CAPITOLO QUINDICESIMO

Miles apri la frequenza di chiamata del comunicatore da polso. «Nim!»

«Signore!»

«Nella Torre Sette c’è una squadra d’assalto cetagandana. Entità della forza, sconosciuta, ma hanno fucili al plasma.»

«Sì, signore» fu la risposta ansante di Nim. «Li abbiamo appena trovati.»

«Dove vi trovate e cosa vedete?»

«Ho un paio di uomini fuori dall’ingresso delle tre torri, con rinforzi nei cespugli dietro il parcheggio. I… cetagandani, ha detto, signore?… hanno sparato qualche raffica di plasma nei corridoi quando abbiamo cercato di entrare.»

«È stato colpito qualcuno?»

«Non ancora. Ci teniamo bassi.»

«Nessuna traccia del comandante Quinn?»

«Non ancora, signore.»

«Siete riusciti ad individuare la sua posizione tramite il comunicatore?»

«Si trova in qualche punto nei livelli più bassi di questa torre. Ma non risponde e non si muove.»

Stordita? Morta? Il suo polso era ancora insieme al comunicatore? Non aveva modo di saperlo.

«Va bene» disse prendendo fiato, «fate una chiamata anonima alla polizia locale, dicendo che ci sono degli uomini armati nella Torre Sette… forse dei sabotatori che cercano di far saitare in aria l’impianto e la Diga. Sia convincente… cerchi di sembrare spaventato.»

«Non c’è problema, signore» rispose subito Nim, tanto che Miles si chiese a che distanza dai capelli gli fosse passata la raffica di plasma.

«Fino a quando arriva la polizia, tenete i cetagandani chiusi nella torre, stordite chiunque cerchi di uscire. La polizia locale potrà distinguerli dopo. Metta un paio di uomini alla Torre Otto, per chiudere anche quella via e dica loro di muoversi verso nord, in modo da spingere indietro i cetagandani se cercano di uscire da sud. Credo però che si dirigeranno a nord.» Mise una mano sul comunicatore e si rivolse a Mark, «Per dare la caccia a te.» Sollevò di nuovo il polso e riprese a parlare con Nim: «Come arriva la polizia, ritiratevi, evitate il contatto con loro. Ma se finite con le spalle al muro, siate arrendevoli. I buoni siamo noi, sono quei cattivi armati di fucili al plasma là dentro la torre a cui devono dare la caccia. Noi siamo solo dei turisti che hanno notato qualcosa di strano mentre facevano una passeggiatina notturna. Mi ha sentito?»

C’era un sorriso forzato nella voce di Nim. «Ho capito, signore.»

«Metta un osservatore nelle vicinanze della Torre Sei e mi faccia rapporto quando arriva la polizia. Naismith chiude.»

«Ricevuto, signore. Chiudo.»

Mark emise un gemito strozzato e si lanciò in avanti, afferrando Miles per la giacca. «Idiota, cosa stai facendo? Richiama i dendarii… ordinagli di sbarazzarsi dei cetagandani nella Torre Sette! O io…» Cercò di afferrargli il polso, ma Miles lo tenne a distanza e nascose la mano sinistra dietro la schiena.

«Ah-ah! calma. Non c’è niente che mi piacerebbe di più di una gara di tiro al bersaglio con i cetagandani, dal momento che siamo superiori di numero, ma hanno i fucili al plasma. Gli archi del plasma hanno un raggio tre volte superiore a quello degli storditori e io non chiedo ai miei uomini di affrontare questo svantaggio tattico se non sussistono condizioni disperate.»

«Se quei bastardi ti prendono ti fanno fuori. Che altra condizione disperata vuoi?»

«Ma, Miles» intervenne Ivan scrutando dubbioso il corridoio, «non ci hai appena cacciati al centro di una manovra a tenaglia?»

«No» rispose Miles allegro, «non ho fatto niente di simile. Non mentre possediamo il mantello dell’invisibilità. Venite!» Ritornò di corsa alla biforcazione del corridoio e svoltò a destra, verso la Torre Sei, in mano ai barrayarani.

«No!» gridò Mark fermandosi. «I barrayarani possono anche farti fuori per sbaglio, ma in quanto a me mi ammazzerebbero apposta!»

«Quelli là dietro, invece» disse Miles con un cenno del capo alle spalle, «ci ammazzerebbero entrambi tanto per andare sul sicuro. L’operazione Dagoola ha lasciato i cetagandani molto più inviperiti di quanto tu ti renda conto. Avanti, vieni.»

Mark lo seguì, riluttante, mentre Ivan si metteva alla retroguardia.

