CAPITOLO NONO DIFETTO CONGENITO

CIDA: — L’agente della Descolada non è batterico. Sembra che entri nelle cellule del corpo e vi prenda residenza permanente, proprio come un mitocondrio, riproducendosi quando la cellula si riproduce. Il fatto che al nostro arrivo qui abbia attaccato una nuova specie di forme di vita indica una straordinaria adattabilità. Deve essersi sparso nell’intera biosfera di Lusitania molto tempo fa per essere ovunque così endemico, come un’infezione permanente.

GUSTO: — Se è permanente e onnipresente, non è un’infezione, Cida. È parte della vita normale.

CIDA: — Ma non è necessariamente innato: ha la capacità di contagiare. Tuttavia, certo, se fosse endemico tutte le specie indigene dovrebbero aver sviluppato un’immunità…

GUSTO: — O si sono adattate e l’hanno incluso nel loro normale ciclo vitale. Forse hanno bisogno di esso.

CIDA: — Come possono aver bisogno di qualcosa che spacca in due le loro molecole genetiche e le rimette insieme a caso?

GUSTO: — Forse è per questo che ci sono così poche specie diverse su Lusitania. La Descolada potrebbe essere un fenomeno storicamente recente, diciamo non più antico di mezzo milione di anni, e molte specie potrebbero non essersi adattate.

CIDA: — Vorrei che non stessimo per morire, Gusto. I futuri xenobiologi probabilmente lavoreranno su standard genetici riadattati, e non potranno seguire l’evoluzione di questo.

GUSTO: — Questa è la sola ragione per cui deprechi il fatto d’essere condannati a morte?

Vladimir Tiago Gussman ed Ekaterina Maria Aparecida do Norte von Hesse-Gussman. Dialogo estratto da note di lavoro risalenti a due giorni prima della morte. Citato in «Quando l’intelligenza non si arrende» Meta-Science, the journal of Methodology. 12.12.2001


Quando Ender lasciò l’abitazione dei Ribeira per tornare a casa era ormai notte fonda, e poi spese oltre un’ora a cercare di trarre una conclusione da quel che era successo, specialmente dopo il rientro di Novinha. Malgrado ciò il mattino successivo si svegliò presto, con la mente già piena di domande a cui non aveva una risposta. Era sempre così quando preparava l’elegia per un defunto; non sapeva trattenersi dal cercare di mettere insieme la storia di una persona — uomo o donna — osservata dal punto di vista dello stesso protagonista, la vita che lui era stato convinto di vivere paragonata a quella che invece aveva vissuto in realtà. Stavolta però era ostacolato dall’apprensione. Erano i vivi a preoccuparlo, più di quanto non gli fosse mai successo prima.

— Naturalmente sei più coinvolto — dise Jane, dopo che lui ebbe cercato di spiegarle la sua incertezza. — Eri innamorato di Novinha ancor prima di lasciare Trondheim.

— Forse amavo la fanciulla diciottenne, ma questa è una donna egoista e crudele. Guarda come lascia che vivano i suoi figli.

— E questo è l’Araldo dei Defunti? Un uomo che giudica gli altri dalle apparenze?

— Forse adesso mi sono affezionato a Grego.

— Hai sempre avuto un debole per quelli che ti fanno la pipì addosso.

— E a Quara. A tutti loro… anche Miro, quel ragazzo mi piace.

— E loro ti amano, Andrew.

Lui rise. — La gente è sempre convinta di amarmi, finché poi faccio l’elegia. Novinha è più percettiva di altri… lei mi odia già prima che io parli con la voce della Verità.

— Su te stesso sei cieco come chiunque altro, Araldo — osservò Jane. — Promettimi che quando morrai lascerai fare a me la tua elegia funebre. Ho diverse cosette da dire.

— Tientele per te — disse stancamente lui. — In queste cose sai starci dentro ancor peggio di me.

Cominciò a elencare le domande a cui doveva rispondere.

1. Perché Novinha si era sposata con Marcão?

2. Perché Marcão odiava i suoi figli?

3. Perché Novinha odia se stessa?

4. Perché Miro mi ha chiamato per fare l’elegia di Libo?

5. Perché Ela mi ha chiamato a fare l’elegia per suo padre?

6. Perché Novinha ha cambiato idea, dopo avermi chiamato per Libo?

7. Qual è stata la causa immediata della morte di Marcão?

Alla settima domanda si fermò. La risposta poteva esser trovata subito; una semplice questione clinica. Dunque avrebbe cominciato da quella.


Il medico che aveva fatto l’autopsia a Marcão aveva anch’egli un nomignolo: Navio, che significava «barca».

— Non per le mie dimensioni — disse l’uomo, ridendo, — né per lo spettacolo che offro in piscina. Il mio nome intero è Enrique o Navigador Caronada. Ma sono ben lieto che abbiano preso il mio diminutivo da Navigador, invece che da Caronada. «Cannoncino» avrebbe avuto implicazioni troppo imbarazzanti, no?

Ender non si lasciò ingannare dalla sua giovialità. Navio era un buon cattolico, e prendeva sul serio gli ordini del vescovo come chiunque altro. Era deciso a dargli il minor numero possibile di informazioni, anche se questo non lo rendeva particolarmente lieto.

