CAPITOLO QUATTORDICESIMO RENEGADES

MANGIA-FOGLIE: — Human dice che quando i vostri fratelli muoiono, voi li seppellite nella polvere, e poi costruite le vostre case con quella polvere. (Ride)

MIRO: — No. Per costruire noi non usiamo il terreno dov’è stata sepolta della gente.

MANGIA-FOGLIE (s’irrigidisce per la tensione): — Allora i vostri morti non vi servono assolutamente a nulla!

Ouanda Quenhatta Figueira Mucumbi, Dialoghi Trascritti, 4.13.1969


Ender s’era atteso che i due giovani trovassero qualche difficoltà per farlo uscire dal recinto, ma Ouanda poggiò una mano sulla piastra della serratura, Miro aprì il cancello, e poi uscirono all’esterno. Nessuno era comparso a fare obiezioni. Le cose stavano dunque come Ela gli aveva lasciato capire: nessuno aveva mai voglia di sconfinare, e non esisteva un vero apparato di sorveglianza. Se questo fosse perché la gente si accontentava di restare a Milagre, o perché avessero paura dei maiali, o perché odiavano sentirsi imprigionati al punto che preferivano ignorare l’esistenza della recinzione, Ender non aveva elementi per capirlo.

Ma Ouanda e Miro erano tesi, quasi spaventati. La cosa era piuttosto comprensibile, visto che facendosi accompagnare da lui violavano gli ordini della Federazione. Ma Ender sospettava che ci fosse di più. L’ansia di Miro era sfumata d’eccitazione, quasi di impazienza; forse era preoccupato, ma soprattutto desiderava vedere quel che sarebbe successo. Ouanda gli si teneva discosta, camminava a passi misurati, e la sua freddezza non era dovuta tanto alla paura quanto all’ostilità. La ragazza diffidava di lui.

Così, Ender non fu sorpreso allorché la vide fermarsi accanto a un grosso albero che cresceva non distante dal cancello, e incrociare le braccia, con l’aria di chi ha già concesso anche troppo. Miro parve sul punto di lasciarsi sfuggire qualche parola irosa, poi si controllò. Il suo volto assunse subito un’espressione d’indifferenza così distaccata da sconfinare nel disinteresse. Ender si scoprì a paragonare Miro ai ragazzi che aveva conosciuto alla Scuola di Guerra, cresciuti fianco a fianco come compagni d’arme, e rifletté che il giovane avrebbe avuto successo in quell’ambiente. Anche Ouanda, benché per ragioni diverse: la ragazza sembrava ritenersi responsabile per tutto ciò che sarebbe accaduto, malgrado che Ender fosse un adulto e lei così giovane. Non gli mostrava la minima deferenza. Qualunque cosa temesse, non era il pericolo di dover subire la sua autorità.

— Qui? — chiese con noncuranza Miro.

— O da nessun’altra parte — annuì lei.

Ender andò a sedersi alla base del tronco. — Questo è l’albero di Rooter, non è vero? — domandò.

I due reagirono con calma ostentata, ma lo sguardo che si scambiarono gli disse che li aveva sorpresi, quasi sconcertati, con la sua conoscenza di un passato che consideravano di loro proprietà. Può darsi che io sia un framling qui, pensò Ender, ma non è detto che debba essere un framling ignorante.

— Sì — rispose Ouanda. — È il totem che hanno piantato per… averne le direttive più importanti. Cosa che accade da sette o otto anni. Non ci hanno mai lasciato assistere al rituale che adottano per parlare con i loro antenati, ma sembra che lo effettuino tambureggiando sull’albero con bastoni accuratamente ripuliti. A volte li abbiamo uditi, la notte.

— Bastoni? Ricavati da rami caduti?

— Così presumiamo. Perché?

— Perché non hanno utensili in pietra o metallo con cui tagliare la legna… non è così? D’altra parte, se adorano gli alberi, è da escludere che li abbattano.

— Non crediamo che adorino gli alberi. Sono simboli, totem, che rappresentano i loro antenati. Loro… li piantano. Sui cadaveri.

Ouanda avrebbe voluto smetterla di dargli informazioni per interrogarlo sui suoi propositi, ma Ender non intendeva lasciare che lei o Miro tenessero le redini di quella spedizione. Voleva parlare ai maiali di persona. Non aveva mai preparato un’elegia permettendo a qualcun altro di imporgli un metodo, e non avrebbe cominciato adesso. Inoltre possedeva notizie che loro non avevano: conosceva le teorie di Ela.

— E in altre occasioni? — chiese. — Li avete mai visti piantare alberi per altri motivi?

I due si guardarono. — No, che io sappia — disse Miro.

Quella di Ender non era semplice curiosità. Stava ancora pensando a ciò che Ela gli aveva detto sulle anomalie della riproduzione. — E gli alberi crescono anche da soli? Spargono le loro semenze e i germogli attraverso la foresta?

Ouanda scosse il capo. — Non abbiamo alcuna prova che alberi siano cresciuti altrove, se non sul corpo dei defunti. O meglio, tutti gli alberi della zona sono piuttosto vecchi, salvo questi tre qui fuori.

— Quattro fra poco, se non abbiamo fatto in tempo — disse Miro.

Ah! Ecco il motivo della tensione fra i due. L’impazienza di Miro era ansia d’impedire che un altro maiale fungesse da concime per le radici di una nuova pianticella. Mentre a preoccupare Ouanda era qualcosa del tutto diverso. Gli avevano già rivelato abbastanza di se stessi; ora poteva permettere che fossero loro a far domande. Alzò la testa e spinse lo sguardo fra il fogliame sopra di lui, osservando il normale sviluppo dei rami, il verde pallido della fotosintesi che confermava la convergenza, l’inevitabile parallelismo dell’evoluzione su pianeti d’ogni genere. Questo era il nocciolo dei paradossi di Ela: i meccanismi evolutivi di Lusitania erano cominciati entro gli stessi schemi osservati dagli xenobiologi sui Cento Mondi, ma lì nello schema s’era inserito qualcosa che lo aveva fatto collassare, spezzandolo. I maiali erano una delle poche dozzine di specie sopravvissute al collasso. Cos’era la Descolada, e come avevano fatto i maiali per adattarsi?

Avrebbe voluto dare un’altra piega alla conversazione chiedendo, ad esempio: perché siamo venuti proprio qui, accanto all’albero? Questo avrebbe incoraggiato Ouanda a interrogarlo. Ma in quel momento, con lo sguardo perduto nei movimenti delle fronde che ondeggiavano alla brezza, provò un’intensa sensazione di «déjà vu». Lui aveva già visto quelle foglie e quei rami, di recente. Ma era impossibile. Non c’erano grossi alberi su Trondheim, e all’interno di Milagre non ne cresceva nessuno. Perché il sole che filtrava fra quelle fronte gli era così familiare?

— Araldo… — cominciò Miro.

— Sì? — disse lui, concedendosi di scivolare fuori da quelle improvvise visioni oniriche.

— Noi non volevamo portarla qui — disse fermamente Miro. Però tutto il suo corpo era così orientato verso Ouanda da rivelare a Ender che aveva voluto condurlo lì, ma che provava la stessa riluttanza della ragazza a lasciargli intuire il legame che li univa. Voi siete innamorati, pensò Ender. E stasera, se sarà stasera che dirò la Verità sulla vita di Marcão, dovrò rivelarvi che siete fratello e sorella. Dovrò sollevare il sipario raggelante dell’incesto fra di voi. E per questo mi odierete.

— Lei sta per partecipare a… quelle che… — Ouanda non riuscì a costringersi a dirlo.