Il cuore di Miles batteva all’impazzata; avrebbe voluto sentirsi fiducioso quanto aveva fatto intendere con quel sorriso a Ivan. Ma non poteva permettere che Mark si accorgesse dei suoi dubbi. Percorsero qualche centinaia di metri di sintocemento grigio, correndo in punta di piedi e cercando di fare meno rumore possibile. Se i barrayarani fossero già arrivati a quel punto della galleria…

Arrivarono all’ultima stazione di pompaggio e ancora non si vedeva segno di guai, né davanti né dietro.

La stazione era di nuovo ferma e lo sarebbe stata per altre dodici ore, fino alla prossima marea, e non sarebbe più entrata in funzione fino ad allora, a meno di una piena improvvisa e inaspettata. Miles però non voleva lasciare nulla al caso e dal modo in cui Ivan lo guardava allarmato, dondolandosi a disagio da un piede all’altro, capì che era meglio poter offrire una garanzia sicura.

Passò in rassegna i pannelli di controllo, alzandone uno per guardarci dentro: per fortuna era molto più semplice di quanto fosse il centro di controllo di una camera di propulsione di una nave a balzo. Con un taglio qua e uno là sarebbe dovuto riuscire a mettere fuori uso quella pompa senza far scattare allarmi nella torre di guardia. Forse. Anche se non era probabile che qualcuno nella torre prestasse molta attenzione ai pannelli di controllo, in quel momento. Miles si rivolse a Mark: «Mi serve il mio coltello, per favore.»

Di mala voglia, Mark gli porse l’antico pugnale e dopo aver colto l’occhiata di Miles, anche il fodero. Usando al punta, Miles staccò un paio di fili sottili come capelli… tirando ad indovinare quali potessero essere quelli giusti e ci azzeccò. L’espressione del suo volto però, lasciava intendere che non aveva mai avuto dubbi. Quando ebbe finito, non restituì il pugnale.

Si diresse al portello e lo aprì, senza che questa volta suonasse qualche allarme. Il gancio gravitico aderì istantaneamente alla liscia superficie interna del portello, trasformandosi in una perfetta maniglia; ora non restava che il problema di quella dannata sbarra manuale. Se qualche ignaro (o non tanto ignaro) passante avesse deciso di dargli un giro… Ah, no: anche lì funzionava lo stesso modello di leva a campo tensore, usata da Quinn per aprire il portello sul cornicione. Miles emise un sospiro di sollievo; tornò al pannello di controllo dirimpetto al corridoio e inserì il rilevatore a grand’angolo vicino ad una fila di quadranti.

Poi indicò con un gesto il portello aperto della camera di pompaggio, invitante come una bara. «Bene, tutti dentro.»

Ivan impallidì. «Dannazione, temevo proprio che tu avessi in mente una cosa del genere.» Mark non sembrava molto più elettrizzato di Ivan.

Miles abbassò la voce, assumendo un tono persuasivo. «Ascolta, Ivan: io non posso costringerti. Se preferisci, puoi tornare nel corridoio e sperare che la tua uniforme ti protegga contro il rischio di farti friggere il cervello da qualcuno con il grilletto facile. Se sopravvivi all’incontro con la squadra d’assalto di Destang, finirai arrestato dalla polizia locale, che forse è il minore dei mali. Io però preferirei che restassi con me.» Abbassò ancor di più la voce e concluse: «E che non mi lasciassi solo con lui.»

«Oh» esclamò Ivan sbattendo le palpebre.

Come Miles si era aspettato, quella richiesta di aiuto ebbe più effetto della logica, degli ordini o delle lusinghe. «Guarda, è proprio come essere in sala tattica.»

«È proprio come essere in una trappola!»

«Sei mai stato in sala tattica quando manca la corrente? Quella sì che è una trappola: la sensazione di comando e di potere è solo un’illusione. Preferirei trovarmi sul campo di battaglia.» Con un sorrisetto astuto, indicò Mark: «E poi non credi che Mark dovrebbe avere la possibilità di vivere la tua recente esperienza?»

«Se la metti in questo modo» ringhiò Ivan, «la cosa assume un certo fascino.»

Miles si calò per primo nella camera di pompaggio e in quel momento credette di udire un lontano rumore di passi nel corridoio. L’espressione sul viso di Mark diceva chiaramente che avrebbe preferito non farlo, ma con Ivan che gli soffiava sul collo, non ebbe scelta. Da ultimo, con uno sforzo immane, si calò Ivan. Miles accese la torcia elettrica, mentre il cugino che era il più alto dei tre, chiudeva il pesante portello. Per un attimo regnò un profondo silenzio, interrotto solo dal rumore dei loro respiri.

