CAPITOLO SEDICESIMO

Si fermarono all’ingresso laterale della Torre Sette per rimettersi gli stivali. Tra loro e la città si stendeva la striscia di parco, con i sentieri illuminati e le chiazze di prato scure e misteriose. Miles calcolò il tempo occorrente per raggiungere i cespugli più vicini e individuò la posizione delle macchine della polizia disseminate nelle aree di parcheggio.

«Immagino che tu non abbia portato la tua fiaschetta» sussurrò a Ivan.

«Se l’avessi avuta, l’avrei vuotata ore fa. Perché?»

«Mi stavo chiedendo come avremmo potuto spiegare la presenza di tre giovanotti che si trascinano una donna svenuta per il parco a quest’ora di notte. Se versassimo un po’ di brandy addosso a Quinn, potremmo almeno far finta di riportarla a casa da una festa o qualcosa di simile. I postumi della carica di uno storditore sono molto simili a quelli di una sbronza e potremmo farla franca anche se si svegliasse e cominciasse a farfugliare.»

«Mi auguro che possegga il senso dell’umorismo. Be’, in fondo cosa sarà mai un piccolo offuscamento d’immagine tra amici?»

«Di certo meglio della verità.»

«In ogni caso, la fiaschetta non ce l’ho. Siamo pronti?»

«Direi di sì. No, aspetta…» Un’aeromobile stava atterrando; era un velivolo civile, ma il poliziotto di guardia le corse incontro. Ne discese un uomo anziano, che insieme alla guardia tornò di corsa verso la torre. «Ora.»

Ivan afferrò Quinn per le spalle mentre Mark la sollevava per i piedi. Miles scavalcò con cautela il corpo inanimato del poliziotto che era stato di guardia a quell’ingresso e tutti insieme attraversarono lo spiazzo e si portarono al riparo.

«Accidenti, Miles» ansimò Ivan quando si fermarono in mezzo agli arbusti, «perché non ti cerchi delle donne minute? Sarebbe più sensato…»

«Su, su, in fondo pesa solo il doppio di uno zaino affardellato: puoi farcela…» Nessun segno di inseguitori, niente grida alle loro spalle; l’area più vicina alla torre era probabilmente la più sicura, perché doveva essere stata setacciata e controllata già prima e dichiarata libera da intrusi. Adesso l’attenzione della polizia sarebbe stata concentrata sul perimetro esterno, che era proprio quello che dovevano attraversare per raggiungere la città e dileguarsi.

Miles scrutò nelle ombre, ma con tutta l’illuminazione che c’era in giro, i suoi occhi non riuscivano ad adattarsi all’oscurità come avrebbe voluto.

Anche Ivan scrutava attento. «Non vedo poliziotti nei cespugli» sussurrò.

«Non sto cercando i poliziotti» sussurrò Miles di rimando.

«E allora cosa?»

«Mark ha detto che un uomo con il volto dipinto gli ha sparato addosso. Ma finora non ho visto nessuno con il volto dipinto?»

«Ah… forse la polizia l’ha agguantato subito, prima che vedessimo gli altri.» Ma Ivan si guardò ugualmente alle spalle.

«Forse. Mark… di che colore era dipinta la faccia? Che disegno?»

«Quasi tutto azzurro, con disegni a forma di spirale bianchi, gialli e neri. Un Lordghem di medio rango, giusto?»

«Si trattava di un capitano di centuria.» Disse Miles. «Se fossi al mio posto, dovresti essere in grado di leggere per dritto e per rovescio i segni ghem.»

«C’erano così tante cose da imparare…»

«Fa lo stesso… Ivan, te la senti di affermare con sicurezza che un capitano di centuria, altamente addestrato, inviato dal quartier generale, al quale ha prestato giuramento formale per la sua caccia, si sia lasciato sorprendere e stordire da un poliziotto londinese qualsiasi? Gli altri erano solo normali soldati, che i cetagandani potranno tirare fuori di prigione in seguito; ma un Lordghem si farebbe ammazzare prima di trovarsi in un imbarazzo simile.»

«Splendido» esclamò Ivan roteando gli occhi.

Percorsero circa duecento metri tra alberi, arbusti e ombre e cominciarono ad udire in lontananza il debole ronzio del traffico sull’autostrada costiera. I sottopassaggi pedonali erano sicuramente sorvegliati e l’autostrada era cintata e assolutamente invalicabile.

Vicino al sentiero che conduceva al sottopassaggio c’era un chiosco di sintocemento su cui si abbarbicavano rampicanti che avrebbero dovuto mascherarne le forme tozze.

Al primo sguardo Miles lo scambiò per una latrina pubblica, ma ad un esame più attento individuò una sola porta di ingresso, senza insegne e chiusa a chiave. I lampioni che avrebbero dovuto illuminare quel lato erano spenti. Mentre Miles guardava, la porta prese a scivolare lentamente di lato e un’arma impugnata da una mano pallida brillò debolmente nell’oscurità.

Miles puntò Io storditore e trattenne il fiato. La forma scura di un uomo uscì silenziosa.

Miles riprese a respirare. «Capitano Galeni!» sibilò.

Galeni trasalì come se lo avessero colpito, si mise carponi e avanzò zigzagando, raggiungendoli nel nascondiglio di arbusti. Poi imprecò, quando, come era successo a Miles, si accorse che i cespugli avevano le spine. «Che mi venga un colpo, siete ancora vivi!» esclamò con un’occhiata critica al gruppetto malconcio.

