problema ora non è tanto di aprire il portello, quanto di farlo senza far scattare l’allarme.
— Sì, esatto — rispose ansiosa.
Leo controllò il meccanismo, guardò con aria esitante il portello stagno che vibrava per i colpi battuti dall’interno. — Sei sicura che Claire non abbia… bisogno di altro aiuto?
— Può anche aver bisogno di aiuto — scattò Silver, — ma non otterrebbe altro che la dottoressa Yei.
— Ah… giusto. — Il suo sorriso scomparve del tutto. Afferrò con le pinze due fili, collegandoli diversamente e poi, con un ultimo sguardo dubbioso alla porta, schiacciò una piastra all’interno del meccanismo.
La porta interna scivolò di lato e Claire cadde fuori, ansimando con voce rauca: — … lasciatemi andare, lasciatemi andare, oh, perché non mi avete lasciato andare… non posso sopportarlo… — Si raggomitolò in aria come una palla, nascondendo il viso.
Silver sfrecciò verso di lei, abbracciandola strettamente con tutte le braccia. — Oh, Claire! Non fare più queste cose. Pensa… pensa a come si sentirebbe Tony, costretto in quell’ospedale a terra, se gli dicessero…
— Ma che cosa importa? — domandò Claire con la bocca premuta contro la maglietta azzurra di Silver. — Non me lo lasceranno vedere mai più. Sarebbe meglio se fossi morta. Non mi lasceranno più vedere Andy…
— Sì — intervenne Leo, — pensa ad Andy. Chi lo proteggerà se tu non ci sarai più? Non solo oggi, ma la settimana prossima, l’anno prossimo…
Claire si sciolse dalla sua posizione raggomitolata ed esclamò ad alta voce: — Non me lo lasciano neppure vedere! Mi hanno buttato fuori dal nido…
Leo le afferrò le mani superiori. — Chi? Chi ti ha buttato fuori?
— Il signor Van Atta…
— Già, avrei dovuto saperlo. Claire, ascoltami. La risposta giusta a Bruce non è il suicidio ma l’omicidio.
— Davvero? — commentò Silver con rinnovato interesse. Persino Claire se ne uscì dalla propria disperazione quel tanto che bastava per fissare direttamente Leo negli occhi.
— Be’… forse non in senso letterale. Ma non devi permettere a quel bastardo di stritolarti. Ascolta, qui siamo tutti in gamba, giusto? Voi ragazzi siete in gamba… io stesso sono conosciuto per aver risolto un problemino o due, ai miei tempi… be’, allora dovremmo essere in grado di escogitare qualcosa per uscire da questo pasticcio, se ci proviamo. Non sei sola, Claire. Noi ti aiuteremo. Io ti aiuterò.
— Ma tu sei un uomo della Compagnia… un terricolo… perché dovresti…
— La GalacTech non è Dio, Claire. Non devi sacrificarle il tuo primogenito. La GalacTech o qualunque altra Compagnia è solo un modo, uno dei tanti modi che la gente ha di organizzarsi per svolgere un lavoro troppo impegnativo per una persona sola. Non è Dio, in fin dei conti, e non è neppure una creatura. Non ha una libera volontà di cui rendere conto. È solo un gruppo di gente che lavora. In fin dei conti, Bruce è solo Bruce, ci deve essere un modo per aggirarlo.
— Vuoi dire scavalcarlo? — chiese pensosa Silver. — Magari andando direttamente da quel Vice Presidente che era qui la settimana scorsa?
Lui esitò. — Be’… forse non da Apmad. Ma sono tre giorni che ci penso… non penso ad altro che al modo di far saltare in aria tutta questa maledetta faccenda. Ma voi dovete resistere, per darmi il tempo di escogitare… Claire, riuscirai a tener duro? Ci riuscirai? — E le strinse forte le mani.
Lei scosse il capo, dubbiosa. — Fa così male…
— Devi farcela. Ascolta, senti. Non c’è nulla che io possa fare qui a Rodeo, a causa delle particolari condizioni legali. Se si trattasse di un regolare governo planetario, giuro che mi indebiterei fino al collo per pagare un biglietto di viaggio a ognuno di voi, ma se si trattasse di un pianeta normale, non avrei neppure bisogno di farlo. Così come stanno le cose, la GalacTech ha il monopolio dei posti sulle navi a balzo: o si viaggia su navi della Compagnia o non si viaggia affatto. Quindi dobbiamo aspettare e guadagnare tempo.