Miro sorrise. — Noi le chiamiamo Domande del Giorno. La cosa cominciò con Pipo, senza che lui volesse. Ma Libo la portò avanti deliberatamente, e noi continuiamo il suo lavoro. È calcolato, graduale. Non lo facciamo tanto per infrangere alla leggera gli ordini della Federazione. Il fatto è che qui ci sono state delle crisi, e noi abbiamo dovuto aiutare. Qualche anno fa, ad esempio, i maiali restarono a corto di macios, i vermi della corteccia di cui per lo più si nutrivano a quel tempo…

— Devi cominciare proprio con questo? — lo interruppe Ouanda.

Ah! pensò Ender. Per lei, invece, fornirmi un’impressione di solidarietà non è altrettanto importante.

— Lui è qui anche per parlare della morte di Libo — disse Miro. — E questi sono fatti accaduti immediatamente prima.

— Non abbiamo alcuna prova di un rapporto causale…

— Lasciate che sia io a scoprire le relazioni fra gli effetti e le cause — intervenne Ender con calma. — Ditemi cosa accadde quando i maiali cominciarono a soffrire la fame.

— Erano le mogli a soffrire la fame. Così dissero loro. — Miro ignorò le ansie di Ouanda. — Vede, sono i maschi a raccogliere il cibo per le femmine e i giovani, e nei dintorni non ce n’era abbastanza. Cominciarono ad accennare al fatto di andare in guerra, e anche a parlare di come sarebbero stati probabilmente uccisi tutti quanti. — Miro scosse il capo. — Ne sembravano quasi contenti.

Ouanda fece un passo avanti. — Lui non ha neppure preso un impegno con noi! Non ci ha promesso niente!

— Cosa volete che io prometta? — chiese Ender.

— Di non… far sì che queste cose…

— Di non parlare di ciò che fate?

Lei annuì, irritata dal proprio balbettio infantile.

— Non posso promettere una cosa del genere — disse Ender. — Il mio lavoro è di rivelare, anzi.

Lei si volse di scatto a Miro. — Lo vedi?

Il giovane non nascose la sua paura. — Lei non può far questo! Chiuderanno il recinto. Non ci lasceranno più uscire!

— E voi, sareste capaci di stravolgere il vostro metodo di lavoro? — osservò Ender.

Ouanda lo fissò, sprezzante. — Pensa che la xenologia non sia altro che questo? Un’occupazione? Là in quei boschi esiste un’altra specie intelligente. Ramans, non varelse, e l’umanità deve conoscerli.

Ender non rispose, ma il suo sguardo non si staccò dal volto di lei.

— È come per La Regina dell’Alveare e l’Egemone - disse Miro. — I maiali sono come gli Scorpioni. Soltanto più piccoli, più deboli, più primitivi. Noi dobbiamo studiarli, certo, ma questo non è abbastanza. Lei può studiare degli animali e non fare una piega se uno di loro casca morto o viene divorato, ma questi sono… sono come noi. Non possiamo limitarci a studiare il modo in cui muoiono di fame, a osservare una guerra che li stermina. Noi li conosciamo, noi…

— Voi li amate — disse Ender.

— Sì! — lo sfidò Ouanda, rabbiosamente.

— Ma se li lasciaste, se non foste più qui, non per questo scomparirebbero, no?

— No — disse Miro.

— Te l’ho detto che sarebbe stato come ricevere qui un membro del Comitato — disse Ouanda.

Ender la ignorò. — Quali sarebbero le conseguenze per loro, se voi due li lasciaste?

— Sarebbe come… — Miro si sforzò di trovare le parole, — come se lei potesse tornare indietro, ai tempi della vecchia Terra, prima di Ender lo Xenocida, prima dei viaggi spaziali, e dicesse loro: ecco, potrete viaggiare fra le stelle, potrete vivere su altri mondi. E mostrasse loro un migliaio di piccoli miracoli: luci che si accendono con un interruttore, il metallo, l’agricoltura, o anche cose semplici come vasi per tenerci l’acqua. Loro la osserverebbero, saprebbero chi è lei, s’accorgerebbero di poter fare le stesse cose, capirebbero di poter diventare come lei, e poi… si aspetta forse che direbbero: portate via questa roba, non fatecela vedere, lasciateci vivere la nostra spiacevole, ristretta, selvaggia esistenza, e che l’evoluzione faccia il suo corso naturale? No. Direbbero: dateci, insegnateci, aiutateci.

— I vostri ordini sono di rispondere: non posso. E di voltar loro le spalle.

— È troppo tardi! — esclamò Miro. — Ma non capisce? Loro hanno già visto questi miracoli! Ci hanno visti arrivare in volo. Hanno visto delle creature alte e forti, con utensili magici e oggetti che mai avevano sognato. È troppo tardi per dir loro addio e andarcene. Ora sanno che queste cose sono realizzabili. E più a lungo restiamo, più cercheranno di imparare; e più cose impareranno, più noi vedremo quanto questo li aiuta. E se lei ha una briciola di compassione, se lei capisce che sono… che sono…

— Umani?

— Ramans, comunque. Sono nostri figli. Lo capisce questo?

Ender sorrise. — E quale uomo, se suo figlio gli domanda un pezzo di pane, gli getterebbe una pietra?

Ouanda annuì. — Sì, è così. Le leggi della Federazione dicono che noi dobbiamo gettargli una pietra. Anche se abbiamo pane da sprecare.

Ender si alzò. — Bene. Mettiamoci in cammino.

Ouanda s’irrigidì. — Lei non ha promesso che…

— Avete letto La Regina dell’Alveare e l’Egemone?

— Io sì — rispose Miro.

— Riesci a concepire che una persona, dopo aver scelto di fare di se stesso un Araldo dei Defunti, possa volere qualcosa di male per questi Piccoli, questi pequeninos?

L’atteggiamento ansioso di Ouanda si rilassò visibilmente, ma non così la sua ostilità. — Lei è sottile, senhor Andrew, Araldo dei Defunti, lei è molto abile. A lui ha parlato della Regina dell’Alveare, e a me ha ricordato un passo del Vangelo.

— Io parlo a ciascuno nella lingua che può comprendere — disse Ender. — Questo non è essere sottili. È essere chiari.

— Così lei farà quello che vuole.

— Finché non ne verrà un danno per i maiali.

Ouanda sbuffò. — Secondo il suo giudizio, la sua logica.

— La mia logica è l’unica di cui dispongo. — Le volse le spalle e uscì dall’ombra che l’albero allungava al suolo, incamminandosi verso la boscaglia che lo attendeva alla sommità dell’altura. I due giovani lo seguirono, accelerando il passo per raggiungerlo.

— Bisogna che gliene parli — disse Miro. — I maiali hanno chiesto di lei. Sono convinti che lei sia lo stesso Araldo che scrisse La Regina dell’Alveare e l’Egemone.

— Lo hanno letto?

— L’hanno subito incorporato nella loro religione, a dire il vero. Trattano come fosse sacra la copia che gli abbiamo dato. E adesso affermano che la Regina stessa gli sta parlando.

Ender lo guardò. — E cosa gli dice? — chiese.

— Che lei è il primo Araldo, e che ha portato la Regina con sé. E che la manderà a vivere con loro, e che insegnerà loro tutto sui metalli e… è davvero una faccenda pazzesca. Ma la cosa peggiore è che da lei si aspettano tutte queste cose impossibili.

Avrebbe potuto essere un semplice sogno da parte loro, come Miro ovviamente credeva, ma Ender sapeva che dal suo bozzolo la Regina aveva parlato a qualcuno. - In che modo, secondo loro, la Regina dell’Alveare gli parla?

Ouanda l’aveva affiancato sull’altro lato. — Non parla a loro, soltanto a Rooter. E Rooter parla alla tribù. È tutto parte del loro sistema di totem. Noi non abbiamo mai messo in dubbio la cosa, e agiamo come se ci credessimo.

