5. Si discute un crimine

«Era solo una visione, capisce?» disse Gladia contrita. Era avvolta in qualcosa che le lasciava libere braccia e spalle. Si vedeva anche una gamba fino a mezza coscia, ma Baley, che si era completamente ripreso sentendosi un perfetto idiota, la ignorava stoicamente.

«È stata la sorpresa, signora Delmarre…» disse.

«Oh, la prego, mi chiami Gladia e diamoci del tu, a meno che… A meno che questo non contrasti con i costumi terrestri.»

«Gladia, allora. Benissimo. Volevo solo rassicurarti che non hai nulla di repulsivo, capisci? Solo la sorpresa.» Era già abbastanza male che si fosse comportato da stupido, pensava, senza costringere quella povera ragazza a pensare che lui la trovava disgustosa. In quanto a questo, invece, era stata piuttosto… Piuttosto…

Be', la frase non gli veniva, ma sapeva di certo che non era il modo in cui avrebbe descritto tutto questo a Jessie.

«So di averti offeso,» disse Gladia «ma non pensavo di farlo. Non me n'ero accorta. Naturalmente mi rendo conto che bisogna stare attenti con gli usi degli altri pianeti, ma qualche volta questi usi sono così stravaganti… Almeno non stravaganti,» si affrettò ad aggiungere «non volevo dire stravaganti. Volevo dire strani, sai?, e così facili a dimenticarsi. Come il fatto che ho dimenticato di far oscurare le finestre.»

«Va tutto bene» borbottò ancora Baley. Lei ora stava in un'altra stanza con tutte le finestre schermate e con la luce che aveva la sottilmente diversa e più comoda struttura dell'artificialità.

«Ma per l'altra cosa» proseguì lei con tono franco «è solo una visione, capisci? Dopo tutto non t'importava di parlarmi quando ero nell'asciugatoio, e anche lì non avevo nulla addosso.»

«Be',» disse Baley dandole corda perché si scaricasse su quell'argomento «sentirti è una cosa, vederti è un'altra.»

«Ma è proprio quello! Il vedere non c'entra.» Arrossì un poco, abbassando lo sguardo. «Spero che tu non pensi che farei una cosa del genere, voglio dire uscire dall'asciugatoio con qualcuno che mi vede. Era solo una visione.»

«È la stessa cosa, no?» disse Baley.

«Non esattamente la stessa cosa. In questo momento mi stai visionando. Non puoi toccarmi, od odorarmi o fare qualcosa del genere, vero? Lo potresti fare se mi vedessi. In questo momento sono almeno a duecento chilometri di distanza. Come può essere la stessa cosa?»

L'interesse di Baley cresceva. «Ma ti vedo con i miei occhi.»

«No che non mi vedi. Vedi la mia immagine. Mi stai visionando.»

«E questo fa differenza?»

«Tutta la differenza possibile.»

«Vedo.» In un certo senso vedeva davvero. Non era una distinzione che si potesse afferrare facilmente, ma in essa c'era un certo tipo di logica.

Lei disse, piegando un po' il capo da un lato: «Vedi davvero?».

«Sì.»

«Questo vuol dire che non t'importa se mi tolgo l'accappatoio?» Sorrideva.

Mi sta provocando, pensò, e io dovrei stare al gioco.

Invece disse forte: «No, mi distoglierebbe dal lavoro. Parleremo di questo un'altra volta».

«Non t'importa se sto dentro un accappatoio, invece che in qualcosa di più formale? Parlo sul serio.»

«Non m'importa.»

«Posso chiamarti per nome?»

«Se ne hai l'occasione…»

«Come ti chiami?»

«Elijah.»

«Bene» Si raggomitolò su una sedia che sembrava dura, quasi di ceramica, nella materia, ma che man mano cedeva lentamente sotto di lei, fino ad abbracciarla gentilmente.

«Agli affari, ora» disse Baley.

«Agli affari» rispose lei.