«Ma tra non molto, solo pochi mesi, i primi quad lasceranno Rodeo per il primo vero contratto di lavoro. Lavoreranno trovandosi in una vera giurisdizione planetaria. I governi sono troppo grandi e potenti perché anche la GalacTech voglia averci a che fare. Sono sicuro… anzi, sicurissimo, che se trovo la sede legale giusta, non il pianeta di Apmad, naturalmente, ma ad esempio la Terra… la Terra è sicuramente il posto migliore, e poi io sono cittadino terrestre, potrò intentare un’azione legale in modo che veniate riconosciute come persone a tutti gli effetti. Probabilmente perderò il lavoro e mi ridurrò sul lastrico, ma si può fare. Non è precisamente il tipo di lavoro che avevo in mente per la mia vita… ma alla fine potrete svincolarvi dalla GalacTech.
— Ma ci vuole così tanto tempo — sospirò Claire.
— No, no, ritardare le cose lavora a nostro favore. I piccoli crescono ogni giorno di più. Quando la causa legale sarà stata discussa e approvata, sarete tutti pronti. Pronti per andarvene come gruppo… per farvi ingaggiare… trovare lavoro… perfino la GalacTech non sarebbe un cattivo datore di lavoro, se foste dei cittadini e degli impiegati con tutte le protezioni legali. Forse anche il Sindacato degli Spaziali vi accetterebbe, anche se questo potrebbe vincolarvi… be’, non ne sono sicuro. Se non vi vedono come una minaccia… comunque, qualcosa si troverà. Ma devi tener duro! Me lo prometti?
Quando Claire annuì lentamente, Silver trasse un sospiro di sollievo. La guidò verso la parete dove si trovava la cassetta del pronto soccorso, poi cominciò a disinfettarle e bendarle mani, e la ripulì dal sangue dal viso graffiato. — Ecco, così va meglio…
Nel frattempo, Leo ripristinò il funzionamento del controllo del portello stagno e poi galleggiò accanto a loro. — Va tutto bene, ora? — Si rivolse a Silver: — Starà bene, adesso?
Silver non poté fare a meno di rispondere in tono irritato. — Bene come chiunque di noi… non è giusto! — esplose. — Questa è la mia casa, ma adesso sta diventando come una bombola ad ossigeno troppo compresso. Tutti i quad sono in subbuglio per quello che è successo a Tony e Claire. Non è una situazione simile a quella volta terribile in cui Jamie perse la vita nell’incidente con il rimorchiatore. Questo… questo è stato fatto di proposito. Se fanno una cosa simile a Tony, che era così buono… allora cosa faranno a… a me? A chiunque di noi? Che cosa accadrà, ora?
— Non lo so — Leo scosse il capo con aria cupa. — Ma sono convinto che l’idillio sia finito. Questo è solo l’inizio.
— Ma cosa faremo? Cosa possiamo fare?
— Be’… non lasciatevi prendere dal panico. E non disperate, soprattutto non disperate.
La porta sigillata all’altra estremità del modulo si aprì e la voce del supervisore terricolo del laboratorio idroponico si fece sentire. — Ragazze? Siamo riusciti ad avere la consegna di semi… quel tubo di crescita è pronto?
Leo sussultò, ma prima di andarsene si voltò un’ultima volta, per stringere con determinazione la mano ad ognuna delle quad. — È un vecchio detto, ma l’esperienza mi ha insegnato che è vero. Il caso aiuta le menti preparate. Quindi, siate forti, tornerò da voi… — e passò accanto al supervisore sbadigliando vistosamente, come se fosse passato di lì solo per dare un’occhiata a come procedeva il lavoro.
Con lo stomaco contratto, Silver osservò spaventata Claire. La ragazza tirò su con il naso e poi si voltò di scatto affaccendandosi intorno al tubo di crescita e nascondendo il viso al supervisore. Silver parve sollevata; per il momento tutto andava bene.
Il nodo allo stomaco venne lentamente sostituito da qualcosa di caldo e sconosciuto, che cancellò la paura. Come osano fare questo a lei… a me… a noi? Non hanno nessun diritto, nessun diritto, nessun diritto…
La rabbia le faceva pulsare le tempie, ma era meglio del groppo di paura, ed anzi le dava quasi un senso di esaltazione. E quando chinò la testa, fu per nascondere al supervisore l’espressione fiera che le era comparsa sul viso.