— Quant’è gentile da parte vostra — disse Ender.

— È una pratica antropologica standard — puntualizzò Miro.

— Siete talmente indaffarati a fingere di credere loro, che non c’è una sola probabilità al mondo che possiate imparare qualcosa da loro.

Per qualche momento i rami bassi ostacolarono i due giovani, cosicché Ender entrò nella foresta da solo. Dovettero correre per raggiungerlo. — Noi abbiamo dedicato la vita a imparare da loro! — disse Miro.

Ender si fermò. — Non da loro. — Erano sotto i primi alberi, e il gioco d’ombre proiettato dalle foglie rendeva i loro volti quasi illeggibili. Ma lui sapeva cos’avrebbe letto sulle facce degli altri due. Rabbia, disprezzo, risentimento: come osava quello straniero ignorante discutere le loro capacità professionali? Ecco come osava: — Voi siete impreganti fino al midollo della vostra supremazia culturale. Vi degnate di studiare le Domande del Giorno per dare informazioni e aiuto a quei poveri piccoli maiali, ma non avete una probabilità al mondo di accorgervi quando loro hanno qualcosa da insegnare a voi.

— Qualcosa di che genere? — saltò su Ouanda. — Forse il modo di uccidere un benefattore, di torturarlo a morte dopo avergli visto salvare la vita delle loro femmine e dei loro piccoli?

— Allora perché tollerate questo? Perché siete qui ad aiutarli, dopo ciò che hanno fatto?

Miro si spostò, scivolando fra Ouanda e lui. Per proteggerla, pensò Ender. O forse per trattenerla dal rivelare le sue debolezze. - Noi siamo dei professionisti. Possiamo capire che differenze culturali, ancora non ben chiarite…

— Voi continuate a pensare che i maiali siano animali, e non li condannate per aver ucciso Pipo e Libo più di quanto non condannereste un cabras per aver mangiato il capim.

— Questo è vero — ammise Miro.

Ender sorrise. — E questo è il motivo per cui non avete mai imparato niente da loro. Li considerate ammali.

— Li consideriamo ramans! — disse Ouanda, passando davanti a Miro. Evidentemente non voleva lasciarsi proteggere.

— Voi li trattate come se non fossero responsabili delle loro azioni — disse Ender. — I ramans sono responsabili per ciò che fanno.

— E lei che avrebbe intenzione di fare? — replicò sarcastica Ouanda. — Portarli in tribunale e processarli?

— Vi dirò una cosa: i maiali hanno appreso su di me più cose dal defunto Rooter di quante tutti voi ne sapete finora.

— Questo cosa vorrebbe dire? Che lei è veramente il primo Araldo? — Miro mugolò come se non sapesse immaginare una cosa più ridicola. — E suppongo che lei abbia sul serio un esercito di Scorpioni, magari nella stiva della sua astronave in orbita attorno a Lusitania, in attesa del segnale per sbarcare e…

— Quello che sta dicendo — lo interruppe Ouanda, — è che le sue intuizioni da dilettante lo qualificano più di noi a trattare con i maiali. E per quanto mi riguarda, questa è la riprova che non avremmo mai dovuto accettare di portarlo a…

Ouanda chiuse di colpo la bocca, perché dai cespugli era sbucato un maiale. Era più piccolo di quel che Ender si fosse aspettato. Il suo odore, benché non del tutto spiacevole, era certo più forte di quel che le simulazioni di Jane potevano avergli suggerito. — Troppo tardi — mormorò alla ragazza. — Ormai l’incontro è avvenuto.

L’espressione del maiale, se pure ne aveva una, era del tutto illeggibile per Ender. Miro e Ouanda, tuttavia, sapevano capire il suo linguaggio comportamentale. — È stupefatto — sussurrò Ouanda. Spiegando a Ender le cose che non capiva, lo stava rimettendo al suo posto. Questo a lui stava bene. Lì era un novellino e lo sapeva. Sperava tuttavia d’aver dato una scossa ai binari della loro logica inconscia. Era ovvio che li seguivano più per istinto che per raziocinio. Se voleva che gli dessero un vero aiuto, avrebbero dovuto abbandonare quei vecchi schemi di pensiero.

— Mangia-Foglie — disse Miro, a mo’ di saluto.

Il maiale non distolse lo sguardo da Ender. — Araldo dei Defunti — disse.

— Lo abbiamo portato — disse Ouanda.

Mangia-Foglie si volse e scomparve nel sottobosco.

— Questo che significa? — chiese Ender. — Se ne va?

— Vuol dire che il suo intuito non le suggerisce nulla? — osservò Ouanda.

— Che a voi piaccia o no — disse Ender, — i maiali vogliono parlarmi, e io desidero la stessa cosa. Penso che andrà meglio se mi aiutate a capire quello che succede. O non lo capite neppure voi?

Attese, conscio che i due stavano lottando contro la loro stessa rabbia. Poi, con suo sollievo, Miro prese una decisione. Invece di sventolare le sue qualifiche, parlò in tono semplice e calmo: — No, non siamo in grado di capirlo. Con i maiali continuiamo a giocare al gioco delle intuizioni. Loro ci fanno domande, noi gli facciamo domande, e sia noi che loro facciamo del nostro meglio per non rivelare quello che vogliamo tener nascosto. Non gli poniamo neppure le domande alle cui risposte terremmo di più, per paura che da esse imparino troppe cose di noi.

Ouanda rifiutò di adeguarsi all’atteggiamento conciliante di Miro. — Noi sappiamo più di quel che lei apprenderebbe in vent’anni — disse. — Ed è pazzo se s’illude di arrivare a conoscere le nostre stesse cose dopo dieci minuti di chiacchiere con i maiali.

— Io non ho bisogno d’imparare le vostre stesse cose — disse Ender.

— Oh! Non stava pensando a questo? — finse di stupirsi la ragazza.

— No. Perché ho già voi due con me. — Ender sorrise.

Miro capì, e lo prese come un complimento. Rispose al sorriso di lui. — Ecco quel che sappiamo, e non è molto: probabilmente Mangia-Foglie non è contento di vederla qui. C’è una contesa fra lui e un maiale di nome Human. Quando hanno visto che non volevamo portare da loro l’Araldo, Mangia-Foglie era sicuro che avrebbe vinto lui. Adesso la vittoria gli viene strappata da sotto il naso. Forse abbiamo salvato la vita di Human.

— A prezzo di quella di Mangia-Foglie? — chiese Ender.

— Chi lo sa? Così a naso, direi che in ballo c’è il futuro di Human ma non quello di Mangia-Foglie. Quest’ultimo sta solo cercando di farlo inciampare, non di prendere il suo posto.

— Ma non ne sei certo.

— Questo è il genere di cose su cui non facciamo mai domande. — Miro sorrise ancora. — Ma lei ha ragione. È diventata talmente un’abitudine che non siamo neppure tentati di farle.

Ouanda lo fissò irritata. — Ha ragione! Non ci ha mai visti al lavoro, ed ecco che già critica…

Ma a Ender non interessavano i loro alterchi. A passi svelti si avviò nella direzione presa da Mangia-Foglie, lasciando che i due lo seguissero, se ne avevano voglia. E naturalmente fu quello che fecero, rimandando le recriminazioni a più tardi. Appena vide che lo avevano raggiunto, cominciò a interrogarli di nuovo. — Queste Domande del Giorno che portate avanti — disse, scostando un ramo, — hanno introdotto nuovi alimenti nella loro dieta?

— Gli abbiamo insegnato a rendere commestibili le radici di nerdona — disse Ouanda. Esibiva un freddo atteggiamento professionale, ma se non altro gli stava parlando. Non intendeva permettere che il disgusto le impedisse di prendere parte attiva a un incontro così importante con i maiali. — Come eliminare alcuni nitrati con il lavaggio e asciugando poi la pasta al sole. Questa fu la soluzione a breve termine.

