CAPITOLO SETTIMO CASA RIBEIRA

Miro, stavolta avrei proprio voluto che fossi venuto anche tu, perché se è vero che ho una memoria migliore della tua per le conversazioni, certo io non so cosa significa quello che è stato detto ieri. Avrai visto anche tu il maiale nuovo, quello che chiamano Human… sì, mi sembra di averti visto parlare brevemente con lui, prima che tu andassi da Mangia-Foglie con il tuo elenco di «Domande del Giorno». Mandachuva mi ha detto che l’avevano chiamato Human perché da bambino era molto intelligente. Va bene, è gratificante pensare che «intelligente» e «umano» siano sinonimi per loro, o forse dovremmo vergognarci nel vederli credere che cose simili possano compiacerci, ma non è questo che conta.

Mandachuva, dunque, mi ha detto: — Lui sapeva già parlare quando ha cominciato a camminare da solo. — E ha abbassato una mano all’altezza di circa dieci centimetri dal suolo. A me è parso che mi indicasse quanto era alto Human allorché imparò a parlare e a camminare. Dieci centimetri! Ma potrei aver frainteso tutto. Avresti dovuto esserci anche tu, per farti un’opinione.

Se ho ragione, e se Mandachuva intendeva dire questo, è la prima volta che abbiamo un dato sull’infanzia dei maiali. Se davvero cominciano a camminare quando sono alti dieci centimetri (e a parlare, nientemeno!) allora la loro gestazione dev’essere molto breve paragonata alla nostra, e la maggior parte del loro sviluppo fetale (voglio dire quello che per noi è lo sviluppo del feto) deve avvenire dopo la nascita.

Ma poi mi ha detto qualcosa di assolutamente pazzesco anche per i tuoi standard. Si è accostato a me e mi ha sussurrato (come se facesse una cosa disdicevole): — Tuo nonno Pipo conosceva il padre di Human. Il suo albero è vicino al vostro cancello.

Che stesse scherzando? Rooter è morto ventiquattro anni fa, no? D’accordo, può essere che sia un aspetto della loro religiosità, una cosa come «quest’albero è il mio padre spirituale» o dello stesso genere. Ma l’atteggiamento intimo e confidenziale di Mandachuva mi fa pensare che ci sia qualcosa di vero. È possibile che abbiano un periodo di gestazione superiore ai vent’anni? O forse a Human sono occorse due decadi per svilupparsi da un cuccioletto di 10 cm nell’esemplare adulto che oggi vediamo? Oppure lo sperma di Rooter è stato conservato in una giara o in qualche altro modo?

Altro fatto importante: questa è la prima volta in cui un maiale conosciuto dagli osservatori umani viene definito un «padre». E per di più si tratta di Rooter, quello che è stato ammazzato. In altre parole, il maschio di minore prestigio (un criminale giustiziato) è stato definito un padre. Questo significa che i maschi di questo gruppo non sono affatto dei giovani fuoricasta, senza contare che non pochi hanno conosciuto Pipo e dunque giovani non li si può chiamare. Sono padri potenziali.

E inoltre, se Human è così intelligente, perché sarebbe stato relegato in un gruppo di fuoricasta? Credo che finora ci siamo sbagliati. Questo non è un insieme di emarginati, bensì un gruppo di giovani e adulti altamente considerati e destinati a occupare posizioni di prestigio.

Così, quando oggi sei uscito con il tuo elenco di «Domande del Giorno» dicendo che ti rattristava lasciarmi inchiodata all’ansible a mettere insieme il solito rapporto ufficiale, altro non facevi che partire per gli Errori del Giorno. (Se rientri e mi trovi addormentata, svegliami con un bacio. OK? Oggi sei autorizzato.)

Nota di Ouanda Figueira Mucumbi a Miro Ribeira von Hesse, sequestrata per ordine della Federazione e addotta fra le prove nel processo in contumacia agli xenologi di Lusitania, accusati di Tradimento e Condotta Scorretta.


