CAPITOLO SEDICESIMO

E adesso?

Adesso sarebbe trascorso un po’ di tempo, prima che i quad decidessero se far correre un tale rischio a uno dei loro piloti, oppure se mettere in pericolo l’intera Stazione. Nel frattempo Vorpatril preparava la sua squadra d’attacco. E i tre funzionari quad intrappolati sull’astronave? Be’, sicuramente non stavano a girarsi i pollici.

E intanto l’infezione guadagna terreno dentro di me. Il tempo non è dalla mia parte.

Che ora era? Tarda sera dello stesso giorno che era cominciato con la notizia della scomparsa di Bel. Sembrava impossibile, come se fosse entrato in una distorsione temporale. Miles fissò il suo comunicatore, poi fece un profondo respiro e, non senza esitazione, compose il codice di Ekaterin. Vorpatril l’aveva già informata su quello che stava succedendo, o l’aveva lasciata all’oscuro di tutto?

— Miles! — rispose subito lei.

— Ekaterin, amore. Dove, uhm… dove sei?

— Nella sala tattica, con l’ammiraglio Vorpatril.

Ah. Ecco la risposta alla sua domanda. Era un sollievo non doverle ripetere l’intera litania di brutte notizie. — Allora sei al corrente di quello che sta succedendo, vero?

— Più o meno, ma è tutto molto confuso.

— Ci credo. Io… — Non poteva dirlo, non così nudo e crudo. Ci girò intorno, mentre raccoglieva il coraggio. — Ho promesso di chiamare Nicol quando avessi avuto notizie di Bel, ma non ne ho avuto il tempo. Le notizie, come forse sai, non sono buone; abbiamo trovato Bel, ma è stato infettato con un parassita transgenico cetagandano che potrebbe rivelarsi letale.

— Sì, l’ho sentito.

— Bene. I medici stanno facendo del loro meglio, ma è una corsa contro il tempo e ora sono sorte altre complicazioni. Non è che non ci sia nessuna speranza, ma Nicol deve sapere che in questo momento le probabilità non sono buone. Lascio alla tua sensibilità come dirglielo.

— La mia sensibilità mi dice che bisogna dirle la pura verità. Tutta la Stazione è una baraonda, tra la quarantena e l’allarme da biocontaminazione. Deve sapere cosa sta succedendo; ha il diritto di saperlo. La chiamerò subito.

— Oh. Bene. Grazie. Io, uhm… ti amo, lo sai.

— Sì. Lo so, ma dimmi di te. — La cosa non era facile, ma la disse tutta d’un fiato: — Ecco, anch’io sto passando un brutto guaio. Sono caduto in una trappola del cetagandano che è riuscita a infettarmi il sangue con lo stesso virus di Bel. Però non sembra agire molto rapidamente, e i medici stanno pensando come risolverla.

Nel silenzio che seguì, sullo sfondo poté sentire la voce dell’ammiraglio Vorpatril, che imprecava con un linguaggio che non si confaceva a un ufficiale superiore di Sua Maestà Gregor Vorbarr. Ekaterin era rimasta senza parole e senza respiro. Per fortuna la riproduzione dei suoni di quei comunicatori di lusso era tanto perfetta che poté sentire quando ricominciò a respirare.

— Mi… mi dispiace — riprese Miles — non era questo che avrei voluto dirti. Non volevo darti un dolore…

— Miles. Smettila di parlare a vanvera! — La sua voce era tagliente. — Se muori, non sarò addolorata, sarò furibonda. Va bene tutto, amore, ma non hai tempo di crogiolarti nell’angoscia in questo momento. Tu sei quello che una volta gli ostaggi li liberava per mestiere. Non ti è consentito non uscirne questa volta. Quindi smettila di preoccuparti per me e pensa invece a quello che devi fare. Mi stai ascoltando, Miles Vorkosigan? Non ti provare a morire! Non ho intenzione di tollerarlo! — E questa sembrava l’ultima parola sull’argomento. Nonostante tutto, Miles sorrise.