Accosciato in un angolo, Ivan chiudeva e apriva nervosamente le mani gonfie ed escoriate, umide di sangue e sudore. «Per lo meno sappiamo che non ci possono sentire.»

«Posticino accogliente» borbottò Miles. «Prega che i nostri inseguitori siano stupidi quanto lo sono stato io: sono passato due volte davanti a questo posto.» Aprì la valigetta del rilevatore e sintonizzò il ricevitore in modo che proiettasse una visione completa da nord a sud del corridoio sempre vuoto. Notò che nella camera c’era una leggera corrente d’aria: un aumento di quella corrente avrebbe significato l’arrivo di un’ondata d’acqua lungo le tubature e allora sarebbero stati costretti a saltare fuori, cetagandani o non cetagandani.

«E adesso?» chiese Mark con voce quasi tremula. Aveva l’aspetto di un animale in trappola, schiacciato come una fetta di prosciutto tra i barrayarani da una parte e i cetagandani dall’altra.

Miles si appoggiò alla parete viscida con una falsa aria di tranquillità. «E adesso aspettiamo, proprio come quando si è in sala tattica. Si passa un sacco di tempo ad aspettare, in sala tattica, e se uno ha anche solo un briciolo d’immaginazione… è un inferno…» Accese il comunicatore da polso. «Nim?»

«Presente, signore» rispose con voce un po’ affannata, come se avesse corso. «Stavo appunto per chiamarla. È appena atterrata una aeromobile della polizia. Ci stiamo ritirando nella zona del parco dietro il frangiflutti. L’osservatore riferisce che la polizia è appena entrata nella Torre Sei.»

«Niente di nuovo dal comunicatore di Quinn?»

«Non si è ancora mosso, signore.»

«Qualcuno ha preso contatto con il capitano Galeni?»

«Nossignore. Ma non era con lei?»

«Ci siamo divisi pressappoco nello stesso momento in cui ho perso Quinn. L’ultima volta è stato visto all’esterno del frangiflutti, nella parte centrale. Lo avevo mandato a cercare un’altra entrata. Fate immediatamente rapporto se lo individuate.»

«Sissignore.»

Un’altra cosa di cui preoccuparsi, maledizione. Galeni si era imbattuto in qualche guaio: cetagandani, barrayarani o polizia locale? O era stato tradito dal suo stato d’animo? Miles rimpiangeva di non averlo trattenuto con sé, proprio come rimpiangeva di aver lasciato andare Quinn; ma quando si erano separati, dovevano ancora trovare Ivan e non avrebbe potuto agire diversamente. Si sentiva come chi cerca di ricomporre un puzzle di pezzi viventi, che si muovevano e cambiavano forma quando pareva a loro, sogghignando maliziosi. Strinse i pugni. Mark lo stava osservando nervoso, mentre Ivan, accosciato con le spalle curve, non prestava attenzione a nulla, a giudicare dal modo in cui si mordeva le labbra mentre combatteva la sua battaglia interiore contro la claustrofobia.

Sullo schermo del rilevatore, con la sua immagine distorta di 180 gradi del corridoio, comparve un uomo che spuntò silenzioso da dietro la curva sud. Un esploratore cetagandano, giudicò Miles, anche se indossava abiti civili. In mano aveva uno storditore, non un fucile al plasma… dunque adesso i cetagandani si erano resi conto che c’erano troppi poliziotti locali sulla scena, per poterli mettere a tacere ammazzandoli tutti e avevano deciso di alleggerire, o almeno di rendere meno grave, la situazione. Il cetagandano eseguì una ricognizione del corridoio, avanzando di qualche metro, poi scomparve da dove era venuto.

Un istante più tardi, un movimento all’estremità nord: due uomini barrayarani avanzavano con leggerezza di un gorilla. Uno dei due era un cretino che era riuscito a prendere parte ad un’operazione segreta con addosso gli stivali d’ordinanza. Anche lui aveva scambiato l’arma con un più tranquillo storditore, anche se il suo compagno impugnava sempre un mortale distruttore neuronico. Pareva proprio che la faccenda si sarebbe risolta in uno scontro con gli storditori. Ah, lo storditore, l’arma ideale per tutte le situazioni incerte, l’unica arma con cui davvero si poteva prima sparare e poi fare domande.

«Metti via il distruttore neuronico, ecco, così, bravo ragazzo!» mormorò Miles mentre anche il secondo uomo cambiava arma. «Su la testa, Ivan: questo potrebbe essere il miglior spettacolo dell’anno.»

Ivan sollevò lo sguardo e l’espressione incerta e assorta del suo volto si trasformò in un sorriso decisamente sardonico, che ricordava quello del vecchio Ivan. «Oh merda, Miles. Destang ti farà a pezzi per aver orchestrato una cosa simile!»

