Lois McMaster Bujold Il nemico dei Vor

CAPITOLO PRIMO

La navetta da combattimento se ne stava accucciata nella stiva di attracco del cantiere di riparazione, silenziosa ed immobile… e anche malevola, secondo l’opinione prevenuta di Miles. La superficie di metallo e fibroplastica era bruciata e piena di buchi. E pensare che quando era nuova gli era sembrata un velivolo così risplendente, efficiente e orgoglioso. Forse tutti quei traumi le avevano provocato un cambiamento psicotico della personalità. Solo pochi mesi prima era stata nuova di zecca…

Miles si passò stancamente le mani sul volto, sbuffando forte. Se davvero nell’aria c’erano le avvisaglie di una psicosi incipiente, non erano certo limitate alla macchina. Nell’occhio di chi guarda, appunto. Districò le gambe dalla panca su cui si era appoggiato e raddrizzò la schiena di quel tanto che gli permetteva la sua spina dorsale. Il comandante Quinn, sempre attenta ai suoi movimenti, lo seguì.

«Ecco» disse Miles zoppicando lungo la fusoliera e indicando il portello di babordo della navetta, «questo è il difetto di progettazione che mi preoccupa maggiormente.» E fece cenno all’ingegnere commerciale dei Cantieri Orbitali Kaymer di avvicinarsi. «La rampa di questo portello si estende e rientra automaticamente, con un comando manuale… e fin qui, tutto bene. Ma il vano si trova all’interno del portello, il che significa che se per qualche ragione la rampa resta fuori, il portello non si può richiudere… con le conseguenze che le lascio immaginare.» Miles non aveva bisogno di immaginarle: da tre mesi erano stampate a fuoco nella sua memoria, un replay istantaneo senza pulsante di stop.

«E lo avete scoperto a vostre spese su Dagoola IV, ammiraglio Naismith?» domandò interessato l’ingegnere, un uomo magro, di altezza leggermente superiore alla media.

«Già. Abbiamo perso… degli uomini. E c’è mancato poco che anch’io fossi tra loro.»

«Capisco» commentò l’altro in tono rispettoso, ma gli tremarono e sopracciglia.

Come osi avere l’aria divertita… Ma per sua fortuna, l’ingegnere non sorrise. Si sporse lungo il fianco della navetta e fece scorrere le mani sul vano della rampa, poi sollevò il viso al di sopra della fusoliera, osservò con attenzione e dettò alcuni appunti nel suo registratore. Miles resistette all’impulso di saltare su e giù come una rana per cercare di vedere cosa stesse guardando: sarebbe stato molto poco dignitoso. Dato che arrivava a malapena al petto dell’ingegnere, per raggiungere anche solo il vano di carico della rampa in punta di piedi gli ci sarebbe voluta una scaletta di almeno un metro. E in quel momento era decisamente troppo stanco per darsi alla ginnastica, né intendeva chiedere a Elli Quinn di sollevarlo. Alzando il mento nel vecchio tic nervoso involontario, attese in posizione di riposo, come si addiceva alla sua uniforme, con le mani dietro la schiena.

L’ingegnere ricadde con un tonfo sul pavimento della stiva. «Sì, ammiraglio, credo proprio che la Kaymer potrà rimediare al problema. Quante di queste navette ha detto che avete?»

«Dodici.» Quattordici meno due faceva dodici, di solito, ma non nella flotta dei Liberi Mercenari Dendarii, dove quattordici navette meno due equivalevano a duecento e sette morti. Smettila intimò Miles alla vocina beffarda che continuava a fare calcoli nella sua mente. In questo momento non fa del bene a nessuno.

«Dodici.» L’ingegnere prese un appunto. «C’è altro?» chiese gettando un’occhiata alla navetta malridotta.

«Saranno i nostri meccanici a effettuare le riparazioni minori, visto che sembra proprio che saremo costretti a fermarci qui per un po’. Ho voluto occuparmi personalmente di questo problema della rampa, ma il mio comandante in seconda, il commodoro Jesek, che è ingegnere capo della flotta, vuole parlare con i vostri tecnici del Salto per la ricalibratura di alcune delle sbarre Necklin. Ho un pilota del Salto con una ferita alla testa, ma mi sembra di capire che la micro neurochirurgia per gli impianti del Salto non faccia parte delle specialità della Kaymer. E neppure il sistema armamenti, vero?»

«No, infatti» confermò frettoloso l’ingegnere. Sfiorò una bruciatura sulla superficie butterata della navetta, forse affascinato dalla violenza di cui il velivolo era stato silenzioso testimone, perché aggiunse: «La Kaymer Orbitale fornisce assistenza soprattutto ai velivoli mercantili. Una flotta mercenaria è una cosa un tantino inusuale da questa parte della distorsione galattica. Come mai siete venuti da noi?»

«Eravate i meno cari.»

«Oh… non alla Kaymer Corporation sulla Terra. Mi stavo chiedendo come mai foste venuti sulla Terra. Siamo parecchio lontani dalle principali rotte commerciali, tranne che per i turisti e per gli storici. Siamo… pacifici.»

Quello che mi chiede è se abbiamo un contratto qui, si rese conto Miles. Qui, su un pianeta con nove miliardi di anime, le cui forze militari tutte insieme si farebbero un sol boccone dei cinquemila effettivi dendarii… giusto. Crede forse che voglia creare guai sulla vecchia madre Terra? O crede che se le cose stessero così, potrei fare uno strappo alla sicurezza e informarlo…? «Pacifici, appunto» disse Miles in tono conciliante. «I dendarii hanno bisogno di riposare e di riprendersi. Un pianeta pacifico lontano dalle rotte principali della distorsione è proprio quello che ci aveva ordinato il dottore.» E dentro di sé rabbrividì, pensando al conto del dottore ancora in sospeso.

Non era Dagoola: l’operazione di salvataggio era stato un trionfo di tattica, quasi un miracolo militare; il suo stato maggiore non aveva fatto che ripeterglielo, quindi forse anche lui poteva cominciare a crederci.