— Sì, cara — rispose, rincuorato. Le antenate Vor di quella donna avevano difeso delle fortezze in guerra.

— E allora smettila di parlare con me e torna al lavoro. Va bene? — Era quasi riuscita a trattenere il singhiozzo che tremava in quell’ultima parola.

— Tieni il forte per me, amore — mormorò Miles, con tutta la tenerezza di cui era capace.

— Sempre! — La sentì deglutire. — Sempre.

Ekaterin chiuse la comunicazione.

Miles ripensò alla frase che gli aveva appena detto: Salvataggio di ostaggi, eh? Se vuoi che qualcosa sia fatto come si deve, fallo da te miserabile cetagandano. Ma quel ba aveva idea di quale fosse stato un tempo il mestiere di Miles? Forse aveva dato per scontato che fosse semplicemente un diplomatico, un burocrate, o un civile spaventato. E non poteva nemmeno sapere chi aveva comandato a distanza il rientro della tuta da riparazione.

La sua tuta anticontaminazione non sarebbe servita, se si fosse trattato di combattere nello spazio, ma quali altri strumenti, tra quelli di cui poteva disporre, lì in infermeria, poteva usare per scopi non previsti dai loro progettisti? E che persone?

I medici avevano l’addestramento e la disciplina dei militari, ma erano anche impegnati in compiti della massima priorità. Miles non voleva distoglierli dalla cura del loro paziente per portarli con lui a giocare ai commandos.

Assorto in meditazioni, cominciò a camminare in giro per la sala dell’infermeria, aprendo cassetti e armadietti e osservandone il contenuto. Una sensazione di fatica stava cominciando a diminuire la sua eccitazione da adrenalina, e un’emicrania sempre più forte gli prendeva la testa. Cercò di non pensare a quello che poteva presagire.

Si guardò intorno: un infermiere stava per entrare nel bagno con in mano un oggetto dal quale uscivano spire di tubi.

— Capitano Clogston! — chiamò Miles.

— Sì, Milord?

— Sto per uscire e chiudere la porta. Dovrebbe sigillarsi automaticamente in caso di variazioni di pressione, ma non mi fido di nessun apparecchio di questa nave che sia controllato a distanza. In ogni caso lei si tenga pronto a spostare il paziente in un baccello corporeo, se sarà necessario. A che punto siete?

Clogston gli rivolse un saluto vagamente militare con la mano guantata. — Stiamo iniziando a costruire il secondo filtro ematico. Se il primo funziona bene come spero, dovremmo essere in grado molto presto di sistemare anche lei.

La cosa l’avrebbe immobilizzato in una cuccetta. Non era ancora pronto a mettersi a riposo; non finché poteva ancora muoversi e pensare da solo. — Grazie, capitano — disse Miles. — Mi tenga informato. — Fece scorrere la porta con il controllo manuale.

Cosa ne sapeva il ba di come utilizzare tutte le strumentazioni del ponte di comando? Miles rifletté sulla configurazione centrale della nave. Un lungo cilindro diviso in tre ponti. L’infermeria si trovava a poppa del ponte superiore; il pontefdi comando era vicino alla prua, all’altro capo del ponte centrale. Le porte stagne interne di tutti i livelli erano situate alle tre intersezioni equidistanti tra le zone di carico e del motore, e dividevano longitudinalmente ogni ponte in quattro parti uguali.

Nel ponte di comando c’era il monitor per sorvegliare tutte le camere stagne esterne, naturalmente, e monitor di sicurezza in tutte le porte delle sezioni interne che si chiudevano per sigillare la nave in compartimenti stagni. Distruggere un monitor avrebbe accecato il ba, ma l’avrebbe anche avvertito che i prigionieri si stavano muovendo. Distruggerli tutti, o tutti quelli che potevano essere raggiunti, avrebbe creato più confusione… ma rimaneva il problema di non mettere in guardia il ba. Che probabilità c’era che mettesse in atto la sua minaccia disperata?