«Al momento Destang non sa neppure che sono qui. Ssst! Ecco che comincia.»

L’esploratore cetagandano era tornato; fece un cenno con la mano e un’altro uomo balzò fuori da dietro, sopravanzandolo. All’altra estremità del corridoio, fuori dalla visuale a causa della curva, stavano intanto arrivando i barrayarani. E così erano presenti tutti i barrayarani che erano riusciti a entrare nella torre; i rinforzi erano rimasti all’esterno, tagliati fuori dal cordone della polizia. A quanto pareva, i barrayarani avevano abbandonato la speranza di trovare la preda misteriosamente svanita ed erano passati all’assetto "sganciamoci in fretta", sperando di uscire il più rapidamente possibile passando per la Torre Sette, senza essere costretti a dare spiegazioni sulla loro presenza ad un manipolo di terrestri per niente comprensivi. I cetagandani, invece, che avevano effettivamente visto il presunto ammiraglio Naismith fuggire da quella parte, erano ancora in pieno assetto di caccia, anche se non era difficile supporre che la loro retroguardia stesse avvicinandosi sospinta dalla decisa avanzata dei locali.

Nessun segno ancora della retroguardia, nessun segno che Quinn fosse stata trascinata al seguito come prigioniera. Miles non sapeva se sperare di vederla comparire in quello stato o no. Sarebbe stato molto bello sapere che era ancora viva, ma maledettamente complicato strapparla alle grinfie dei cetagandani prima dell’arrivo degli ispettori di polizia. La cosa migliore sarebbe stata lasciare che venisse stordita e arrestata dalla polizia con tutta la ciurma e andarla a riprendere con comodo al commissariato… ma se qualche invasato cetagandano avesse deciso nell’impeto della battaglia che le donne morte non possono parlare? A quel pensiero Miles ribollì di rabbia.

Forse avrebbe fatto meglio a convincere Mark e Ivan ad attaccare. Lo storpio che guida lo sciancato e lo zoppo in un assalto disperato… no. Ma se non si fosse trattato di Elli, avrebbe fatto di più, o di meno per uno qualunque dei suoi ufficiali comandanti? Era tale la preoccupazione che la sua logica di comando venisse annebbiata dai sentimenti che adesso esagerava nel senso opposto? In quel modo tradiva sia i dendarii che la stessa Quinn.

Il cetagandano avanzato entrò nella visuale del barrayarano avanzato; entrambi spararono nello stesso istante, si colpirono a vicenda e caddero.

«Che riflessi» mormorò Miles! «Meraviglioso.»

«Mio Dio» esclamò Ivan assorbito dallo spettacolo al punto da dimenticare di trovarsi rinchiuso, «è proprio come un protone che annulla un anti-protone! Pof!»

Gli altri barrayarani balzarono nel corridoio, appiattendosi contro la parete. Il cetagandano si lasciò cadere a terra e prese a strisciare verso il compagno privo di sensi; un barrayarano saltò in mezzo al corridoio e sparò, mentre il colpo di risposta del cetagandano mancò il bersaglio. Due dei quattro barrayarani si avvicinarono in fretta ai corpi inanimati del loro misteriosi avversari; uno si dispose in modo da offrire un fuoco di copertura, mentre l’altro cominciò a perquisirli: armi, tasche, vestiti, senza naturalmente trovare nessun documento di identificazione. Un barrayarano stava giusto per sfilare uno stivale e sezionarlo (Miles ebbe la sensazione che l’uomo da un momento all’altro avrebbe potuto fare lo stesso con il corpo), quando una voce amplificata e distorta risuonò nel corridoio. Miles non riuscì a distinguere le parole distorte dal rimbombo, ma il senso era chiaro: «Ehi, voi, laggiù! Fermatevi! Cosa sta succedendo?»

Uno dei barrayarani aiutò l’altro a caricarsi in spalla quello privo di conoscenza, che doveva essere il più grosso. Erano tanto vicini al grand’angolare, che Miles fu in grado di vedere le gambe del portatore tremare leggermente per lo sforzo mentre si raddrizzava e si avviava barcollando in direzione sud, mentre due uomini si mettevano all’avanguardia e il terzo assumeva la retroguardia.

Quel piccolo esercito condannato aveva percorso forse quattro passi, quando un altro paio di cetagandani apparvero correndo dalla curva sud; uno sparava con lo storditore alle proprie spalle, mentre correva. Era così assorto in quello che faceva, che non si accorse del suo compagno che cadeva sotto il fuoco di uno degli uomini dell’avanguardia barrayarana, fino a quando non vi inciampò sopra e cadde lungo e disteso. Mantenne la presa sullo storditore, trasformò la caduta in una capriola e rispose al fuoco. Uno dei due barrayarani avanzati cadde.