— La soluzione a lungo termine fu una varietà di amaranto studiata da mia madre — disse Miro. — All’inizio sviluppò tipi di cereali così adatti al terreno di Lusitania da non essere molto adatti all’uomo. Troppe proteine lusitane nella struttura. Questo però mi parve l’ideale per i maiali, così chiesi a Ela di darmene dei campioni, senza farle sapere a cosa sarebbero serviti.

Non ingannare te stesso su quello che Ela sa o non sa, disse Ender fra sé.

— Fu Libo a darglieli e a insegnare loro come piantarli, mietere il raccolto, farne farina e trasformarla in pane. Come sapore faceva schifo, ma fornì loro il primo alimento che potessero controllare direttamente. Da allora sono diventati grassi e impertinenti.

La voce di Ouanda era rigida. — Ma uccisero mio padre, subito dopo che le prime pagnotte furono portate alle loro mogli.

Per un po’ Ender camminò in silenzio, cercando di trarre un senso dalla cosa. I maiali avevano ammazzato Libo immediatamente dopo esser stati salvati dalla morte per fame? Impensabile. E tuttavia era accaduto. Come poteva evolversi una società che eliminava chi contribuiva di più alla sua sopravvivenza? La logica suggeriva l’opposto: avrebbero dovuto valorizzare al massimo chi aumentava le loro probabilità di riprodursi. Era così che una comunità migliorava la sua capacità di sopravvivenza organizzata. Come potevano esistere i maiali, con un’usanza che li spingeva verso l’estinzione?

E tuttavia i precedenti umani non mancavano. Quei due ragazzi, Miro e Ouanda, con le loro Domande del Giorno: erano migliori e più saggi, a lungo termine, del comitato federale che aveva promosso le leggi. Ma se fossero stati scoperti sarebbero stati portati via da casa, su un altro pianeta (già una sentenza di morte, in un certo senso, perché tutti i loro cari sarebbero stati morti da un pezzo al loro ritorno) e poi processati e probabilmente messi in carcere. Né le loro idee né la loro eredità genetica si sarebbero trasmesse ai posteri, e la società ne avrebbe avuto un impoverimento.

Che gli esseri umani lo facessero, non bastava a vederlo come un fatto ragionevole. Tuttavia l’arresto e l’imprigionamento di Miro e Ouanda avrebbe avuto un senso, se si consideravano gli esseri umani una comunità ed i maiali i loro nemici; se si decideva che aiutare i maiali potesse rivelarsi una minaccia per l’umanità. In tal caso punire chi promuoveva l’evoluzione dei maiali non tendeva a proteggerli, bensì a fermarne lo sviluppo culturale.

In quel momento Ender fu certo che le leggi preposte al contatto fra le due razze non miravano affatto a una supposta tutela dei maiali. Esistevano per garantire agli uomini la superiorità e il potere. Da quel punto di vista Miro e Ouanda, con le loro Domande del Giorno, erano traditori della loro razza.

— Renegades — disse a voce alta.

— Cosa? — chiese Miro. — Cos’ha detto?

— Renegades. Chi rinnega il suo popolo e si unisce al nemico.

— Ah! — borbottò il giovane.

— Noi non lo siamo — disse Ouanda.

— Sì, lo siamo — constatò Miro.

— Io avrei rinnegato la mia stessa umanità?

— A dar retta a monsignor Peregrino, l’abbiamo rinnegata molto tempo fa — disse Miro.

— Ma da come la vedo io… — cominciò lei.

— Da come la vedi tu — intervenne Ender, — anche i maiali sono umani. Ecco il motivo per cui siete dei rinnegati.

— M’era parso di sentirla dire che noi trattiamo i maiali come animali — lo rimbeccò Ouanda.

— In altre parole — disse Miro, — quando seguiamo le leggi del Comitato per l’Esplorazione e la Colonizzazione.

— Sì! — dichiarò Ouanda. — Sì, se è così, siamo dei rinnegati!

— E lei? — chiese Miro. — Perché sarebbe un rinnegato, lei?

— Oh, la razza umana mi ha preso a calci tanto tempo fa. È così che sono diventato un Araldo dei Defunti.

Su quella frase i tre fecero il loro ingresso nella radura dei maiali.


Mamma non era venuta a casa a cena e Miro non sarebbe rientrato fino a tardi. A Ela questo non dispiaceva affatto. La presenza dell’uno o dell’altra la privava della sua autorità, le toglieva il controllo dei quattro fratelli più giovani. Eppure né Miro né Mamma si accollavano le sue responsabilità. Perciò nessuno le ubbidiva, e nessuno cercava di mantenere l’ordine. Tutto dunque andava più liscio quando i due erano fuori.

Non che i fratelli fossero dei modelli di comportamento anche allora. Solo, le facevano minore resistenza. Le bastava rimproverare Grego un paio di volte per impedirgli di provocare Quara gettandole qualcosa nel piatto o tirandole calci sotto il tavolo. E quella sera Quim e Olhado stavano sulle loro. Nessuno dei soliti battibecchi.

Fino al termine della cena.

Quim si appoggò all’indietro sulla sedia e sorrise maliziosamente a Olhado. — Così tu sei l’esperto che ha insegnato a quella spia come ficcare il naso nell’archivio di Mamma, eh?

Olhado si volse a Ela. — Hai ancora lasciato aperta la faccia di Quim, Ela. Non è igienico. Devi chiuderla, dopo aver gettato la spazzatura. — Quello era il modo di Olhado, l’umorismo, per chiedere l’intervento della sorella maggiore.

Quim non voleva che lui avesse un’alleata. — Ela non sta più dalla tua parte, spione. Nessuno sta dalla tua parte. Hai aiutato quel serpente a indagare sulle registrazioni di Mamma, e questo ti rende altrettanto colpevole. Lui è un servo del diavolo, e tu anche.

Ela vide la furia montare nell’intero corpo di Olhado; per un attimo nella sua mente ci fu l’immagine del piatto del fratello che volava sulla faccia di Quim. Ma quel momento passò, e Olhado riuscì a calmarsi. — Mi dispiace — disse anzi. — Non avevo intenzione di aiutarlo.

Stava facendo le sue scuse a Quim! Ammetteva che Qui aveva ragione!

— Spero — disse Ela, — che ti dispiaccia perché l’hai fatto senza volerlo. Spero che tu non stia chiedendo scusa per aver aiutato l’Araldo.

— Si capisce, che chiede scusa per averlo aiutato — disse Quim.

— Perché noi — continuò Ela, — tutti noi, dobbiamo aiutare l’Araldo in ogni modo possibile.

Quim balzò in piedi, piegandosi sul tavolo per gridarle in faccia: — Come puoi dire questo! Lui ha violato l’intimità di Mamma! Stava frugando nei suoi segreti. E ha…

Con sua stessa sorpresa Ela si ritrovò anch’essa in piedi e protesa in avanti, a fronteggiarlo con voce ancor più alta e furibonda della sua. — 1 segreti di nostra madre sono la causa di metà del veleno che respiriamo in questa casa! I segreti di nostra madre sono ciò che tormenta tutti noi, lei compresa! E l’unico modo per far andar bene le cose qui è di tirarle fuori questi segreti, e di costringerla ad aprire le porte e le finestre per dargli aria, e così potremo finalmente respirare! — Fece una pausa, ansando. Quim e Olhado erano indietreggiati contro il muro della cucina, come se le sue parole fossero pallottole che li stavano fucilando. A voce più bassa, intensa, Ela continuò: — Per quello che riguarda me, l’Araldo dei Defunti è la nostra sola possibilità di avere ancora una vera famiglia. E i segreti di Mamma sono il solo ostacolo a questo. Perciò oggi gli ho detto tutto ciò che sapevo sul contenuto del suo archivio, e questo perché gli voglio dare ogni pezzetto di verità che riuscirò a trovare.