L’assistente alimentare, un ragazza quad di circa quattordici anni, passò a Leo il vassoio con il pranzo attraverso la finestrella senza però accompagnarlo con il consueto sorriso luminoso. Quando Leo ringraziò sorridendo, la contrazione agli angoli della bocca della ragazza fu meccanica, e svanì subito. Leo si chiese in quale forma distorta la storia di quello che era successo a Claire e Tony sul pianeta la settimana prima fosse giunta alle sue orecchie. Non che i fatti di per se stessi non fossero già abbastanza penosi. L’intero Habitat sembrava immerso in un’atmosfera di cauto sconcerto.
Leo provò un lampo di orribile stanchezza nei confronti dei quad e dei loro problemi. Evitò di sedersi con un gruppo di suoi studenti che consumavano il pranzo vicino a una finestra, anche se un groviglio di mani si agitò nella sua direzione. Galleggiò invece lungo il modulo, finché non vide un posto libero vicino a qualcuno con le gambe dove sistemarsi con il suo vassoio. Quando si rese conto che la persona munita di gambe era il capitano del traghetto, Durrance, era troppo tardi per battere in ritirata.
Ma il borbottio di saluto di Durrance era privo di animosità. Apparentemente, al contrario di molti altri di cui Leo avrebbe potuto fare il nome, Durrance non lo riteneva responsabile del clamoroso fiasco di Tony, il suo allievo. Leo infilò i piedi nelle cinghie, liberando così le mani per mangiare. Ricambiò il grugnito e succhiò il caffè bollente dal bulbo a pressione. Ma non c’era abbastanza caffè nell’universo per risolvere i suoi dilemmi.
Durrance si dimostrò persino incline a fare conversazione.
— Quanto manca per la sua licenza a terra?
— Non molto… — Solo una settimana, si rese conto con un sussulto. Il tempo gli stava sfuggendo, come tutto il resto lì attorno. — Com’è Rodeo?
— Noioso. — Durrance mangiò una cucchiaiata di una specie di zuppa di verdura.
— Ah — Leo si guardò intorno. — Ti è con lei?
Durrance sbuffò. — Improbabile. È a terra, al fresco. Ha presentato ricorso. Mi sono ritrovato con una nota di biasimo sul mio curriculum per colpa di quel ranocchio. Se fosse stata la sua prima infrazione, forse avrebbe potuto evitare di venir silurato, ma ora non credo che abbia nessuna possibilità. Il suo Van Atta vuole la sua pelle inchiodata al portello stagno.
— Non è il mio Van Atta — negò con decisione Leo. — Se lo fosse, lo scambierei con un cane…
— E sparerebbe al cane — terminò Durrance con una smorfia. — Van Atta. Bel tipo. Se le voci che ho sentito sono vere, nemmeno lui ne avrà per molto.
— Ah, sì? — Leo tese speranzoso le orecchie.
— Parlavo ieri con il pilota della nave che svolge il servizio settimanale di trasporto degli impiegati da Orient IV (ha appena trascorso là la sua licenza di un mese) e senta questa: lui giura che l’ambasciata di Beta su Orient IV ha tenuto una dimostrazione di un apparecchio per la gravità artificiale.
— Cosa? Come…
— Per quello che ne so lo hanno fatto arrivare dallo spazio attraverso il corridoio. Può scommettere che la Colonia Beta si terrà stretto il progetto fino a quando non avranno cominciato a sfondare sul mercato, recuperando così i costi di ricerca e progettazione. Sembra che sia già da un paio d’anni che i militari lo tengono nascosto, in attesa della migliore opportunità, maledetti loro. La GalacTech e tutti gli altri avranno un bel da fare per mettersi alla pari. Tutti gli altri progetti di ricerca si vedranno tagliare i fondi per almeno un paio d’anni, vedrà.