— Ho soltanto due modi per ottenere risposte esaurienti alle mie domande — disse Ender con gentilezza. — Il primo è di chiedere a lei, sperando che voglia collaborare. Il secondo è di inoltrare alla Federazione la richiesta d’accesso alle sue registrazioni. Le chiamate via ansible sono assai costose, e l’intervento del magistrato sulla mia petizione non sarebbe certo gratuito, ma poiché lei avrebbe opposto resistenza alla legge l’intero costo verrebbe dedotto dai fondi già scarsi della vostra colonia. Con l’aggiunta di una forte multa per l’infrazione e di una reprimenda per lei. Oltre alle misure che l’Ordine dei Medici dovrebbe adottare nei suoi confronti.

Mentre Ender parlava, il sorriso di Navio s’era spento poco a poco. La sua faccia divenne rigida. — È ovvio che risponderò alle sue domande — disse.

— Temo che per voi la questione non sia «ovvia» come dovrebbe — disse Ender. — Il vostro vescovo ha ordinato ai cittadini di Milagre di mettere in atto un boicottaggio, ingiustificato e non provocato, contro un ministro del culto legalmente convocato. Lei farebbe un favore a tutti se li informasse che in casi simili io ho la facoltà di mutare il mio stato legale chiedendo la carica di commissario federale. Le assicuro che godo di sufficiente reputazione presso il Consiglio della Federazione, e che la mia richiesta ufficiale sarebbe subito accolta.

Navio sapeva benissimo cosa poteva significare una cosa simile. Come commissario federale Ender avrebbe avuto l’autorità di interdire Lusitania alla Chiesa Cattolica, adducendo la persecuzione religiosa come motivo. Questo avrebbe scatenato l’opinione pubblica contro i lusitani, senza contare che il vescovo sarebbe stato richiamato dal Vaticano e messo sotto inchiesta disciplinare.

— Perché lei dovrebbe spingersi a tanto, quando sa che qui non è benvoluto da nessuno? — chiese Navio.

— Qualcuno ha richiesto la mia presenza, altrimenti non sarei venuto — disse Ender. — Potete non gradire!a legge quando vi pone degli obblighi, ma essa protegge molti cattolici su mondi dove la maggioranza religiosa è un’altra.

Navio tamburellò con le dita sulla scrivania. — Leviamoci questo pensiero — borbottò. — Cosa vuole sapere, Araldo?

— È abbastanza semplice, almeno per cominciare. Qual è stata la causa della morte di Marcos Maria Ribeira?

— Marcão! — esclamò Navio. — Non è possibile che lei sia stato convocato per lui, visto che è morto solo da poche settimane…

— Sono stato chiamato per più di un defunto, Dom Navio, e ho deciso di cominciare con Marcão.

Navio ebbe un sornsetto freddo. — E se chiedessi la prova che lei è autorizzato a occuparsi di questo caso?

In un orecchio di Ender, Jane sussurrò: — Diamo una scossa al nostro amico. — All’istante il terminale dell’ufficio prese vita; uno schermo mostrò un documento ufficiale, mentre una delle voci più autoritarie di Jane dichiarava: — Andrew Wiggin, Araldo dei Defunti, ha accettato la chiamata per un’esposizione della vita e della morte di Marcos Maria Ribeira, città di Milagre, Colonia Lusitania.

Il sussulto di Navio non fu dovuto al fatto che il computer gli rispondeva ancor prima che lui si fosse girato ad accendere il terminal; aveva notato il gioiello nell’orecchio di Ender e sapeva che si trattava di un oggetto molto sofisticato. A impressionarlo fu l’accorgersi che qualcuno, evidentemente un pezzo grosso, seguiva l’Araldo con una routine extra sulla rete ansible, pronto a rafforzare la sua posizione su Lusitania. Nessuno su Lusitania, neppure la stessa Bosquinha, aveva goduto di quel privilegio. Chiunque fosse quell’Araldo, concluse Navio, era un pesce troppo grosso per la padella del vescovo.

— Benissimo — annuì, costringendosi a ridacchiare. Mostrarsi di nuovo gioviale era la politica migliore. — L’avrei aiutata comunque. A volte il vescovo fa discorsi un po’ paranoici, sa? E qui a Milagre non gli diamo l’importanza che lei può credere.

Ender gli restituì il sorriso, accettando la sua ipocrisia come oro colato.

— Marcos Ribeira è morto per un difetto congenito — disse Navio, e mitragliò un lungo nome in pseudo-latino. — Difficile che lei ne abbia sentito parlare, perché è piuttosto raro; si trasmette solo per via genetica. Comincia a manifestarsi nella pubertà, in molti casi, e provoca il graduale rimpiazzo dei tessuti della glandole esocrine e endocrine con cellule di lipidi. Il risultato è che col trascorrere degli anni queste glandole, le surrenali, la pituitaria, il fegato, i testicoli, la tiroide e via dicendo vengono sostituite da vasti agglomerati di cellule grasse.

— È sempre fatale? E irreversibile?