Su Lusitania non esisteva un’industria edile. Quando una coppia si sposava, a costruirle la casa ci pensavano i parenti e gli amici. E nella casa dei Ribeira si poteva leggere la loro storia. L’ingresso e le stanze principali erano fatti in materiale plastico inserito su fondamenta di calcestruzzo. Mentre la famiglia cresceva avevano aggiunto altre camere. Tutte al pianterreno, cosicché ora cinque strutture diverse fronteggiavano il versante della collina. L’ultima era in mattoni e con un tetto di tegole, ben costruita ma senza inutili orpelli. I Ribeira non avevano speso un soldo più dello stretto necessario.

Ender sapeva che questo non era un sintomo di povertà; in un’economia così pianificata la miseria non esisteva. La mancanza di qualsiasi decorazione, di individualità, rivelava invece lo scarso amore della famiglia per la sua casa. E ad Ender questo parlava di scarso amore per se stessi. Aveva notato che Olhado e Quara non mostravano affatto gli impercettibili cenni di rilassamento tipici di chi sta per entrare nella propria casa. Al contrario s’erano fatti più tesi, meno vivaci, come se l’edificio emanasse un’oscura forza di gravità che li rendeva più pesanti man mano che si avvicinavano.

Olhado e Quara entrarono senza voltarsi a guardarlo, e lui si fermò sulla soglia in attesa che qualcuno lo invitasse. Il ragazzo s’era limitato a lasciargli la porta aperta, proseguendo poi per un’altra stanza. Ender mise dentro la testa e vide che Quara era andata a sedersi sul letto in una piccola camera, appoggiandosi con le spalle a una parete spoglia. Tutti i muri erano privi di quadri, di infissi o di decorazioni; e di uno squallido bianco uniforme. Il volto di Quara rispecchiava la stessa inespressività delle pareti. Benché i suoi occhi fossero puntati verso Ender, sembrava ignorare del tutto la sua presenza; comunque in lei non c’era nulla che assomigliasse a un invito a farsi avanti.

Quella era una casa malata, insana. Ender cercò di capire cosa poteva esserci nel carattere di Novinha da condurla a vivere in un posto come quello. Possibile che la morte di Pipo, ormai lontana, avesse tarato la sua sensibilità così profondamente?

— Vostra madre è in casa? — domandò Ender.

Quara non rispose.

— Oh! — disse lui. — Scusi la mia dabbenaggine. M’era parso che lei fosse una bambina, ma ora posso vedere che è un robot. Giusto? E adesso, non me lo dica… sta ricaricando la batteria.

Lei non diede neppure segno di averlo udito. Il suo tentativo di strapparla a quell’incomprensibile mutismo era fallito.

Ci fu un rapido scalpiccio di passi in avvicinamento. Un bambinetto arrivò di corsa, si arrestò al centro dell’atrio e si girò a fissare Ender. Non doveva essere molto più giovane di Quara; sei, sette anni al massimo. Ma a differenza della ragazzina il volto di lui era molto espressivo. E contratto da un’ostilità decisamente rabbiosa.

— Tua madre è in casa? — lo interpellò Ender.

Il bambino si chinò e si tirò su la gamba destra dei pantaloni. Un lungo coltello da cucina era fissato con nastro adesivo a lato del polpaccio. Lo staccò senza fretta. Poi, tenendolo con entrambe le mani, tese le braccia avanti e si scaraventò dritto verso Ender. Lui notò che puntava la lama proprio contro il suo ventre, con tale fermezza da far supporre che avesse un conto mortale aperto con qualsiasi estraneo.

Un attimo dopo il bambino era imprigionato sotto un braccio di Ender, mentre il coltello volava dall’altra parte della stanza. Scalciava furiosamente e gridava, e lui fu costretto a usare tutte e due le mani per tenerlo fermo. Infine risolse di sollevarlo dal suolo, afferrandolo per i polsi e per le caviglie come un capretto.

Si volse a Quara. — Se non fili di corsa a chiamare chi comanda in casa vostra, porto questo animaletto in cucina e lo metto in pentola per la cena. Bada che dico sul serio.

Quara ci pensò su per un momento, poi si alzò e corse via verso il retro della casa.

Poco dopo una ragazza dall’aria stanca, con i capelli scarmigliati e gli occhi ancora gonfi di sonno entrò nell’atrio. — Desculpe, por favor — mormorò. — O menino não se restablence da morte do pai…

Ad un tratto sembrò svegliarsi del tutto. — O senhor è o Falante pelos Mortosi — ansimò.

