I quattro volocicli si alzarono a grappolo nella luce del giorno calante. Il pavimento dell’Anello si allontanò dalla loro vista.
Nessus aveva insegnato ai suoi compagni l’uso del circuito del collegamento di guida. I volocicli erano programmati in modo da imitare qualunque cosa Louis facesse. Il terrestre guidava anche per loro. Sul sedile sagomato come una poltrona auto-massaggiante, pilotava il volociclo con i pedali e con la leva di comando.
Nel cruscotto fluttuavano quattro teste in miniatura e dall’aspetto allucinante. Una deliziosa sirena dai capelli corvini, un feroce quasi-tigre dagli occhi troppo intelligenti, e un paio di pitoni con un solo occhio. Il relais dell’interfono funzionava perfettamente, con un risultato simile a un’esplosione di delirium tremens.
I volocicli si levarono al disopra dei pendii di lava nera. Louis osservò le espressioni degli altri. La prima a reagire fu Teela. Scrutò velocemente la distanza, poi cercò l’infinito. Gli occhi le si sgranarono, completamente tondi, e il suo viso s’illuminò: — Oh, Louis!
— Che montagna favolosa — disse Speaker.
Nessus non parlò. Le sue teste si agitavano.
All’improvviso, un’ombra nera sfiorò la montagna per dileguarsi dopo pochi istanti. Il sole era un frammento d’oro striato di nero. E qualcosa prese forma nel cielo.
Un arco immenso.
Cielo e terra furono inghiottiti dall’oscurità. L’Anello si inarcava di fronte a loro, paurosamente alto, vertiginoso. Era l’immenso arco che risplendeva, inimmaginabilmente enorme, una forma compatta eppure leggera, aeriforme, una sconvolgente forma circolare creata da esseri intelligenti che sembravano misteriosamente estinti.
Louis sobbalzò. Un fragore di musica d’organo violò lo spazio del suo volociclo. Ma l’organo suonava in modo straziante, stonato, angoscioso. Louis si tappò le orecchie. Non capiva. Poi fece scattare il video, e l’immagine di Nessus apparve come un fantasma poco prima dell’alba. Il burattinaio urlava di terrore. Poi, gradualmente, il tremendo barrito si calmò. Divenne simile a un prolungato lamento funebre.
— Ci metterà un bel pezzo, prima di abituarsi — disse Speaker.
— Abituarsi a cosa? — domandò Teela.
— Assumo io il comando — ruggì lo kzin. — L’erbivoro è un povero vigliacco.
Louis pensò di contrastare il comando a Speaker. Ma non aveva il coraggio di accapigliarsi con l’orso spaziale. E poi, Speaker sarebbe stato un capo migliore di lui, in caso di pericolo.
I volocicli, intanto, erano saliti di mezzo miglio. Il cielo e la terra erano neri, ma sulla terra c’erano ombre ancora più scure che davano alla geografia del luogo non colore ma forma; il cielo, spruzzato di stelle, era dominato da quell’arco schiacciante.
Non c’era da stupirsi se Nessus non era stato capace di sopportarne la vista. Era troppo realista. Forse vedeva la bellezza, o forse no. Certo sapeva che erano abbandonati in un luogo deserto, su una struttura artificiale, in una superficie più grande di tutti i mondi dell’impero burattinaio.
— Credo di vedere le pareti del bordo — disse Speaker.
Louis distolse a fatica gli occhi dalla curva del cielo. Guardò verso Port e verso Starboard e si sentì mancare il cuore.
La sporgenza della parete formava una linea nero-blu su nero-blu. Louis non riusciva a immaginarne l’altezza. La base non era nemmeno accennata. Soltanto lo spigolo superiore era visibile, e nel momento in cui Louis lo guardò, svanì. Quella linea era precisamente dove avrebbe dovuto trovarsi l’orizzonte.