— Allora tu sei la traditrice peggiore di tutti — disse Quim. La sua voce tremava. Era sul punto di piangere.

— Io dico che aiutare l’Araldo è un atto di lealtà — replicò Ela. — Il solo vero tradimento è ubbidire a nostra madre, perché quello che lei vuole, quello per cui la lavorato tutta la vita, è la distruzione di se stessa e di questa famiglia.

Con stupore di Ela fu Olhado, e non Quim, che scoppiò a piangere. Le sue glandole lacrimali non funzionavano, naturalmente, poiché gli erano state tolte prima dell’installazione degli occhi artificiali, ma vederlo piangere con gli occhi asciutti era ancora peggio. Dalla gola gli uscivano singhiozzi rauchi; poi si lasciò scivolare giù contro il muro e sedette sul pavimento, con la testa china sulle ginocchia, continuando a gemere piano. Ela ne capiva il motivo: gli aveva detto che il suo affetto per l’Araldo non era slealtà, che non aveva peccato; e quando lei gli parlava così Olhado le credeva, sapeva che quella era la verità.

Soltanto allorché distolse lo sguardo dal fratello vide che lei era rincasata e stava in piedi sulla soglia. Ela sentì che le spalle le si piegavano, e deglutì un groppo di saliva al pensiero di ciò che sua madre poteva aver udito.

Ma Novinha non sembrava irritata. Solo un po’ triste, e molto stanca. Stava guardando Olhado.

L’indignazione di Quim trovò voce. — Hai sentito quello che Ela ha avuto il coraggio di dire? — le chiese.

— Sì — rispose lei, senza distogliere lo sguardo da Olhado. — E per quel che ne so, potrebbe aver ragione.

Ela fece un cenno a Grego e a Quara, che scivolarono giù dalle loro sedie e le si strinsero al fianco, spaventati e sbarrando gli occhi a quella scena. Dopotutto, neppure il loro padre era mai stato capace di far piangere Olhado. Lei li condusse fuori dalla cucina, nella loro piccola stanza. Poi sentì Quim percorrere il corridoio fino in camera sua, sbattere la porta e gettarsi pesantemente sul letto. E in cucina i singhiozzi di Olhado si placarono, finendo poco a poco per tacere, mentre la madre, per la prima volta da quando lui aveva perduto gli occhi, lo teneva fra le braccia e lo cullava dolcemente, lasciando che sue lacrime scivolassero non viste e silenziose sui capelli bruni del ragazzo.


Miro non sapeva come comportarsi con l’Araldo dei Defunti. Senza rifletterci aveva sempre immaginato che un Araldo fosse molto simile a un prete… o meglio, che avesse una mentalità dello stesso genere: calma, contemplativa, astratta dalle cose terrene, propensa a lasciare agli altri le azioni e le decisioni. Un uomo prudente e saggio, insomma.

Mai si sarebbe aspettato una persona così disposta all’iniziativa, così intromettente e pericolosa. Certo, aveva una mente acuta, capace di indagare oltre le finzioni altrui, e se faceva o diceva qualcosa di poco gradevole bisognava ammettere che, pensandoci bene, aveva avuto ragione. Era come se fosse così esperto delle reazioni umane da capire, al primo sguardo, non solo i desideri più reconditi di un individuo, ma anche quelle verità in lui sepolte così profondamente da sfuggire ormai perfino ai suoi tentativi di ricordarle.

Quante volte Miro s’era trovato lì a fianco di Ouanda, ambedue intenti a osservare Libo che si affaccendava con i maiali. Ma con Libo non avevano mai avuto difficoltà a capire: conoscevano la sua tecnica, erano al corrente dei suoi scopi. L’Araldo, invece, seguiva linee di pensiero che per Miro erano totalmente aliene. Malgrado fosse così umano, qualcosa in lui costringeva il giovane a chiedersi se non fosse un framling nel senso più esteso della parola, sconcertante quanto i maiali stessi.

E adesso cosa stava notando? Dove si accentrava la sua attenzione? Sull’arco che Freccia aveva a tracolla? Sui vasi cotti al sole colmi di radici di nerdona messe a mollo? Quali particolari riconosceva come frutto delle loro attività illegali, e quali pensava fossero il prodotto della cultura indigena?

I maiali srotolarono l’involto che conteneva La Regina dell’Alveare e l’Egemone. - Tu — disse Freccia. — Hai scritto tu questo?

— Sì — disse l’Araldo dei Defunti.

Miro guardò Ouanda. Negli occhi di lei ci fu un lampo truce e soddisfatto: dunque l’Araldo era un mentitore.

Human si fece avanti. — Questi altri due, Miro e Ouanda, pensano che lei sia un bugiardo.

Miro s’irrigidì, aspettandosi che l’Araldo si voltasse a guardarli. Ma lui non lo fece. — È naturale che lo pensino — disse invece. — Non hanno mai neppure sospettato che Rooter potesse dirvi la verità.

La placida dichiarazione dell’Araldo mise Miro a disagio. Poteva essere la verità? Dopotutto, chi viaggiava fra una stella e l’altra si lasciava alle spalle i decenni, a volte i secoli, specialmente se lo faceva di professione. Non sarebbero occorsi troppi viaggi, infine, perché l’effetto relativistico lo facesse balzare avanti di tremila anni. Ma che il primo Araldo dei Defunti fosse capitato proprio lì, questa era una coincidenza troppo incredibile. Salvo per il fatto che il primo Araldo era l’autore della Regina dell’Alveare e dell’Egemone, e quindi avrebbe voluto interessarsi alla prima razza di ramans scoperta dal tempo degli Scorpioni. No, non ci credo, disse Miro a se stesso. Ma dovette ammettere la possibilità teorica che la cosa fosse vera.

— Perché loro due sono così stupidi? — chiese Human. — Non sanno riconoscere la verità quando la vedono?

— Non sono stupidi — disse l’Araldo. — Ma è così che ragionano gli umani: noi mettiamo in discussione tutte le nostre credenze, eccetto le poche in cui crediamo veramente, e queste non pensiamo neppure di analizzarle. Loro non hanno mai pensato di dubitare dell’idea che il primo Araldo dei Defunti fosse morto tremila anni fa, anche se sanno bene come i viaggi interstellari prolungano la vita.

— Ma noi glielo abbiamo detto.

— No. Voi avete riferito che la Regina ha detto a Rooter che io ho scritto questo libro.

— E perciò avrebbero dovuto capire che era vero — insisté Human. — Rooter è saggio, è un padre, non farebbe mai un errore.

Miro non ridacchiò, ma avrebbe voluto farlo. L’Araldo credeva di essere razionale, però adesso era lì, dove tutte le domande più importanti finivano nel niente, dove la razionalità s’infrangeva contro l’insistenza con cui i maiali dicevano di parlare con i loro totem.

— Sì — annuì l’Araldo. — Sono molte le cose che non capiamo noi, e molte quelle che non capite voi. Dovremmo parlarne di più.

Human sedette a fianco di Freccia, dividendo con lui la posizione d’onore. Freccia non diede segno di farci caso. — Araldo dei Defunti — disse Human, — porterai da noi la Regina dell’Alveare?

— Non l’ho ancora deciso — disse l’Araldo.

Di nuovo Miro guardò Ouanda, incredulo. L’Araldo era forse impazzito, per lasciar intendere che poteva fare quel che non poteva esser fatto?