Maledizione, era tutto così dilettantesco… Miles si fermò, catturato dal suo stesso pensiero.

Quali erano le procedure operative per un agente di Cetaganda la cui missione segreta stava andando a monte? Distruggere tutte le prove; cercare di raggiungere una zona sicura in territorio neutrale. Se questo non era possibile, distruggere le prove e poi tenere duro e lasciarsi arrestare dalle autorità del luogo, e aspettare di essere liberato dai propri amici, con le buone o con le cattive. Per le missioni veramente molto critiche, distruggere le prove e suicidarsi. Quest’ultimo ordine veniva dato raramente, perché ancora più raramente veniva eseguito. Ma i ba cetagandani erano talmente condizionati alla fedeltà ai propri padroni, e padrone, haut che Miles fu costretto a considerare quest’ultima una reale possibilità.

Ma catturare ostaggi, strombazzare la missione su tutti i notiziari, soprattutto… soprattutto, l’uso pubblico dell’arsenale più privato del Nido Celeste… Questo non era il modus operandi di un agente addestrato. Questo era un maledetto lavoro da dilettante. E i superiori di Miles lo avevano accusato di essere un cane sciolto… ah! Nessuno dei suoi disastri, neanche il più atroce, era mai stato tanto disastroso quanto prometteva di diventare il presente… per entrambe le parti, purtroppo. Questa deduzione sfortunatamente non contribuiva a rendere prevedibile la prossima azione del ba. Anzi.

— Milord? — La voce di Roic emerse inattesa dal comunicatore di Miles.

— Roic! — gridò Miles con gioia. — Aspetta. Cosa diavolo ci fai su questo canale? Non dovresti essere senza tuta.

— Anch’io potrei chiederle la stessa cosa, Milord — replicò Roic. — Dovevo uscire dall’altra tuta per entrare in quella da lavoro. Però adesso posso appendere il comunicatore nel casco. Ecco. — Si sentì un leggero scatto. — Mi sente ancora?

— Sì. Sei sempre nel reparto macchine?

— Sì, sono ancora qui, però le ho trovato una tuta a pressione, Milord. E una quantità di altri strumenti. Il problema è come farglieli avere.

— Stai alla larga dalle porte stagne, sono sorvegliate. Hai trovato qualche strumento da taglio, per caso?

— Sì… qui ci sono delle bombole con gli ugelli. Stavo proprio pensando che potessero servire.

— Allora portati più a poppa che puoi, poi pratica un foro nel soffitto e sali sul ponte centrale. Evita di danneggiare qualsiasi conduttura, la griglia gravitazionale e qualunque altra cosa che possa far accendere delle spie sulla consolle del ponte di comando.

— D’accordo, Milord. Pensavo anch’io che qualcosa del genere potesse funzionare.

Passarono alcuni minuti. Miles udì chiaramente il respiro affannoso di Roic, interrotto da qualche oscenità a mezza voce, mentre scopriva per tentativi come maneggiare delle attrezzature poco familiari. Un grugnito, un sibilo, un rumore metallico bruscamente interrotto.

Se Roic non fosse stato attento avrebbe potuto compromettere la pressione delle sezioni, ma questo avrebbe poi peggiorato la situazione, dal punto di vista degli ostaggi?

— Va bene, Milord — confermò Roic. — Sono riuscito a salire nel ponte centrale. Ora mi sto spostando all’indietro… ma come faccio a sapere dove si trova lei, stando qui sotto?

— Be’, cerca di arrivare al soffitto e segnalami la tua posizione. Ma fallo piano, altrimenti attraverso le paratie il rumore arriva al ponte di comando.

Miles si distese a terra, aprì la visiera del casco, e appoggiò la testa sul pavimento. Poco dopo gli pervenne una serie di leggeri colpi che pareva provenire da destra. — Spostati più verso poppa — gli comunicò.