Il barrayarano alla retroguardia oltrepassò con un balzo l’uomo che trasportava il caduto e aggiunse il suo fuoco a quello del compagno per liberarsi del cetagandano che continuava a rotolare. Poi insieme corsero avanti, tenendosi addossati alla parete. Per loro sfortuna, oltrepassarono il limite di fuoco rappresentato dalla curva nel momento stesso in cui uno sbarramento di colpi di storditore provenienti da davanti si riversava nel corridoio per spazzar via i contendenti in previsione di una massiccia avanzata di… sconosciuti (una squadra da combattimento della polizia, pensò Miles, a giudicare dalla tattica e dal fatto che il primo cetagandano era arrivato sparando in quella direzione). Il risultato dell’incontro degli uomini con quella massa di energia fu prevedibile.

Il barrayarano superstite rimase in piedi nel corridoio, curvo sotto il peso del compagno, imprecando a tutto spiano, con gli occhi chiusi, come se così facendo potesse escludere l’orrendo imbarazzo rappresentato da quella faccenda. Quando la polizia comparve alle sue spalle, girò piano su se stesso, sollevò le braccia come meglio poteva in un gesto di resa, aprendo la mano e lasciando cadere a terra la propria arma.

«Me lo vedo che chiama Destang» disse Ivan con voce sognante. «"Ehm, Signore, ci siamo cacciati in questo piccolo guaio… le dispiacerebbe venire a prendermi…".»

«Secondo me preferirebbe disertare» commentò Miles.

Le due squadre di polizia che convergevano verso il centro andarono a un pelo dal ripetere la performance di reciproco annientamento in cui si erano appena esibiti gli sconosciuti a cui stavano dando la caccia, ma riuscirono appena in tempo a comunicarsi la loro identità. Miles restò deluso. Ma nulla poteva continuare all’infinito: a un certo punto il corridoio sarebbe diventato intransitabile a causa dell’ammasso di corpi caduti e il caos sarebbe seguito secondo la curva tipica di senescenza di un sistema biologico che annegava nei suoi stessi rifiuti. Probabilmente sarebbe stato troppo chiedere che le due squadre di polizia si annientassero come avevano fatto in precedenza i due gruppi. Gli toccava aspettare ancora, dannazione.

Si rimise in piedi e si stiracchiò, facendo scricchiolare le giunture e poi si appoggiò alla parete a braccia conserte. Era meglio che l’attesa non fosse troppo lunga, perché non appena la squadra d’assalto della polizia avesse dato il via libera, sarebbero comparse le squadre della manutenzione e dell’Autorità Portuale, per effettuare un controllo minuzioso centimetro per centimetro dell’installazione e allora la scoperta di Miles e dei suoi compagni sarebbe stata inevitabile. Ma non letale, finché nessuno (Miles lanciò un’occhiata a Mark) si faceva prendere dal panico.

Riportò lo sguardo sul visore, sul quale si vedevano i poliziotti che grattandosi la testa perplessi, cercavano di identificare i caduti. Il barrayarano catturato si mostrava acido e molto poco cooperativo. Come agente segreto era condizionato a non rivelare informazioni né sotto tortura, né sotto l’effetto del penta-rapido; i poliziotti londinesi avrebbero potuto cavargli molto poco con i mezzi a loro disposizione ed era chiaro che l’agente lo sapeva.

Guardando il caos nel corridoio, Mark scosse la testa: «Ma tu da che parte stai?»

«Perché non sei stato attento?» ribatté Miles. «Tutto questo è per te.»

Mark gli lanciò un’occhiata penetrante, aggrottando la fronte. «Perché?»

Già, perché? Miles osservò l’oggetto del suo interesse. Capiva come un clone potesse diventare un’ossessione e viceversa. Sollevò il mento, nel tic che gli era consueto e inconsciamente Mark lo imitò. Miles aveva sentito storie pazzesche a proposito del rapporto tra le persone e i loro cloni. Ma c’era da dire che chi si faceva costruire di proposito un clone non doveva essere tutto giusto in partenza. Era molto più interessante avere un figlio, preferibilmente con una donna che fosse più in gamba, più attraente e più bella di te, almeno così c’era la possibilità di un’evoluzione positiva nel clan. Miles si grattò il polso. Dopo un attimo, Mark si grattò un braccio. Miles allora si trattenne dallo sbadigliare: era meglio non dare inizio deliberatamente a qualcosa che non si sarebbe più potuto fermare.