Baley trovava tutto estremamente difficile. Non c'era modo di incominciare. Sulla Terra avrebbe chiesto nome, classifica, Città e zona di abitazione e avrebbe fatto un milione di diverse domande di routine. Avrebbe anche potuto conoscere già le risposte, ma sarebbe stato un mezzo per raggiungere la fase seria dell'interrogatorio. Sarebbe servito a presentargli una persona, a farsi un giudizio sulla tattica da seguire, invece che tirare a casaccio.

Ma qui? Come poteva essere certo di nulla? Già il concetto di “vedere” aveya significati diversi per lui e per la donna. Quante altre parole potevano essere diverse? Quanto spesso avrebbero reciprocamente equivocato senza neanche accorgersene?

«Da quanto tempo sei sposata?» chiese.

«Da dieci anni, Elijah.»

«Quanti anni hai?»

«Trentatré.»

Baley si sentì confusamente compiaciuto. Avrebbe potuto benissimo averne centotrentatré.

«Eri sposata felicemente?»

Gladia lo guardò a disagio. «Che cosa intendi con questo?»

«Be'…» Per un istante Baley si sentì smarrito. Come si fa a definire un matrimonio felice? E, in quanto a questo, che cosa consideravano i solariani un matrimonio felice? «Be',» disse «vi vedevate spesso?»

«Cosa? Certo che no! Non siamo mica animali, sai?»

Baley trasalì. «Vivevate nella stessa abitazione? Credevo…»

«Ma è naturale: eravamo sposati. Ma io avevo le mie stanze e lui le sue. Lui aveva un'importante carriera che gli portava via buona parte del suo tempo e io avevo il mio lavoro. Ci visionavamo l'un l'altro ogni volta che era necessario.»

«Lui ti vedeva, no?»

«Non è cosa di cui si parli, ma effettivamente mi vedeva.»

«Avete bambini?»

Gladia balzò in piedi agitatissima. «Questo è troppo! Di tutte le indecenti…»

«Aspetta, ora. Aspetta!» Baley picchiò il pugno sul bracciolo della sedia. «Non fare difficoltà. Questa è un'investigazione per omicidio. Capisci? Omicidio. Ed era tuo marito, quello che è stato assassinato. Vuoi che l'assassino sia trovato e punito o no?»

«Allora chiedimi dell'omicidio, non di… di…»

«Devo chiedere di tutto. Intanto voglio sapere se ti dispiace che tuo marito sia morto.» Aggiunse, con calcolata brutalità: «Si direbbe di no».

Lei lo fissava altera. «Quando qualcuno muore mi dispiace, specie se era giovane e utile.»

«Il fatto che si trattasse di tuo marito non è un po' più di questo?»

«Mi era stato assegnato e, be', ci vedevamo l'un l'altro secondo il programma e… e…» cominciò a parlare fitto «e, se proprio vuoi saperlo, non abbiamo bambini perché non ce n'era ancora stato assegnato nessuno. Non vedo che cosa c'entri tutto questo con l'essere spiacente per la morte di qualcuno.»

Forse non c'entrava nulla, pensò Baley. Dipendeva dagli eventi sociali di questa vita a cui non aveva ancora fatto l'abitudine.

Cambiò argomento. «Mi hanno detto che hai conoscenze dirette delle circostanze del delitto.»

Sembrò per un momento che diventasse tesa. «Ho… scoperto il corpo. È così che dovrei dirlo?»

«Allora non hai personalmente assistito all'omicidio.»

«Oh, no» disse lei debolmente.

«Be', supponiamo che tu mi dica che cosa è successo. Mettici tutto il tempo che vuoi e racconta con parole tue.» Si rimise a sedere, accingendosi ad ascoltare.

«Erano le tre-due del quinto…» cominciò lei.

«Che ore erano in tempo standard?» si affrettò a chiedere Baley.

«Non ne sono sicura. Davvero, non lo so. Puoi controllare, immagino.»

Sembrava che la voce le tremasse e teneva gli occhi spalancati. C'era dentro troppo grigio perché li si potesse definire azzurri, notò lui.

«Lui era venuto nelle mie stanze» continuò Gladia. «Era il giorno che ci avevano assegnato per vederci e io sapevo che sarebbe venuto.»

«È sempre venuto nel giorno assegnato?»