La fuga da Dagoola IV era stata la terza tra le più grandi fughe di prigionieri di guerra della storia, aveva detto il commodoro Tung, e visto che la storia militare era la sua ossessione e il suo hobby, chi meglio di lui poteva saperlo? I dendarii avevano portato via da sotto il naso dell’Impero Cetagandano oltre diecimila soldati prigionieri, un intero campo di PDG, e li avevano trasformati nel nucleo di un nuovo esercito guerrigliero su di un pianeta che fino a quel momento i cetagandani avevano considerato un facile terreno di conquista. I costi erano stati bassissimi a fronte dei risultati spettacolari… tranne che per gli individui che avevano pagato quel trionfo con la loro vita e per i quali il prezzo era qualcosa di infinito, diviso per zero.

«E tutti questi danni li avete riportati su Dagoola IV?» proseguì l’ingegnere, sempre affascinato dalla navetta.

«Dagoola era un’operazione segreta» rispose Miles rigido. «Non siamo autorizzati a discuterne.»

«Qualche mese fa ha fatto grande scalpore nei notiziari» gli assicurò il terrestre.

Mi fa male la testa… Miles si premette i palmi delle mani sulla fronte, incrociò le braccia ed appoggiò la guancia su una mano, scoccando un sorriso all’ingegnere. «Splendido» mormorò. Il comandante Quinn trasalì.

«È vero che i cetagandani le hanno messo una taglia sulla testa?» chiese tutto allegro l’ingegnere.

«Sì» rispose Miles con un sospiro.

«Oh. Ah. Credevo che si trattasse solo di una diceria.» Si scostò di un passo, come se l’atmosfera di morbosa violenza che alleggiava sul mercenario potesse contagiarlo, se gli andava troppo vicino. E forse non aveva torto. Si schiarì la voce. «Ora, per quanto riguarda la formula di pagamento per le modifiche del progetto… lei cosa aveva in mente?»

«Contanti alla consegna» rispose pronto Miles, «previa ispezione e approvazione del lavoro da parte del mio staff tecnico. Erano queste le condizioni della vostra offerta, credo.»

«Ah… già. Hmm.» Il terrestre distolse la propria attenzione dal velivolo e Miles ebbe la sensazione di sentire il suo cervello che si trasformava da ingegnere tecnico ad amministratore. «Queste sono le condizioni che offriamo normalmente ai nostri clienti di società registrate.»

«La Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii è una società a tutti gli effetti, registrata nel Gruppo Jackson.»

«Mmm, sì, ma… come dire… il rischio più esotico che possono correre i nostri clienti abituali è la bancarotta, contro la quale abbiamo un’infinità di protezioni legali. La sua flotta mercenaria è, ummm…»

Si sta chiedendo come potrebbe farsi pagare da un cadavere, pensò Miles.

«… molto più rischiosa» terminò schietto l’ingegnere, scrollando le spalle, come per scusarsi.

Almeno era una persona onesta…

«Non abbiamo intenzione di maggiorare l’offerta fatta, ma temo che saremo costretti a richiedere un pagamento pronta cassa.»

«Visto che tanto stiamo scambiandoci piacevolezze… questo non garantisce noi da un lavoro malfatto» ribatté Miles.

«Potrete sempre fare causa» gli fece notare l’ingegnere, «come chiunque altro.»

«Potrei sempre far saltare…» Le dita di Miles tamburellarono sui pantaloni, nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la fondina della sua arma. La Terra, la vecchia Terra, la vecchia, civilissima Terra. Il comandante Quinn, al suo fianco, gli sfiorò il gomito, come a volerlo trattenere. Miles le lanciò un breve sorriso rassicurante: no, non aveva intenzione di lasciarsi trasportare dalle "esotiche" possibilità da Ammiraglio Miles Naismith, Comandante in capo della Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii. Sono solo stanco, diceva quel sorriso. Ma lo sguardo intenso dei brillanti occhi castani di lei replicò: «Stronzate, signore. Quella però era un’altra faccenda, di cui non avrebbero certo discusso ad alta voce lì, in pubblico.»

«Potete cercare un’offerta migliore, se lo desiderate» disse l’ingegnere in tono neutro.

«Lo abbiamo fatto» fu la secca replica di Miles. E tu lo sai benissimo… «Bene. Che ne dice di… metà pronta cassa e metà alla consegna?»

Il terrestre aggrottò la fronte e scosse il capo. «La Kaymer non gonfia i suoi preventivi, ammiraglio Naismith. E le nostre eccedenze di costo sono le più basse nel giro e questo è per noi motivo di orgoglio.»

Il termine eccedenze di costo colpì Miles allo stomaco, facendogli tornare in mente Dagoola. Ma quanto ne sapeva realmente questa gente di Dagoola?

«Se la sua maggiore preoccupazione sono le nostre capacità di eseguire il lavoro a regola d’arte, si potrebbe istituire un conto a garanzia controllato da un terza parte neutrale, come una banca, finché non sarà stata accettata la consegna del lavoro. Non è un compromesso molto soddisfacente, dal punto di vista della Kaymer, ma è il massimo che posso fare.»

Una terza parte neutrale terrestre, pensò Miles. Se non si fosse informato sulle capacità della Kaymer, non sarebbe stato lì in quel momento. No, Miles stava pensando alle sue disponibilità di cassa, e queste non erano certo affari della Kaymer.

«Avete problemi di liquidità, ammiraglio?» si informò l’ingegnere con un certo interesse. Miles credette di vedere nei suoi occhi l’aumento di prezzi.

«Assolutamente no» mentì convinto. Voci incontrollate su possibili problemi di liquidità dei dendarii avrebbero potuto mandare a gambe all’aria molto più che le riparazioni della navetta. «Va bene: contanti in un fondo di garanzia.» Se lui non avesse potuto avere accesso ai suoi fondi, non lo avrebbe avuto neppure la Kaymer. Elli Quinn, al suo fianco, sibilò tra i denti. L’ingegnere terrestre e il capo dei mercenari si strinsero solennemente la mano.