«Diciamo che anch’io ho pensato io stesso di lei» ammise Miles.

Galeni era… aveva un aspetto strano, decise Miles. Era scomparsa la falsa impassibilità con cui aveva assistito alla morte di Ser Galen; ora sorrideva quasi, pervaso da un’ilarità leggermente maniacale, come se avesse ecceduto in droghe stimolanti. Respirava pesantemente, il viso era graffiato, la bocca insanguinata. La mano gonfia stringeva un fucile al plasma cetagandano d’ordinanza e dal bordo dello stivale spuntava l’impugnatura di un pugnale.

«Per caso… si è imbattuto in un tipo con la faccia dipinta di azzurro?» si informò Miles.

«Certo» rispose Galeni in tono soddisfatto.

«Cosa diavolo le è successo?»

Galeni parlò in un sussurro rapido. «Non sono riuscito a trovare un ingresso nella diga vicino a dove vi avevo lasciati. Ho notato quell’ingresso di servizio» e indicò il chiosco con un cenno del capo, «e ho pensato che ci potesse essere qualche galleria di scolo o qualche condotto di fibre di energia che conducessero al frangiflutti. Era vero solo in parte; ci sono un mucchio di gallerie di servizio sotto questo parco. Ma mi sono perso sottoterra e invece di uscire all’interno della diga, mi sono ritrovato nel sottopassaggio pedonale sotto l’autostrada. E sapete chi ho trovato?»

Miles scosse il capo. «Polizia? cetagandani? barrayarani?»

«Quasi: il mio vecchio amico e omologo dell’ambasciata cetagandana, il ghemtenente Tabor. Mi ci sono voluti un paio di minuti per capire cosa ci stesse facendo qui: pattugliava il perimetro esterno come rinforzo alla squadra d’assalto. La stessa cosa che avrei fatto io se non fossi stato confinato nel mio alloggio.»

«Non era contento di vedermi» proseguì il capitano. «Ma neppure lui riusciva a capire cosa ci facessi lì. Abbiamo finto entrambi di essere usciti per ammirare la luna, e nel frattempo sono riuscito a dare un’occhiata all’equipaggiamento che era stivato nella sua macchina. Poteva anche credermi, deve aver pensato che ero ubriaco o drogato.»

Con molto tatto Miles si astenne dal commentare Non stento a crederlo.

«Ma a un certo punto ha cominciato a ricevere segnali dalla sua squadra e ha dovuto tentare di liberarsi di me in fretta. Mi ha sparato con uno storditore, io mi sono abbassato e non mi ha colpito in pieno; ma ho finto di essere in condizioni peggiori e così ho potuto ascoltare la sua parte di conversazione con la squadra che si trovava nella torre. Rimanevo in attesa che si presentasse un’occasione.»

«Stavo giusto riacquistando la sensibilità nella parte sinistra del corpo, quando è comparso il suo amico blu. Il suo arrivo ha distratto Tabor e io li ho atterrati tutti e due.»

«E come diavolo ci è riuscito?» chiese Miles inarcando le sopracciglia.

«Non… non lo so proprio» Galeni apriva e chiudeva i pugni mentre parlava. «Ricordo di averli colpiti…» gettò un’occhiata a Mark. «Per una volta tanto era bello avere un nemico ben definito.»

E su di loro, pensò Miles, hai scaricato tutta la tensione accumulata in quell’ultima impossibile settimana e in quella notte folle. Miles aveva già visto persone in quello stato di follia.

«Sono ancora vivi?»

«Oh, sì.»

Miles decise che ci avrebbe creduto quando avesse avuto la possibilità di controllare di persona. Il sorriso di Galeni era allarmante, con tutti quei denti lunghi che brillavano nel buio.

«La loro macchina» si intromise Ivan in tono urgente.

«La loro macchina» convenne Miles. «È ancora là? Possiamo arrivarci?»

«Forse» disse Galeni. «Adesso nelle gallerie c’è almeno una squadra di poliziotti. Li ho sentiti.»

«Dobbiamo correre il rischio.»

«Per voi è facile parlare» mormorò Mark in tono tracotante, «voi avete l’immunità diplomatica.»

Miles guardò il suo clone, afferrato da un’ispirazione folle, mentre con il dito sfiorava una tasca interna della sua giacca grigia. «Mark» sussurrò, «ti piacerebbe guadagnare quella nota di credito di centomila dollari betani?»

«Non c’è nessuna nota di credito.»

«Questo è quello che ha detto Ser Galen. Prova a riflettere su quante altre cose si è sbagliato questa sera» affermò Miles, sollevando lo sguardo per vedere che effetto faceva a Galeni sentir nominare il padre; un effetto calmante, a quanto pareva, perché proprio mentre lo guardava, negli occhi del capitano ricomparve quell’espressione meditabonda e pensosa. «Capitano Galeni, quei due cetagandani sono coscienti o almeno possono essere risvegliati?»

«Uno almeno dovrebbe esserlo e a quest’ora magari tutti e due. Perché?»

«Testimoni. Due testimoni, è l’ideale.»

«Ma io credevo che lo scopo di svignarcela invece di arrenderci fosse proprio di non avere testimoni» disse Ivan.