Poi ripensò alla sua frase di poco prima sulle credenze che uno non metteva mai realmente in discussione. Miro aveva sempre preso per oro colato ciò che si insegnava a scuola: tutti gli Scorpioni erano stati distrutti. Ma se invece una Regina fosse sopravvissuta? Che fosse stato proprio questo, il fatto di avere una di quelle creature con cui parlare, a consentire all’Araldo di scrivere il suo libro? Era estremamente improbabile, ma non impossibile. Miro non aveva mai dubitato della convinzione generale sul completo sterminio degli Scorpioni, anche perché in ben tremila anni non s’era mai trovata nessuna prova del contrario.

Ma se pure questa era la verità, com’era giunta a conoscenza di Human? La spiegazione più semplice era che i maiali avessero incorporato La Regina dell’Alveare e l’Egemone nella loro religione, e fossero incapaci d’afferrare il concetto che c’erano molti Araldi dei Defunti, che nessuno di essi era l’autore del libro, che gli Scorpioni erano morti tutti, e che lì non sarebbe mai giunta alcuna Regina. Questa era l’ipotesi più probabile, la più facile da accettare. Ogni altra spiegazione lo avrebbe costretto ad ammettere che l’albero-totem di Rooter in qualche modo comunicava con i maiali.

— Cosa può farti decidere? — chiese Human. — Noi facciamo doni alle mogli per vincere la loro castità, ma tu sei il più saggio di tutti gli umani e non abbiamo nulla di cui tu abbia bisogno.

— Voi avete molte cose di cui ho bisogno — disse l’Araldo.

— Quali cose? Non sai forse fare vasi migliori dei nostri? Archi più perfetti? La veste che io indosso è in lana di cabras, ma la tua è molto più bella.

— Non ho bisogno di cose come queste — disse l’Araldo. — Ciò che desidero sono le storie. Le storie vere.

Human si piegò in avanti e il suo corpo s’irrigidì, in segno d’impazienza e di eccitazione. — Oh, Araldo! — esclamò con voce alta e nitida per l’importanza di quelle parole. — Vuoi aggiungere la nostra storia a quelle della Regina dell’Alveare e dell’Egemone?

— Io non conosco la vostra storia — rispose lui.

— Domandacela! Domandaci tutto!

— Come posso raccontare la vostra storia? Io dico agli altri soltanto la storia di chi è morto.

— Noi siamo morti! — gridò Human. Miro non l’aveva mai visto così agitato. — Noi veniamo uccisi ogni giorno. Gli umani si stanno espandendo su tutti i mondi. Le navi viaggiano nella notte nera del cielo da stella a stella, popolando ogni posto libero. E noi siamo qui, sul nostro piccolo pianeta, a guardare il cielo che si riempie di umani. Loro hanno costruito quello stupido recinto per tenerci fuori, ma questo è niente. Il cielo è il nostro recinto! — Human balzò in su con un salto, di altezza sorprendente. Ma aveva gambe potenti. — Guarda come quel recinto mi respinge giù sul terreno!

Corse all’albero più vicino e si arrampicò sul tronco, più in alto di quanto Miro l’avesse mai visto salire. Si mise in piedi su un ramo e d’un tratto balzò in aria come se volesse tuffarsi verso il cielo. Per un terribile attimo restò immobile al culmine di quella parabola, poi la gravità lo fece precipitare al suolo.

Miro poté udire l’osceno ansito dell’aria che gli scaturiva dai polmoni. L’Araldo corse affannosamente a chinarsi su Human, e lui lo seguì. Vide subito che il maiale non respirava.

— È morto? — chiese Ouanda, alle sue spalle.

— No! — gemette uno dei maiali nella Lingua dei Maschi. — Tu non devi morire! No! No! No! — Miro si volse. Con sua sorpresa s’accorse che era Mangia-Foglie. — Tu non puoi morire!

Poi Human sollevò una mano debole e tremante, e toccò il volto dell’Araldo. Inalò aria, ebbe un grugnito rauco, e infine riuscì a dire: — Vedi, Araldo? Io morirei, pur di salire sul muro che ci separa dalle stelle.

In tutti gli anni dacché Miro li conosceva, e anche in quelli precedenti, i maiali non avevano mai parlato dei viaggi spaziali né fatto una sola domanda sull’argomento. Tuttavia adesso capiva che ognuna delle loro domande era orientata alla scoperta del segreto del volo interstellare. Gli xenologi non l’avevano neppure sospettato, poiché sapevano (di nuovo «sapevano» senza averlo domandato neppure a se stessi) che i maiali avevano un livello culturale così basso che non sarebbero bastati loro mille anni per giungere al punto in cui una razza può cominciare a sognare i viaggi spaziali. Ma le loro richieste di informazioni sui metalli, sui motori, sui veicoli che non toccavano il terreno, tutto ciò era il loro modo d’indagare verso il segreto del volo fra le stelle.

Faticosamente, afferrandosi alle mani dell’Araldo, Human si tirò in piedi. Miro si trovò a pensare che da quando aveva iniziato a frequentare i inaiali non uno di loro l’aveva preso per mano. Questo lo seccò alquanto, perché si rese conto d’essere geloso.

Human s’era ripreso con stupefacente rapidità, e quando gli altri maiali se ne furono accertati tornarono a sedersi attorno all’Araldo. Non si prendevano a gomitate, ma tutti volevano avvicinarsi il più possibile.

— Rooter dice che la Regina dell’Alveare sa come costruire le astronavi — disse Freccia.

— Rooter dice che la Regina dell’Alveare ci insegnerà tutto — aggiunse Orcio. — Metalli, fuoco fatto con la roccia, case fatte di acqua nera, tutto quanto.

L’Araldo alzò le mani per metter fine al loro vociare. — Se voi foste assetati ed io avessi l’acqua, tutti verreste a chiedermi di bere. Ma che accadrebbe se io sapessi che l’acqua è velenosa?

— Non c’è veleno nelle astronavi che volano sulle stelle — disse Human.

— Ci sono molti sentieri per arrivare alle stelle — disse l’Araldo. — Alcuni sono migliori di altri. Io vi darò tutto ciò che potrò, ma non quello che vi distruggerebbe.

— La Regina dell’Alveare lo ha promesso! — disse Human.

— E così faccio io.

Human si piegò in avanti, afferrò l’Araldo per i capelli e gli orecchi e lo attrasse più vicino. Miro non aveva mai visto un atto di violenza così chiaro; era ciò che temeva da sempre, la decisione di uccidere…

— Se noi siamo ramans — gridò Human in faccia all’Araldo, — allora sta a noi decidere, non a voi! E se siamo varelse, allora tanto vale che tu ci ammazzi tutti fin d’ora, così come hai ammazzato tutte le sorelle della Regina dell’Alveare!

Miro era sbigottito. Una cosa era che i maiali credessero d’avere lì l’autore del libro; ma come potevano esser giunti all’inverosimile conclusione che lui fosse in qualche modo colpevole delle Xenocidio? Chi mai gli aveva suggerito l’idea di paragonarlo al mostruoso Ender?

Eppure l’Araldo dei Defunti se ne stava seduto senza fare un gesto, con gli occhi chiusi e le lacrime che gli scivolavano giù per le guance, quasi che l’accusa di Human avesse per lui la forza della verità.

Human si volse a Miro. — Cos’è quest’acqua? — sussurrò. Con un dito toccò le lacrime dell’Araldo.

— È il modo in cui noi mostriamo dolore, oppure sollievo dalla sofferenza — rispose il giovane.

Mandachuva si alzò di scatto e gridò; un ululato stridulo che Miro non aveva mai udito, simile al gemito snervante di un animale in agonia.

— Questo è il modo in cui mostriamo dolore noi — sussurrò Human.

Ahyy-yaw! Ahyy-yaw! - gridò ancora Mandachuva. — Io ho già visto quest’acqua! Negli occhi di Pipo e di Libo io ho visto quest’acqua!