— Sou — rispose Ender. Sono io.

— Não aqui — disse lei. — Oh, no, mi scusi, lei parla portoghese? Naturalmente sì, lo parla, visto che mi ha risposto. Ma per favore, non qui, non adesso. Vada via.

— Benissimo — annuì Ender. — Devo portarmi via il bambino oppure il coltello?

Le accennò verso il punto dov’era finito l’utensile, e lei seguì il suo sguardo. — Oh, no! Mi dispiace. Ieri l’ho cercato per tutto il giorno. Sapevamo che l’aveva preso, ma non dove lo nascondesse.

— Legato al polpaggio destro.

— Non ce l’ha messo ieri. Sappiamo già dove frugarlo, quando sparisce un coltello. Per favore, adesso lo lasci.

— Posso fidarmi? Mi sembra che si stia arrotando ì denti.

Lei si fece avanti. — Grego, quante volte ti ho detto che non devi usare i coltelli? Contro la gente, poi!

Grego la fissò dal basso in alto, ringhiando.

— Cerchi di capire… suo padre è morto.

— Erano così uniti?

Sul volto di lei passò la smorfia d’un sorriso. — Non direi. Lo ha sempre tenuto al guinzaglio con la forza, fin da quando Grego ha avuto l’età di camminare e girare attorno a far guai. Ma questa di assalire una persona con un coltello… non l’aveva mai fatto. La prego, lo metta giù.

— No — disse Ender.

Lei strinse le palpebre, fissandolo con aria di sfida. — Ha intenzione di rapirlo, allora? Per portarlo dove? E per quale ragione?

— Forse lei non afferra la situazione — disse Ender. — Lui mi ha assalito. Lei non mi ha offerto la minima garanzia che non lo farà di nuovo. E non sembra affatto intenzionata a prendere misure disciplinari, nel caso che io lo rimetta giù.

Come aveva sperato, gli occhi di lei si accesero di furia. — E lei chi crede d’essere? Qui è a casa nostra, non a casa sua!

— Non sono arrivato qui per sbaglio — puntualizzò Ender. — Dal praça a qui è stata una bella camminata, e Olhado andava a passo svelto. Anzi, gradirei mettermi a sedere.

Lei gli accennò col capo verso una sedia. Grego si contorceva nel tentativo di divincolarsi dalla presa di Ender. Lui lo sollevò al punto che la loro testa fu allo stesso livello. — Sai, Grego, se tu ti liberassi finiresti a testa in giù sul pavimento. Se ci fosse un tappeto avresti qualche probabilità di non svenire per il colpo. Ma non c’è. E il tonfo che farebbe il tuo cranio sulle mattonelle si sentirebbe anche da fuori.

— Veramente, non capisce ancora molto bene lo stark — lo informò la ragazza.

Ender sapeva che Grego lo capiva più che a sufficienza. Con la coda dell’occhio colse un movimento. Olhado era rientrato, fermandosi sulla porta della cucina, e al suo fianco c’era Quara. Ender rivolse loro un sorrisetto, avviandosi alla sedia che gli era stata indicata. Nel muoversi scaraventò Grego in alto, lasciandogli per qualche istante le mani e i piedi, e il bambino roteò nell’aria con un strillo di spavento. Lui fu svelto a riprenderlo al volo e sedette, con calma, immobilizzandogli di nuovo le braccia. Grego scalciò nel tentativo di colpirlo con i calcagni, ma la mossa fallì e pochi secondi dopo era di nuovo imprigionato e senza più possibilità di nuocere.

— È un sollievo potersi sedere — sospirò Ender. — Molto obbligato per la vostra simpatica accoglienza. Il mio nome è Ender Wiggin. Ho già conosciuto Olhado e Quara. E ovviamente Grego e io siamo grandi amici.

La ragazza si strofinò le mani sul grembiule come se stesse per offrirgli la destra da stringere, ma non lo fece. — Io sono Ela Ribeira. Ela è il diminutivo di Elanora.

— Piacere di conoscerla. Mi spiace di aver interrotto le sue faccende. Suppongo che avrà da preparare la cena, adesso.

— Sì, ho molto da fare. Preferirei che tornasse domani.

— Oh, si occupi pure delle sue cose. Io aspetterò qui.