— Ci provo, Milord. Ma non è facile arrivare al soffitto con tutte queste condutture. — Altri respiri pesanti. — Ecco. Mi sente più vicino adesso?

Questa volta i colpi sembravano provenire proprio sotto di lui. — Sì, ci siamo, Roic.

— Bene, Milord. Stia attento a dove taglio. Lady Vorkosigan sarebbe molto seccata se le affettassi qualche pezzo.

Sorridendo per la battuta, Miles si alzò, sollevò il tappeto antiscivolo, e si allontanò di qualche metro.

Le piastre del pavimento divennero gialle per il calore, poi bianche. Una sottile linea di taglio crebbe ondeggiando in cerchio fino a tornare al punto di partenza. Poi la mano guantata di Roic diede un colpo e rivoltò sul pavimento il cerchio di metallo che aveva tagliato.

Subito dopo apparve il viso preoccupato di Roic che lo guardò attraverso la visiera della sua tuta. Il buco che aveva praticato era troppo piccolo perché potesse passarci la sua possente figura, ma attraverso quella botola l’armiere riuscì a far scorrere la tuta a pressione che aveva preso per Miles.

— Ottimo, Roic — disse Miles. — Aspetta lì. Ti raggiungo.

— Milord?

Miles si strappò di dosso l’ormai inutile tuta anticontaminazione e indossò quella a pressione a tempo di record. Viste le piccole dimensioni, era inevitabile che il sistema di evacuazione dei rifiuti fosse per donne, perciò lo lasciò staccato. D’altro canto non credeva che sarebbe rimasto a lungo chiuso in quella tuta. Non stava molto bene; sentiva crescere in tutto il corpo brividi di caldo e di freddo. Si chiese se fosse l’infezione che avanzava o semplici nervi a fior di pelle.

Come aveva fatto Roic, anche lui appese all’interno del casco il suo comunicatore, poi sigillò la tuta e cominciò a respirare un’aria che nessuno al di fuori di lui poteva controllare. Quindi regolò i circuiti interni sulla temperatura più fredda.

Una volta a posto si avvicinò alla botola e scivolò dentro il buco. — Aiutami a scendere, Roic. Non stringere troppo…

— Bene, Milord.

— Lord Ispettore Vorkosigan — giunse in quel momento la voce inquieta di Vorpatril. — Cosa sta facendo?

— Ricognizione.

Roic lo calò con delicatezza esagerata sul ponte sottostante. Miles si guardò attorno poi disse: — Lì c’è l’ufficio di sorveglianza di Solian. Se c’è una consolle di controllo su questa maledetta nave che possa sorvegliare senza essere a sua volta sorvegliata, sarà lì.

Si avviarono con circospezione, ma nonostante la precauzione, il ponte scricchiolava sotto il peso di Roic.

Giunti davanti alla porta, Miles compose il codice ormai familiare che l’apriva, quindi entrò e si sedette alla consolle del tenente Solian. Prese un respiro e si chinò sui tasti.

Sì, da lì poteva intercettare dai monitor le immagini di ogni camera stagna della nave, se voleva anche contemporaneamente. Chissà se poteva ottenere una inquadratura del ponte di comando per spiare in segreto le mosse del ba?

Roic chiese, preoccupato: — Cosa sta pensando di fare, Milord?

— Sto pensando che non è possibile un attacco a sorpresa, ma dobbiamo arrivarci comunque. Non mi resta molto tempo. — Strizzò gli occhi, poi pensò al diavolo e aprì la visiera per strofinarseli. L’immagine video divenne più chiara, ma sembrava ancora vacillare ai margini. Miles non pensò neppure che il problema dipendesse dalla piastra video. Il suo mal di testa, che era cominciato con un dolore lancinante tra gli occhi, sembrava essersi esteso alle tempie, che gli pulsavano. Aveva i brividi. Sospirò e richiuse la visiera.