Mentre tornavano verso l’ufficio del terrestre, Miles si fermò un istante accanto ad un oblò che mostrava una splendida inquadratura della Terra dall’orbita. L’ingegnere sorrise e attese educatamente, e anche con un certo orgoglio.

La Terra. La vecchia Terra, storica, romantica, la grande biglia azzurra. Miles si era sempre aspettato di venirci, un giorno o l’altro, ma certo non in circostanze come quelle.

La Terra restava sempre il più grande, il più ricco, il più vario e popolato pianeta di tutto lo spazio esplorato della distorsione galattica. La mancanza di buoni punti di uscita nello spazio locale e la frammentazione politica ne facevano un pianeta minore militarmente e strategicamente dal punto di vista galattico. Ma culturalmente la Terra continuava ad avere la supremazia, anche se non governava. Segnata dalle guerre più di quanto lo fosse Barrayar, possedeva lo stesso livello tecnologico della Colonia Beta. La Terra era la meta principe di tutti i pellegrinaggi sia religiosi che laici… per questa ragione lì erano riunite le ambasciate più importanti di tutti quei mondi che erano in grado di mantenerne una. Compreso, rifletté Miles mordicchiandosi le pellicine del dito indice, l’Impero Cetagandano. L’ammiraglio Naismith doveva cercare con ogni mezzo di evitarli.

«Signore?» Elli Quinn interruppe le sue meditazioni. Miles rivolse un breve sorriso a quel viso dai tratti scolpiti, il migliore che il suo denaro fosse stato in grado di pagare dopo la bruciatura da plasma e al tempo stesso, grazie al genio dei chirurghi, sempre e inconfondibilmente quello di Elli. Se si fosse potuto riparare così facilmente anche a tutte le altre perdite avvenute sotto il suo comando! «Il commodoro Tung è al video terminale.»

Il sorriso di Miles si spense: cosa c’era, ora? Si allontanò dall’oblò e la seguì, prendendo possesso dell’ufficio dell’ingegnere con un educato ma inequivocabile: «Vuole scusarci, per favore?»

Il volto largo e inespressivo del suo terzo ufficiale si formò al di sopra della video piastra.

«Sì, Ky?»

Ky Tung, che si era già tolto l’uniforme e indossava abiti civili, lo salutò con un breve cenno del capo. «Ho appena finito di prendere gli accordi al centro di riabilitazione per i nostri nove feriti gravi. Le prognosi sono buone, in linea di massima. Ritengono anche di poter recuperare quattro dei nostri criogenati, e magari anche cinque, se hanno fortuna. E i chirurghi pensano di essere in grado di riparare l’impianto di balzo di Demmi, una volta che il tessuto neurale vero e proprio sia guarito. Naturalmente, questo verrà a costare…» Tung indicò una cifra in crediti Federali GSA; Miles la convertì mentalmente in Marchi Imperiali Barrayarani ed emise uno squittio strozzato.

«Appunto» commentò Tung con un sorrisetto amaro. «A meno che tu non voglia lasciar perdere l’impianto di balzo: costa quanto tutto il resto messo assieme.»

Miles scosse il capo. «C’è un certo numero di persone nell’universo che sarei ben lieto di ingannare, ma i miei feriti non sono tra questi.»

«Ti ringrazio, sono d’accordo» disse Tung. «Sto per andare via: l’ultima cosa che mi resta da fare è firmare una nota in cui mi assumo personalmente la responsabilità del conto. Sei proprio sicuro che riuscirai a raccogliere qui il compenso che ci devono per l’operazione Dagoola?»

«È appunto la prossima cosa che farò» promise Miles. «Tu firma, al resto penso io.»

«Molto bene, signore» disse Tung. «Dopodiché posso andarmene in licenza a casa?»

Tung il terrestre, l’unico che Miles avesse mai conosciuto… il che spiegava, forse, l’attrazione e la disposizione favorevole che inconsciamente avvertiva nei confronti di quel pianeta. «Di quanta licenza sei in arretrato, a questo punto, Ky? Un anno e mezzo?» Con tanto di paga, ohimè, aggiunse una vocetta nella sua mente, che venne subito tacitata come indegna. «Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi.»

«Grazie.» Il viso di Tung si addolcì. «Ho appena parlato con mia sorella: ho un nuovo nipotino!»

«Congratulazioni» disse Miles. «È il primo?»

«Sì.»

«E allora vai. Se ci dovessero essere complicazioni ce ne occuperemo noi. Tu sei indispensabile solo in combattimento, eh? Ah… dove sarai?»

«A casa di mia sorella, in Brasile. Ho quattrocento cugini, là.»

«Brasile, bene. Bene.» Dove diamine era il Brasile? «Divertiti.»

«Senz’altro.» Il mezzo saluto con il quale Tung si congedò era decisamente raggiante. Il suo volto scomparve dal video.

«Maledizione» sospirò Miles, «mi spiace privarmene, anche se è solo per una licenza. Be’, se la merita.»

Elli si appoggiò allo schienale della sedia, e il suo respiro gli sfiorò i capelli scuri e i pensieri cupi. «Posso permettermi di dire, Miles, che Tung non è il solo ufficiale superiore ad aver bisogno di riposo? Persino tu devi scaricare la tensione, ogni tanto. E poi anche tu sei stato ferito.»

«Ferito?» La tensione gli irrigidì la mascella. «Oh, le ossa… ma le ossa rotte non contano. È da quando sono nato che ho le ossa fragili; devo solo imparare a resistere alla tentazione di giocare all’ufficiale superiore sul campo. Il posto giusto per le mie chiappe è una bella seggiola imbottita in sala tattica, non al fronte. Se avessi saputo in anticipo che Dagoola si sarebbe trasformata in un… esercizio fisico, ci avrei mandato qualcun altro come falso PDG. E in ogni caso, la mia licenza l’ho avuta, in infermeria.»