Un altro ragazzo, più anziano di Olhado ma di due o tre anni inferiore di Ela, fece la sua comparsa nell’atrio. — Non ha sentito quel che ha detto mia sorella? Lei non è gradito in casa nostra!

— Siete davvero molto gentili — disse Ender. — Ma io sono qui per vedere vostra madre, e aspetterò finché non sarà tornata dal lavoro.

Il sentir menzionare la loro madre li azzitti.

— Almeno, presumo che sia al lavoro. Se fosse qui, mi attenderei che questi eccitanti avvenimenti l’avrebbero fatta comparire di corsa.

Olhado ebbe un breve sorriso a quell’osservazione, ma il fratello più anziano si rabbuiò, e sul volto di Ela si dipinse un’espressione di disagio. — Perché vuole parlare con lei? — chiese la ragazza.

— In realtà desideravo conoscervi tutti. — Elargì un sorrisetto al più anziano dei maschi. — Tu devi essere Estevão Rei Ribeira. Chiamato Estevão da Santo Stefano Martire, colui che vide Gesù seduto alla destra di Dio.

— Che vuol saperne di queste cose un ateo come lei?

— Si dice che San Paolo sopportò le percosse e poi rubò i mantelli degli uomini che l’avevano bastonato. È ovvio che non era un credente a quell’epoca. Anzi penso che fosse ritenuto forse il più terribile nemico della Chiesa. Tuttavia in seguito volle redimersi, no? È in questo modo che ti suggerisco di pensare a me: non come un nemico di Dio, ma come un apostolo che non è ancora stato fermato sulla Via di Damasco. — Ender sorrise.

Il ragazzo lo fissò, stringendo le labbra. — Lei non è San Paolo.

— Al contrario — disse lui. — Io sono l’apostolo dei maiali.

— Lei non li vedrà neppure. Miro non glielo permetterà.

— Forse lo farò, invece — disse una voce dalla porta. Gli altri si volsero, sorpresi. Miro era giovane, certo neppure ventenne, ma sul volto portava i segni di sofferenze e responsabilità che avevano poco in comune con la giovinezza. Ender notò il modo con cui i fratelli gli fecero spazio. Non fu come se si ritraessero da qualcuno di cui avevano timore; al contrario, parvero orientarsi su di lui quasi che la sua persona fosse il centro di gravità della stanza e tutto il resto dovesse muoversi in rapporto all’attrazione che emanava.

Miro attraversò il locale e si fermò di fronte a Ender. Ciò che guardava, però, era il suo piccolo prigioniero. — Lo lasci andare — disse. Nella voce aveva una nota gelida.

Ela gli poggiò una mano su un braccio. — Grego ha cercato di accoltellarlo, Miro. — La voce di lei, invece, suggeriva: calmati, va tutto bene, Grego non corre nessun pericolo e quest’uomo non è nostro nemico. Ender sentì tutto questo, e apparentemente anche Miro.

— Grego — disse il giovane, — ti avevo avvertito che un giorno o l’altro avresti trovato uno a cui non puoi far paura.

Nel vedere un alleato trasformarsi improvvisamente in un avversario, Grego cominciò a piangere. — Mi fa male! Mi sta ammazzando!

Miro guardò freddamente Ender. Ela poteva fidarsi dell’Araldo, ma lui no. Quello era uno sconosciuto.

— Gli sto facendo male — annuì Ender. Sapeva che il miglior modo per avere la fiducia altrui stava nel dire verità non richieste, e specialmente verità non troppo piacevoli. — Ogni volta che si contorce per liberarsi, in questa posa sente una fitta di dolore. E non ha ancora smesso di contorcersi.

Tenne gli occhi fissi in quelli di Miro, e il giovane intuì la sua muta richiesta. Dopo un’esitazione fece un passo indietro e scosse le spalle. — Be’, Greguinho, mi spiace ma non posso far niente per te.

— Lasci che lui lo tratti così? — sbottò Estevão.

Miro indicò il fratello a Ender, col pollice. — Ecco perché tutti lo chiamano Quim. — Il soprannome aveva la stessa pronuncia di king in stark. — Cominciò perché il suo secondo nome è Rei. E ora, poco ci manca che dia ordini usando il plurale maiestatis.