— Quella bio schifezza… l’ammiraglio ha detto che lei si è preso lo stesso virus dell’erm. Quella merda che ha sciolto gli amici di Gupta.

— Quand’è che hai parlato con Vorpatril?

— Subito prima di parlare con lei.

— Ah.

— Avrei dovuto essere io a usare quei controlli a distanza. Non lei. — Commentò Roic.

— No, dovevo farlo io. Conoscevo le apparecchiature.

Miles cominciò a scrutare nel monitor di sorveglianza. Okay, se Solian poteva vedere in ogni cabina, sicuramente poteva anche aver accesso al ponte di comando.

— Adesso non è il caso di recriminare, Roic. Le cose sono andate così, e comunque ci saranno per tutti molte occasioni per mostrare il nostro eroismo.

— Non intendevo questo — disse Roic, offeso.

Miles sorrise. — Lo so.

Un leggero segnale del comunicatore lo informò che Ekaterin lo stava ascoltando, senza intervenire.

La voce di Vorpatril risuonò improvvisa, dissipando la sua concentrazione.

L’ammiraglio stava farfugliando: — Quei farabutti smidollati! Quei bastardi quadrumani! Milord, quei maledetti stanno dando a quell’untore asessuato cetagandano un pilota iperspaziale!

— Cosa? — Lo stomaco di Miles si contrasse. — Hanno trovato un volontario? È un quad, o un terricolo? — Non poteva esserci una gran rosa di candidati tra cui scegliere. I controlli neurali dei piloti, installati chirurgicamente, dovevano corrispondere alle navi che guidavano attraverso i salti iperspaziali. Per quanto numerosi potessero essere i piloti iperspaziali in quel momento acquartierati, o intrappolati, sulla Stazione Graf, la maggior parte di loro non avrebbe potuto interfacciarsi con i sistemi di Barrayar. E allora, era il pilota ufficiale, o quello di riserva della Idris, oppure quello di una delle navi gemelle komarrane…?

— Cosa le fa pensare che sia un volontario? — ringhiò Vorpatril. — Chiunque sia non posso credere che lo stiano mettendo in mano di quel pazzo.

— Forse i quad hanno un piano. Loro cosa dicono?

Vorpatril esitò un attimo, poi rispose: — Watts mi ha escluso dalle comunicazioni pochi minuti fa. Stavamo discutendo se mandare la nostra squadra d’attacco oppure quella della milizia dei quad, e agli ordini di chi. Tutte e due allo stesso tempo e senza coordinazione mi sembrava un’idea stupida.

— Infatti — confermò Miles. — Non è difficile immaginare i rischi.

Comunque in quel momento non era quello il problema. Prima di tutto si doveva pensare alle armi biologiche del ba. La nascente commiserazione che Miles provava per il cetagandano morì con l’annebbiarsi della sua vista. — Dopotutto siamo a casa loro… — rispose all’ammiraglio — ma aspetti un attimo. Sembra che stia succedendo qualcosa in una delle camere stagne esterne.

Miles ingrandì l’immagine del monitor che si era improvvisamente attivata. Le luci che illuminavano la porta esterna eseguirono un ciclo di controlli e autorizzazioni. Il ba, si disse, stava probabilmente guardando la stessa scena.

Trattenne il fiato. Che i quad, con il pretesto di consegnare il pilota richiesto, stessero tentando di introdurre la propria forza d’attacco?

La porta della camera stagna scivolò di lato, offrendo una breve visione dell’interno dove stazionava un minuscolo baccello per una persona. Un uomo nudo, con i circoletti argentati dei contatti dell’impianto neurale da pilota iperspaziale che gli luccicavano in mezzo alla fronte e sulle tempie, entrò nella camera stagna. Era Dmitri Corbeau, alto, scuro di capelli, di bell’aspetto se non fosse stato per le sottili cicatrici rosa che si snodavano su tutto il corpo in una fascia serpeggiante. Il suo viso era pallido e deciso.