Dunque: sapeva cos’era Mark. Forse era meglio capire cosa non era. Mark non era un duplicato di Miles, nonostante tutti gli sforzi di Galen. Non era neppure il fratello dei suoi sogni di figlio unico; Ivan, con il quale Miles aveva in comune la parentela, gli amici, Barrayar, ricordi privati di un passato che si allontanava, era cento volte più suo fratello di quanto Mark avrebbe mai potuto essere. Era possibile che Miles avesse sottovalutato i meriti di Ivan. Non si potevano rivivere da capo gli inizi poco felici, anche se, rifletté Miles guardando le proprie gambe corte come se riuscisse a vedere le ossa artificiali che contenevano, anche vi si poteva porre rimedio. Qualche volta.

«Già, perché?» ripeté Ivan vedendo che Miles continuava a tacere.

«Ma come» cinguettò Miles, «non ti piace il tuo nuovo cugino? Dov’è finito il tuo senso della famiglia?»

«Uno solo di voi due è più che sufficiente, grazie. Il tuo Malvagio Gemello, qui» disse Ivan facendo le corna, «è decisamente più di quanto posso sopportare. E poi, tutti e due non fate che rinchiudermi negli sgabuzzini.»

«Ah, ma almeno io ho chiesto dei volontari.»

«Già, questa l’ho già sentita: "Voglio tre volontari: tu, tu e tu". Comandavi nello stesso modo me e la figlia della tua guardia del corpo ancor prima di entrare nell’esercito, quando eravamo ragazzi. Non me lo sono dimenticato.»

«Nato per comandare» declamò Miles con un sorriso.

Mark corrugò la fronte, tentando evidentemente di immaginare il piccolo e deforme Miles che faceva il bulletto giocando con il grosso e sanissimo Ivan. «È tutto un trucco psicologico» lo informò Miles.

Studiò Mark, che a disagio, incassò la testa tra le spalle come una tartaruga sotto il suo sguardo. Era cattivo? Confuso, senza dubbio, uno spirito distorto come il corpo… anche se come mentore del bambino, Galen non poteva essere stato molto più tremendo del nonno di Miles. Ma per essere veramente sociopatico, un individuo doveva essere egocentrico in sommo grado e questa non era certo una definizione applicabile a Mark, a cui non era mai stato permesso di avere una personalità propria. Forse non era abbastanza egocentrico. «Tu sei il Male?» chiese Miles quasi per scherzo.

«Sono un assassino, no?» scattò Mark. «Che altro vuoi di più?»

«Ma è stato un assassinio? Mi era parso di avvertire qualche elemento di confusione.»

«Lui ha tentato di afferrare il distruttore neuronico, io non volevo lasciarglielo. È partito il colpo.» Mark impallidì al ricordo, aveva il volto cereo, solcato da ombre nella luce cruda della torcia di Miles infissa nella parete. «Io volevo che partisse.»

Ivan sollevò un sopracciglio, ma Miles non si peritò di metterlo al corrente. «Non premeditato, forse» gli suggerì.

Mark scrollò le spalle.

«Se tu fossi libero…» riprese Miles adagio.

«Libero?» lo schernì Mark con una smorfia. «Libero? Io? Che possibilità ho? A quest’ora la polizia avrà già ritrovato il corpo.»

«No. La marea è arrivata oltre la ringhiera, il mare lo ha portato via. Passeranno tre o quattro giorni prima che torni a galla. Se mai ci tornerà.» E per allora sarà irriconoscibile. Il capitano Galeni lo avrebbe reclamato, per dargli una sepoltura decente? Dov’era Galeni? «Supponi di essere libero, libero da Barrayar e da Komarr, anche da me. Libero da Galen e dalla polizia, libero dall’ossessione. Cosa sceglieresti? Chi sei, tu? Sei solo reazione, senza mai un’azione tua?»

Mark trasalì. «Fottiti.»

Miles piegò un angolo della bocca in un rapido sorriso e mosse lo stivale nella fanghiglia del pavimento. «Immagino che non lo scoprirai mai finché continuerò a starti appresso.»

«Quello libero sei tu!» sbottò Mark con tutto l’odio di cui era capace.

«Io?» esclamò Miles davvero sorpreso. «Io non sarò mai libero come lo sei tu adesso. Era la paura che ti teneva sotto il giogo di Galen; il suo controllo su di te durava solo finché gli eri vicino ed ora non c’è più. Io invece sono sotto il giogo di… altre cose. Da sveglio o durante il sonno, vicino o lontano, non fa differenza. Eppure… Barrayar può essere un posto interessante, visto attraverso occhi diversi da quelli di Galen. Suo figlio ne ha intraviste le possibilità.»