«Penso che sia meglio che io faccia Naismith» proseguì Miles senza dargli retta. «Senza offesa, Mark, ma il tuo accento betano non è ancora perfetto; non arroti a sufficienza le erre finali. E poi tu ti sei esercitato di più nella parte di Lord Vorkosigan.»

Galeni, che aveva afferrato l’idea, sollevò le sopracciglia, annuendo. Anche se il suo viso, quando si girò per guardare Mark, era impenetrabile come sempre, tanto che Mark trasalì. «Esatto. Credo che lei ci debba la sua collaborazione.» E aggiunse a voce bassissima «A me la deve.»

Non era questo il momento di far notare a Galeni quanto a sua volta dovesse a Mark, anche se, incontrandone brevemente lo sguardo, Miles capì che Galeni era perfettamente cosciente che quel cupo debito non era solo suo. Ma il capitano non avrebbe sprecato quell’opportunità.

Sicuro di avere in lui un alleato, l’ammiraglio Naismith disse: «Nella galleria, allora. Faccia strada, capitano.»


Il veicolo terrestre dei cetagandani era parcheggiato all’ombra di un albero, a pochi metri a sinistra dall’uscita del tunnel di risalita che dal sottopassaggio pedonale portava al parco del frangiflutti. Niente polizia in vista da quella parte. Dalla parte nel parco invece, così come aveva detto Galeni, doveva esserci una squadra di due uomini, anche se non si erano arrischiati a controllare: la corsa attraverso le gallerie era già stata abbastanza movimentata, avevano evitato a stento l’incontro con la polizia.

La larga chioma del platano nascondeva la macchina alla vista dei numerosi negozi e appartamenti che si affacciavano su quella stretta strada cittadina e dunque nessuna persona insonne poteva essere stato testimone dell’incontro fatto da Galeni… o almeno Miles lo sperava. L’autostrada che correva sopra e dietro era recintata e cieca, ma Miles si sentiva ugualmente esposto.

Il veicolo non aveva alcun contrassegno dell’ambasciata, né altri particolari insoliti che potessero attirare l’attenzione. Era spoglia, né nuova né vecchia, un po’ sporca. Miles sollevò le sopracciglia ed emise un fischio soffocato alla vista dell’ammaccatura nella fiancata, grande circa quanto la testa di un uomo, e del sangue sparso sull’asfalto, il cui colore rosso risultava per fortuna sbiadito nella penombra.

«Non è stato un po’ rumoroso?» chiese Miles a Galeni indicando il segno sulla fiancata.

«Mm? No, affatto, solo tonfi sordi, nessuno ha gridato.» Dopo una rapida occhiata alla strada e un attimo di attesa per far passare un veicolo, Galeni sollevò con prudenza la bolla a specchio della macchina.

Sul sedile posteriore erano ammucchiate due figure, tenute dritte dal loro stesso equipaggiamento. Il tenente Tabor, in abiti civili, ammiccò al di sopra del bavaglio; accanto a lui era accasciato l’uomo col volto dipinto di azzurro. Miles gli sollevò una palpebra, vide che l’occhio era ancora rovesciato e allora armeggiò alla ricerca della valigetta medica. Ivan caricò Elli e si sedette al posto di guida; Mark scivolò al fianco di Tabor e Galeni si mise a fianco dell’altro prigioniero. Ivan toccò un controllo e il tettuccio si abbassò e si chiuse. In sette là dentro erano una folla.

Miles si sporse al di sopra del sedile anteriore e iniettò una dose di synergine, il rimedio contro lo shock, nel collo del capitano di centuria, che avrebbe dovuto farlo rinvenire e non gli avrebbe certo fatto del male, perché in quel momento così particolare, la vita e il benessere del suo nemico erano molto preziose. Dopo averci pensato, Miles ne somministrò una dose anche a Elli, che emise un gemito rincuorante.

Il veicolo si sollevò e con un sibilo partì. Quando si lasciarono alle spalle la costa e si inoltrarono nel labirinto della città, Miles respirò sollevato; poi aprì il comunicatore e parlò con il suo più puro accento betano: «Nim?»

«Presente, signore.»

«Triangoli sul mio comunicatore e ci segua. Qui abbiamo finito.»

«Vi abbiamo rilevati, signore.»

«Naismith chiude.»

Si appoggiò in grembo la testa di Elli e si voltò a guardare Tabor, che non faceva altro che spostare lo sguardo da Miles a Mark, seduto accanto a lui.

«Salve, Tabor» disse Mark nel suo miglior accento da Vor barrayarano (ma suonava davvero così contraffatto?) «come sta il suo bonsai?»

Tabor si scostò. Il capitano di centuria si mosse, aprendo un poco le palpebre e tentando di mettere a fuoco lo sguardo; poi cercò di muoversi e quando scoprì di essere legato, si riappoggiò allo schienale, non rilassandosi, semplicemente evitando di sprecare le proprie energie in uno sforzo vano.

Galeni si sporse e allentò il bavaglio di Tabor. «Spiacente, Tabor, ma non potete prendere l’ammiraglio Naismith, non qui sulla Terra, almeno. Può passare parola ai suoi superiori: l’ammiraglio si trova sotto la protezione della nostra ambasciata fino a quando la sua flotta non lascerà l’orbita. Fa parte del prezzo concordato per l’aiuto che ha prestato all’ambasciata barrayarana nella ricerca dei komarrani che avevano sequestrato dei membri del nostro personale. Quindi rinunciate.»