— Il pilota iperspaziale è appena arrivato — disse a Vorpatril.

Maledizione. Umano o quad?

Vorpatril aveva davvero bisogno di perfezionare il suo vocabolario diplomatico… — Terricolo — rispose Miles, evitando un commento più incisivo. Esitò, poi aggiunse — È il tenente Corbeau.

Seguì un silenzio stordito, poi Vorpatril sibilò: — Figlio di puttana!

— Silenzio! Il ba si fa sentire. — Miles regolò il volume e aprì di nuovo la visiera perché potesse sentire anche Vorpatril.

— Voltati verso il modulo di sicurezza e apri la bocca — ordinò la voce del ba freddamente attraverso il monitor della camera stagna. — Più vicino. Più aperta. — Miles poté godersi una bella inquadratura delle tonsille di Corbeau. A meno che il pilota avesse un dente avvelenato, lì dentro non erano nascoste armi.

— Molto bene… — Il ba continuò con una gelida serie di istruzioni, sottoponendo Corbeau a una sequenza umiliante di contorsioni che, benché non esaurienti quanto una perquisizione interna, fornirono per lo meno una certa garanzia che il pilota iperspaziale non stesse nascondendo niente. Corbeau obbedì esattamente, senza esitazioni o discussioni, con un’espressione rigida e vuota.

— Ora libera il baccello dagli agganci.

Corbeau attraversò la camera stagna ed eseguì l’ordine. Seguì un tintinnio e un tonfo metallico: il baccello, libero ma a motore spento, si allontanò alla deriva dalla fiancata della Idris.

— Ora ascolta queste istruzioni. Cammina per venti metri verso prua, gira a sinistra e aspetta che si apra la porta successiva.

Corbeau obbedì, privo di qualsiasi espressione, ma con lo sguardo guizzava qui e là, come se cercasse qualcosa o volesse memorizzare il percorso. Uscì dal campo delle telecamere della porta stagna.

Nel frattempo Vorpatril imprecava: — Perché Corbeau? Perché Corbeau?

Miles, che si stava chiedendo freneticamente la stessa cosa, azzardò: — Forse si è offerto volontario.

— Può anche darsi che i maledetti quad l’abbiano sacrificato, invece di rischiare uno dei loro. O… — un’altra ipotesi venne in mente all’ammiraglio — magari lui ha escogitato un altro sistema per disertare.

— Credo che non sarebbe un sistema conveniente per lui. — Invece era un sospetto spiacevole. Di chi si sarebbe dimostrato alleato Corbeau, esattamente?

Miles ritrovò l’immagine di Corbeau mentre il ba lo guidava attraverso la nave verso il ponte di comando, aprendo e chiudendo tutte le porte stagne che si presentavano sul suo percorso. Camminava a schiena dritta, in silenzio, con i piedi scalzi. Sembrava tremare per il freddo.

Dopo l’ultima barriera uscì ancora dalla visuale. Nello stesso istante l’attenzione di Miles fu distratta dal lampeggiare dell’allarme di una porta stagna. Subito, richiamò l’immagine, appena in tempo per vedere un quad con una tuta verde anticontaminazione, colpire violentemente il monitor con una chiave inglese, mentre accanto a lui passavano rapidamente altre due figure verdi. L’immagine esplose e si spense. Non vedeva altro, tuttavia riuscì a sentire il suono dell’allarme, il sibilo dell’apertura di una porta stagna, ma nessun rumore della sua chiusura.

Perché non si era chiusa? Aria e suoni tornarono quando il portello si chiuse automaticamente e la camera stagna ebbe completato il ciclo.

Allora avevano aperto un portello che dava sul vuoto! Quindi significava che i quad erano usciti nello spazio intorno alla Stazione. Ecco perché indossavano le tute anticontaminazione: a differenza di quelle della Idris, quelle erano a prova di vuoto. Nello Spazio Quad, la cosa aveva senso.