— Bastardo! — disse Quim, e lasciò la stanza a passi lunghi.

Gli altri s’erano però alquanto rilassati: Miro aveva deciso di accettare quel tipo, almeno temporaneamente; di conseguenza loro potevano abbassare la guardia. Olhado sedette sul pavimento; Quara tornò ad appollaiarsi sul suo lettuccio. Ela poggiò le spalle al muro. Miro avvicinò un’altra sedia e sedette di fronte a Ender.

— Perché è venuto a casa nostra? — gli chiese.

Dal tono particolare della domanda lui intuì che il giovane, come Ela, non aveva detto ad anima viva di aver convocato un Araldo. Dunque nessuno di loro sapeva che gli altri lo stavano aspettando. E nessuno, evidentemente, aveva previsto che sarebbe arrivato tanto presto.

— Per parlare con vostra madre — tornò a dire.

Il sollievo di Miro fu quasi palpabile, benché si stesse sforzando di non rivelarlo. — È alla Stazione — disse. — Lavora fino a tardi. In questo periodo cerca di produrre una varietà di patate che possano competere con le erbacce locali.

— Come l’amaranto?

Miro sogghignò. — Ne ha già sentito parlare? No, non vogliamo qualcosa che competa a quel modo. Ma qui la nostra dieta è limitata, e avere le patate sarebbe bello. Inoltre, dall’amaranto non si può fare fermentare un liquore decente. I minatori e i contadini hanno già costruito una leggenda intorno alla vodka.

— Allora, chissà che presto non sentiate il vescovo tuonare contro i peccatori che vendono l’acqua di fuoco ai maiali — osservò Ender.

Il sorriso di Miro rischiarò la stanza come un raggio di sole attraverso la crepa di una caverna. Ender poté sentire l’atmosfera rilassarsi. Quara faceva dondolare i piedi avanti e indietro come una bambina normale; Olhado aveva sul volto un’espressione stupidamente felice, e con gli occhi socchiusi il luccichio delle sue iridi non era più tale da sconcertare. Ela sorrideva con più sollievo di quanto poteva esser giustificato dal buon umore di Miro. Perfino Grego aveva smesso di lottare contro la presa di Ender.

Ma era un’illusione, perché all’improvviso un fiotto di calore su una coscia lo informò che il bambino era lontanissimo dall’essersi arreso. Ender s’era allenato a non reagire d’istinto all’azione di un avversario, a meno che non avesse già stabilito di lasciar fare agli istinti, così l’arrivo dell’orina di Grego non gli strappò neppure un fremito. Sapeva quel che il bambino voleva ottenere: un grido di rabbia, e poi l’adulto che balzava in piedi allontanandolo da sé con disgusto. E poi Grego sarebbe stato libero, e trionfante. Ender gli negò quella vittoria.

Ma Ela, evidentemente, sapeva leggere l’espressione del bambino come un libro aperto. La ragazza sbarrò gli occhi, poi fece un passo avanti col volto rigido di rabbia. — Grego! Tu, piccolo ripugnante…

Ma Ender le strizzò l’occhio e sorrise, fermandola dove stava. — Grego mi ha fatto un piccolo regalo. È la sola cosa che mi ha dato di cuore, e l’ha fatta da sé. Lo apprezzo molto. Anzi, penso che lo terrò tutta la sera sulle ginocchia.

Grego ringhiò e ricominciò a divincolarsi furiosamente.

— Perché gliela lascia correre? — si stupì Ela.

— L’Araldo si aspetta che Grego agisca come un essere umano — disse Miro. — Ma andava fatto. Nessuno ha mai cercato davvero di civilizzarlo.

Io ci ho provato — disse la ragazza.

Olhado indicò la casa intorno a loro. — Ela è l’unica, qui, che cerca di mantenerci fra le persone civili.

Da un’altra stanza la voce di Quim abbaiò: — Piantatela di lavare i nostri panni sporchi davanti a quel bastardo!

Ender annuì gravemente, come se Quim avesse offerto un importante argomento di riflessione. Miro ridacchiò. Ela alzò gli occhi al cielo e andò a sedersi su uno sgabello accanto a Quara.

— La nostra non è quella che si chiama una casa felice — disse Miro.

— Capisco. — Ender annuì. — Con la morte di vostro padre ancora così recente.