— Mio Dio — Leo fece scorrere lo sguardo lungo il modulo del refettorio, affollato di quad. Mio Dio…
Durrance si grattò la guancia, pensoso. — Se è vero, ha idea di che cosa può significare per l’industria dei trasporti spaziali? Il pilota della nave a balzo con cui ho parlato sostiene che i Betani hanno fatto arrivare fin qui quel maledetto congegno in due mesi (dalla Colonia Beta, pensi!) con un’accelerazione di quindici G e isolando l’equipaggio dall’accelerazione per mezzo dell’apparecchio. D’ora in poi il solo limite all’accelerazione sarà il costo del carburante. Probabilmente non avrà una grande influenza sulle navi da carico per la stessa ragione, ma il trasporto passeggeri sarà rivoluzionato. Il fatto influenzerà anche il tasso di scambio tra le valute planetarie e i trasporti militari, che non si preoccupano di quanto spendono in carburante… e può scommettere che tutto questo influenzerà la politica interplanetaria… sarà una rivoluzione in tutti i campi.
Durrance ripulì dagli ultimi avanzi di cibo le vaschette del suo vassoio. — Maledetti coloniali. La buona, vecchia conservatrice GalacTech terrestre è di nuovo nei guai. Sa, a volte sono tentato di emigrare nel posto più lontano dal punto di connessione, ma mia moglie ora si trova sulla Terra, per cui non credo che potremo mai…
Leo pendeva dalle cinghie con aria sconvolta mentre Durrance continuava il suo monotono discorso. Dopo un attimo ingoiò la cucchiaiata di puré che aveva in bocca perché non aveva un altro modo pratico per disfarsene. — Si rende conto — disse tossicchiando, — che cosa vorrà dire questo per i quad?
Durrance batté le palpebre. — Non cambierà granché. Ci saranno sempre un mucchio di lavori da eseguire in assenza di peso.
— Distruggerà il margine di redditività che possono vantare nei confronti dei lavoratori normali, ecco cosa significherà. Era l’obbligo delle licenze a terra per scopi medici che aumentava tanto i costi del personale. Eliminati quelli, la differenza cade… quel congegno può fornire gravità artificiale a una stazione spaziale?
— Se possono montarla su un’astronave — rifletté Durrance, — possono montarla anche su di una stazione spaziale. — Ma non si tratta di qualche tipo di moto perpetuo — lo ammonì. — Succhia energia come un matto, a sentire il pilota. Questo significa costi elevati.
— Non troppo. E di certo riusciranno a renderlo più efficiente, con l’andar del tempo… oh, Dio.
Quell’eventualità non andava di certo a favore dei quad. Quell’eventualità non andava a favore di nessuno. Maledizione, maledizione alla scelta di tempo! Ancora dieci anni, anche un solo anno a partire da adesso avrebbe potuto essere la loro salvezza; in quel momento, poteva essere… una sentenza di morte? Leo sfilò i piedi dalle cinghie e si raggomitolò per lanciarsi verso le porte del modulo.
— Lascia qui il vassoio? — chiese Durrance. — Posso prendere il suo dessert…?
Leo agitò una mano con impazienza per confermare e scattò in avanti.
Un’occhiata al viso tetro e ostile di Van Atta, mentre entrava nel suo ufficio, confermò la storia di Durrance. — Ha sentito le voci sulla gravità artificiale? — chiese ugualmente, con un ultimo sprazzo di speranza… che Van Atta provasse a negarlo, che provasse a sostenere che era una frode!
Van Atta lo fissò, profondamente irritato. — Come diavolo lo ha scoperto?
— Come l’ho scoperto non la riguarda. È vero?
— Oh, sì che mi riguarda. Voglio tenerlo nascosto il più a lungo possibile.
Allora era vero. Leo sentì un tuffo al cuore. — Perché? Da quanto lo sa, lei?
Le mani di van Atta giocherellarono nervosamente con gli angoli di una pila di veline di plastica, stampati di computer e comunicati che la magnetizzazione teneva agganciati alla scrivania. — Da tre giorni.
— Allora è ufficiale.
— Oh, ufficialissimo — Van Atta fece una smorfia disgustato. — L’ho saputo dalla direzione distrettuale della GalacTech su Orient IV. Pare che Apmad abbia ricevuto la notizia durante il viaggio di ritorno e abbia preso una delle sue famose decisioni sul campo.