I maiali diedero segni d’incredulità. Poi, uno dopo l’altro e infine tutti insieme, unirono la loro voce a quel coro agghiacciante. Miro era eccitato e terrorizzato nello stesso tempo. Non aveva la minima idea di quel che stava accadendo, ma i maiali mostravano emozioni di un genere che per quarantasette anni avevano nascosto agli xenologi.

— Credi che stiano soffrendo per papà? — mormorò Ouanda. Anche gli occhi di lei brillavano d’eccitazione, ma stava sudando freddo per la paura.

Miro lo disse nello stesso istante in cui gli venne da pensarlo: — Fino a questo momento non sapevano che Pipo e Libo, quando li hanno uccisi, stavano piangendo.

Il giovane non riuscì a capire quali pensieri attraversassero la mente di Ouanda, ma subito dopo la vide alzarsi, fare qualche passo e poi cadere in ginocchio con le mani poggiate al suolo, scossa dai singhiozzi.

Di una cosa era certo: l’arrivo dell’Araldo aveva sicuramente stravolto tutto quanto.

Miro si accostò di più all’Araldo, che aveva il capo chino e il mento poggiato sul petto. — Mi ascolti — disse sottovoce. — Come pode ser? Come può essere che lei sia il primo Araldo e anche Ender? Não pode ser!

Lei ha detto loro più di quel che mi sarei aspettato — rispose lui in un sussurro.

— Ma l’Araldo dei Defunti, l’uomo che scrisse questo libro, era uno dei più illuminati della sua epoca. Mentre Ender era un assassino, sterminò un’intera razza, dei ramans meravigliosi che avrebbero potuto insegnarci moltissimo.

— Entrambi umani, però — mormorò l’Araldo.

Human s’era azzittito per ascoltarli, e citò un aforisma dell’Egemone: — Malattia e guarigione sono in ogni cuore. Morte e salvezza sono in ogni mano.

— Human — chiese l’Araldo, — dì alla tua gente di non soffrire a causa di ciò che faceste per ignoranza.

— È stata una cosa terribile — disse Human. — Era il nostro dono più grande.

— Dì alla tua gente di calmarsi, e ascoltatemi.

Human gridò qualche parola, non nella Lingua dei Maschi ma in quella delle mogli, il linguaggio dell’autorità. Tutti tacquero, e sedettero ad ascoltare ciò che l’Araldo aveva da dire.

— Io farò tutto quello che posso — affermò lui. — Ma prima dovrò conoscervi, altrimenti come potrò dire la vostra storia? Dovrò conoscervi, o come potrò sapere se l’acqua è velenosa o no? E resta ancora il problema più difficile. La razza umana è libera di amare gli Scorpioni perché questi sono ormai morti. Ma voi siete vivi, e quindi gli umani hanno paura di voi.

Human indicò con ambo le mani il proprio corpo, come se fosse qualcosa di miseramente inadeguato. — Di noi!

— Hanno paura della stessa cosa che voi temete quando guardate il cielo e vedete le stelle riempirsi di uomini. Hanno paura di andare su uno di quei pianeti, un giorno o l’altro, e di scoprire che voi ve ne siete impadroniti per primi.

— Non vogliamo arrivarci per primi — disse Human. — Vogliamo essere là anche noi.

— Allora datemi tempo — disse l’Araldo. — Insegnatemi chi siete, cosicché io possa insegnarlo a loro.

— Tutto! — esclamò Human. Si girò a guardare gli altri. — Noi ti insegneremo tutto.

Mangia-Foglie si alzò. Parlò nella Lingua dei Maschi, ma Miro lo comprese: — Alcune cose non sono tue, e non le puoi insegnare.

Human gli diede una risposta secca, poi tornò allo stark: — Ciò che Pipo e Libo e Ouanda e Miro ci hanno detto non apparteneva a loro. Ma ce lo hanno insegnato.

— La loro follia non deve essere la nostra follia — gli replicò Mangia-Foglie, sempre nella Lingua dei Maschi.

— Allora neppure la loro saggezza potrà essere la nostra saggezza — ritorse Human.

A questo punto Mangia-Foglie disse in Lingua Albero qualcosa che Miro non poté capire. Human non gli diede alcuna risposta, e Mangia-Foglie se ne andò.

Mentre lui s’allontanava tornò Ouanda, con gli occhi ancora rossi di pianto.

Human si volse all’Araldo. — Cosa vuoi sapere? — chiese. — Noi te lo diremo. Te lo mostreremo, se possiamo.

L’Araldo interrogò con lo sguardo Miro e Ouanda. — Cosa dovrei domandare? So così poco che non ho idea di quel che ci servirebbe conoscere.

A sua volta miro guardò Ouanda.

— Voi non avete utensili di pietra né di metallo — disse lei. — Ma la vostra casa è fatta di legno, e così gli archi e le frecce.

Human si alzò, in attesa. Il silenzio si prolungò. — Ma qual è la domanda? — chiese infine il maiale.

Come diavolo può sfuggirgli il collegamento? pensò Miro.

— Noi umani — disse l’Araldo, — usiamo utensili di metallo per abbattere gli alberi, quando vogliamo dare forma al legno per costruire case o frecce o bastoni come quelli che alcuni di voi hanno in mano.

Occorse qualche istante prima che le parole dell’Araldo fossero comprese. Poi, all’improvviso, tutti i maiali furono in piedi. L’intera tribù cominciò a correre attorno, senza scopo e ciecamente, in una frenesia di corpi che inciampavano l’uno addosso all’altro e andavano a sbattere negli alberi, contro la casa e fra i cespugli. Quasi tutti mantenevano un irreale silenzio, ma ogni tanto uno di loro mandava un grido stridulo simile a quelli che avevano innalzato pochi minuti prima. Quell’attacco generale di silenziosa follia era fantasmagorico, come se una banda di demoni si fosse impossessata dei loro corpi. Tutti quegli anni di informazioni date con il contagocce, di occultamenti tesi a impedire che i maiali ne sapessero troppo, e adesso l’Araldo aveva ribaltato le regole ed il risultato era quel drammatico caos.

Da quella baraonda emerse vacillando Human, e si lasciò cadere al suolo davanti a loro. — Oh, Araldo! — gridò, sconvolto. — Prometti che non lascerai mai abbattere mio padre Rooter con utensili di pietra e di metallo! Se volete uccidere qualcuno, ci sono i fratelli più anziani che si offriranno a voi, e anch’io sarò felice di morire, ma non lasciare che uccidano mio padre!

— O mio padre! — strillarono altri maiali. — O il mio! No!

— Non avremmo mai piantato Rooter così vicino al recinto — disse Mandachuva, — se avessimo saputo che voi siete… siete varelse!

L’Araldo sollevò ancora le braccia. — Gli umani hanno forse tagliato un solo albero su Lusitania? Mai. Qui la legge lo proibisce. Non avete niente da temere da noi.

Il silenzio continuò, mentre i maiali pian piano smettevano di agitarsi. Dopo un poco Human si rialzò da terra. — Tu ci hai insegnato ad aver paura degli umani — disse all’Araldo. — Vorrei che non foste mai venuti nella nostra foresta.

La voce di Ouanda suonò irritata: — Come puoi dir questo, dopo il modo orribile in cui avete assassinato mio padre!

Human la fissò trasecolato, incapace di rispondere. Miro passò un braccio attorno alle spalle della ragazza. Nel silenzio generale fu l’Araldo a parlare. — Mi hai promesso che risponderete a tutte le mie domande. Adesso ti chiedo: come avete costruito la casa di tronchi, quell’arco con le frecce, e i bastoni? Noi vi abbiamo detto il solo sistema che conosciamo, ora tu dimmi l’altro, quello con cui lo fate voi.