Miro ebbe un sorriso sardonico. Olhado scosse il capo. — Con la sua vita ancora così recente, vorrà dire.

Ela e Miro apparvero nettamente d’accordo con quell’osservazione, ma Quim gridò ancora: — Tenete la bocca chiusa, voialtri!

— Vi ha fatto del male? — domandò sottovoce Ender. Non s’era mosso, benché l’orina di Grego fosse ora fredda e maleodorante.

— Non ci picchiava — disse Ela, — se è questo che vuol sapere.

Ma per Miro quell’intimità era già troppa. — Quim ha ragione — disse. — Sono affari soltanto nostri.

— No — replicò Elsa. — È anche affar suo.

— Affar suo in che senso? — chiese Miro.

— Perché è venuto a fare l’elegia per la morte di papà — disse la ragazza.

— La morte di papà! — eclamò Olhado. — Chupa pedras! Papà è morto appena tre settimane fa!

— Ero già in viaggio per parlare di un’altra persona deceduta — disse Ender. — Ma qualcuno ha chiamato un Araldo per vostro padre, e perciò parlerò per lui.

— Contro di lui — lo corresse Ela.

— Per lui — ripeté Ender.

— Io l’ho chiamata qui per dire la verità — disse seccamente lei. — E tutta la verità su papà è contro di lui.

Il silenzio che si addensò nell’aria parve farsi sempre più denso, paralizzante, finché Quim non entrò dalla porta. Il ragazzo aveva gli occhi fissi su Ela. — Sei stata tu a chiamarlo — ansimò. — Tu!

— Per dire la verità! — replicò lei, scossa dall’accusa contenuta in quelle parole. Quim non aveva bisogno di essere più chiaro: aveva chiamato un estraneo, un infedele, per render pubblico ciò che per tanto tempo loro avevano tenuto nascosto, tradendo allo stesso tempo la famiglia e la Chiesa. — A Milagre tutti sono così gentili, così comprensivi! — continuò Ela. — Gli insegnanti fanno finta d’ignorare le mascalzonate di Grego, e il silenzio di Quara. Poco importa che a scuola lei non abbia ancora detto una sola parola, mai! Tutti fanno finta di considerarci ragazzi normali… i nipoti degli Os Venerados, e così brillanti, non è vero? Con uno degli zenador e le due biologistas in famiglia. Davvero prestigioso, eh? Così tutti guardavano dall’altra parte quando papà si ubriacava come una bestia, e poi tornava a casa e picchiava mamma fino a lasciarla svenuta in terra!

— Tappati la bocca! — ringhiò Quim.

— Ela… — disse Miro.

— E tu, Miro, che tacevi quando papà ti urlava insulti spaventosi e osceni, finché dovevi scappare di casa. Scappare! Correre via nel buio come un cieco, inciampando in…

— Non hai nessuno diritto di dire questo a un estraneo! — gridò Quim.

Olhado balzò in piedi nel mezzo della stanza, fissandoli tutti con i suoi occhi inumani. — Perché volete ancora nasconderlo? — disse a bassa voce.

— Lui cos’è per te? — chiese Quim. — Non ha mai fatto niente per te. Spegni i tuoi dannati occhi e vattene al tuo terminale a sentire Bach o qualche altra cosa, che è meglio.

— Spegnere i miei occhi? — disse Olhado. — Io non ho mai spento i miei occhi.

Girò su se stesso e andò al terminale dell’atrio, nell’angolo di fronte alla porta d’ingresso. Con un solo gesto rapido lo accese, poi estrasse un cavetto dalla consolle e se lo collegò a una minuscola presa nell’occhio destro. Non era altro che l’allacciamento di un computer, ma l’atto riportò a Ender lo spiacevole ricordo dell’occhio del Gigante, squarciato e grondante umore mentre lui vi penetrava, sfondandolo, facendo cadere morto l’avversario sulla piana. Rabbrividì un istante, prima di rammentare a se stesso che si trattava di un ricordo non reale, di una partita simulata che aveva giocato con il computer della Scuola di Guerra. Tremila anni addietro, ma per lui appena venticinque, non abbastanza perché i ricordi perdessero il loro potere d’impatto. Erano stati i sogni tormentosi sulla morte del Gigante che gli Scorpioni avevano preso dalla sua mente, trasformandoli nel messaggio che gli era stato lasciato, la pista che l’aveva condotto al bozzolo della Regina dell’Alveare.

