Un attimo di luce, vivida come quella di un bulbo a flash. Cento miglia di atmosfera, condensate in un cono di plasma dal calore stellare, sferzarono con violenza la Liar. Louis sbatté le palpebre, abbagliato.
Ammiccò e si trovarono a terra. La Liar era inclinata di trenta gradi a testa in giù. Anche se la gravità della cabina era ancora perfetta, la nave si era infilata in testa il paesaggio come un cappello sulle ventitré.
Il cielo assomigliava a un cielo in pieno mezzogiorno della zona temperata della Terra. Il panorama era sconcertante: uniformemente lustro e traslucente, con catene di montagne rosso-brune. Bisognava uscire per vederlo bene.
Louis si liberò dal sedile e si alzò. Il suo equilibrio era precario. Se la prese con calma. Calma. Senza fretta. Il momento di emergenza era stato superato.
Si voltò e vide che Teela era nella camera di equilibrio. Non indossava la tuta pressurizzata. La porta interna si stava chiudendo in quel preciso momento.
— Teela, razza di idiota — ruggì, — esci fuori di lì!
Troppo tardi. Era impossibile che lei lo sentisse attraverso la tenuta ermetica della porta. Louis si lanciò verso gli armadietti. Le sonde campionatrici, sull’ala della Liar, si erano volatilizzate insieme ai sensori esterni. Doveva uscire con una tuta pressurizzata e usare i sensori per saggiare se l’aria del Mondo ad Anello si poteva respirare senza danno.
Sempre che Teela non fosse stata colta da collasso e non fosse morta prima che lui potesse uscire. Allora avrebbe saputo che l’aria non era respirabile.
La porta esterna si stava aprendo.
La gravità interna si disperse automaticamente nella camera di equilibrio. Teela Brown si lasciò scivolare attraverso la porta spalancata, aggrappandosi convulsamente allo stipite quel tanto che bastava per cambiare l’angolo della sua caduta. Atterrò col sedere invece che di testa.
Louis si infilò nella tuta a pressione, chiuse le cerniere, calcò il casco in testa agganciando le fibbie. Sopra di lui, all’esterno, Teela stava in piedi fregandosi la parte con la quale aveva atterrato. Non aveva cessato di respirare.
Louis entrò nella camera di equilibrio. Non esisteva alcun problema nel provare l’aria della sua tuta. Doveva solo indossarla e lasciare che gli strumenti gli indicassero se l’aria esterna era respirabile.
Si ricordò della pendenza della nave appena in tempo per afferrarsi allo stipite, non appena la camera di equilibrio si aprì. Quando la gravità della cabina si disperse verso l’esterno, Louis penzolò per un momento tenendosi appeso per le mani, e si lasciò cadere. Unì i talloni un attimo prima di toccare il suolo, e cadde pesantemente sui glutei.
Il materiale liscio, grigiastro e trasparente sul quale aveva urtato la nave era tremendamente scivoloso. Louis si sforzò di mantenere l’equilibrio, poi ci rinunciò. Restando seduto esaminò i quadranti che aveva sul petto.
Nel casco risuonò la voce raschiante di Speaker.
— L’aria è respirabile?
— Sì. Un po’ rarefatta. Come l’aria della Terra a un miglio sopra il livello del mare.
— Dobbiamo uscire?
— Certo. Porta una fune nella camera di equilibrio e agganciala da qualche parte. Altrimenti non ritorneremo mai indietro. Fai attenzione quando scendi. La superficie è completamente priva di attrito.
Teela stava facendogli strani segnali. Era in piedi in maniera goffa, con le braccia piegate, in attesa che Louis la smettesse di starsene in ozio e si togliesse il casco.
Lui obbedì. — Ho qualcosa da dirti — fece. Le spiegò che non ci si poteva fidare della spettroanalisi dell’atmosfera a due anni-luce di distanza. Le parlò di veleni misteriosi, di composti metallici, di rifiuti organici e di catalizzatori che potevano inquinare l’atmosfera e che si potevano individuare soltanto prendendo un campione. L’accusò di trascuratezza criminale e di stupidità colposa; di mancanza di buon senso nell’offrire servigi volontari come una cavia. Le disse tutto ciò prima che gli alien avessero il tempo di lasciare la camera di equilibrio.