«E poi hai passato un mese ad aggirarti con lo stesso aspetto di un cadavere criogenico rianimato in un forno a microonde. Quando entravi in una stanza, sembravi un’apparizione dell’Oltretomba.»

«Tutta la faccenda di Dagoola l’ho retta sull’onda dell’isterismo puro: non si può stare tanto sulla corda senza pagarla con un po’ di depressione. Io almeno, non posso.»

«La mia impressione era che ci fosse qualcosa di più, sotto.»

Miles fece ruotare la sedia e la affrontò con un ringhio. «Ma non ti arrendi mai! Sì, è vero: abbiamo perso delle brave persone e a me non piace perdere gente in gamba. E piango, anche, ma in privato, se non ti spiace!»

Elli si ritrasse, con espressione sconvolta e subito Miles addolcì il tono, vergognandosi profondamente del suo scoppio d’ira. «Scusami, Elli: so di essere irritabile. La morte di quel prigioniero che è caduto dalla navetta mi ha scosso più… più di quanto avrebbe dovuto. Sembra proprio che non riesca a…»

«Ho parlato a sproposito, signore.»

Quel "signore" fu come uno spillone conficcato in un bambolina voodoo a sua immagine e somiglianza. Miles trasalì. «Niente affatto.»

Bene, bene, bene: tra tutte idiozie che si era imposto come Ammiraglio Naismith, c’era anche la dichiarata decisione di non avere alcun rapporto intimo con i suoi subordinati. Gli era sembrata una buona idea, approvata anche da Tung. Ma Tung era nonno, per amor del cielo, e con ogni probabilità le sue gonadi si erano atrofizzate da anni. Miles ricordò come aveva scansato la prima, e unica, avances che Elli aveva tentato nei suoi confronti. «Un buon impiegato non va a fare spese nel negozio della sua società» le aveva spiegato gentilmente. Perché lei non gli aveva tirato un pugno sul muso per la sua fatuità? Invece aveva incassato senza commenti quell’insulto involontario e non ci aveva più riprovato. Chissà se si era mai resa conto che lui aveva inteso parlare di se stesso, e non di lei?

Tutte le volte che restava con la flotta per lunghi periodi, cercava sempre di affidarle degli incarichi distaccati dai quali, invariabilmente, Elli tornava con risultati superbi. Era stata lei a comandare il gruppo mandato in avanscoperta sulla Terra e quando la flotta dendarii era entrata in orbita, sia la Kaymer che tutti gli altri fornitori erano già pronti. Un ottimo ufficiale, probabilmente il migliore, dopo Tung. Cosa non avrebbe dato per potersi tuffare in quel corpo snello e flessuoso e abbandonarsi in esso, ora. Ma era troppo tardi, si era giocato tutte le sue possibilità.

Elli increspò le labbra morbide in una smorfia perplessa e gli rivolse un’amichevole (forse) scrollata di spalle. «Non ti assillerò più, ma almeno pensaci. Non credo di aver mai visto un essere umano che avesse più bisogno di andare a letto.»

Oh, Dio, che frase diretta… cosa significavano realmente quelle parole? Era un commento cameratesco, o un invito, si chiese con una stretta al cuore. Se era solo un commento e lui l’avesse invece scambiato per un invito, Elli avrebbe potuto pensare che faceva pressione per ottenere i suoi favori sessuali; ma se fosse stato il caso contrario, avrebbe potuto sentirsi insultata e non rivolgergli più la parola per il resto dei suoi giorni. In preda al panico, sorrise storto e sbottò: «No, quello di cui ho bisogno in questo momento è di essere pagato, non di essere messo a letto. Dopodiché, dopodiché… magari potremmo anche andare a visitare qualche posto interessante. Mi sembra criminale aver fatto tutta la strada fin qui, anche se è avvenuto per caso, e non vedere niente della Vecchia Terra. Dovrei comunque avere una guardia del corpo per tutto il tempo che sto sul pianeta.»

Elli raddrizzò la schiena, con un sospiro. «Ma certo, prima il dovere.»

Sì, prima il dovere. E il suo dovere adesso era quello di fare rapporto ai datori di lavoro dell’ammiraglio Naismith, dopodiché tutti i suoi problemi si sarebbero di molto semplificati.


Miles avrebbe voluto avere il tempo di indossare abiti civili prima di imbarcarsi in quella spedizione, perché la nuova uniforme grigio-bianca da ammiraglio Dendarii spiccava troppo in quel centro commerciale; e avrebbe dovuto dare a Elli il tempo di cambiarsi, così avrebbero potuto fingere di essere un soldato in licenza con la sua ragazza. Ma tutti i suoi abiti civili erano infilati in una cassa a parecchi pianeti di distanza… sarebbe mai riuscito a recuperarli? Erano abiti fatti su misura, molto costosi, non tanto come segno del suo rango sociale, quanto per pura necessità.

Di solito riusciva a dimenticarsi delle stranezze del suo corpo: una testa troppo grande su un collo troppo corto che sormontava una spina dorsale storta, il tutto su di un’altezza di appena un metro e cinquanta, eredità di un’anomalia congenita… ma a suo giudizio la cosa che metteva maggiormente in risalto i suoi difetti fisici era quella di prendere a prestito gli abiti da qualcuno di taglia e dimensioni normali. Sei sicuro che sia l’uniforme a darti la sensazione di non passare inosservato, ragazzo? pensò. O invece non stai di nuovo cercando di prendere in giro te stesso? Smettila.

Si guardò intorno. La città di Londra, sede di uno spazioporto, mosaico di quasi due millenni di stili architettonici che facevano a pugni, era affascinante. La luce del sole, penetrando attraverso la volta di vetro colorato del centro, assumeva un colore incredibile, che toglieva il fiato. E questo solo bastava a fargli capire che i suoi occhi erano tornati sul loro pianeta d’origine. Forse in seguito avrebbe avuto l’opportunità di visitare altre località storiche, come la visita sottomarina di Lake Los Angeles, o New York dietro le grandi dighe.