Mezza dozzina di camere stagne della Stazione, poste a una distanza di poche centinaia di metri l’una dall’altra, avrebbero offerto riparo ai quad in fuga. Quindi avrebbero avuto l’imbarazzo della scelta, senza contare eventuali baccelli o navette in grado di avvicinarsi e prenderli a bordo.

— Venn, Greenlaw e Leutwyn sono appena scappati da una camera stagna — riferì a Vorpatril. — Tempismo perfetto!

Tempismo davvero perfetto, andarsene proprio mentre il cetagandano era distratto dall’arrivo del suo pilota e con la possibilità della fuga a portata di mano, quindi meno propenso a mettere in atto la minaccia di speronare la Stazione. Usare in quel modo l’arrivo di Corbeau era stato un calcolo estremamente arguto. Miles non poté che esclamare: — Ottimo. Eccellente! Ora questa nave è completamente sgombra di civili.

— Tranne lei, Milord — fece notare Roic; stava per aggiungere qualcos’altro, ma intercettò l’occhiataccia che gli lanciò Miles.

— Ah — borbottò Vorpatril. — Forse questo farà cambiare idea a Watts. — La voce si abbassò, come se stesse parlando rivolto in un’altra direzione. — Come, tenente? — Poi mormorò: — Mi scusi — non era chiaro a chi si fosse rivolto.

E così, a bordo ora restavano solo barrayarani. E Bel… che stava sul libro paga di ImpSec, e quindi un barrayarano onorario per quanto riguardava la contabilità dei morti. Miles sorrise, immaginando la reazione di Bel se lo avesse sentito.

Il momento migliore per introdurre una forza d’attacco sarebbe stato prima che la nave cominciasse a muoversi, piuttosto che giocare a rincorrerla nello spazio. Prima o poi, Vorpatril avrebbe probabilmente smesso di aspettare il permesso dei quad per mandare i suoi uomini. Prima o poi, anche lui sarebbe stato d’accordo.

Miles tornò a concentrarsi sul problema di spiare il cetagandano. Se il ba aveva disattivato il monitor come avevano appena fatto i quad, o anche se solo avesse gettato una giacca sulla videocamera, non lo avrebbe visto… ma finalmente l’immagine del ponte di comando si formò sulla piastra video. Però mancava il sonoro.

La telecamera che probabilmente era posta sopra la porta, offriva la visuale della mezza dozzina di sedie vuote con le loro consolle spente. Il ba era lì, ancora vestito nell’abito betano della sua vecchia identità: giacca, sarong e sandali, anche se una tuta a pressione della Idris giaceva poco lontano, sullo schienale di una delle sedie. Corbeau, sempre nudo, era seduto al posto del pilota, ma non aveva ancora indossato la cuffia. Il ba disse qualcosa che fece aggrottare la fronte a Corbeau, poi tentò di ritrarsi quando il ba gli appoggiò brevemente un’iposiringa sul braccio. Fatta quell’operazione il ba mostrò un lampo di soddisfazione sul viso tirato.

Droghe? Nemmeno il ba poteva essere abbastanza folle da drogare un pilota iperspaziale dal cui funzionamento neurale dipendeva la vita. L’inoculazione di qualche morbo? Poteva anche essere una sua assicurazione: se le cose, nel periodo d’incubazione avessero funzionato, poteva dargli l’antidoto. Oppure era un semplice bluff, un’iniezione d’acqua?

L’iposiringa che aveva usato era troppo rozza e ovvia perché un cetagandano la scegliesse come metodo per somministrare una droga o iniettare un virus; il che convinse Miles che si trattava di un bluff, anche se forse a Corbeau non era venuto in mente. Siccome una volta partita non sarebbe stato possibile togliere al pilota la cuffia che lo collegava alla nave, il ba aveva scelto il momento giusto per far capire a Corbeau che era nelle sue mani.