Speaker scese, una mano dopo l’altra, atterrò sui piedi e fece alcuni passi, con prudenza felina, in equilibrio come un ballerino. Nessus scese afferrando la fune un po’ coi denti di una testa e un po’ con quelli dell’altra. Atterrò su tutte tre le gambe.
Si trovavano in una gola molto larga ma poco profonda. Il fondo era di un grigio trasparente, perfettamente liscio, come un immenso ripiano da tavolo. I fianchi della gola, a cinquanta metri dalla nave, formavano un pendio di lava nera che sembrava fluire e incresparsi davanti agli occhi di Louis. Doveva essere ancora bollente, pensò Louis, per l’impatto provocato dalla Liar.
Louis provò ad alzarsi. Era l’unico a trovare difficoltà nel mantenersi in equilibrio. Unì i piedi, si alzò traballando, incapace di muoversi.
Speaker-agli-Animali sfoderò il suo laser a flash e fece fuoco su un punto vicino ai suoi piedi. Guardarono il verde punto luminoso… e tacquero. Non si sentiva lo sfrigolìo del materiale solido che esplodeva. Non si formò né vapore né fumo. Quando lo kzin sollevò le dita dal grilletto, la luce sparì immediatamente; la macchia non bruciava e non vi era rimasto nessun segno.
— Si tratta di qualcosa di nuovo — disse il burattinaio. — Sembra che non trattenga il calore. Ma lo scafo della General Products non è stato danneggiato e nemmeno il campo statico Slaver.
— Avremo bisogno di una protezione per risalire le pareti — disse Louis. Non era particolarmente interessato al materiale basico dell’Anello. Non in quel preciso momento. — Farete meglio a rimanere tutti qui, mentre io cerco di salire.
In fin dei conti, era l’unico a indossare una tuta pressurizzata e refrattaria al calore.
— Vengo anch’io — disse Teela. Muovendosi senza sforzo lo sostenne sotto l’ascella per aiutarlo. Louis si appoggiò pesantemente a lei, traballando. Si mossero verso il pendio di lava.
La lava era un buon punto di appoggio. — Grazie — disse lui, e cominciò ad arrampicarsi. Un attimo dopo si rese conto che Teela lo stava seguendo. Non disse nulla.
Erano saliti di una decina di metri. Teela si mise a saltare, urlando. Si precipitò giù dal pendio. Mentre scendeva a sdruccioloni, si voltò con le mani ai fianchi e alzò lo sguardo verso di lui, offesa e piena di rabbia.
Poteva andar peggio, disse tra sé Louis. Teela pretendeva di scivolare giù dal pendio aiutandosi con le mani nude…
Il banco di lava era alto quindici metri. Terminava in sabbia candida e pulita.
Erano atterrati in un deserto. Scrutando l’orizzonte, non riuscì a scorgere alcun segno di vegetazione o di acqua. Era una fortuna. La Liar poteva andarsi a infilare in una città. O in mezzo a un gruppo di città! La Liar aveva solcato la terra come un aratro…
… un solco che si estendeva per miglia attraverso la sabbia. In lontananza, oltre la fine di quello sgorbio, sulla sabbia, ne incominciava un altro. La nave aveva rimbalzato più volte. La traccia segnata dall’atterraggio della Liar continuava sino a diventare una serie di puntolini, un’orma impercettibile… Louis si trovò a guardare l’infinito.
Sul Mondo ad Anello non esisteva orizzonte. Dove il paesaggio si incurvava non c’era una linea di delimitazione. Terra e cielo sembravano fondersi in una zona in cui i particolari dei continenti diventavano puntini, e i colori si spegnevano gradatamente nell’azzurro del cielo. Il suo sguardo era affascinato dal punto di fuga. Infine sbatté gli occhi con uno sforzo deliberato.
Era come la foschia vuota di Mount Lookitthat, che aveva visto decenni prima e ormai lontana secoli-luce… le profondità non distorte dello spazio come le vedeva un minatore di Belt dalla sua navicella monoposto… l’orizzonte del Mondo ad Anello attanagliava l’occhio e la mente di un uomo prima che facesse in tempo a rendersi conto del pericolo.
Louis si voltò verso il burrone. — Il mondo è piatto! — gridò.
Gli altri sollevarono la testa verso di lui.