Fu la voce di Jane a riportarlo al presente. Un sussurro nel suo orecchio: — Se per te è lo stesso, mentre lui è collegato io darò un’occhiata a tutto ciò che ha registrato in quel minicomputer.

Una scena comparve nell’aria sopra il terminale. Non si trattava di un ologramma, bensì di una ripresa bidimensionale simile alla registrazione di un comune filmato. Rappresentava quella stessa stanza, vista dal punto in cui Olhado era stato fino a pochi secondi prima; evidentemente quello era un posto dove usava sedersi spesso. Al centro dell’atrio stava in piedi un uomo alto, robustissimo e d’aspetto brutale, che agitava le braccia e sbraitava improperi rivolto a Miro. Il giovane ascoltava in silenzio, mordendosi un labbro, ma sosteneva lo sguardo del padre senza dare segni di collera. Non c’era il sonoro; la registrazione era soltanto visiva. — Avete già dimenticato? — mormorò Olhado. — Avete dimenticato cosa succedeva ogni giorno?

La scena sul terminale proseguiva. Alla fine Miro si girò e corse fuori, mentre Marcão lo seguiva alla porta continuando a gridare. Poi l’uomo tornò indietro, ansando come un animale esausto e rabbioso. Grego andò ad aggrapparsi con una mano ai pantaloni del padre e rivolto alla porta urlò anch’egli qualcosa, che a giudicare dalla sua faccia doveva essere una ripetizione delle male parole appena rivolte a Miro. Marcão si staccò il bambino di dosso, guardò cupamente verso una porta interna e si diresse da quella parte con aria decisa.

— Non c’è il sonoro, adesso — sussurrò Olhado. — Ma voi potete sentire… non è così?

Ender s’accorse che Grego, sulle sue ginocchia, stava tremando.

— Ecco, ora un colpo soffocato, un altro tonfo… è lei che sta cadendo in terra. Non lo sentite nella vostra carne il modo in cui il suo corpo va a sbattere sul pavimento?

— Taci, Olhado — disse Miro.

Quirn stava piangendo, e non faceva nessun tentativo di nasconderlo. — Io l’ho ucciso — disse. — L’ho ucciso, l’ho ucciso, l’ho ucciso.

— Di cosa stai parlando? — esclamò Miro, esasperato. — Aveva un brutto male. Una malattia congenita.

— Io ho piegato perché morisse! — gridò Quim. La sua faccia era contorta dall’emozione; muco, lacrime e saliva gli colavano attorno alla bocca. — Ho pregato la Vergine, ho pregato Gesù, ho pregato il nonno e la nonna, ho detto che sarei andato all’inferno purché lo facessero morire, e loro l’hanno fatto, e adesso andrò all’inferno e non me ne importa niente! Dio mi perdoni, ma ne sono contento! — Singhiozzando vacillò fuori dalla camera. Poco dopo una porta sbatté, in distanza.

— Bene, ecco un’altro disposto a certificare un miracolo degli Os Venerados — disse Miro. — La loro santità è assicurata.

— Piantala — disse Olhado.

— E lui è proprio quello che ci secca l’anima ripetendo che Cristo vuole che l’uomo sappia perdonare — borbottò Miro.

In grembo a Ender, Grego tremava ora così violentemente che lui cominciò a preoccuparsi. Sentì che il bambino stava sussurrando una parola. Anche Ela s’accorse della disperazione di Grego e venne a inginocchiarsi accanto a lui.

— Piange! Non l’ho mai visto piangere così…

— Papà, papà, papà — ansimò Grego. I suoi tremiti lasciarono il posto a scatti convulsi, quasi da epilettico.

— Ha paura di papà? — chiese Olhado, in tono ansioso. Con sollievo di Ender anche i volti degli altri mostravano una viva apprensione per Grego. Dunque c’era amore in quella famiglia, e non soltanto la solidarietà di chi vive insieme per anni sotto lo stesso tiranno.

— Papà se n’è andato, adesso — lo confortò Miro. — Non devi più aver paura.