«Oh, sì. Era un uomo molto coscienzioso, un buon solariano. Non ha mai saltato un giorno assegnato, e veniva sempre alla stessa ora. Naturalmente non restava a lungo. Ancora non ci hanno assegnato b…»

Non riusciva a finire la parola, ma Balev annuì.

«Comunque,» continuò lei «veniva sempre alla stessa ora, sai, in modo che sarebbe stato tutto più comodo. Parlavamo qualche minuto; vedersi è una bella prova, ma lui mi parlava del tutto normalmente. Era fatto così. Poi mi lasciava per lavorare a qualche progetto che aveva in cantiere, non sono sicura quale. Nelle mie stanze aveva uno speciale laboratorio in cui poteva ritirarsi nei giorni di visita. Nelle sue, ne aveva uno molto più grande, naturalmente.»

Baley si chiese che cosa facesse in quei laboratori. Fetologia, forse, qualunque cosa fosse.

Chiese: «Sembrava poco naturale in qualcosa? Preoccupato?».

«No. No. Non era mai preoccupato.» Fu sul punto di sorridere, ma si trattenne. «Ha sempre avuto un perfetto controllo, come quel tuo amico lì.» Per un breve istante la sua piccola mano si stese a indicare Daneel, che non mosse ciglio.

«Vedo. Be', continua.»

Gladia non lo fece. Invece sussurrò: «Non ti dispiace se mi prendo un drink?».

«Te ne prego.»

La mano di lei scivolò per un istante sul bracciolo. In meno di un minuto la raggiunse un robot con una bevanda calda (Baley poteva vedere il vapore). Lei bevette a piccoli sorsi per poi appoggiare il calice.

«Così va meglio» disse. «Posso farti una domanda personale?»

«Chiedi tutto quello che vuoi.»

«Be', ho letto un sacco di cose sulla Terra. Mi ha sempre interessato, sai? È un mondo così stravagante…» annaspò e aggiunse immediatamente: «Non volevo dir questo».

Baley fremeva un poco. «Qualunque mondo è stravagante per la gente che non ci vive.»

«Intendo dire che è diverso. Lo sai. Comunque voglio farti una domanda molto maleducata. Almeno spero che non sembri troppo maleducata a un terrestre. Non la farei a un solariano, naturalmente. Per nessuna cosa al mondo.»

«Che cosa vuoi chiedermi, Gladia?»

«Su te e sul tuo amico… Mister Olivaw, vero?»

«Sì.»

«Voi due non vi state visionando, vero?»

«Che cosa vuoi dire?»

«Voglio dire l'un l'altro. Vi state vedendo. Siete lì, tutti e due.»

«Siamo fisicamente insieme. Sì.»

«Tu potresti toccarlo, se lo volessi.»

«Esatto.»

Lei continuava a guardare l'uno e l'altro, poi disse: «Ah».

Poteva significare qualunque cosa. Disgusto? Repulsione?

Baley si bloccò con l'idea di alzarsi, andare da Daneel e piazzargli una mano in mezzo alla faccia. Avrebbe potuto essere interessante osservare la reazione di lei.

«Eri sul punto» disse invece «di proseguire con gli eventi della giornata, quando è venuto a visitarti tuo marito.» Era del tutto certo che quella digressione, per quanto per lei intrinsecamente interessante, era motivata soprattutto dalla voglia di evitare proprio questo.

Per un istante lei tornò al suo drink. Poi: «Non c'è molto da dire. Ho visto che era occupato, e sapevo che lo sarebbe stato, comunque, perché era sempre occupato con qualche lavoro costruttivo, così sono tornata alle mie occupazioni. Poi, forse quindici minuti dopo, ho udito un grido».

Ci fu una pausa. Baley la incitò: «Che tipo di grido?».

«Rikaine» rispose lei. «Di mio marito. Solo un grido. Niente parole. Un grido di paura. No! Di sorpresa, per lo shock. Qualcosa del genere. Non l'avevo mai sentito gridare prima.»