Ancora una volta Elli compì nervosamente un giro intorno al banco sotto l’orologio, scrutando la folla. Quello non era certo il posto in cui si potesse pensare di vedere spuntare una quadra d’assalto cetagandana, ma lui le era comunque grato per la sua attenzione costante, che gli consentiva di sentirsi stanco. Puoi venire a cercare gli assassini sotto il mio letto tutte le volte che vuoi, amore…

«In un certo senso sono contento che siamo finiti qui» le disse. «Potrebbe rivelarsi un’eccellente opportunità per la scomparsa, almeno momentanea, dell’ammiraglio Naismith. Lascerebbe respirare un po’ i dendarii. I cetagandani assomigliano molto ai barrayarani, in realtà: il comando è per loro una faccenda molto personale.»

«Prendi la cosa troppo poco sul serio.»

«Condizionamento fin dalla più tenera età: perfetti sconosciuti che cercano di uccidermi mi fanno sentire a casa.» Un pensiero venato di una certa macabra allegria lo colpì. «Lo sai? Questa è la prima volta che qualcuno cerca di uccidermi per me stesso e non per la mia parentela. Ti ho mai raccontato di cosa ha fatto mio nonno quando ero…»

Elli interruppe le sue riminiscenze con un cenno del mento. «Credo che ci siamo…»

Miles seguì il suo sguardo. Era davvero stanco: lei aveva individuato il loro contatto prima di lui. L’uomo che veniva verso di loro con espressione interrogativa sul volto indossava abiti di foggia terrestre, ma i capelli erano tagliati alla foggia militare barrayarana. Forse era un sottufficiale: gli ufficiali preferivano un taglio romano patrizio meno severo. Devo tagliarmi i capelli, pensò Miles, avvertendo un improvviso fastidio a collo.

«Milord?» disse l’uomo.

«Sergente Barth?» rispose Miles.

L’uomo annuì e gettò un’occhiata a Elli. «Chi è?»

«La mia guardia del corpo.»

«Ah.»

Un restringersi impercettibile delle labbra e un’accenno appena di sorpresa nello sguardo, per indicare tanto disprezzo e divertimento. Miles sentì i muscoli del collo irrigidirsi. «È eccezionale nel suo lavoro.»

«Ne sono certo, signore. Da questa parte, prego.» Si voltò e li precedette.

Quel viso inespressivo rideva di lui, Miles lo sentiva, gli bastava guardargli la nuca, per capirlo. Elli, che si era accorta solo dell’improvviso aumento della tensione nell’aria, gli rivolse un’occhiata sconcertata. Va tutto bene, le rispose Miles con gli occhi, prendendole la mano e mettendosela sotto il braccio.

Seguirono a passo tranquillo la loro guida attraverso un negozio, poi giù per un pozzo di discesa, una rampa di scale; poi accelerarono l’andatura. Il livello sotterraneo di servizio era un dedalo di gallerie, condotti, cavi di alimentazione. Là sotto attraversarono circa un paio di isolati, secondo i calcoli di Miles. La guida aprì una porta con una serratura ad impronta; da lì un’altra breve galleria conduceva a un’altra porta, sorvegliata da una guardia in carne ed ossa, con l’uniforme verde del Servizio Imperiale Barrayarano, che si affrettò ad alzarsi dalla sedia della consolle di comunicazione da dove sorvegliava i sensori e le telecamere, trattenendosi a malapena dal rivolgere il saluto alla loro guida in abiti civili.

«Dobbiamo lasciare qui le armi» disse Miles ad Elli. «Tutte… e intendo proprio tutte.»

Elli inarcò le sopracciglia udendo Miles cambiare all’improvviso accento, passando da quello piatto e nasale del betano ammiraglio Naismith, alle calde gutturali da barrayarano. Ma se era per quello, Elli sentiva raramente la sua voce barrayarana… quale delle due le sembrava contraffatta? Non c’erano però dubbi su quale sarebbe sembrata falsa al personale dell’ambasciata e Miles si schiarì a gola per essere sicuro che la sua voce si riadattasse alla parlata familiare.

Posò le sue armi sulla consolle della guardia: uno storditore da tasca e un lungo pugnale racchiuso in un fodero di pelle di lucertola. Il soldato passò il rilevatore sul pugnale, fece scattare il coperchietto d’argento dell’impugnatura ingioiellata, mettendo in mostra un complicato sigillo, e poi glielo restituì con reverenza. Quando fu la volta di Elli, la guida inarcò le sopracciglia alla vista dell’arsenale tecnico in miniatura che la ragazza si portava appresso. Eccoti servito, pensò Miles, tu e il tuo nasino schizzinoso e pieno di regolamenti. E si sentì molto più sollevato.

Entrarono in un tunnel antigravitazionale di risalita e l’atmosfera cambiò di colpo: eleganza, dignità, lusso, ma senza ostentazione. «L’Ambasciata Imperiale Barrayarana» sussurrò Miles ad Elli.

La moglie dell’ambasciatore possedeva molto buon gusto, pensò, ma l’edificio aveva uno strano sentore di ermeticamente chiuso, che al naso esperto di Miles parlò subito di paranoiche procedure di sicurezza. Eh, già, l’ambasciata di un pianeta diventa suolo di quel pianeta, ha lo stesso sapore di casa.

La guida li condusse giù per un altro tunnel che sbucò in quello che era chiaramente un corridoio di uffici (Miles individuò i sensori sotto un arco, mentre passavano) e poi attraverso due porte automatiche entrarono in un ufficio piccolo e tranquillo.

«Il tenente Lord Miles Vorkosigan, signore» annunciò la guida, mettendosi sull’attenti. «E… la sua guardia del corpo.»

Miles strinse i pugni: solo un barrayarano poteva esprimere una così sottile sfumatura di insulto con una semplice pausa di mezzo secondo tra due parole. Era davvero a casa.

«Grazie, sergente, può andare.» disse il capitano seduto dietro il tavolo del terminale di comunicazioni. Anche qui, il verde dell’uniforme imperiale… l’ambasciata doveva mantenere un tono formale.