Tabor roteò gli occhi mentre sputava fuori il bavaglio, muoveva la mascella e deglutiva. «Voi lavorate insieme?» gracchiò.

«Sfortunatamente» ringhiò Mark.

«Un mercenario» cantilenò Miles, «va dove può.»

«Lei ha commesso un errore» sibilò il capitano di centuria, «quando ha accettato il contratto contro di noi a Dagoola.»

«Può dirlo forte» convenne Miles tutto allegro. «Dopo che abbiamo salvato il loro maledetto esercito ci hanno fregati di brutto, dandoci solo la metà del compenso pattuito. Immagino che Cetaganda non ci assolderebbe per dargli a loro volta la caccia, vero? No, eh? Purtroppo non posso permettermi la vendetta personale, almeno per il momento. Altrimenti non mi sarei fatto assumere da …» e digrignò i denti in un sorriso cattivo verso Mark, che lo ricambiò di cuore, «… da questi vecchi amici.»

«Quindi lei è davvero un clone» sussurrò Tabor, fissando il leggendario comandante dei mercenari. «Noi credevamo…» e tacque.

«Per anni abbiamo pensato che fosse una vostra creatura» disse Mark, come Lord Vorkosigan.

Nostro! esclamò senza parole la bocca di Tabor.

«Ma questa operazione ha confermato le sue origini komarrane» terminò Mark.

«Abbiamo fatto un accordo» intervenne Miles come se il tono di Mark l’avesse infastidito, guardando infuriato sia lui che Galeni. «Voi mi coprite fino a quando non lascio la Terra.»

«Abbiamo un accordo» rispose Mark, «fino a quando resti alla larga da Barrayar.»

«Puoi tenerti il tuo maledetto Barrayar: io mi prenderò il resto della galassia, grazie.»

Il capitano di centuria era sul punto di perdere di nuovo conoscenza, ma resistette, respirando a fondo e chiudendo gli occhi. Doveva avere una leggera commozione, giudicò Miles.

In quel momento Elli spalancò gli occhi e lui le accarezzò i capelli. Grazie alla synergine, lei emise un rigurgito molto femminile e composto, invece della solita reazione di vomito come capitava sempre quando ci si riprendeva da una scarica di storditore. Si mise a sedere, si guardò intorno, vide Mark, i cetagandani, Ivan e chiuse la bocca di colpo, per nascondere la sua confusione.

Miles le strinse la mano: Ti spiegherò più tardi le promise con un sorriso; Sarà meglio risposero le sue sopracciglia alzate in segno di esasperazione. Poi sollevò il mento, dandosi un contegno alla presenza del nemico, pur confusa com’era.

Ivan voltò la testa e chiese a Galeni: «Dunque cosa ne facciamo di questi cetagandani, signore? Li scarichiamo da qualche parte? E da che altezza?»

«Credo che non sia il caso di scatenare un incidente interplanetario» rispose Galeni con un ghigno da lupo, copiando il tono di Miles. «Che ne dice, tenente Tabor? O preferisce che le autorità locali vengano a sapere cosa stava facendo in realtà il ghemcamerata all’interno del frangiflutti questa notte? No? Lo pensavo. Molto bene. Hanno entrambi bisogno di cure mediche, Ivan. Sfortunatamente il tenente Tabor si è rotto un braccio e credo che il suo, ehm, amico abbia una commozione. Tra le altre cose. La scelta spetta a lei, Tabor: dobbiamo lasciarvi ad un ospedale o preferite essere assistiti alla vostra ambasciata?»

«All’ambasciata» gracchiò Tabor, a cui non sfuggivano le possibili complicazioni legali. «A meno che non vogliate ritrovarvi costretti a spiegare un’accusa di tentato omicidio» minacciò a sua volta.

«Sarebbe solo un’accusa di aggressione» ribatté Galeni con gli occhi che brillavano.

Tabor sorrise a disagio, con l’aria di volersi scostare se solo ci fosse stato posto. «Comunque sia, entrambi i nostri ambasciatori non sarebbero compiaciuti.»

«Appunto.»

Si avvicinava l’alba e il traffico stava intensificandosi. Ivan girò un paio di strade, prima di trovare un parcheggio di autotaxi che non avesse una fila di clienti in attesa. Quel sobborgo era parecchio distante dal distretto delle ambasciate. Galeni fu molto sollecito: aiutò i loro passeggeri a scendere, ma non consegnò il codice delle manette al capitano di centuria, né quello dei legami che stringevano i piedi di Tabor fino a quando la vettura non si rimise in moto. «Vi farò restituire la macchina da uno dei miei uomini nel pomeriggio» gridò mentre acceleravano. Poi si riappoggiò al sedile con uno sbuffo mentre Ivan chiudeva il tettuccio e aggiunse a bassa voce: «Dopo che l’avremo perquisita ben bene.»

«Pensa che questa messinscena funzionerà?» chiese Ivan.

«A breve termine, per convincere i cetagandani che Barrayar non ha avuto nulla a che fare con la faccenda di Dagoola… forse sì, forse no» sospirò Miles. «Ma per quell’altra faccenda di sicurezza… ecco due fedeli ufficiali che potranno affermare anche sotto penta-rapido che l’ammiraglio Naismith e Lord Vorkosigan sono senza ombra di dubbio due persone distinte. E questo sarà per noi un grande guadagno.»

