L’omo catturato arrisultò essere un pericoloso latitante che nessuno, da cinque anni, arrinisciva a pigliare. Non era di quelle parti, evidentemente era staro sorpreso in marcia di trasferimento.

Nei tre giorni che vennero appresso, il maresciallo Brancato ebbe continuamente a che fare con due grossi problemi. Il primo era quello di non dare conto ai giornalisti che si erano precipitati a Belcolle per intervistarlo, e che erano peggio delle mosche cavalline, il secondo era di tenere fora dalla partita a Ciccino, «lo sconosciuto pastore» come avivano scritto su un giornale «che aveva coraggiosamente collaborato alla cattura».

Il maresciallo si arrisolse a parlarne col capitano Ventura, che era omo che capiva le situazioni, e gli spiegò chi era Ciccino e quale momento difficile stava attraversando. Se si vidiva davanti a omini in divisa, capace che reagiva in malo modo.

La parlata s’arrivelò la mossa giusta.

A farla breve, passati quattro giorni, non c’era un cane che s’arricordasse più di tutta la facenna. Fatta eccezione dell’appuntato Colamonaci che una sera gli sparò una domanda a tradimento.

«Mi levi una curiosità, maresciallo, ma quel fucile da caccia che Ciccino puntò alla nuca del latitante era quello stesso di cui lei mi domandò se…»

«Sì, lo stesso» fece brusco il maresciallo taliandolo malamente.

E le curiosità di Colamonaci finirono lì.

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