Portò le mani alle orecchie come per chiudere anche alla memoria il ricordo di quel suono, e l'accappatoio le scivolò lentamente fino alla vita. Lei non ci fece caso e Baley cominciò a fissare fermamente il taccuino.

«E allora che cos'hai fatto?» chiese.

«Ho corso. Ho corso. Non sapevo dov'era…»

«Credevo avessi detto che era andato al laboratorio che possedeva nelle tue stanze.»

«Infatti, E… Elijah, ma io non sapevo dov'era. Non con sicurezza, per lo meno. Non c'ero mai entrata. Era il suo. Avevo una vaga idea della direzione. Sapevo che si trovava in qualche parte della zona ovest, ma ero tanto agitata che non ho neanche pensato a chiamare un robot. Uno di loro mi avrebbe guidato con facilità, ma naturalmente senza essere stato chiamato non ce n'è uno che venga. Quando finalmente sono giunta là — in un modo o nell'altro l'avevo trovato — lui era morto.»

Smise di parlare e, con acuto disagio di Baley, chinò il capo e si mise a piangere. Non fece nessun tentativo di coprirsi la faccia. Chiuse semplicemente gli occhi e le lacrime cominciarono a rotolarle lentamente sulle guance. Tutto accadeva in silenzio. Le spalle nude le tremavano.

Poi aprì gli occhi per guardarlo attraverso le lacrime. «Non avevo mai visto un morto, prima. Era tutto sanguinante e aveva la testa… proprio… tutta… In qualche modo ho chiamato un robot e lui ha chiamato gli altri e immagino che si siano presi cura di me e di Rikaine. Non ricordo. Non…»

«Che cosa vuoi dire» chiese Baley «con “si sono presi cura di Rikaine”?»

«L'hanno portato via e hanno pulito.» Nella sua voce c'era una piccola incrinatura d'indignazione: la signora della casa sensibile alle sue condizioni. «Era tutto sporco.»

«E che cosa è successo al corpo?»

Lei scosse la testa. «Non lo so. Cremato, immagino. Come si fa per i morti.»

«Non hai chiamato la polizia?»

Lo guardò inespressiva, e Baley pensò: niente polizia!

Allora disse: «L'avrai pur detto a qualcuno, immagino. Qualcuno l'avrà pur scoperta questa faccenda».

«I robot hanno chiamato un dottore. E io ho dovuto chiamare il posto dove Rikaine lavorava. I robot di lì dovevano sapere che non sarebbe più tornato.»

«Il dottore era per te, immagino.»

Lei annuì. Per la prima volta sembrò accorgersi che l'accappatoio le era sceso ai fianchi. Lo ritirò su al suo posto, mormorando desolata: «Scusa, scusa».

Baley si sentiva a disagio, guardandola seduta là inerme che rabbrividiva con il volto contorto per l'assoluto terrore che le era tornato in mente.

Non aveva mai visto un morto, prima. Non aveva mai visto prima il sangue e un cranio sfondato. E anche se le relazioni matrimoniali su Solaria erano qualcosa di frivolo e superficiale, era pur sempre il cadavere di un essere umano di fronte a cui si era trovata.

Ora Baley non sapeva cosa dire né cosa fare. Provava l'impulso a chiedere scusa, eppure, come poliziotto, non stava facendo che il proprio dovere.

Ma su quel mondo la polizia non c'era. Lei avrebbe capito che stava facendo il suo dovere?

Lentamente, più gentilmente che poté, disse: «Gladia, proprio non hai sentito altro? Nient'altro, oltre il grido di tuo marito?».

Alzò gli occhi, più carina che mai, nonostante la sua pena, o forse proprio per questo. «Nulla» confermò.

«Niente passi di corsa? Nessun'altra voce?»

Scosse il capo. «Non ho udito nulla.»

«Quando hai trovato tuo marito, era completamente solo? Eravate presenti solo voi due?»

«Sì.»

«Nessun segno che ci fosse stato là qualcun altro?»

«Nessuno che potessi vedere. Comunque, non vedo come qualcuno potrebbe essere stato là.»

«Che cosa intendi dire con questo?»