«Ma la penserà così anche Destang?» chiese Ivan.

«Non credo» disse Galeni in tono assorto, guardando fuori dal tettuccio, «che me ne importi un accidente di quello che penserà Destang.»

Miles la pensava esattamente nello stesso modo… però erano tutti molto stanchi. Ma erano tutti insieme. Si guardò intorno, assaporando il piacere di vedere quei visi, Elli e Ivan, Mark e Galeni, vivi, sopravvissuti a quella notte.

Quasi tutti.

«Dove vuoi che ti lasciamo, Mark?» chiese, guardando di sottecchi Galeni per vedere se aveva obiezioni, ma Galeni non ne aveva. Con l’uscita di scena dei cetagandani sembrava aver perso la carica di adrenalina che lo aveva sorretto fino a quel momento e appariva svuotato. Appariva vecchio. Miles non sollecitò una sua obiezione: Attento a quello che chiedi: potresti ottenerlo.

«Una stazione della metropolitana» rispose Mark. «Una stazione qualunque.»

«Molto bene» rispose Miles richiamando sul display la mappa della città. «Alla terza traversa, Ivan.»

Quando la macchina accostò nell’area di parcheggio, scese con Mark. «Torno tra un attimo.» E insieme si avviarono all’ingresso del tunnel di discesa. La zona era ancora tranquilla, solo poche persone erano già in giro, ma l’ora di punta si stava avvicinando.

Miles aprì la giacca e tirò fuori la carta di credito, e dall’espressione tesa che apparve sul volto di Mark, capì che questi invece si aspettava di vedere comparire un distruttore neuronico, come sarebbe stato nello stile di Ser Galen. Mark prese la nota e la osservò, sospettoso e incredulo.

«Ecco qua» disse Miles. «Se tu, con i tuoi precedenti e questo conto in banca, non sei in grado di sparire dalla faccia della Terra, non può farlo nessuno. Buona fortuna.»

«Ma… cosa vuoi da me?»

«Niente, assolutamente niente. Sei un uomo libero, finché saprai mantenerti tale. Non saremo certo noi a notificare la morte… ah… semiaccidentale di Galen.»

Mark infilò la nota di credito nella tasca dei pantaloni. «Tu volevi di più.»

«Quando non puoi ottenere quello che vuoi, prendi quello che ti viene. Come stai scoprendo anche tu» disse accennando con il capo verso la tasca di Mark, che istintivamente vi mise la mano sopra.

«Che cosa ti aspetti che faccia?» domandò Mark. «Per cosa stai cercando di incastrarmi? Hai davvero preso sul serio tutte quelle fregnacce sul Gruppo Jackson? Cosa ti aspetti da me?»

«Puoi prendere quei soldi e ritirarti nelle cupole di piacere di Marte, fino a quando durano. O puoi usarli per farti un’istruzione, o due o tre. O gettarlo nel primo inceneritore di rifiuti che incontri. Io non sono il tuo proprietario, non sono il tuo mentore, non sono i tuoi genitori. Io non mi aspetto nulla. Non desidero nulla.» Ribellati a questo… se riesci a trovare un modo… fratellino. Miles tese le mani a palmi in avanti e fece un passo indietro.

Mark saltò nel tunnel di discesa, senza voltargli le spalle. «PERCHÉ NO?» urlò all’improvviso, perplesso e furioso.

Miles gettò indietro la testa e rise. «Scoprilo da te!» gridò.

Il campo di discesa del tunnel afferrò Mark, che svanì, ingoiato dalla terra.

Miles tornò dagli amici che lo stavano aspettando.

«Credi che sia stata una cosa furba?» chiese Elli preoccupata, interrompendo il rapido resoconto di Ivan. «Lasciarlo andare in quel modo?»

«Non lo so» sospirò Miles. «Se non puoi aiutare, almeno non intralciare. Io non posso aiutarlo, Galen lo ha reso troppo poco stabile. Io sono la sua ossessione e temo che lo sarò sempre. Io so tutto delle ossessioni. La cosa migliore che posso fare è non restargli tra i piedi. Col tempo forse si calmerà, non essendo costretto a reagire alla mia presenza. Col tempo potrà… salvarsi.»

Lo sfinimento lo sommerse. Il corpo di Elli accanto al suo era caldo, e lui era contento, contento di averla lì. La presenza della ragazza gli rammentò un’altra cosa: accese il comunicatore e congedò Nim e la sua pattuglia, ordinando loro di tornare allo spazioporto.

«Bene» disse Ivan dopo un intero minuto di silenzio, «dove andiamo adesso? Voi due volete che vi porti allo spazioporto?»

«Sì» sospirò Miles, «per fuggire dal pianeta… la diserzione è poco pratica, temo, perché tanto, presto o tardi, Destang mi ritroverebbe. Tanto vale che torniamo all’ambasciata a fare rapporto. Un rapporto vero. Non c’è rimasto più nulla per cui mentire, no?» Chiuse gli occhi, cercando di pensare.

«Per quello che mi riguarda, non c’è nulla» borbottò Galeni. «E poi non mi piacciono i rapporti edulcorati. Alla fine diventano storia. Peccati sepolti.»