Fissando la parete, Mark sorrise acido. «Stai preparando un altro ruolo per il mio corpo?»

«E a che scopo? Tu non possiedi certo l’altezza che i miei… i nostri… geni avevano programmato o niente di simile. E poi, tanto le mie ossa diventeranno plastica comunque. Non c’è nessun vantaggio in quel ruolo.»

«Allora mi terrai di riserva; il magazzino di pezzi di ricambio in caso di incidenti.»

Miles alzò le braccia al cielo. «Non ci credi più nemmeno tu, a quella possibilità. Ma la mia offerta originale vale ancora. Torna con me dai dendarii e ti nasconderò, ti farò tornare di nascosto a casa dove avrai tutto il tempo per scoprire che il vero Mark, non è l’imitazione di qualcuno.»

«Non voglio conoscere quella gente» affermò Mark in tono secco.

Con quella intendeva suo padre e sua madre. Miles ci mise un po’ a capirlo, mentre Ivan ormai aveva chiaramente perso il filo. «Non credo che si comporterebbero male. Dopo tutto, sono già dentro di te, ad un livello fondamentale. Non puoi sfuggire a te stesso.» Si interruppe e riprovò: «Se tu potessi fare qualsiasi cosa, cosa faresti?»

Il volto di Mark assunse un’espressione dura. «Metterei fine al commercio di cloni del Gruppo Jackson.»

«Sono troppo protetti. Ma d’altra parte, cosa ci si può aspettare dai discendenti di una colonia che era partita come base per i dirottamenti e il contrabbando? Naturale che si siano trasformati in un’aristocrazia. Un giorno o l’altro ti racconterò un paio di aneddoti a proposito dei tuoi antenati che non fanno parte della storia ufficiale…» Così Mark aveva assorbito almeno questo di buono, dal suo legame con Galen, una sete di giustizia che andava al di là della sua stessa pelle, anche se la includeva. «Come scopo della vita, ti terrebbe senz’altro occupato. E come procederesti?»

«Non saprei» rispose Mark chiaramente preso alla sprovvista da quell’improvvisa richiesta di realizzazione pratica. «Farei saltare in aria i laboratori, libererei tutti i bambini.»

«Buona tattica, pessima strategia. Non farebbero altro che ricostruire. Ti serve più di un livello di attacco. Se riuscissi a trovare un sistema per rendere improduttivo quel commercio, morirebbe da solo.»

«E come?» chiese Mark?

«Vediamo… La base dei clienti: gente ricca, priva di etica, che non si può certo pensare di persuadere a scegliere la morte al posto della vita. Forse qualche scoperta medica che offrisse una forma diversa di estensione della vita potrebbe distoglierli dall’idea del clone.»

«Anche ucciderli li distoglierebbe» ringhiò Mark.

«Vera, ma poco pratico considerando il numero. La gente di quella classe ha la tendenza ad avere guardie del corpo. Prima o poi uno ti prenderebbe e addio sabotaggio. Guarda, possono esserci diversi punti di attacco, non voler a tutti i costi restare aggrappato al primo che ti viene in mente. Ad esempio, supponiamo che tu torni con me su Barrayar. Come Lord Mark Vorkosigan puoi aspettarti, col tempo, di mettere insieme un discreto potere sia personale che finanziario. Completa la tua istruzione… e applicati seriamente al problema, progettando una strategia, senza buttarti a capofitto giù dal primo muro, sfracellandoti.»

«Non andrò mai su Barrayar» ripeté Mark a denti stretti.

Già, e a quanto sembra tutte le donne di una certa intelligenza della galassia sono completamente d’accordo con te… forse sei più furbo di quanto credi. Miles sospirò. Quinn, dove sei?

Nel corridoio la polizia aveva finito di caricare l’ultimo corpo svenuto su una barella galleggiante. Tra non molto bisognava darsi da fare.

Miles si rese conto che Ivan lo stava fissando. «Ti ha dato completamente di volta il cervello» affermò convinto.

«Perché? Non credi che sia ora che qualcuno dia una bella lezione a quei Bastardi del Gruppo Jackson?»

«Certo, ma…»

«Io non posso essere dappertutto, ma potrei sostenere il progetto…» disse Miles lanciando un’occhiata a Mark. «… se hai finito di voler essere me, però. Hai finito?»

Mark osservò l’ultimo dei morti che veniva portato via. «Puoi tenerti la tua identità. Mi sorprende che tu non cerchi di scambiare identità con me.» E come colto da un nuovo e improvviso sospetto, girò di scatto la testa per fissare Miles.