Giocherellò di nuovo con le carte e aggrottò la fronte. — Non c’è una soluzione. E lo sa quale altra notizia è arrivata ieri al seguito di questa? La Stazione Kline ha cancellato il suo contratto di costruzione con la GalacTech, il primo dove avevamo previsto di impiegare dei quad. Hanno pagato la penale senza fiatare. La Stazione Kline si trova vicino alla Colonia Beta, e devono aver saputo della cosa settimane, o forse anche mesi fa. Si sono rivolti ad un’impresa di Beta, che, possiamo supporre, ha fatto un’offerta a prezzo inferiore. Il Progetto Cay è finito. Non ci resta altro da fare che chiudere bottega e filarcela a gambe levate, il più in fretta possibile. Maledizione! Così adesso sono legato a un progetto perdente. Ne uscirò con addosso una terribile puzza di mancati profitti.
— Chiudere! Chiudere come? Che cosa intende con «chiudere»?
— L’ipotesi preferita di quella cagna di Apmad. Scommetto che se la stava godendo un mondo quando ha emanato questi ordini… i quad le davano le palpitazioni nervose, lo sa. Devono venir sterilizzati e nascosti su di un pianeta. Tutte le gravidanze in atto saranno interrotte… merda! E noi che ne avevamo appena iniziate quindici! Che fiasco! Un anno della mia carriera buttato via.
— Oh, mio Dio, Bruce, lei non intende eseguire quegli ordini, vero?
— No? Aspetti e vedrà. — Van Atta lo fissò mordendosi un labbro. Leo impallidì, mentre una furia repressa montava dentro di lui. Van Atta sbuffò. — Che cosa pretende, Leo? Apmad avrebbe potuto ordinare il loro sterminio. Se la cavano con poco, avrebbe potuto andargli peggio.
— E se avesse… se avesse ordinato di uccidere i quad… lei avrebbe eseguito quell’ordine? — si informò Leo, solo apparentemente calmo.
— Non lo ha fatto. Avanti, Leo. Non è una cosa disumana; certo, mi spiace per i piccoli scimmiotti. Stavo facendo del mio meglio per renderli redditizi. Ma non posso in alcun modo oppormi alla cosa. Tutto quello che posso fare è rendere la chiusura più rapida e indolore possibile, nonché ridurre al minimo le perdite. Forse qualcuno nella gerarchia della Compagnia lo apprezzerà.
— Indolore per chi?
— Per tutti — Van Atta si sporse risoluto verso Leo. — Questo significa che non voglio panico e voci incontrollate, chiaro? Voglio che le cose proseguano come al solito fino all’ultimo istante. Lei e gli altri insegnanti continuerete a tenere le vostre lezioni come se i quad fossero davvero in procinto di partire per quel progetto di lavoro, fino a quando le sistemazioni a terra saranno pronte e potremo cominciare a traghettarli. Forse sarà meglio trasportare prima i piccoli; le parti recuperabili dell’Habitat andranno spostate dall’orbita e portate alla Stazione di Trasferimento e per ridurre le spese potremmo usare i quad in quest’ultimo lavoro.
— Imprigionarli a terra…
— Oh, non facciamo dei drammi. Verranno sistemati in un normalissimo dormitorio per minatori, abbandonato sei mesi fa quando il filone si è prosciugato. — Van Atta si illuminò leggermente, mentre si congratulava con se stesso. — Sono stato io a trovarlo, passando in rassegna tutti i posti possibili in cui sistemarli. Riadattarlo non costerà quasi nulla in confronto a quanto sarebbe costato costruirne uno nuovo.
Leo rabbrividì al pensiero. — E cosa accadrà tra quattordici anni, se e quando Orient IV esproprierà Rodeo?
Esasperato, Van Atta si passò entrambe le mani nei capelli, arruffandoli. — Come diavolo faccio a saperlo? A quel punto, diventerà un problema di Orient IV. Un essere umano non può fare più di tanto, Leo.
Leo sorrise, con espressione cupa e assente. — Non sono sicuro… di quanto possa fare un essere umano. Io non mi sono mai spinto al limite. Pensavo di averlo fatto, ma adesso mi rendo conto che non è stato così. Le prove a cui avevo sottoposto me stesso erano tutte accuratamente non distruttive.