«Lei… lei sa che non avrei voluto che le cose andassero in questo modo» gli disse Miles dopo un attimo di silenzio. «Lo scontro della notte scorsa.» Era un ben povero modo di scusarsi per aver fatto ammazzare il padre di un uomo…

«Immagina di essere stato lei l’artefice? Onnisciente e onnipotente? Nessuno l’ha nominata Dio, Vorkosigan.» Il fantasma di un sorriso gli comparve agli angoli della bocca. «Sono sicuro che si è trattato di un incidente.» Si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi.

Miles si schiarì la gola. «Allora torniamo all’ambasciata, Ivan. E… senza fretta, guida piano. Non mi spiacerebbe dare un’ultima occhiata a Londra, eh?» Si appoggiò a Elli e guardò l’alba estiva sorgere lenta sulla città, il tempo e le epoche che si mischiavano e si sovrapponevano come le luci e le ombre tra una strada e l’altra.


Quando si misero tutti in fila nell’ufficio di Galeni all’ambasciata, a Miles vennero in mente le statuette di porcellana cinese a forma di scimmia che il capo di stato maggiore Tung teneva su uno scaffale nel suo alloggio. Ivan era senza dubbio quella del "Io non vedo", mentre Galeni, per il modo in cui stringeva le mascelle rispondendo allo sguardo inferocito di Destang, era senz’altro quella del "Io non parlo". Il che lasciava a Miles, in piedi tra i due, la parte del "Io non sento"… ma forse mettersi le mani sulle orecchie non lo avrebbe aiutato molto.

Si era aspettato di trovare Destang furibondo, ma il commodoro sembrava solo disgustato. Rispose ai loro saluti e si appoggiò allo schienale della poltrona di Galeni e quando posò lo sguardo su Miles, la sua bocca assunse una piega particolarmente contorta.

«Vorkosigan.» Quel nome restò sospeso in aria come una cosa visibile, che Destang osservò senza particolare favore prima di proseguire. «Quando ho finito di trattare con un certo investigatore Reed delle Assise Municipali di Londra alle 07.00 di questa mattina, ero deciso a far sì che solo un intervento divino l’avrebbe salvata dalla mia ira. E l’intervento divino è arrivato alle 09.00 sotto forma di un corriere speciale del QG Imperiale.» Destang prese un dischetto contrassegnato dal marchio imperiale e lo tenne tra il pollice e l’indice. «Questi sono i nuovi e urgenti ordini per i suoi irregolari dendarii.»

Dal momento che Miles aveva incrociato il corriere al bar dell’ambasciata, quella notizia non gli giunse del tutto inaspettata. Represse il desiderio di sporgersi e disse in tono invitante.

«Sì, signore?»

«Sembra che una certa flotta di mercenari che operava nel lontano settore IV, a quanto pare sotto contratto con un governo subplanetario, abbia oltrepassato il limite tra guerriglia e pirateria dichiarata. Il blocco che avevano posto alla distorsione galattica si è trasformato da perquisizione delle navi in transito alle confisca.»

«Tre settimane fa, hanno sequestrato un’astronave passeggeri battente bandiera tau cetana e l’hanno trasformata in un trasporto truppe. E fin qui tutto bene, senonché a qualche mente brillante è venuta l’idea geniale di aumentare la paga trattenendo i passeggeri e rilasciandoli dietro pagamento di un riscatto. Parecchi governi planetari i cui cittadini si trovano attualmente nelle mani dei sequestratori hanno formato una delegazione per negoziare, capeggiata dai tau cetani.»

«E qual è il nostro ruolo, signore?» Il Settore IV era decisamente lontano da Barrayar, ma Miles non faceva fatica ad indovinare il seguito. Ivan era curiosissimo.

«Tra i passeggeri c’erano undici sudditi barrayarani, compresa la moglie del Ministro dell’Industria Pesante, Lord Vorvane e i loro tre figli. Poiché i passeggeri barrayarani sono solo una minoranza dei duecentosedici passeggeri tenuti in ostaggio, Barrayar non ha potuto ottenere il comando della delegazione. I governi interessati, per nulla amichevoli, hanno negato alla nostra flotta il permesso di passaggio nei tre corridoi di transito che costituivano la rotta più corta tra Barrayar e il Settore IV. L’altra via più breve richiede diciotto settimane. Dalla Terra i suoi dendarii possono arrivare in quell’area in meno di due settimane.» Destang corrugò la fronte; Ivan era assolutamente affascinato.

«I vostri ordini sono naturalmente di liberare vivi i sudditi dell’Imperatore e il maggior numero possibile di altri cittadini planetari, intraprendendo tutte le misure punitive compatibili con il raggiungimento dell’obiettivo primario e sufficienti a dissuadere i pirati dal ripetere un atto simile. Poiché tra Barrayar e Tau Ceti sono in corso delicati negoziati per un trattato, non vogliamo assolutamente che, se qualcosa va storto, i tau cetani abbiano sentore del mandante di questo tentativo unilaterale di salvataggio. Il mezzo per raggiungere questo scopo sembra sia lasciato totalmente alla sua discrezione. Qui dentro troverà tutti i particolari della situazione in possesso del QG fino ad otto giorni fa.»

Finalmente tese il dischetto, che Miles prese con dita che prudevano. L’espressione di Ivan era adesso di invidia completa.

Destang trasse un altro oggetto che porse a Miles con l’aria di un uomo che si stesse strappando il fegato. «Il corriere ha consegnato un’altra nota di credito per diciotto milioni di marchi. Per coprire le spese dei prossimi sei mesi di operazioni.»