Miles osservò con curiosità quell’uomo che sarebbe stato, volente o nolente, il suo nuovo ufficiale comandante e il capitano gli restituì lo sguardo con la stessa attenzione e intensità.

Un uomo che colpiva, anche se era tutt’altro che avvenente. Capelli scuri, occhi nocciola scuro, un naso dritto che ben si adattava al profilo romano e al taglio di capelli. Le mani tozze e pulite, erano intrecciate in una gesto di tensione trattenuta. Sui trent’anni, giudicò Miles.

Ma perché questo tipo mi sta fissando come se fossi un cucciolo che ha appena fatto pipì sul suo tappeto? Sono appena arrivato, non ho ancora avuto il tempo di offenderlo. Spero che non si tratti di uno di quei provincialotti barrayarani che mi vedono come un mutante, uno scampato ad un mancato aborto…

«Dunque» disse l’uomo appoggiandosi allo schienale con un sospiro, «lei è il figlio del Grand’Uomo, eh?»

Il sorriso di Miles si congelò, una nuvola rossastra gli offuscò la vista, mentre il sangue prese a pulsargli nelle orecchie al ritmo di una marcia funebre. Elli lo guardò e rimase immobile, osando appena respirare. Miles mosse le labbra e deglutì. Poi riprovò. «Sissignore.» Gli sembrò che la sua voce provenisse da una grande distanza. «E lei chi è?»

Per un soffio, ma solo per un soffio, si trattenne dal dire: «E lei di chi è figlio?» La furia che gli attanagliava lo stomaco non doveva trasparire, perché avrebbe dovuto lavorare con quell’uomo. E poi poteva anche non trattarsi di un insulto intenzionale. Non poteva esserlo: cosa ne sapeva quello sconosciuto di tutto il sangue che Miles aveva sudato per allontanare da sé le accuse di privilegio, le insinuazioni di incompetenza? «Il mutante è qui solo perché suo padre ce l’ha messo…» e la voce di suo padre che ribatteva: «Per amor del cielo, figliolo, smettila con queste idiozie!» Esaurì la rabbia in un lungo respiro calmante e piegò la testa di lato.

«Oh, certo» disse il capitano, «lei ha parlato solo con il mio aiutante. Sono il capitano Duv Galeni, addetto militare anziano dell’ambasciata e di conseguenza, capo della Sicurezza Imperiale e della Sicurezza del Servizio. E anche parecchio sorpreso, lo confesso, di averla al mio comando. Non mi è del tutto chiaro cosa devo farne di lei.»

Non era un accento provinciale: la voce del capitano era fredda, istruita e parzialmente cittadina, anche se Miles non riusciva a trovargli una collocazione nella geografia barrayarana. «Non ne sono sorpreso, signore» rispose. «Neppure io mi aspettavo di dovermi presentare in servizio sulla Terra, e così tardi, per giunta. Pensavo da principio di dovermi presentare al Comando della Sicurezza Imperiale al QG del Settore Due, su Tau Ceti, oltre un mese fa. Ma la Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii è stata costretta ad allontanarsi dallo spazio di Mahata Solaris a causa di un attacco a sorpresa dei cetagandani. E dal momento che non eravamo stati pagati per ingaggiare un scontro diretto con i cetagandani, siamo fuggiti e ci siamo ritrovati a non poter tornare indietro per un rotta più veloce. Questa è letteralmente la prima opportunità che ho di fare rapporto a qualcuno da quando abbiamo consegnato i rifugiati alla loro nuova base.»

«Io non ero…» il capitano si interruppe con una smorfia e poi riprese, «non ero a conoscenza del fatto che la straordinaria fuga da Dagoola fosse in realtà un’operazione segreta del Servizio Segreto Barrayarano. Non si è trattato di un’impresa pericolosamente vicina a sconfinare in un atto di guerra aperta con l’Impero Cetagandano?»

«È appunto per questa ragione che sono stati usati i Mercenari dendarii, signore. In effetti avrebbe dovuto essere un’operazione di portata molto minore, ma poi le cose ci sono un po’ sfuggite di mano.» Accanto a lui Elli non mosse un muscolo e riuscì persino a non ridacchiare. «Ho… ehm, un rapporto completo, signore.»

Il capitano parve in preda ad un conflitto interiore. «Ma che tipo di rapporto c’è tra la Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii e la Sicurezza Imperiale, tenente?» chiese alla fine, in tono quasi implorante.

«Ehm… che genere di informazioni ha lei in proposito, signore?»

Il capitano Galeni sollevò le mani con i palmi all’insù. «Non avevo mai sentito parlare di loro, se non vagamente, fino a quando lei non si è messo in contatto con noi, ieri. I miei archivi… gli archivi della sicurezza!… dicono solo tre cose di quell’organizzazione: primo, non vanno attaccati; secondo, qualunque richiesta di assistenza per emergenze deve essere accolta con assoluta celerità e terzo, per qualunque altra informazione devo rivolgermi al Quartier Generale della Sicurezza del Settore Due.»

«Oh, già, è vero» disse Miles. «Questa è solo un’ambasciata di classe due. Be’, le cose stanno in questi termini. I dendarii sono tenuti di riserva per le operazioni di massima segretezza che sono al di fuori delle competenze della Sicurezza Imperiale o per le quali qualunque collegamento diretto con Barrayar potrebbe rivelarsi politicamente imbarazzante. Dagoola era appunto entrambe queste cose. Gli ordini sono arrivati a me dallo Stato Maggiore Generale, dietro assenso e consiglio dell’Imperatore, attraverso il Capo della Sicurezza Imperiale Illyan. È una catena di comando molto breve; io sono il tramite e, si spera, l’unico collegamento possibile. Lascio il Quartier Generale Imperiale come tenente Vorkosigan e ricompaio in un posto qualunque come ammiraglio Naismith con un nuovo contratto. Partiamo, portiamo a termine la missione che ci è stata affidata e poi, almeno dal punto di vista dei dendarii, io svanisco misteriosamente come sono comparso. Dio solo sa cosa pensano che io faccia nel tempo che non sono con loro.»