— Oh, sì. In realtà, Marcos è sopravvissuto dieci anni più della media. Un caso notevole, per vari sensi. In ogni altro caso registrato (e non sono molti) la malattia attacca inizialmente i testicoli rendendo il soggetto sterile e, in alcuni casi, impotente. Con sei figli sani, è ovvio che i testicoli di Marcos Ribeira furono le ultime glandole ad essere colpite. Una volta accaduto questo, tuttavia, il processo dovette essere insolitamente rapido: i testicoli erano completamente rimpiazzati da cellule grasse, anche se parte del fegato e della tiroide erano sempre funzionanti.

— Cos’è che ha finito per ucciderlo?

— La pituitaria e le surrenali non funzionavano più. Camminava, ma era già morto. La fine lo ha colto in un bar, nel bel mezzo di una canzone scollacciata, così ho sentito dire.

Come sempre, l’attenzione di Ender si puntava su quelle che potevano sembrare contraddizioni. — In che modo si trasmette un difetto ereditario che rende sterile il malato?

— Di solito per linee collaterali: uno dei figli ne muore, i fratelli e le sorelle ne sono soltanto portatori ma passano la tendenza ai loro figli. Naturalmente la nostra prima preoccupazione è stata che Marcão, avendo dei figli, avesse trasmesso a loro questa tara.

— Li avete controllati?

— Nessuno aveva il minimo difetto genetico. E può scommettere che Dona Ivanova ha passato al setaccio le mie analisi. Lei ed io abbiamo delineato il problema genetico, stabilendo che i ragazzi erano immuni dalla tara. È stato semplice.

— Nessuno l’aveva? Neppure una tendenza recessiva?

— No, graças a Deus — disse il medico. — Chi mai vorrebbe sposarli se avessero una tara genetica? Sia come sia, non ho ancora capito perché il difetto nei geni di Marcão restò sconosciuto.

— Le analisi genetiche fanno parte della routine sanitaria, qui?

— Oh, no, affatto. Ma circa trent’anni or sono fummo colpiti da una grave epidemia. I genitori di Dona Ivanova, il Venerando Gusto e la Veneranda Cida, eseguirono dettagliati esami genetici su ogni uomo, donna e bambino abitante nella colonia. È così che scoprirono la cura. E i loro raffronti computerizzati avrebbero dovuto portare alla luce quel particolare difetto… in questo modo, almeno, io l’ho scoperto. Non conoscevo neppure il nome della malattia di Marcão, ma il computer lo aveva nella memoria.

— E gli Os Venerados non lo scoprirono in lui?

— Evidentemente no, altrimenti ne avrebbero subito informato Marcão. E anche se non glielo avessero detto, Dona Ivanova stessa avrebbe dovuto scoprirlo.

— Forse l’aveva scoperto — disse Ender.

Navio rise e scosse il capo. — È da escludersi. Nessuna donna in possesso delle sue facoltà mentali avrebbe bambini da un uomo con una tara genetica come quella. L’agonia di Marcão si è prolungata per molti anni. Chi potrebbe augurarla ai propri figli? No, Ivanova sarà forse eccentrica, ma non è certo pazza.


Jane non riuscì a nascondere il suo divertimento. Quando Ender fu di nuovo a casa, lei fece apparire il suo volto malizioso nel campo olografico soltanto per poter ridere di cuore.

— Lui non poteva permettersi d’essere più chiaro — lo rimproverò Ender. — Questa è una colonia cattolica, e mi stava parlando della biologista, una delle persone più stimate del posto. È ovvio che non poteva tirare in ballo la premessa basilare.

— Non cercargli delle scuse — disse Jane. — Non pretendo che un umanware funzioni con la logica di un software. Ma non puoi chiedermi di non riderci sopra.

— In un certo senso la sua delicatezza è ammirevole — disse Ender. — Ha preferito scrivere sul referto che la degerazione fisica avvenuta in Marcão differiva dai casi consimili. Preferisce dire che i genitori di Ivanova non notarono il difetto, e che lei sposò Marcão senza esserne al corrente, anche se il Rasoio di Occam ci obbligherebbe a scegliere la spiegazione più semplice: la malattia di Marcão si è sviluppata come in tutti gli altri casi, a cominciare dai testicoli, e Novinha ha avuto ognuno dei suoi figli da qualcun altro. Non c’è da meravigliarsi che Marcão fosse rabbioso e dedito all’alcol. Ciascuno dei suoi figli gli ricordava che sua moglie era l’amante di un altro uomo. Probabilmente questo fu un patto che lui accettò fin dall’inizio. Ma sei figli potrebbero esser stati troppi da mandar giù.

— Le deliziose contraddizioni della morale cattolica — sospirò romanticamente Jane. — Lei che programma il suo segreto adulterio… ma non si sogna neppure di usare un contraccettivo.

— Hai già esaminato gli schemi genetici dei ragazzi per scoprire chi è il padre più probabile?

— Vuoi dire che non l’hai indovinato?

— Si, ma voglio essere sicuro che l’evidenza clinica non ribalti le mie ovvie conclusioni.

— Era Libo, naturalmente. Che sfacciato! Sei figli con Novinha, e soltanto quattro con la donna che aveva portato all’altare.