Ender scosse il capo. — Miro — disse. — Non hai visto niente nella registrazione di Olhado? I bambini piccoli non giudicano i loro padri. Grego cerca solo, con tutte le sue forze, d’essere come lui. Per tutti voi esserne liberi sarà forse un sollievo, ma per Grego è stata la fine del mondo.

Nessuno di loro sembrava averlo capito. Ender s’accorse che dovevano fare uno sforzo per immaginare che il bambino potesse provare un simile sentimento. E tuttavia sapevano che era così. Ora che lui l’aveva messo in parole, risultava ovvio.

— Deus nos perdoa — mormorò Ela. Dio, perdonaci.

— Le cose che abbiamo detto — aggiunse Miro sottovoce.

Ela allungò le braccia verso Grego, ma lui rifiutò di corrisponderla. Fece invece quello che Ender si aspettava, quello a cui era preparato: appena lui rilassò la presa, il bambino si girò verso il suo petto, gli gettò le braccia al collo e scoppiò in singhiozzi secchi, isterici.

Ender girò lo sguardo sugli altri, che assistevano ammutoliti. — Come avrebbe potuto mostrare il suo dolore a voi, quando in voi non vedeva che sollievo per la morte di suo padre?

— Non vedeva neppure sorrisi — precisò Olhado.

— Sì, ma non è un pezzo di legno — disse Miro. — Sapevo che soffriva molto più di noi, ma non ho mai pensato che…

— Non biasimate voi stessi — disse Ender. — È il genere di cosa che solo un estraneo può intuire.

Nell’orecchio udì il sussurro di Jane: — Il modo in cui trasformi le persone in masse di protoplasma non cessa mai di stupirmi, Andrew.

Anche se avesse potuto risponderle, lei non gli avrebbe creduto. Inutile dirle che non aveva programmato niente, che aveva suonato a orecchio. Come avrebbe potuto prevedere che Olhado registrava gli atteggiamenti di Marcão verso i familiari? Il suo contatto più rivelatore era stato quello con Grego, esplicito abbastanza da lasciargli capire che il bambino desiderava disperatamente qualcuno che avesse autorità su di lui, qualcuno che agisse esattamente come suo padre. E se il padre era stato un uomo crudele, per Grego la crudeltà avrebbe simboleggiato forza e capacità protettiva. Adesso le sue lacrime bagnavano il collo di Ender calde come il liquido che poco prima gli aveva inzuppato i calzoni.

Aveva previsto la reazione di Grego, ma quel che fece Quara lo colse del tutto di sorpresa. Mentre tutti fissavano in silenzio il fratellino in lacrime, lei scese dal letto e andò a passi decisi di fronte a Ender. I suoi occhi mandavano lampi di rabbia. — Tu… tu puzzi! — disse con fermezza. Poi si volse e uscì dalla stanza, verso il retro della casa.

Miro stentò a nascondere una risatina incredula, ed Ela sorrise. Dalla sua poltroncina davanti al terminale il ragazzo dagli occhi di metallo disse sottovoce: — L’ha spuntata anche con lei. È più di quanto abbia mai detto a chiunque non sia della famiglia, da mesi.

Ma non puoi dire che io non sono della famiglia, pensò Ender. Non te ne sei accorto? Io sono entrato in questa famiglia, adesso. Che a voi piaccia o no. Che a me piaccia o no.

Dopo un po’ gli ansiti di Grego tacquero. S’era addormentato. Ender lo portò a letto; dall’altra parte della piccola camera anche Quara era già immersa nel sonno. Ela rimboccò le coperte al bambino, con mani leggere e gentili, poi prese uno straccio e cercò di asciugare i pantaloni di Ender, senza ottenere un gran risultato.

Di ritorno nell’atrio, Miro lo scrutò clinicamente. — Be’, Araldo, credo che lei abbia poca scelta. I miei pantaloni le andrebbero stretti, e anche po’ corti, ma quelli di papà riuscirà certo a metterseli.

Mentre lui ci pensava sopra, Ela si fece avanti. — Mamma non sarà a casa fin fra un’ora. Mi dia i suoi pantaloni, c’è tutto il tempo di lavarli e asciugarli. Intanto si cambi.

— Vada per quelli di Miro, allora — disse Ender. — Se mi staranno corti, porterò pazienza.

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