«Ci tieni davvero a saperlo?» chiese Elli con un luce maliziosa negli occhi.

«Più tardi» mormorò Miles, sottovoce.

Il capitano batté qualcosa sulla consolle e consultò il display. «Niente di tutto questo è negli incartamenti ufficiali. Ventiquattro anni… non è un po’ giovane per il suo grado… ehm… ammiraglio?» Il tono era secco e lo sguardo che rivolse all’uniforme dendarii ironico.

Miles cercò di ignorare il tono di voce. «È una lunga storia. È il commodoro Tung, un ufficiale dendarii con parecchia anzianità, il vero cervello di tutta la mascherata, io mi limito a recitare un ruolo.»

Elli spalancò gli occhi, con espressione oltraggiata e Miles, con uno sguardo severo, cercò di obbligarla al silenzio. «Tu fai parecchio di più che limitarti a recitare una parte» obiettò ugualmente lei.

«Se il solo collegamento è lei» riprese Galeni corrugando la fronte, «allora chi diavolo è questa donna?» Il modo in cui aveva formulato la domanda faceva di Elli, se non proprio un non-individuo, di sicuro un non-soldato.

«Certo, lei ha ragione, signore. Ma in caso di emergenza ci sono tre dendarii che conoscono la mia vera identità e il comandante Quinn, che fin dall’inizio era a conoscenza di tutta la mascherata, è una delle tre. Illyan in persona mi ha ordinato di essere sempre scortato da una guardia del corpo ed è il comandante Quinn ad assumersi questo ruolo tutte le volte che cambio identità. Ho in lei la più completa fiducia.» Accidenti a te e al tuo sguardo ironico: qualunque cosa tu possa pensare di me, devi rispettare i miei uomini!

«E da quanto va avanti questa faccenda, tenente?»

«Oh… sette anni, vero?» chiese Miles guardando Elli.

Il luccichio negli occhi di lei aumentò. «Sembra appena ieri» esclamò in tono soave. Pareva che anche Elli trovasse difficile ignorare le inflessioni di voce del capitano, ma Miles sperava che riuscisse a controllare comunque il suo tagliente senso dell’umorismo.

Il capitano si esaminò le unghie e poi fissò Miles con uno sguardo penetrante. «Bene, tenente, mi rivolgerò alla Sicurezza del Settore Due. E se vengo a scoprire che questa è un’altra delle burle da signorotto Vor, le giuro che farò tutto quanto è in mio potere perché abbia quello che si merita, chiunque sia suo padre.»

«È tutto vero, signore. Le do’ la mia parola di Vorkosigan.»

«Appunto» mormorò Galeni tra i denti.

Infuriato, Miles fece un profondo respiro… e in quel momento riconobbe da dove veniva l’accento di Galeni. «Lei è… komarrano, signore?»

Il capitano assentì con un cenno del capo, che Miles ricambiò rigido. Elli gli diede di gomito. «Che diavolo…»

«Più tardi» rispose Miles sottovoce. «Politica interna barrayarana.»

«Avrò bisogno di prendere appunti?»

«È probabile.» E a voce alta: «Devo mettermi in contatto con i miei superiori effettivi, capitano Galeni. Non so neppure quali siano i miei prossimi ordini.»

Galeni sporse in fuori le labbra e ribatté in tono tranquillo: «Io sono uno dei suoi superiori effettivi, tenente Vorkosigan.»

E anche piuttosto seccato di essere stato tagliato fuori dalla sua catena di comando, giudicò Miles. Con le buone, adesso… «Naturalmente, signore. Quali sono i miei ordini?»

Galeni strinse brevemente le mani, in un gesto frustrato, mentre la bocca assumeva una piega ironica. «Immagino che dovrò registrarla nel mio personale, mentre aspettiamo delle spiegazioni. Terzo assistente militare.»

«Scelta ideale, signore, grazie» disse Miles. «L’ammiraglio Naismith in questo momento ha un disperato bisogno di scomparire. I cetagandani hanno messo una taglia sulla mia… la sua testa, dopo Dagoola. Sono due volte fortunato.»

Fu la volta di Galeni a irrigidirsi. «Sta scherzando?»

«Ho avuto quattro morti e sedici feriti dendarii, per questo» ribatté Miles rigido. «Non lo trovo divertente.»

«In questo caso» disse cupo il capitano, «si consideri confinato all’interno dell’ambasciata.»

E perdere così l’occasione di vedere la Terra? Miles espresse la sua riluttanza con un sospiro. «Sissignore» convenne poi in tono spento. «A patto che il comandante Quinn possa essere il mio collegamento con i dendarii.»

«E perché deve mantenersi ancora in contatto con i dendarii?»

«Sono la mia gente, signore.»

«Mi sembrava che avesse detto che è quel tale commodoro Tung il vero capo.»

«In questo momento si trova a casa in licenza. Ma tutto quello di cui ho bisogno prima che l’ammiraglio Naismith si dia alla macchia, è semplicemente pagare alcuni conti. Se lei fosse in grado di anticiparmi le spese, potrei dichiarare chiusa la missione.»

Galeni sospirò e le sue dita danzarono sulla consolle e poi si fermarono. «Assistenza con assoluta celerità. Bene. Mi dica, quanto le serve?»

«All’incirca diciotto milioni di marchi, signore.»

Le dita di Galeni rimasero paralizzate a mezz’aria. «Tenente» disse in tono controllato, «quella somma è più di dieci volte il bilancio annuale di questa ambasciata. Parecchie decine di volte il budget di questo dipartimento!»

Miles allargò le braccia. «Spese operative per 5000 effettivi e tecnici, più undici navi per oltre sei mesi, più le perdite delle apparecchiature e dell’equipaggiamento… su Dagoola abbiamo perso un’infinità di equipaggiamento… stipendi, vettovaglie, abbigliamento, carburante, spese mediche, munizioni, riparazioni… posso mostrarle tutte le distinte e i tabulati, signore.»