— I fratelli offrono se stessi — rispose Human. — Te l’ho detto. Noi diciamo a un fratello anziano cosa ci serve, gli mostriamo la forma, e lui offre se stesso.

— Possiamo vedere come fate? — domandò l’Araldo.

Human gettò uno sguardo agli altri maiali. — Vuoi che chiediamo a un fratello di offrire se stesso, solo perché tu possa vedere? Non abbiamo bisogno di una casa nuova, non per anni ancora, e possediamo già tutte le frecce che ci servono.

— Faglielo vedere!

Miro trasalì, mentre tutti gli altri si voltavano a guardare Mangia-Foglie che usciva di nuovo dalla boscaglia. A passi alteri il maiale andò a fermarsi al centro della radura, e quando parlò fu nel tono ampolloso di un’autorità che annunciasse qualcosa da un podio rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare. Usava però la Lingua delle Mogli, e Miro riuscì a tradurne solo un pezzo qui e uno là.

— Che sta dicendo? — sussurrò l’Araldo.

Accovacciato al suo fianco Miro gli riferì quel che aveva capito: — È andato dalle mogli, evidentemente, e loro hanno detto di fare tutto ciò che lei chiede. Ma non è così semplice. Sta dicendo loro che… non conosco queste parole… qualcosa circa la morte di tutti loro. O su dei fratelli che muoiono, comunque. Ma li guardi: non hanno paura, nessuno di loro.

— Non so come mostrino la loro paura — disse l’Araldo. — Non so proprio niente di questo popolo.

— Io neppure — borbottò Miro. — Le ho lasciato la cosa in mano, e ha causato più agitazione lei in mezz’ora di quanta ce ne sia stata dacché esiste la colonia.

— Ho un dono di natura — sospirò l’Araldo. — Farò un affare con voi: terrò la bocca chiusa sulle vostre Domande del Giorno, e voi tacerete sulla mia identità.

— Lo consideri fatto — annuì Miro. — Comunque, io non ci credo.

Mangia-Foglie terminò il suo discorso. Subito dopo si diresse alla casa di tronchi e vi entrò.

— Chiederemo il dono di un fratello anziano — riferì Human. — Le mogli hanno detto questo.

Fu così che, a fianco dell’Araldo e con un braccio intorno alle spalle di Ouanda, Miro assisté mentre i maiali facevano accadere un miracolo più convincente di quelli che avevano meritato a Gusto e Cida il titolo di Os Venerados.

La tribù fece circolo attorno a un enorme vecchio albero che sorgeva al bordo della radura. Poi, uno alla volta, i maiali si arrampicarono su per il tronco e cominciarono a battervi raffiche di colpi con i loro bastoni. Poco dopo erano tutti quanti appollaiati su rami, cantando in coro e tambureggiando secondo un ritmo complicato. — Lingua Albero — sussurrò Ouanda.

Non erano ancora trascorsi dieci minuti che l’albero oscillò vistosamente. All’istante metà dei maiali scesero al suolo e presero a spingere il tronco, in modo da farlo inclinare verso il terreno aperto della radura. Gli altri continuarono a battere forsennatamente e a cantare a voce ancor più alta.

Uno dopo l’altro i grandi rami dell’albero si staccarono e caddero al suolo. 1 maiali correvano svelti ad afferrarli e li trascinavano via dalla zona dove l’enorme vegetale si sarebbe abbattuto. Human ne portò uno dei più piccoli all’Araldo, che lo prese con cautela e lo mostrò a Miro e a Ouanda. L’estremità del ramo che era stata attaccata al tronco appariva perfettamente liscia, con una superficie appena ondulata priva di sporgenze o fessure, e nulla provava che fosse stata separata con torsioni o colpi. Miro vi passò un dito e la sentì fredda e levigata come il marmo.

Infine dell’albero non rimase che un tronco nudo, alto e possente; le chiazze ovali dov’erano stati collegati i rami scintillavano biancastre agli ultimi raggi del sole. La canzone salì di tono e all’improvviso tacque. Subito l’albero cominciò a inclinarsi sempre più, e con maestosa lentezza si abbatté nella radura. Il terreno tremò, l’eco del tonfo si spense fra la vegetazione, e quando il polverone si fu diradato tutto era immobile.

Human s’avvicinò al tronco e prese ad accarezzarne la corteccia, cantando sottovoce. Sotto le sue mani il duro rivestimento rugoso si aprì pian piano, finché con uno scricchiolio la spaccatura si estese alla sua intera lunghezza. Diversi maiali vennero ad afferrare la corteccia per staccarla dal tronco; ma non dovettero fare alcuno sforzo e i due pezzi, quasi perfettamente uguali, furono trasportati da parte.

— Avete mai visto come utilizzano la corteccia? — chiese l’Araldo.

Miro scosse il capo. Non avrebbe avuto voce per rispondere.

A farsi avanti a questo punto fu Freccia, anch’egli cantando. Passò un dito sul tronco e vi tracciò una lunga parentesi, come se disegnasse esattamente la forma di un arco. Miro vide apparire sulla nuda superficie del legno delle fenditure, tagli che si approfondivano da soli e in silenzio, finché in pochi secondi l’arco fu separato dal tronco e rimase, liscio e perfetto, nella sua lunga nicchia ricurva.

Altri maiali s’accostarono al tronco, e cantando vi tracciarono sopra le forme più svariate. Ne trassero così bastoni, archi, dozzine di frecce, coltelli dalla lama affilata, e migliaia di quelle sottilissime strisce che usavano per intrecciare i canestri. Infine, quando una buona metà dell’albero era ormai consumata, tutti indietreggiarono poco più in là e continuarono a cantare in coro. Il tronco si spaccò in una mezza dozzina di lunghi pali. Non una scheggia del grande albero era rimasta così inutilizzata.

Human si separò lentamente dagli altri e s’inginocchiò accanto ai pali, poggiando dolcemente le mani sul più vicino. Attese che i compagni tacessero e poi, rovesciando la testa all’indietro, intonò una canzone senza parole simile a un lamento, così triste e melodiosa che a Miro parve intessuta di malinconia allo stato puro. La voce solitaria di Human saliva e scendeva tracciando arabeschi sonori interminabili, ma ad un tratto Miro si rese conto che tutti i maiali lo stavano fissando come se si aspettassero qualcosa da lui.

Fu Mandachuva che alla fine si decise ad avvicinarsi. — Per favore — gli disse sottovoce. — Sarebbe giusto che almeno tu cantassi per il fratello.

— Non saprei come fare — mormorò lui, intimorito e a disagio.

— Lui ha offerto la vita — disse Mandachuva, — per rispondere a una vostra domanda.

Per rispondere a una domanda e sollevarne mille altre, pensò Miro con una smorfia. Ma si mosse avanti, andò a inginocchiarsi accanto a Human, poggiò anch’egli le mani sullo stesso palo e alzò il volto al cielo lasciando che la voce gli uscisse di bocca. Dapprima non produsse che un mugolio esitante, incerto su cosa cantare, ma poi capì il significato di quella melodia aritmica, sentì la morta presenza del legno sotto le dita, e la sua voce si levò alta e forte intrecciandosi con effetti disarmonici a quella di Human. Con lui lamentò la morte dell’albero, lo ringraziò per il suo sacrificio e promise di usarne il corpo a beneficio della tribù, per i fratelli e le mogli e i figli, affinché tutti potessero vivere, crescere, prosperare. Questo era il senso della canzone, e questo era ciò che dava un senso alla morte dell’albero. Allorché fu finita Miro si piegò in avanti poggiando la fronte sul legno e pronunciò le tristi parole dell’Estrema Unzione, le stesse che aveva sussurrato sfiorando per l’ultima volta il corpo di Libo sul pendio della collina, cinque anni addietro.

Загрузка...