— Scendendo abbiamo fatto uno squarcio lunghissimo. Non riesco a vedere se c’è qualcosa di vivente. Abbiamo avuto una bella fortuna. Vedo crateri sparsi qua e là, meteoriti secondarie che costeggiano la parte dalla quale siamo venuti. — Si voltò. — Nell’altra direzione… — e smise di parlare.
— Louis!
— È la montagna più maledettamente grande che abbia mai visto in vita mia.
— Louis!
Aveva parlato sottovoce. — Una montagna — urlò. — Aspettate a vederla! Gli ingegneri del Mondo ad Anello dovevano piazzare una sola enorme montagna. È troppo grande perché possa servire a qualche cosa. Impossibile coltivarci caffè o alberi, persino troppo grande per andarci a sciare. È stupenda!
Un’unica montagna, dalla forma approssimativa di un cono, tutta sola, un vulcano da farsa, perché sotto il Mondo ad Anello non esisteva magma per le formazioni vulcaniche. I piedi della montagna si perdevano nella foschia. Le vette più alte si stagliavano nitide nell’aria che si andava rarefacendo. La cima emetteva un luccichio di neve: neve sporca, perché non era abbastanza luminosa. Forse si trattava di permaghiaccio.
I bordi della vetta erano coronati da una trasparenza cristallina. Che si innalzasse al di sopra dell’atmosfera? Una montagna di quelle dimensioni sarebbe sprofondata sotto il suo stesso peso: doveva essere un involucro fatto col materiale dell’Anello.
I tecnici del Mondo ad Anello cominciano a piacermi, pensò Louis Wu tra sé. In un mondo costruito su ordinazione non esisteva una ragione logica per la presenza di una montagna del genere.
Lo aspettavano al riparo dello scafo. Tutte le domande si condensarono in una sola. — Hai visto qualche segno di civiltà?
— No.
Gli fecero descrivere quanto aveva visto. Stabilirono le direzioni. Spinward era il sud, verso il solco tracciato dall’atterraggio. Anti-spinward era dalla parte opposta, verso la montagna, e rappresentava il nord. Port e Starboard erano l’est e l’ovest.
— Hai visto i bordi, a Starboard o a Port?
— No. Eppure avrebbero dovuto esserci.
— Lo credo bene. Dall’alto si vedevano perfettamente.
— Mi sembra tutto maledettamente stregato.
— Oltre il deserto, che cosa hai visto?
— Una immensa macchia blu. Potrebbe essere un oceano.
— Nessuna costruzione? Nessun segno di civiltà?
— Vi ho già detto di no. Secondo me, i dieci trilioni di Anellari si sono trasferiti in una sfera di Dyson.
— Dobbiamo cercare aiuto per riparare la Liar - disse Teela.
— Quale selvaggio, magari. O qualche sopravvissuto ormai regredito alla preistoria.
— Non siamo costretti a riparare la nave — disse il burattinaio. — Basterà spingerla oltre l’orlo dell’Anello. Il movimento rotatorio la scaglierà verso l’esterno.
— In ogni caso, abbiamo bisogno di aiuto — sospirò Speaker.
— Perché state tutti lì a perdervi in chiacchiere? — eslose Teela. — Perché non trasportiamo i volocicli fuori dalla nave? Muoviamoci! Chiacchiererete dopo!
— Certo che ce ne andremo — disse il burattinaio. — Dobbiamo sono decidere dove andare.
— Ci dirigiamo alla parete più vicina!
— Teela ha ragione — disse Louis. — Se da qualche parte c’è una civiltà, deve essere sulla parete del bordo. Ma non sappiamo dove sia. Da lassù avrei dovuto scorgerla.
— No — disse il burattinaio.
— Tu non c’eri, per tutti i diavoli! Lassù potresti guardare in eterno. Per miglia e miglia senza interruzione! Aspetta un momento.
— Il Mondo ad Anello è largo all’incirca un milione di miglia UN.
— Ci stavo proprio arrivando — disse Louis Wu. — La gradazione in scala continua a ingannarmi. Non riesco a vedere con chiarezza niente di così grande.
— Ci riuscirai — lo rassicurò il burattinaio.
— Chissà. Forse il mio cervello non è abbastanza sviluppato. Continuo a ricordare quando era stretto l’Anello visto nello spazio. Come un pezzo di nastro celeste. Un nastro celeste — ripeté Louis. E rabbrividì.