— Quello che non capisco — disse Ender, — È perché Novinha non si sia sposata con Libo fin dall’inizio. Non ha senso che abbia voluto essere la moglie di un uomo che, chiaramente, lei non stimava affatto e del quale conosceva di certo la tara genetica, per poi proseguire la sua relazione con colui che amava.

— Contorti e perversi sono i sentieri dell’animo umano — declamò Jane. — Pinocchio è stato un bell’idiota a voler diventare un bambino. Era molto più saggio quando aveva la testa di legno.


Miro si apriva lentamente la strada nel folto sottobosco della foresta. Di quando in quando riconosceva uno degli alberi, o così gli sembrava. Nessun uomo poteva avere la sensitività dei maiali nel riconoscere per nome ogni singolo albero della boscaglia. Del resto, agli uomini non era mai accaduto di adorare gli alberi come totem dei loro antenati.

Miro aveva deliberatamente scelto la strada più lunga per arrivare alla casa di tronchi dei maiali. Sin dal giorno in cui Libo aveva preso Miro a lavorare con sé, affiancandolo come apprendista a sua figlia Ouanda, gli aveva insegnato a non creare mai un sentiero troppo diretto fra Milagre e la radura dei pequeninos. Un giorno o l’altro, li aveva avvisati Libo, avrebbero potuto nascere dei guai fra gli umani e i maiali, e un sentiero poteva guidare il pogrom verso il suo obiettivo. Così Miro spesso seguiva il corso tortuoso del torrente, camminando lungo la sponda scoscesa.

Come si aspettava, da lì a poco scorse un maiale che lo spiava da una certa distanza. Anni addietro Libo aveva ipotizzato che le loro femmine vivessero da qualche parte in quella direzione, e che essi piazzavano una vedetta con lo scopo di fermare gli zenador allorché s’avvicinavano troppo. E, come Libo aveva raccomandato, Miro non fece alcun tentativo di proseguire nella direzione proibita. La sua curiosità svaniva ogni volta che gli tornava in mente lo spettacolo raccapricciante offerto dal corpo di Libo quando lui e Ouanda lo avevano trovato. L’uomo non era ancora morto; i suoi occhi erano aperti, e si muovevano. La vita l’aveva abbandonato soltanto quando Miro e Ouanda gli si erano inginocchiati accanto, stringendogli le mani lorde di sangue. Ah, Libo, come ruscellava lento dalle vene tranciate mentre il tuo cuore ancora pulsava, messo a nudo nel petto spalancato. Se soltanto avessi potuto parlarci! Una parola, per dirci perché ti avevano ucciso!

Le rive terrose si fecero più basse, e Miro attraversò il torrente saltando con agilità sulle pietre coperte di muschio. Pochi minuti dopo arrivò a destinazione, entrando nella piccola radura da est.

Ouanda era già là, occupata a insegnare loro come manovrare la zangola per ottenere una specie di burro dalla crema di latte di cabras. Aveva speso settimane in tentativi ed esperimenti prima di scoprire il metodo migliore. Sarebbe stato più facile se lui avesse chiesto il consiglio di sua madre, o anche di Ela, dato che loro ne sapevano molto di più sulle caratteristiche del latte di cabras, ma collaborare con una biologista era fuori questione. Trent’anni addietro gli Os Venerados avevano scoperto che il latte di cabras non aveva proprietà nutritive per gli esseri umani. Di conseguenza ogni studio su come processarlo e conservarlo poteva andare solo a beneficio dei maiali. Miro e Ouanda non potevano rischiare nulla da cui fosse intuibile che stavano infrangendo la legge ed intervenivano attivamente nel sistema di vita dei maiali.

I pequeninos più giovani prendevano con gran divertimento la sbattitura del latte, entro vesciche di cabras, e ne avevano fatto una danza. Adesso stavano cantando; una canzone priva di senso in cui lo stark e il portoghese si mescolavano a due delle lingue dei maiali in una babele incomprensibile ma molto allegra. Miro cercò di identificare le parole. Riconobbe la Lingua dei Maschi, ovviamente, e alcuni frammenti della Lingua Padre, quella che usavano per parlare ai loro alberi totem. Quest’ultima era identificabile soltanto dal suono; neppure Libo era mai stato capace di tradurne una parola. Tutti i termini separabili a orecchio suonavano come ms o bs o gs, senza vocali chiaramente percettibili.

Il maiale che nella boscaglia aveva sorvegliato le mosse di Miro emerse dalla vegetazione e si annunciò agli altri con un grido acuto e ululante. Le danze continuarono, ma i canti cessarono immediatamente. Mandachuva lasciò il gruppo riunito intorno a Ouanda e andò a incontrare Miro al bordo della radura.

— Benvenuto, lo-Ti-Guardo-Con-Desiderio — lo salutò, chiamandolo con la sua stravagante traduzione del nome di Miro in stark. Mandachuva amava tradurre nomi dal portoghese in stark e viceversa, anche se Miro e Ouanda gli avevano spiegato che i loro nomi propri non significavano realmente qualcosa ed era solo una coincidenza che assomigliassero a parole. Ma a Mandachuva, e a molti altri maiali, i giochi di parole piacevano, e così Miro pazientemente rispondeva al nome Io-Ti-Guardo-Con-Desiderio, come Ouanda consentiva di lasciarsi chiamare Vaga, la versione portoghese di «Wander» (vagabonda) che in stark aveva la stessa pronuncia di «Ouanda».