«Grazie, signore!»

«Ah. A operazione ultimata, farà rapporto direttamente al commodoro Rivik al quartier generale del Settore IV. Con un po’ di fortuna, per allora io sarò già in pensione» terminò Destang.

«Sissignore. Grazie signore.»

Lo sguardo di Destang si posò su Ivan. «Tenente Vorpatril.»

«Signore?» Ivan si mise sull’attenti con l’aria più entusiasta che gli riuscì di trovare, mentre Miles si preparava a protestare che Ivan era innocente, completamente all’oscuro di tutto, era una vittima… ma non ne ebbe bisogno; Destang si limitò a osservarlo in silenzio per qualche istante e poi sospirò.

«Non importa.»

A quel punto si rivolse a Galeni, che era in piedi rigido e immobile. Essendo riusciti ad arrivare prima di Destang, entrambi gli ufficiali dell’ambasciata avevano potuto lavarsi e indossare uniformi pulite e redigere un laconico rapporto, che il commodoro aveva appena finito di leggere. Ma nessuno aveva ancora potuto dormire. Quanto fango avrebbe ancora potuto sopportare Galeni prima di raggiungere il punto di esplosione?

«Capitano Galeni» esordì Destang, «da un punto di vista militare, lei è accusato di disobbedienza all’ordine di restare confinato nel suo alloggio e poiché quest’accusa è identica a quella che Vorkosigan è appena riuscito con tanta fortuna ad eludere, mi si presenta un certo problema di giustizia. C’è anche la circostanza attenuante del rapimento di Vorpatril. Il suo salvataggio e la morte di un nemico di Barrayar sono gli unici risultati tangibili delle… attività della notte scorsa. Tutto il resto sono speculazioni, affermazioni incontrollabili riguardo alle sue intenzioni e al suo stato mentale. Finché non deciderà di sottomettersi ad un interrogatorio con il penta-rapido per sgombrare il campo da ogni possibile dubbio…»

«È un ordine, signore?» chiese Galeni con espressione inorridita.

Miles si rese conto che Galeni era un passo dal rinunciare al suo incarico e rassegnare le dimissioni… Proprio adesso, quando tanto era stato sacrificato… avrebbero voluto dargli un calcio, no, No! Pensò alle difese più pazzesche: Il penta-rapido è degradante per la dignità di un ufficiale, Signore! O anche: Se sottopone lui alla droga, deve farlo anche con me… non si preoccupi, Galeni, ho rinunciato alla dignità anni fa… Solo che le sue reazioni poco normali alla droga rendevano totalmente inutile quell’offerta. Si morse la lingua e attese in silenzio.

Destang sembrava turbato. Dopo qualche istante di silenzio disse: «No.» Poi sollevò lo sguardo e aggiunse: «Ma questo significa che il mio rapporto, il suo, quello di Vorkosigan e di Vorpatril, verranno messi insieme e spediti direttamente a Simon Illyan. Mi rifiuto di chiudere il caso. Non sono arrivato al grado che ho, evitando le decisioni militari… né invischiandomi gratuitamente in quelle politiche. La sua… lealtà, come il destino del clone di Vorkosigan, si sono trasformati in una questione politica troppo ambigua. Non sono affatto convinto della riuscita a lungo termine della politica di integrazione di Komarr, ma non ho nessuna intenzione di passare alla storia come il suo sabotatore.»

«Mentre il caso resta aperto e in assenza di prove di tradimento, lei riprenderà i suoi compiti qui all’ambasciata. Non mi ringrazi» aggiunse cupo, mentre Miles sorrideva, Ivan si strozzava per trattenere una risata felice e Galeni perdeva un poco della sua rigidità, «è stata una richiesta dell’ambasciatore.»

«Potete tornare tutti ai vostri posti.»

Miles represse l’impulso di mettersi a correre prima che Destang cambiasse idea; ricambiò il saluto e si avviò alla porta camminando normalmente, insieme agli altri. Prima che uscissero, Destang aggiunse: «Capitano Galeni?»

Galeni si fermò. «Signore?»

«Le mie condoglianze.» Quelle parole potevano essergli state strappate con le tenaglie, ma il suo disagio era forse la misura della loro sincerità.

«Grazie, signore.» La voce di Galeni era così priva di inflessioni da parere morta, ma riuscì lo stesso a ringraziare con un breve cenno del capo.


Nei portelli e nei corridoi della Triumph il brusio del personale di ritorno da terra si sovrapponeva ai rumori prodotti dalle squadre di tecnici che effettuavano le ultime riparazioni, controllavano l’equipaggiamento e caricavano le ultime scorte. Rumoroso, ma non caotico; attivo e incalzante, ma non frenetico. L’assenza di frenesia era un buon segno, considerando quanto a lungo erano rimasti inattivi. Le inflessibili squadre di sottufficiali di Tung non avevano permesso che i preparativi di routine slittassero fino all’ultimo minuto.

Miles, affiancato da Elli, si ritrovò al centro di un tifone di curiosità fin dal momento in cui mise piede a bordo. Qual è il nuovo contratto, signore? La velocità con cui il mulino dei pettegolezzi macinava ipotesi dall’assurdo allo strampalato era sconcertante. Sì, abbiamo un nuovo contratto; sì, stiamo per lasciare l’orbita. Non appena siete pronti. Lei è pronto? E il resto della sua squadra? Allora forse è meglio che vada ad assisterli…

«Tung!» Miles chiamò il suo capo di stato maggiore. Il tozzo eurasiatico indossava abiti civili e trasportava una sacca. «Arrivi adesso?»