Per un istante sembrò sorpresa. Poi disse con tono scoraggiato: «Tu vieni dalla Terra, continuo a dimenticarmelo. Be', è solo che nessuno può essere stato là. Tranne me, mio marito non ha mai visto nessuno; nessuno da quando era un ragazzo. E certo non era il tipo da vedere qualcuno. Non Rikaine. Era molto scrupoloso; molto conformista».

«Potrebbe non essere stata una sua scelta. E se qualcuno fosse venuto senza invito, senza che tuo marito ne sapesse nulla? Non avrebbe potuto fare a meno di vedere l'intruso, nonostante il suo conformismo.»

«Può darsi,» disse lei «ma allora avrebbe chiamato immediatamente i robot e lo avrebbe fatto portare via. Accidenti se l'avrebbe fatto! E poi nessuno avrebbe cercato di vedere mio marito senza un suo espresso invito. Lo trovo inconcepibile. E certamente Rikaine non avrebbe invitato nessuno a vederlo. È ridicolo solo pensarci.»

«Tuo marito» disse Baley sommesso «è stato ucciso con un colpo in testa, no? Questo lo ammetterai.»

«Immagino di sì. Era… tutto…»

«Non ti chiedo i particolari, per ora. Nel locale c'era segno di qualche congegno meccanico che permettesse a qualcuno di spaccargli la testa con comandi a distanza?»

«Naturalmente no. Almeno non ne ho visti.»

«Se ci fosse stato qualcosa del genere, immagino che l'avresti visto. Ne consegue che una mano reggeva qualcosa capace di spaccare la testa a un uomo, e che quella mano ha sferrato il colpo. Per far questo ci dev'essere stata una persona nel raggio di un metro da tuo marito. Così qualcuno deve averlo visto.»

«Nessuno» rispose lei con tono franco. «Un solariano non potrebbe vedere nessuno.»

«Un solariano che volesse commettere un omicidio sopporterebbe di vedere un po', no?»

(Anche a lui questa dichiarazione sembrava dubbia. Sulla Terra aveva saputo del caso di un assassino senza alcuna coscienza che era stato preso solo perché non era riuscito a costringersi a violare l'abitudine di assoluto silenzio nel bagno comune.)

Gladia scosse il capo. «Non capisci sul fatto del vedere. I terrestri si vedono l'un l'altro in continuazione, così non puoi capire…»

Sembrava che combattesse la curiosità che le montava dentro. Gli occhi le si accesero un poco. «Il vedere gli altri ti sembra perfettamente normale, non è vero?»

«L'ho sempre dato per scontato» rispose Baley.

«E non ti disturba?»

«Perché dovrebbe?»

«Be', i film non lo dicono, e io ho sempre voluto sapere… Posso farti una domanda?»

«Va' avanti» rispose lui impassibile.

«Ti è stata assegnata una moglie?»

«Sono sposato. Non conosco la faccenda dell'assegnazione.»

«E so che tu vedi tua moglie ogni volta che vuoi, e lei vede te e nessuno dei due ci fa caso.»

Baley annuì.

«Be', quando la vedi, immaginiamo che tu voglia…» Alzò le mani all'altezza dei gomiti, come fermandosi alla ricerca delle parole adatte. Riprovò: «Puoi proprio… In qualunque momento…». Lasciò il discorso in sospeso.

Baley non cercò di aiutarla.

«Be', non importa» disse lei. «Non so perché ora dovrei seccarti per questo genere di cose. Hai finito, con me?» Lo guardava come se fosse sul punto di scoppiare di nuovo a piangere.

«Ancora un tentativo, Gladia» disse Baley. «Scordati il fatto che nessuno possa aver visto tuo marito. Immagina che qualcuno l'abbia fatto. Chi potrebbe essere stato?»

«È inutile cercare d'indovinare. Non può essere stato nessuno.»

«Qualcuno dev'essere stato. L'agente Gruer dice che c'è motivo di sospettare una certa persona. Così, pensa a chi possa essere.»

Sul volto della ragazza apparve un tremolante sorriso senza allegria. «Lo so chi crede che sia stato.»

«Va bene. Chi?»

Appoggiò una piccola mano sul petto. «Io.»

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