Ma questa prova era di un ordine di grandezza completamente differente. Chi adesso lo stava mettendo alla prova, probabilmente disprezzava le mere possibilità umane. Leo cercò di ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui aveva pregato o anche solo creduto… Mai, comunque, con l’intensità di quel momento. Non ne aveva mai avuto tanto bisogno prima di allora…
Van Atta corrugò la fronte sospettoso. — Si comporta stranamente, Leo. — Raddrizzò la schiena, come se cercasse di assumere una posa autoritaria. — Nel caso non avesse inteso il mio messaggio, lasci che glielo ripeta forte e chiaro. Non deve accennare a nessuno di questa faccenda, soprattutto ai quad. E, allo stesso modo, tenga segreta la loro destinazione sul pianeta. Lascerò che sia Yei a decidere in che modo comunicarla a tutti quanti senza che diventino troppo recalcitranti: è arrivato il momento che si guadagni il suo lauto stipendio. Niente voci, niente panico, nessuna maledetta rivolta operaia… e se ce ne saranno, saprò quale pelle appendere alla parete. Capito?
Leo gli rivolse un sorriso vacuo, che nascondeva… tutto. — Capito — si ritirò senza voltare la schiena e senza pronunciare una parola.
Normalmente non era facile rintracciare la dottoressa Yei, poiché aveva l’abitudine di andarsene in giro tra i quad, osservando il loro comportamento, prendendo appunti, offrendo suggerimenti. Ma questa volta Leo la trovò subito. Era nel suo ufficio, sommersa da fogli di carta e con la consolle della scrivania illuminata come un albero di Natale. Festeggiavano il Natale sull’Habitat Cay, si chiese Leo? Chissà perché, era convinto di no.
— Ha sentito…
L’atteggiamento cupo e sconfortato della donna rispose alla sua domanda ancor prima che Leo finisse di formularla con la voce strozzata e il viso pallido.
— Sì, ho sentito — disse stancamente, sollevando lo sguardo su di lui. — Bruce ha appena scaricato sulla mia scrivania tutta l’organizzazione logistica per l’evacuazione del personale dell’Habitat. Lui, così mi dice, essendo un ingegnere, si occuperà dei diagrammi di smantellamento e del recupero dei macchinari e degli equipaggiamenti. Non appena gli avrò tolto di mezzo i corpi. Chiedo scusa, i maledetti corpi.
Leo scosse il capo disorientato. — E lei lo farà?
La donna scrollò le spalle, stringendo le labbra. — Come posso non farlo? Rassegnando le dimissioni con aria sdegnata? Non cambierebbe nulla. Tutta questa faccenda non diventerebbe certo meno brutale se io me ne andassi, anzi potrebbe peggiorare di parecchio.
— Non vedo come — fu il commento tagliente di Leo.
— Ah, no? — La dottoressa aggrottò la fronte. — No, immagino che non lo capisca. Lei non ha mai compreso fino in fondo il delicato equilibrio legale in cui versano i quad, ma io sì. Una mossa sbagliata e… al diavolo tutto quanto. Sapevo che Apmad andava trattata con cautela. Tutto mi è sfuggito di mano. Anche se immagino che questa faccenda della gravità artificiale avrebbe mandato a monte il progetto anche se ci fosse stato qualcun altro al suo posto… be’, siamo lo stesso fortunati, molto fortunati che non abbia ordinato lo sterminio dei quad. Deve capire che Apmad ha dovuto interrompere qualcosa come quattro o cinque gravidanze per difetti genetici, sul suo pianeta d’origine, quando era giovane. Era la legge. Alla fine ci ha rinunciato, ha chiesto il divorzio, ha trovato lavoro fuori dal pianeta con la GalacTech e si è fatta strada. Vi sono profonde ragioni emotive nei suoi pregiudizi contro le manipolazioni genetiche, e io lo sapevo. Potrebbe ancora ordinare l’uccisione dei quad, lo capisce questo? Qualunque rapporto relativo a inquietudini, guai e malumori, aggiunto alle sue paranoie sulla genetica. … — La dottoressa chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con la punta delle dita.
— Potrebbe ordinarlo… ma chi dice che lei dovrebbe eseguire l’ordine? Ha detto che aveva a cuore i quad. Dobbiamo fare qualcosa! — disse Leo.
— Che cosa? — la dottoressa strinse i pugni e poi li riaprì. — Che cosa, che cosa, che cosa? Uno o due… anche se potessi adottarne uno o due di essi, portarli via con me, sottrarli di nascosto in qualche modo o altro… e poi? Portarli a vivere con me su di un pianeta, isolati socialmente come storpi, scherzi di natura, mutanti… presto o tardi diventerebbero adulti, e allora? E che ne sarebbe degli altri? Sono un migliaio, Leo!