Miles rise, ma fu un riso amaro. Che tentazione! Togliersi l’uniforme, entrare nella metropolitana e scomparire con una nota di credito di mezzo milione di marchi in tasca. Essere un uomo libero… Il suo sguardo si posò sulla sudicia uniforme imperiale verde di Ivan, simbolo del loro servizio. Tu sei quello che fai… scegli ancora…

No, ancora una volta, il figlio più brutto di Barrayar avrebbe scelto di essere il suo campione. Non poteva strisciare in un buco e scegliere di non essere nessuno.

E parlando di buchi, era arrivato il momento di strisciare fuori da quello in cui si trovavano. L’ultimo componente della polizia stava oltrepassando a passo di marcia la curva del corridoio, accompagnando la barella galleggiante e tra non molto sarebbero comparsi i tecnici della diga. Meglio sbrigarsi.

«È ora di andare» disse Miles, spegnendo il rilevatore e riprendendo la torcia elettrica.

Con un grugnito di sollievo, Ivan si allungò per aprire il portello, poi sollevò Miles per farlo uscire e una volta fuori, Miles gli lanciò la sua corda. Mark vide il volto di Miles incorniciato nel portello e un’espressione di panico si dipinse sul suo volto quando si rese conto del perché doveva essere l’ultimo. Poi Miles gli lanciò la corda e la sua espressione tornò impenetrabile. Miles scollegò il grand’angolare dal pannello, lo rimise nella valigetta e accese il comunicatore da polso. «Nim, rapporto sulla situazione» sussurrò.

«Entrambe le aeromobili sono di nuovo in volo, signore, a circa un chilometro nell’entroterra. La polizia ha transennato l’area in cui si trova lei e il posto brulica di poliziotti.»

«Va bene. Ancora niente da Quinn?»

«Nessuna novità.»

«Mi dia le sue esatte coordinate riferite all’interno di questa torre.»

Nim eseguì.

«Molto bene. Mi trovo all’interno del frangiflutti, vicino alla torre Sei con il tenente Vorpatril e il mio clone. Cercheremo di uscire dalla Torre Sette, fermandoci per prendere Quinn. O almeno» si interruppe, cercando di deglutire (chissà perché quella stupida della sua gola si era improvvisamente chiusa!), «di sapere che ne è stato di lei. Mantenete la posizione attuale. Naismith chiude.»

Si tolsero gli stivali e si avviarono in punta di piedi lungo il corridoio in direzione sud, tenendosi rasenti alla parete. Si udivano delle voci, ma provenivano dalle loro spalle. La biforcazione del corridoio ora era illuminata; mentre si avvicinavano, Miles sollevò una mano per farli fermare e schiacciandosi contro la parete, sbirciò oltre l’angolo. Un uomo con la tuta da tecnico dell’autorità portuale e un poliziotto stavano esaminando il portello, voltando loro le spalle. Miles fece cenno a Mark e a Ivan di avanzare e tutti e tre oltrepassarono senza fare rumore l’ingresso della galleria.

Nell’atrio alla base del pozzo di salita della Torre Sette c’era di guardia un agente di polizia. Miles, con gli stivali in una mano e lo storditore nell’altra, digrignò i denti frustrato: ecco dove andava a finire la sua ottimistica speranza di uscire senza lasciare tracce.

Ma non poteva fare diversamente. Forse quello che perdevano in finezza lo avrebbero guadagnato in velocità e poi, quell’uomo si trovava tra lui e Quinn e quindi se lo meritava. Prese la mira e fece fuoco con lo storditore: il poliziotto crollò a terra.

Salirono lungo il pozzo. Qui, indicò Miles con un gesto della mano. Il corridoio era illuminato a giorno, ma non si udivano mormorii che indicassero la presenza di persone. Contò la distanza che Nim gli aveva dato e si fermò davanti ad una porta chiusa su cui era scritto Servizio. Aveva lo stomaco in subbuglio. E se i cetagandani avessero deciso di darle una morte lenta… se i minuti che Miles aveva trascorso nascosto con tanta tranquillità, fossero stati determinanti per la salvezza di Elli…

La porta era chiusa a chiave e i controlli erano stati manomessi. Miles strappò il pannello, lo mandò in corto e aprì la porta manualmente, rischiando di spezzarsi qualche dito.

Elli era accasciata a terra, immobile e pallida. Miles si lasciò cadere in ginocchia accanto a lei e cercò il polso… il polso… eccolo! La pelle era calda e il petto si alzava e si abbassava regolarmente: era stordita, solo stordita. Sollevò lo sguardo e attraverso gli occhi velati di lacrime vide il volto di Ivan che si chinava ansioso su di loro. Cercò di calmare il respiro e riprese il controllo di sé: in fondo, non avrebbe potuto essere altrimenti, era la possibilità più logica.

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