Mandachuva rappresentava un caso insondabile. Era il più anziano dei maiali. Pipo lo aveva conosciuto, scrivendo di lui come se lo ritenesse il pequenino di maggior prestigio. Anche Libo, probabilmente, aveva pensato che fosse un capo. Il suo nome non era forse la versione portoghese del termine gergale «boss»? E tuttavia Miro e Ouanda avevano l’impressione che Mandachuva fosse il meno influente di tutti i maiali. Nessuno sembrava mai consultarlo su niente, ed era l’unico ad avere sempre del tempo libero per conversare con gli zenador, dato che non lo si vedeva quasi mai occupato in qualche compito rilevante.

Comunque, era il maiale che forniva agli zenador il maggior numero d’informazioni. Miro non riusciva ancora a capire se avesse perso prestigio a causa di questo continuo scambio d’informazioni, eppure se cercava il colloquio con gli umani per risollevarsi dallo stato di bassa considerazione di cui godeva fra i compagni. Ma aveva rinunciato a domandarselo; l’importante era che Mandachuva gli piaceva. In quel vecchio pequenino Miro vedeva un amico.

— La mia collega ti ha già costretto ad assaggiare quella poltiglia dall’odore disgustoso? — domandò Miro.

— Ottima spazzatura, la chiama. Anche i cuccioli di cabras piangono quando devono succhiare una mammella. — Mandachuva ridacchiò.

— Se la lasciaste in dono alle vostre signore, non vi rivolgerebbero più la parola.

— Però dovremo farlo. Dovremo — sospirò Mandachuva. — Devono vedere proprio tutto, quelle macios ficcanaso!

Di nuovo quello strano disprezzo per le femmine. Talvolta i maiali parlavano di loro con sincero, elaborato rispetto, quasi con sacro timore, come fossero delle dee. Poi un pequenino saltava fuori con un termine crudo come «macios», i vermi che allignavano sulla corteccia degli alberi. Ed era inutile che gli zenador facessero domande in merito: i maiali non rispondevano a nulla che riguardasse le femmine. C’era stato anzi un tempo — ormai lontano — in cui non menzionavano neppure la loro esistenza. Libo aveva spesso accennato, senza approfondire la questione, che il cambiamento aveva qualcosa a che fare con la morte di Pipo. Prima d’allora parlare delle femmine era tabù, salvo che in rari momenti di euforia e sempre con rispetto; dopo il fatto, i maiali avevano lasciato emergere spesso quei loro umori così contraddittori verso le «mogli». Ma gli zenador non erano mai riusciti a ottenere risposte sull’argomento. I maiali gli avevano reso chiaro il concetto che le femmine non erano fatti loro.

Dal gruppo che attorniava Ouanda provenne un fischio. Subito Mandachuva spinse Miro verso di loro. — Freccia ti vuole parlare.

Miro andò a sedersi a fianco di Ouanda. La ragazza prestò attenzione a non guardarlo: già da tempo avevano appreso che i maiali provavano un enorme disagio quando vedevano un maschio e una femmina umani in conversazione diretta, e perfino allorché si guardavano a vicenda. Erano disposti a parlare con Ouanda se era sola, ma nel caso in cui Miro fosse presente la ignoravano del tutto e non sopportavano che lei rivolgesse loro la parola. A volte, il fatto che la ragazza non potesse nemmeno strizzargli l’occhio di fronte ai maiali faceva quasi saltare i nervi a Miro. Standole accanto poteva sentire la vicinanza del suo corpo come una bussola avverte l’attrazione di un campo magnetico.

— Amico mio — disse Freccia. — Io ho il grande privilegio di farti una richiesta.

Miro notò che Ouanda s’irrigidiva impercettibilmente. I maiali non chiedevano spesso qualcosa, ma ogni volta che lo facevano si creavano delle difficoltà.

— Sei disposto ad ascoltarmi?

Miro annuì lentamente. — Ma ricorda che fra gli umani io non sono niente, non ho potere. — Era stato Libo a scoprire che i maiali non si sentivano affatto insultati all’idea che gli umani mandassero fra loro dei delegati senza poteri. Dare di sé un’immagine d’impotenza aiutava inoltre gli zenador a spiegare le strette limitazioni cui erano sottoposti.

— È stato Rooter, parlando dal suo albero, a dire questo.

Miro sospirò fra sé. Venire alle prese con la religione dei maiali gli piaceva ancor meno che avere a che fare con il cattolicesimo della sua gente. In entrambi i casi doveva fingere di prendere con la più grande serietà dichiarazioni oltraggiose per la sua intelligenza. E ogni volta che dovevano dire qualcosa di particolarmente azzardato o seccante, i maiali lo attribuivano all’iniziativa di questo o quello dei loro antenati, i cui spiriti vivevano negli onnipresenti alberi. Era stato solo negli ultimi anni, da non molto tempo dopo la morte di Libo, che avevano cominciato a scegliere Rooter come la fonte di molte fra le idee più importune. Era ironico che un maiale da loro giustiziato come ribelle godesse ora di tale rispetto nel loro pantheon di antenati .