— E se Apmad ordinasse il loro sterminio, che scusa troverebbe allora per non fare nulla?
— Oh, se ne vada — gemette. — Non ha nessuna comprensione per la complessità della situazione, nessuna. Che cosa crede che possa fare una persona sola? Una volta avevo una mia vita, una volta, prima che questo lavoro se la ingoiasse. Ho dato sei anni della mia vita, che sono cinque e tre quarti più di quanto abbia dato lei, insomma, ho dato tutto quello che potevo. Sono esaurita. Quando me ne andrò da questo buco, non voglio mai più sentir parlare di quad. Non sono figli miei. Io non ho avuto tempo di avere bambini
Si sfregò gli occhi, infuriata, e tirò su col naso, reprimendo… lacrime? O solo bile? Leo non lo sapeva e non gli importava.
— Non sono i bambini di nessuno, questo è il guaio — borbottò adirato. — Sono una specie di… orfani genetici o qualcosa del genere.
— Se non ha nulla di utile da dire, per favore se ne vada — ripeté lei, indicando con un gesto tutte le carte. — Ho del lavoro da sbrigare.
Leo non aveva più colpito una donna da quando aveva cinque anni, Tremando, se ne andò.
Veleggiò lentamente lungo i corridoi, diretto al suo alloggio, cercando di calmarsi. E che cosa diavolo aveva sperato di ottenere dalla dottoressa Yei? Forse che lo sollevasse dalle sue responsabilità? Anch’egli voleva scaricare la sua coscienza sulla scrivania della dottoressa, come aveva fatto Bruce, dicendo: — Se ne occupi lei?
Eppure, eppure, eppure… lì, da qualche parte, c’era una soluzione. La sentiva, una vaga ombra palpabile, come un nodo nei visceri, una frustrazione che urlava e cresceva sempre più. Il problema che rifiutava di suddividersi nei pezzi giusti, la soluzione elusiva… be’, aveva risolto problemi tecnici che all’inizio si erano presentati come una parete compatta e invalicabile. Non sapeva da dove venivano quegli scatti intuitivi che alla fine gli permettevano di arrivare alla cima, sapeva solo che non si trattava di un processo cosciente, anche se a cose fatte era in grado di descriverlo con eleganti diagrammi. Non riusciva a risolverlo e non poteva smettere di tentare, ma continuava a sbatterci contro inutilmente, come quando si tormenta una crosticina, spinto da una frenesia che non faceva che aumentare. Le ruote giravano, senza imprimere alcun movimento.
— È qui dentro — sussurrò, toccandosi il capo. — Lo sento. Solo… non riesco… a vederla…
In qualche modo dovevano uscire dallo spazio di Rodeo, fin qui non c’erano dubbi. Era quella particolare e maledetta situazione legale. Che cosa poteva fare: sequestrare un’astronave a balzo? Ma le astronavi per il personale portavano appena trecento passeggeri. Non riusciva quasi ad immaginare se stesso che impugnava… cosa? Quale arma? Non aveva armi da fuoco, solo un coltellino tascabile, che conteneva soprattutto cacciaviti… bene, poteva puntare un cacciavite alla testa di un pilota, gridando: — Portaci ad Orient IV! — dove sarebbe stato immediatamente arrestato e imprigionato per i prossimi vent’anni per azione di pirateria, lasciando i quad a fare… cosa? In ogni caso, non poteva sequestrare tre navi in una volta sola e quello era il numero minimo che gli sarebbe servito.
Leo scosse il capo — La fortuna aiuta — mormorò, — la fortuna aiuta, la fortuna aiuta…
Orient IV non avrebbe accettato i quad. Nessuno avrebbe voluto i quad. Che futuro avrebbero potuto avere, anche se fossero riusciti a liberarsi dal giogo della GalacTech? Orfani vagabondi, di volta in volta ignorati, sfruttati o maltrattati, perché dipendenti dai pochi ambienti spaziali a disposizione. Le trappole della tecnologia. Si figurò Silver: non aveva dubbi sul genere di sfruttamento a cui sarebbero andate incontro quelle come lei, con quel viso elegante e quel corpo. Non c’era posto per lei, là fuori…
No! Fu il grido silenzioso di rifiuto. L’universo era così maledettamente grande. Ci doveva pur essere un posto. Un posto per loro, lontano dalle trappole e dagli inganni della cosiddetta civiltà umana. La storia dei precedenti esperimenti di utopia sociale in isolamento non erano incoraggianti, ma i quad erano eccezionali sotto ogni aspetto.