«Non ne dubito» ribatté Galeni appoggiandosi allo schienale. «Ma sarà il Quartier Generale di Settore ad occuparsene, a questo punto. Non abbiamo neppure a disposizione fondi di quel genere, qui.»

Miles si mordicchiò l’interno dell’indice. «Oh.» Già, oh… ma non si sarebbe lasciato prendere dal panico. «In questo caso, signore, posso chiederle di mettersi in contatto con il QG del Settore il più presto possibile?»

«Mi creda, tenente, considero il suo trasferimento ad un altro ufficiale comandante una priorità assoluta.» Si alzò. «Vi prego di scusarmi. Attenda qui.» E uscì dall’ufficio scuotendo la testa.

«Che diavolo è questa faccenda?» sbottò Elli. «Ero sicura che avresti cercato di fare a pezzettini quel tizio, capitano o non capitano, e invece di colpo ti fermi. Che cosa c’è di tanto magico nell’essere komarrano, e dove si comprano?»

«Di magico niente, assolutamente niente. Ma molto importante, questo sì.»

«Più importante che essere un Lord Vor?»

«Per strano che possa sembrare, in questo momento sì, in un certo senso. Tu sai che il pianeta Komarr è stata la prima conquista imperiale interstellare di Barrayar, no?»

«Credevo che si chiamaste annessione.»

«All’inizio era una annessione. Ce ne siamo impadroniti per via dei suoi corridoi di transito, perché si trova proprio nel bel mezzo del nostro unico collegamento con la distorsione galattica principale. Komarr stava strangolando i nostri commerci ma soprattutto aveva accettato di farsi corrompere per lasciar passare la flotta cetagandana quando quell’impero ha cercato di annettere Barrayar. Forse ricorderai anche chi è stato il principale conquistatore.»

«Tuo padre, ai tempi in cui era soltanto l’ammiraglio Lord Vorkosigan, prima di diventare reggente. È lì che si è conquistato la sua reputazione.»

«Già… be’, con quell’impresa si è fatto più di una reputazione. Se vuoi vedere il fumo uscirgli dalle orecchie, non hai che da bisbigliargli "il Macellaio di Komarr". È così che lo avevano soprannominato.»

«Trent’anni fa, Miles.» Tacque per un attimo. «E c’era del vero, in quel soprannome?»

«Qualcosa c’era» sospirò Miles. «Non sono mai riuscito a cavargli tutta la storia, ma sono sicurissimo che quella che raccontano i libri di storia non è la verità tutta intera. Comunque, la conquista di Komarr divenne un pasticcio. Risultato, nel quarto anno della sua Reggenza scoppiò la Rivolta di Komarr e le cose peggiorarono sempre più. Da allora, i terroristi komarrani sono diventati l’incubo ricorrente della Sicurezza Imperiale. Immagino che la repressione non sia stata tenera.»

«Comunque, con il passar del tempo le acque si sono un pochino calmate e ora su entrambi i pianeti, tutti quelli che hanno energie da sprecare si stanno dando da fare per colonizzare Sergyar. Tra i liberali si è formata una corrente, di cui mio padre è l’uomo di punta, che vuole la completa integrazione di Komarr nell’Impero. Però è un’idea che non incontra il favore della destra barrayarana. E per il vecchio è diventata una specie di ossessione… "tra la giustizia e il genocidio, a lungo andare, non esiste una via di mezzo"» intonò Miles. «La sua eloquenza sull’argomento è trascinante. Comunque sia, resta il fatto che su Barrayar, il vecchio, caro Barrayar, militarista e tenacemente abbarbicato alle divisioni di classe, la strada per arrivare in cima passa e passerà sempre attraverso il Servizio Militare Imperiale. Servizio che è stato aperto per la prima volta ai komarrani solo otto anni fa.

«Questo significa che ogni komarrano nel Servizio ora è in una situazione non facile: deve dare prova della sua lealtà, esattamente come io devo…» esitò, «devo dimostrarmi all’altezza. Ne consegue anche che se lavoro con, o agli ordini di un komarrano e un bel giorno mi ritrovano stranamente morto, il komarrano in questione è pronto a diventare cibo per cani. Perché mio padre è considerato il Macellaio di Komarr, e nessuno penserebbe che non si sia trattato di una specie di vendetta.

«E non solo quel komarrano, ma anche tutti gli altri nel Servizio Imperiale sarebbero ammantati da quell’onta e questo riporterebbe indietro di anni le conquiste politiche di Barrayar. Se venissi assassinato adesso» concluse con una rassegnata scrollata di spalle, «mio padre mi ucciderebbe una seconda volta.»

«Spero che non fai conto proprio su questo» ridacchiò Elli.

«E questo ci porta a Galeni» proseguì in fretta Miles. «È un ufficiale del Servizio con un incarico addirittura nella Sicurezza, e deve aver sudato sangue per ottenerlo. Molto stimato, per un komarrano. Però non è impegnato in un incarico vitale o strategico: infatti non ha accesso ad alcune informazioni di sicurezza critiche… ed ecco che arrivo io e gli faccio sbattere il naso nelle sue limitazioni. E se aveva dei parenti nella rivolta komarrana… be’, eccomi sempre qui. Dubito molto che nutra amore per me, ma sarà costretto a sorvegliarmi come a pupilla dei suoi occhi. E io, che Dio mi aiuti, dovrò lasciarglielo fare. È veramente una situazione spinosa.»

«Sono sicura che saprai destreggiarti» lo confortò Elli battendogli su un braccio.

«Hmm» borbottò lui cupo. «Oh, Dio, Elli» gemette all’improvviso appoggiandole la fronte sulla spalla, «non ho avuto il denaro per i dendarii e non potrò averlo fino a chissà quando… cosa dirò a Ky? Gli avevo dato la mia parola!…»

Questa volta lei gli batté affettuosamente la mano sulla testa, ma non disse nulla.

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