Miro, comunque, diede la stessa risposta che usava dare Libo: — Noi abbiamo grande stima e affetto per Rooter, se voi lo onorate.

— Dobbiamo avere il metallo.

Miro chiuse gli occhi. Ecco dove finivano tutte le precauzioni prese dagli zenador per non dover mai usare utensili metallici davanti ai maiali. Ovviamente la tribù aveva degli osservatori, incaricati di studiare gli umani al lavoro da qualche punto elevato all’esterno del recinto. — A cosa vi serve il metallo? — replicò con calma.

— Quando la vostra astronave è scesa, con l’Araldo dei Defunti, ha emesso un terribile calore, più rovente di ogni fuoco che avessimo mai fatto. Eppure l’astronave non è bruciata, e non si è fusa.

— Questo non è stato grazie al metallo, ma a uno scudo di plastica termorefrattaria.

— Forse quello è servito, ma il metallo era nel cuore di quella macchina. In tutte le vostre macchine, quando usate il fuoco o il calore per muovere le cose, c’è il metallo. Noi non riusciremo mai a fare fuochi come i vostri finché non avremo a disposizione il metallo.

— Io non posso darvelo — rispose Miro.

— Ci stai dicendo che siamo condannati a essere sempre varelse, e neppure raman?

Ouanda, quanto vorrei che tu non gli avessi spiegato la Gerarchia dell’Esclusione, di Demostene! - Nessuno vi condanna affatto, non in questo senso. Quello che vi abbiamo dato finora lo abbiamo estratto da cose che crescono allo stato naturale nel vostro mondo, come i cabras. E anche così, se si scoprisse ciò che abbiamo fatto saremmo esiliati da questo mondo e ci proibirebbero di rivedervi ancora.

— Anche il metallo che usate voi umani è di provenienza naturale del nostro mondo. Abbiamo visto i minatori che lo estraggono dal suolo, molto più a sud di qui.

Miro incamerò quel frammento d’informazione per elaborarlo in futuro. Non c’era alcun posto elevato all’infuori del recinto da cui fossero visibili le miniere. Di conseguenza i maiali dovevano aver oltrepassato in qualche modo la recinzione per osservare le attività umane dall’interno. — Viene estratto dal suolo; ma soltanto in certi posti, che io non sarei in grado di trovare. E anche quando lo scavano fuori è mescolato con altri generi di roccia. Devono purificarlo e trasformarlo, con un procedimento molto difficile. Ogni pezzo di metallo che estraggono dal suolo è contato, e se noi ve ne dessimo anche quel poco che basta per un singolo utensile, un cacciavite o una sega da falegname, la sua mancanza sarebbe notata e lo cercherebbero. Nessuno fa ricerche per il latte di cabras.

Freccia lo fissò senza dir parola per alcuni interminabili secondi, mentre lui si sforzava di sostenere il suo sguardo. Poi disse: — Ci penseremo sopra. — Allungò un braccio verso Calendar, che gli mise in mano tre frecce. — Guarda. Vanno bene?

Erano perfette, come tutte quelle che Freccia costruiva, dalle piume di coda alla punta. Ma queste presentavano un’innovazione: la punta non era in tenera ossidiana.

— Osso di cabras — disse Miro.

— Usiamo i cabras per uccidere i cabras. — Il pequenino restituì le frecce al compagno. Poi si alzò e se ne andò.

Calendar sollevò davanti a sé le sottili asticelle di legno e cantò loro qualcosa in Lingua Padre. Pur senza capire le parole, Miro riconobbe la canzone: una volta Mandachuva gli aveva detto che era una preghiera rivolta a un albero morto, per scusarsi di aver usato su di lui utensili non di legno. Altrimenti, aveva spiegato, gli alberi avrebbero pensato che i Piccoli li disprezzavano. Religione. E Miro sospirò.

Calendar si portò via le frecce. Il suo posto fu preso dal giovane maiale di nome Human, che si gettò a sedere in terra di fronte a Miro. Aveva con sé un involto di foglie, che depose nella polvere, e quando l’ebbe aperto con cura venne alla luce un rotolo uscito dalla stampante di un computer.

Si trattava di una copia di La Regina dell’Alveare e l’Egemone, che Miro aveva dato loro quattro anni prima. La cosa era accaduta in conseguenza di un piccolo diverbio fra Ouanda e Miro, e a cominciarlo era stata lei, in seguito ad una discussione con i maiali su argomenti religiosi. Non aveva avuto tutte le colpe, visto che Mandachuva s’era avvicinato per domandarle: — Voi umani, come potete vivere senza alberi? — Ouanda aveva capito la domanda, naturalmente: lui non stava parlando di piante, ma di dei. — Anche noi abbiamo un Dio. Un uomo che morì e tuttavia vive ancora — aveva spiegato. Soltanto uno? Allora dove viveva, adesso? — Nessuno lo sa. — Ma allora a cosa serviva, e come potevano parlargli? — Lui vive nei nostri cuori.