I volocicli accelerarono ancora, in silenzio, a una velocità di poco inferiore a quella del suono. Una risonanza improvvisa irruppe nel campo sonico. Toccò il culmine, poi si interruppe di colpo. Il campo sonico si ricompose in una forma e fu di nuovo silenzio. Louis si rilassò nel sedile del volociclo. Ci sarebbe voluto più di un mese, pensò, per abituarvisi del tutto. Si mise a controllare il suo veicolo. Le attrezzature per il riposo erano semplici, comode e anche facili da usare. Provò a spingere una mano dentro il campo sonico. Era un campo di forza, una rete di vettori destinati a fare circolare le correnti d’aria intorno allo spazio occupato dal volociclo. Ma non era tenuto a comportarsi come una parete di vetro. Al tatto, Louis sentì un forte vento che soffiava spingendo contro di lui da tutte le direzione. Si trovava dentro una bolla protettiva di vento impetuoso.
Il campo sonico sembrava a prova-di-deficienti.
Ne ebbe la certezza strappando un fazzoletto di carta che lasciò volare via. Il fazzoletto svolazzò sotto il volociclo e si fermò sospeso in aria, vibrando all’impazzata. Louis era propenso a credere che se fosse caduto dal sedile, cosa piuttosto improbabile, sarebbe rimasto imprigionato dal campo sonico e avrebbe avuto la possibilità di risalire sul veicolo.
Figurarsi. I burattinai…
Il tubo idraulico gli procurò dell’acqua distillata e il distributore-ristorante gli servì i panini. Per sei volte programmò un panino e lo lasciò cadere nell’aspiratore dopo avergli dato un morso. Ogni panino aveva un sapore diverso ed erano tutti ottimi. Compose la cifra per un settimo panino e lo mangiò.
Era snervante pensare quanto erano lontani da qualsiasi genere di aiuto. La Terra distava duecento anni-luce; la flotta burattinaia ormai a due anni-luce di distanza si stava allontanando quasi alla velocità della luce; e anche la Liar, semidistrutta, era ormai invisibile.
L’arco dell’Anello risplendeva su di loro: una superficie tre milioni di volte più ampia di quella della Terra. Sul Mondo ad Anello c’era abbastanza spazio per perdersi tranquillamente.
— Louis, possiamo parlare in privato? — domandò Nessus.
Le immagini trasparenti di Speaker e di Teela sembravano assopite. Louis li escluse dal circuito interfonico. — Sentiamo.
— Che cosa è successo?
— Non hai sentito?
— Ero arrotolato, Louis. E quando ho le orecchie sulla pancia, non sento.
— Come stai, adesso?
— Male. Sperduto. Senza sopra né sotto.
— Be’, siamo tutti un po’ frastornati. In poche ore, abbiamo percorso trecentomila miglia. Sarebbe andata meglio con le cabine-transfert, vero?
— Accidenti!
— Che ti succede?
— Speaker è fuori dal raggio del tasp.
— Meglio così, Nessus. Quando sei caduto in catatonia è diventato lui il Capo.
— Puoi mettermi in contatto?
Louis si inserì nell’interfono di Speaker. Si aspettava parole roventi, ma rimase deluso. Lo kzin e il burattinaio si scambiarono frasi piene di cortesia. Nessus espose le sue scuse per avere causato il disastro della Liar. Lo kzin gli disse di non preoccuparsi: — Non sei più te stesso, quando cadi nella fase depressiva.
Nessus reagì: — Sono una creatura intelligente. Con Teela Brown ho commesso un errore. Dovevo capire prima il motivo per cui non trovavo candidati adatti al posto di Teela.
— Come dici? — si intromise Louis.
— Dico che gli altri candidati erano troppo fortunati. Non potevano venire coinvolti in una spedizione pericolosa come la nostra. Ti chiedo di perdonarmi, Louis.
— Smettila.
— Voglio chiedere il perdono di Teela.
— La colpa è mia. Potevo impedirle di partire con noi.
— Non è vero. Mi sento in colpa…
— Oh, vai a dornire!
— Non ce la faccio, a dormire. — Il burattinaio non capiva lo scherzoso invito di Louis.
— Allora pilota tu — concluse il terrestre. — Dormo io.