E, tra un respiro e l’altro, ebbe una visione improvvisa. Non sotto forma di una catena di ragionamenti, una parola dopo l’altra, ma come un’immagine accecante, completa e dettagliata fin dal primo istante, inerente, olistica, ispirata. Ogni ora della sua vita, da quel momento in poi, sarebbe stata un’esplorazione di quella pienezza.
Un sistema solare con una stella M o G o K, stabile, dolce, che riversava energia pronta da utilizzare. Intorno ad essa orbitava un gigante gassoso come Giove, con un anello di metano e ghiaccio, per fornire l’acqua, l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto. E, cosa più importante di tutte, una cintura di asteroidi.
E notò anche assenze altrettanto importanti: nessun pianeta come la Terra che potesse attirare la concorrenza; e neppure un luogo nelle vicinanze di un corridoio per il balzo su una rotta strategica per potenziali conquistatori. L’umanità aveva scoperto centinaia di sistemi del genere, nella sua ricerca ossessiva di mondi simili alla Terra. Le carte spaziali ne erano piene.
Una cultura quad che si espandeva lungo tutta la cintura, partendo dall’insediamento iniziale, una società di quad, fatta dai quad, per i quad; che scavava nelle rocce per proteggersi dalle radiazioni e per sigillare l’aria quanto mai preziosa, una società che si espandeva, che balzava di roccia in roccia, che scavava per costruire nuove case. Minerali dappertutto, più di quanti ne sarebbero mai serviti. Intere fattorie idroponiche per Silver. Un mondo nuovo da costruire. Un mondo nello spazio che avrebbe fatto apparire la Stazione Morita come un giocattolo.
— Ma è un problema d’ingegneria, dopo tutto! — esclamò, spalancando gli occhi felice.
Rimase a penzolare in aria, immobile e incantato; per fortuna in quel momento non c’erano passanti lungo il corridoio, o certamente avrebbero pensato che fosse matto o drogato.
La soluzione era sempre stata vicino a lui, in tanti minuscoli pezzi, invisibile, finché qualcosa in lui era cambiato. Sorrise come inebetito, sopraffatto dalla forza dalla visione. E vi si abbandonò senza riserve. Completamente. Non c’erano limiti a quello che un uomo poteva fare, se dava tutto se stesso, senza tirarsi indietro.
Senza tirarsi indietro, perché non vi sarebbe stato ritorno. Letteralmente, nel senso fisico del termine, quello era il punto. Gli uomini si adattavano all’assenza di peso, era il fatto di tornare indietro che li rendeva storpi.
— Io sono un quad — sussurrò stupito, guardandosi le mani, chiudendo e aprendo le dita. — Sono un quad con le gambe. — Non sarebbe tornato indietro.
Quanto alla base di partenza… stava fluttuando dentro di essa proprio in quel momento. Era sufficiente solo trasportarla da un’altra parte. I suoi pensieri stabilirono tutte le connessioni tanto rapidamente che non era possibile analizzarle. Non aveva bisogno di sequestrare un’astronave: c’era già dentro. Tutto quello che gli serviva era un po’ di energia.
E l’energia era lì, a portata di mano, nell’orbita di Rodeo, e in quel preciso istante veniva sprecata gratuitamente per spingere i prodotti petrolchimici fuori dall’orbita. Quale poteva essere la massa di un gruppo di capsule contenenti prodotti petrolchimici se paragonata ad una sezione dell’Habitat Cay? Leo non lo sapeva, ma era certo di poterlo scoprire. Le cifre sarebbero state dalla sua parte, comunque, qualunque fosse l’ordine di grandezza.
I razzi di una nave da trasporto potevano spingere l’Habitat, se questo veniva riconfigurato in maniera adatta, e tutto quello che potevano spingere i razzi di una nave da trasporto, potevano spingerlo anche i mostruosi superpropulsori da carico. Era tutto lì, tutto… pronto per essere afferrato.
Pronto per essere afferrato…