Cominciarono a spostare gli apparecchi, calandoli con un cavo di metallo dall’interno della Liar. Passando dalla cabina-controllo, Louis scorse Teela, imbronciata, che guardava fuori attraverso la parete trasparente. Si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. La ragazza reagì, scostandosi.
— Che hai? — domandò Louis. — Sei offesa perché ti ho rimproverato? Ma ti rendi conto che sei uscita senza tuta, e che poi sei salita sopra la lava ancora calda, quasi a piedi nudi?
— Avevo voglia di bruciarmi i piedi.
— Come preferisci. Ti sarà più facile ricordare le scottature che le mie prediche.
— Sono arrabbiata con voi. Mi considerate solo un portafortuna.
Louis sorrise. L’abbracciò: — Teela, tesoro, ma che dici? Noi abbiamo bisogno dei tuoi consigli… E poi, ho intenzione di farti fare i lavori più pesanti, mentre noi osserviamo il paesaggio.
Teela riuscì a sorridere. Poi, di colpo, cominciò a piangere. Nascose il viso sulla spalla di Louis e gli si appoggiò singhiozzando disperatamente.
Non era proprio la prima volta che una donna si abbandonava in lacrime sulla spalla di Louis Wu. Teela aveva probabilmente qualche ragione in più delle altre. La tenne stretta, strofinandole le dita lungo la schiena in un tentativo semiautomatico di massaggiarla, e aspettò che le passasse.
— Come potevo sapere che la roccia scottava? — disse Teela con la bocca pressata sulla tuta di Louis.
— Pensa alle Leggi di Finaglo. La perversità dell’universo tende sempre al massimo. Senti — continuò Louis, — devi imparare a pensare come un paranoide. Pensa come Nessus.
— Non posso. Non so come la pensa lui. Non lo capisco affatto. — Rialzò il viso rigato di lacrime. — Non capisco te.
— Dobbiamo portare qualsiasi oggetto che si possa usare come arma — disse Speaker-agli-Animali. Frugava fra gli apparecchi disseminati attorno alla nave.
— Niente armi — rispose Nessus. — Noi burattinai vogliamo venire considerati esseri pacifici in tutto il cosmo. Noi non siamo né umani né kzin, sempre pronti a scannarsi a vicenda.
Speaker aveva radunato strani congegni dall’aria minacciosa. — E questi cosa sono? — chiese.
— Laser e riflettori, non lo vedi? Questa è una scavatrice a raggio.
— E se dovessimo fare brutti incontri?
— Ho sempre il tasp. Ed è mia esclusiva proprietà. Avete dimenticato che la nostra spedizione appartiene ai burattinai? — Sembrava molto contento: — I burattinai nel cosmo — gridò. — I burattinai nel cosmo, e le altre razze sono comparse!
Louis lo guardò, vivamente incuriosito. Poi scosse la testa. Si avvicinò a una serie di dischi comunicatori disegnati per il polso umano e per il polso kzinti. Nessus avrebbe potuto infilarselo in uno dei due colli. — E questi? — domandò Louis Wu.
Il burattinaio stava predisponendo i volocicli multipli. Si voltò verso Louis: — In origine servivano per le comunicazioni con il pilota automatico. Adesso sono dei traduttori. Se ci imbattessimo in creature intelligenti, forse potremmo comunicare… Un’invenzione dei burattinai, mio caro terrestre.
Avevano terminato il lavoro. Sotto lo scafo della Liar era rimasta qualche attrezzatura. Materiale inutile: equipaggiamenti per la caduta libera in spazi profondi, tute pressurizzate, alcune parti di ricambio degli apparecchi ridotti in vapore dal sistema difensivo del Mondo ad Anello.
Louis era stanco morto. Salì sul suo volociclo e diede un’occhiata attorno chiedendosi se aveva dimenticato qualche cosa. Vide Teela che sollevava gli occhi verso la stella: — Non c’è giustizia — imprecò. — È ancora mezzogiorno!
— Non farti prendere dal panico. Il…
— Louis! Abbiamo trafficato per sei ore buone. Come può essere ancora mezzogiorno?
— Non ti preoccupare. Il sole non tramonta.
— Non tramonta? — L’attacco d’isterismo finì quasi prima di cominciare. — Ah. È naturale, non tramonta.