«Parto adesso. Auson non ti ha detto niente? È una settimana che cerco di mettermi in contatto con lei, ammiraglio.»

«Cosa?» chiese Miles tirandolo da parte.

«Ho firmato le dimissioni, mi sono avvalso dell’opzione di andare in pensione.»

«Che cosa? Perché?»

Tung sorrise. «Fammi le congratulazioni: mi sposo.»

Sconvolto, Miles gracchiò: «Congratulazioni. Ah… e quando è successo?»

«Mentre ero in licenza, naturalmente. Si tratta della mia cugina di secondo grado, una vedova, che da quando è morto il marito manda avanti da sola un battello per turisti lungo il corso del Rio delle Amazzoni. È il capitano e anche la cuoca. Cucina un maiale all’agro da leccarsi i baffi. Ormai però gli anni incalzano e un po’ di muscoli le fanno comodo.» Il tarchiato Tung era certo in grado di fornirglieli. «Ci metteremo in società. Che diavolo» proseguì, «quando avrai finito di pagare la Triumph potremo persino smetterla con i turisti. Se mai ti venisse la voglia di fare sci d’acqua sul Rio della Amazzoni dietro un hovercutter, figliolo, fai un salto da noi.»

E i piragna mutanti si mangeranno quello che resta, senza dubbio. Il fascino della visione di Tung che passava gli anni del tramonto guardando… il tramonto dal ponte di una nave, con una formosa eurasiatica sulle ginocchia, un bicchiere in una mano e un piatto di maiale all’agro nell’altra, non produsse alcun effetto su Miles, intento a considerare: a) quanto sarebbe costato alla flotta rilevare la quota di Tung della Triumph, e b) l’enorme buco a forma di Tung che il suo ritiro avrebbe lasciato nella struttura di comando della flotta.

Ansimare, farneticare, o mettersi a correre in cerchio strappandosi i capelli non erano commenti utili, per cui Miles si limitò a indagare cauto: «Sei… sicuro che non ti annoierai?»

Tung, accidenti alla sua perspicacia, abbassò la voce e rispose alla domanda vera. «Non me ne andrei se non sapessi che te la puoi cavare benissimo da solo. Ormai ti sei fatto le ossa, ragazzo. Continua così che andrà bene.» Sorrise di nuovo e fece schioccare le nocche delle mani. «E poi, tu hai un vantaggio che nessun altro comandante mercenario della galassia possiede.»

«E quale sarebbe?» chiese Miles.

Tung abbassò ancor di più la voce. «Tu non sei costretto a ricavare degli utili.»

E questo, insieme al sorrisetto ironico, era il massimo a cui il prudente Tung si sarebbe mai spinto per informarlo che da un pezzo ormai aveva capito chi erano i veri datori di lavoro della flotta. Eseguì il saluto e se ne andò.

Miles deglutì e si rivolse ad Elli: «Bene… convoca una riunione del Gruppo Investigativo tra mezz’ora. Dobbiamo far partire gli esploratori il più presto possibile. L’ideale sarebbe quella di riuscire a infiltrare una squadra nell’organizzazione nemica prima del nostro arrivo.»

Miles si interruppe, rendendosi conto che stava proprio guardando in faccia il più scaltro esploratore della flotta per quello che riguardava le missioni di quel tipo. Spedirla all’avanguardia, nel pericolo, lontano da lui… no, no! era solo una questione di logica militare. I talenti offensivi di Quinn erano sprecati nel compito di guardia del corpo; era stato solo un incidente della storia e della sicurezza che la obbligavano tanto spesso a un lavoro difensivo. Miles costrinse le proprie labbra a proseguire come se non avesse mai avuto quell’attimo di illogicità.

«Sono mercenari; non dovrebbe essere difficile per qualcuno del nostro gruppo unirsi a loro. Se riusciamo a trovare qualcuno che sia in grado di simulare in modo convincente la mentalità psicotico-criminale di quei pirati…»

Il soldato Danio, che passava in quel momento nel corridoio, si fermò e salutò. «Grazie per averci fatti uscire di prigione, signore. Io… io non me lo aspettavo davvero. Non se ne pentirà, glielo giuro.»

Miles ed Elli si scambiarono un’occhiata, mentre il soldato proseguiva con passo pesante.

«È tutto tuo» disse Miles.

«Bene» rispose Elli. «E poi?»

«Di’ a Thorne di estrarre dalla rete telematica terrestre tutte le informazioni riguardanti quel sequestro, prima che lasciamo l’orbita. Potrebbero esserci delle considerazioni o delle sottigliezze che sono sfuggite al QG Imperiale.» Batté con un dito sul dischetto che aveva in tasca e sospirò, concentrandosi sulla missione che li attendeva. «Almeno questa dovrebbe essere più semplice della nostra recente vacanza sulla Terra» disse in tono speranzoso. «Una semplice operazione militare, niente parenti, niente politica, niente alta finanza. Tutto semplice, i buoni e i cattivi.»

«Splendido» disse Quinn. «E noi quali siamo?»

Quando la flotta lasciò l’orbita, Miles stava ancora pensando a una risposta.

FINE
Загрузка...