I maiali ne erano rimasti sbalorditi. Quella sera, quando lei aveva riferito il colloquio a Miro, lui ne aveva riso commentando: — Vedi? A loro la nostra complicata teologia sembra tutta superstizione. Abita nei nostri cuori, figuriamoci! Che razza di religione è, paragonata a una i cui dei possono essere visti e sentiti…

— E inoltre ci si può arrampicare sopra e cercarvi i macios, senza parlare del fatto che alcuni possono essere abbattuti per fabbricare case di tronchi — aveva detto Ouanda.

— Abbattuti? Credi che li abbattano? Senza utensili di pietra o di metallo? No, Ouanda, loro li pregano di abbattersi. — Ma Ouanda non aveva trovato divertente quel suo scherzare sulla religione.

Giorni dopo, su richiesta dei maiali, Ouanda aveva portato loro una copia del Vangelo di Giovanni, tolto da una versione semplificata in stark della Bibbia Douai. Ma Miro aveva insistito per dare ai maiali, insieme ad esso, un printout de La Regina dell’Alveare e l’Egemone. - San Giovanni non dice niente degli esseri che vivono su altri mondi — aveva dichiarato. — Ma l’Araldo dei Defunti spiega gli Scorpioni agli uomini… e gli uomini agli Scorpioni. — Ouanda se n’era offesa come a una bestemmia. Ma un anno dopo i due avevano scoperto i maiali nell’atto di accendere un fuoco usando pagine del Vangelo di Giovanni come esca, mentre La Regina dell’Alveare e l’Egemone riposava amorevolmente avvolto in foglie fresche. La cosa aveva indignato moltissimo Ouanda, che per un po’ di tempo era stata intrattabile, e Miro aveva imparato che su quell’argomento era meglio non stuzzicarla.

Adesso Human stava aprendo il printout all’ultima pagina. Miro s’accorse che dal momento in cui aveva aperto l’involto tutti i maiali gli si erano radunati silenziosamente attorno. La danza per sbattere il burro era finita. Human toccò le ultime parole dello stampato. — L’Araldo dei Defunti — mormorò.

— Sì. L’ho incontrato ieri sera.

— Questo è il vero Araldo. È stato Rooter a dirlo. — Miro li aveva informati che c’erano moltissimi Araldi, e che l’autore della Regina dell’Alveare e dell’Egemone era sicuramente morto. Evidentemente i maiali non riuscivano a liberarsi della speranza che quello appena giunto lì fosse il primo, quello che aveva scritto il santo libro.

— Io credo che sia un bravo Araldo — disse Miro. — È stato gentile con la mia famiglia, e penso che meriti fiducia.

— Quando verrà a parlare con noi?

— Non gliel’ho ancora chiesto. Non è una cosa che io possa dire così su due piedi. Occorre tempo.

Human rovesciò la testa all’indietro e ululò. È la mia morte? pensò Miro.

No. Gli altri toccarono Human con gentilezza, poi lo aiutarono a riavvolgere il rotolo e a portarlo via. Miro si alzò per andarsene. Nessuno dei maiali lo guardò allontanarsi; pur senza ostentare d’ignorarlo tutti si misero a fare qualcosa d’altro. Per loro avrebbe potuto essere invisibile.

Ouanda lo raggiunse appena prima che sbucasse dai confini della foresta, dove il sottobosco ancora li riparava da eventuali osservatori all’interno di Milagre, se pure qualcuno s’era mai preoccupato di guardare da quella parte. — Miro! — lo chiamò a bassa voce. Lui si volse giusto in tempo per trovarsela fra le braccia, e con un tale impeto che dovette fare un passo indietro per non cadere. — Stai tentando di ammazzarmi? — chiese, o almeno cominciò a chiedere, perché la bocca di lei già cercava la sua e questo rendeva difficoltoso parlare. Lui rinunciò a farfugliare e le restituì il bacio, a lungo e con passione. Poi la ragazza si scostò bruscamente.

— Stai… chiedendo troppo — disse, arrossendo.

— Succede, quando una ragazza mi aggredisce nel bosco per baciarmi.

— Le tue mani sono troppo audaci, ma dovranno aspettare ancora un bel pezzo! — Ouanda lo prese per la cintura e lo attrasse a sé, dandogli ancora un bacetto. — Mancano sempre due anni per poterci sposare senza il consenso di tua madre.

Miro non cercò neppure di discutere. I sermoni dei preti sulla condotta delle coppiette prima del matrimonio lo irritavano, ma capiva bene quanto fosse importante, o inevitabile, aderire a certe regole moralistiche in una comunità ristretta come Milagre. Città di maggiori dimensioni avrebbero assorbito senza batter ciglio ogni ragionevole deviazione dalla pubblica morale, ma Milagre era troppo piccola. Ciò che Ouanda evitava di fare per religiosità, Miro evitava per raziocinio, e malgrado l’abbondanza di occasioni non s’erano mai spinti al di là di un bacio. Ma se il giovane avesse pensato per un momento che qualcosa poteva impedire loro di sposarsi, la verginità di Ouanda avrebbe corso un grave e immediato pericolo.