Fu svegliato, sette ore dopo, dalle prime luci. Non esisteva il beccuccio per il caffè.
Louis stava buttando giù un panino, quando si accorse delle spie verdi accese sul suo cruscotto. Rimase perplesso, poi ricordò di avere escluso Teela e Speaker dall’interfono, la sera precedente. Li inserì nuovamente.
— Buon giorno — disse Speaker. — Hai visto l’alba? Eccitava il senso artistico.
— L’ho vista, ’giorno, Teela.
Teela non rispose.
Louis si avvicinò al cruscotto per guardare. Teela era affascinata, estatica come se avesse raggiunto il nirvana.
— Nessus, hai usato il tasp sulla mia donna?
— No, Louis, perché mai?
— Da quanto tempo si trova in quello stato?
— Quale stato? — chiese Speaker. — In queste ultime ore non è rimasta in contatto con me, se è questo che vuoi dire.
— Intendo parlare della sua espressione, maledizione!
L’immagine di Teela, fluttuante nel suo cruscotto, guardava all’infinito attraverso la massa della testa di Louis. Teela era dolcemente, completamente felice.
— Mi sembra rilassata — disse lo kzin, — e completamente a suo agio. Le sfumature più belle dell’espressione umana…
— Pensa a farci atterrare. È in trance!
Si abbassarono di colpo di un miglio. Louis sopportò la nausea che la caduta libera gli dava, finché Speaker non mise di nuovo in funzione la propulsione a razzo. Tenne d’occhio l’immagine di Teela per seguirne le reazioni. La ragazza appariva serena. Gli angoli della sua bocca si rialzavano in un accenno di sorriso.
Mentre perdevano quota, Louis si lasciò cogliere dall’irritazione. Possedeva una certa cognizione dell’ipnosi: nozioni a spizzichi e bocconi che un uomo può collezionare in più di duecento anni di osservazione tridimensionale. Se solo fosse riuscito a ricordarsene.
I verdi e i rosa si concretizzarono in campi e foreste, e in un corso d’acqua. Una regione lussureggiante e selvaggia quale gli abitanti delle megalopoli si aspettavano di trovare in un mondo coloniale.
— Vedi di farci scendere in una valle — disse Louis a Speaker. — Vorrei portare Teela fuori dalla vista dell’orizzonte.
— Benissimo. Tu e Nessus staccatevi dall’auto-pilota e seguitemi manovrando a mano. Penserò io a fare atterrare Teela.
La formazione dei volocicli si spezzò per poi ricomporsi. Speaker si spostò verso Port-Spinward dirigendosi al corso d’acqua che Louis aveva individuato. Gli altri lo seguirono.
— Le piante sono molto simili a quelle terrestri — disse Louis. Gli alien si dichiararono d’accordo con lui.
Seguirono l’ansa del fiume. Lungo un ampio tratto della riva qualche nativo stava preparando una rete per la pesca. Non appena la fila dei volocicli fece la sua apparizione alzarono il capo verso di loro. Per un lungo istante si limitarono a trascurare la rete, intenti com’erano a fissarli con le bocche spalancate.
Louis, Nessus e Speaker ebbero la medesima reazione. Tirarono diritto, aumentando però un poco la quota. I nativi si rimpicciolirono, riducendosi a puntolini; il corso d’acqua si restrinse sino a diventare un serpeggiante filo d’argento. La foresta lussureggiante e selvaggia si trasformò in una macchia confusa giallo-bruna.
— Inseritevi sull’auto-pilota — ordinò Speaker, in un tono di comando inequivocabile. — Atterreremo in un punto qualunque.
Quel tono autoritario doveva essere strettamente riservato ai contatti con gli umani. I doveri di un ambasciatore, meditò Louis, erano veramente molti e di diversa natura.
A quanto sembrava, Teela non si era accorta di nulla.
— Be’? — fece Louis.
— Erano uomini — disse Nessus.
— Lo erano o no? Potrei anche avere avuto un’allucinazione. Come possono esserci degli uomini, qui?
Ma nessuno si provò a rispondere.