— Questo Araldo — disse Ouanda. — Tu sai come la penso sul fatto che sia stato chiamato qui.

— Adesso sta parlando la tua religiosità, non il tuo imparziale raziocinio. — Cercò di baciarla, ma lei abbassò il viso all’ultimo momento e la sua bocca le trovò invece il naso. Miro glielo baciò ardentemente, finché lei rise e lo spinse via.

— Oggi sei stato offensivo oltreché poco scientifico, Miro — disse, asciugandosi il naso con una manica. — Abbiamo gettato alle ortiche ogni seria metodologia di studio, decidendo di aiutarli a innalzare il loro tenore di vita. Ci vorranno dieci o vent’anni prima che i satelliti comincino a individuarne gli inevitabili risultati. Per allora forse saremo riusciti a ottenere delle modifiche permanenti. Ma non abbiamo nessuna possibilità se uno straniero ficca il naso nei nostri progetti. Lui li metterà in piazza.

— Forse lo farà, e forse no. Anch’io ero uno straniero una volta, lo sai.

— Strano, ma non straniero. Mai.

— Avresti dovuto vederlo ieri sera, Ouanda. Prima con Grego, e poi quando Quara si è svegliata piangendo…

— Bambini soli, infelici. Questo cosa prova?

— E con Ela. Che risate ci siamo fatte. E Ohlado, che si sentiva davvero parte di una famiglia.

— E Quim?

— Se non altro ha smesso di invocare che scacciassimo l’infedele.

— Mi fa piacere per la tua famiglia, Miro. Spero che possiate trarne giovamento durevole, davvero… posso vedere un cambiamento anche in te. Hai perso quella tristezza che sembravi portarti sempre sulle spalle. Ma non permettergli di venire qui.

Miro si mordicchiò un labbro per qualche istante, poi si avvicinò a passi svelti. Ouanda lo raggiunse di corsa e lo prese sottobraccio. Erano ormai all’aperto, ma fra loro e il cancello c’era l’albero di Rooter. — Non lasciarmi indietro a questo modo! — protestò orgogliosamente lei. — Non voglio che tu mi volti le spalle così!

— So che hai ragione — borbottò Miro, — ma non posso impedirmi di sentire quello che sento. Quando lui era in casa mia, mi è parso di… era come se con noi ci fosse Libo.

— Papà odiava tua madre, Miro… non sarebbe mai venuto da voi.

— Ho avuto la stessa sensazione. In casa nostra l’Araldo mi faceva lo stesso effetto di Libo quando eravamo insieme nella stazione. Capisci?

— Se capisco? Questo signore viene da voi, si comporta come tuo padre non avrebbe mai fatto, e tutti quanti vi mettete a fare le fusa come gattini!

Il disprezzo che le aveva fatto storcere la bocca era irritante. Miro provò l’impulso di schiaffeggiarla. Invece si spostò di lato e abbatté il pugno sul tronco dell’albero di Rooter. Piantato un quarto di secolo addietro, aveva già circa ottanta centimetri di diametro, e la corteccia rugosa e irregolare gli ferì la mano.

Ouanda si fermò alle sue spalle. — Mi spiace, Miro, non volevo…

— Volevi dirlo, invece. E hai detto una cosa stupida e egoista!

— Sì, d’accordo, ma io…

— Soltanto perché mio padre era una carogna, questo non significa che io sia diventato così idiota da sdilinquirmi per il primo sconosciuto che viene a darmi una pacca su una spalla!

Le mani di lei gli accarezzarono i capelli, le braccia, la schiena. — Lo so, lo so, lo so…

— È perché io so cosa sia un uomo di cuore… non solo un padre, un uomo buono. Ho conosciuto bene Libo, sì o no? E quando ti dico che questo Araldo, questo Andrew Wiggin, è come Libo, allora devi ascoltarmi, e non fare smorfie come se sentissi uggiolare un cão!

— Io ti ascolto. Voglio conoscerlo, Miro.

Il giovane sorprese se stesso: cominciò a piangere. E sapeva che anche questo era parte di ciò che poteva fare quell’Araldo, perfino quando non era presente. Era stato lui a sciogliere i nodi che gli avevano chiuso il cuore, e ora Miro non poteva impedirsi di lasciarne uscire tutto.

— Hai ragione anche tu — mormorò, con voce distorta dall’emozione. — Ho visto cosa riusciva a fare il suo tocco risanatore, e ho pensato: ah, se solo fosse stato lui mio padre! — Si volse a Ouanda, e non gli importò di mostrarle i suoi occhi gonfi e il volto rigato di lacrime. — Proprio quello che dicevo fra me ogni giorno, quando uscivo dalla Stazione Zenador per tornarmene a casa: se solo Libo fosse mio padre, se solo io fossi suo figlio!

Lei sorrise e lo abbracciò; i suoi capelli gli asciugarono le lacrime sul viso. — Ah, Miro, ma io sono felice che non fosse tuo padre. Perché allora sarei tua sorella, e non potrei mai sperare di averti per me.

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