Questo almeno eliminava definitivamente il dubbio di Vorpatril che Corbeau fosse un traditore o si fosse offerto volontario per ottenere un passaggio fuori dalla cella di detenzione quad. Oppure no?

Dal suo comunicatore da polso, smorzato per la distanza, venne un improvviso, allarmante urlo dell’ammiraglio Vorpatril: — Cosa? È impossibile. Sono impazziti? Non adesso…

Trascorsi pochi attimi senza ottenere ulteriori chiarimenti, Miles mormorò — Uhm, Ekaterin? Ci sei ancora?

La sentì prendere fiato. — Sì.

— Cosa sta succedendo?

— L’ammiraglio Vorpatril è stato chiamato dal suo ufficiale delle comunicazioni. Un messaggio ad alta priorità è appena arrivato dal Quartier Generale del Settore Cinque. Sembra una cosa molto urgente.

Nell’immagine video di fronte a lui, Miles guardò Corbeau eseguire i controlli prima del volo, passando da una postazione all’altra sotto gli occhi duri e vigili del cetagandano. Il pilota stava attento a muoversi con cautela sproporzionata, e a quanto pareva, dai movimenti delle sue labbra irrigidite, spiegava ogni gesto prima di toccare le consolle. E lo faceva lentamente, notò Miles. Un po’ più lentamente del necessario, anche se non proprio abbastanza lentamente da risultare ovvio.

La voce di Vorpatril, o meglio, il respiro pesante di Vorpatril, tornò finalmente a farsi sentire. L’ammiraglio sembrava avere esaurito le invettive. A Miles questo parve molto più preoccupante dei suoi precedenti muggiti.

— Milord. — Vorpatril esitò. La sua voce si abbassò fino a una specie di ringhio stordito. — Ho appena ricevuto ordini con Priorità Uno dal Quartier Generale. Devo radunare le mie navi, abbandonare la flotta commerciale komarrana e dirigermi verso Marilac alla massima velocità.

Non con mia moglie, amico, fu il primo pensiero di Miles.

Poi sbatté gli occhi, raggelato nella sedia.

L’altra funzione delle scorte militari che Barrayar forniva gratuitamente alle flotte commerciali era di mantenere una discreta presenza armata in tutto il Complesso Iperspaziale. Una forza che, in caso di emergenza, poteva trasformarsi rapidamente in una minaccia militare già pronta a intervenire nei punti strategici. Altrimenti un intervento di emergenza sarebbe stato troppo lento, se non diplomaticamente o militarmente impossibile, perché far arrivare una flotta dai pianeti di origine avrebbe richiesto molto tempo per attraversare i vari salti iperspaziali.

Il pianeta Marilac era un alleato di Barrayar posto all’esterno dell’Impero cetagandano nella complessa rete di salti che tenevano insieme il Complesso Iperspaziale. Rappresentava il secondo fronte, poiché la minaccia immediata e ravvicinata di Rho Ceta era considerata il primo fronte. I cetagandani avevano le linee di comunicazione e logistiche più brevi tra i due punti di contatto, ma la tenaglia strategica delle forze unite di Barrayar e Marilac riusciva a contenere qualsiasi mira cetagandana.

Quando Miles ed Ekaterin avevano lasciato Barrayar per il loro viaggio di nozze, i rapporti tra i due mondi e le rispettive sfere d’influenza erano più rilassati di quanto non fossero stati da anni. Cosa diavolo poteva avere cambiato la situazione così profondamente, e così in fretta?

Qualcosa ha messo in agitazione i cetagandani attorno a Rho Ceta gli aveva detto Gregor.

A pochi salti, da Rho Ceta, Gupta e i suoi amici contrabbandieri avevano scaricato uno strano carico vivo da una nave governativa cetagandana, una nave con una quantità di stravaganti contrassegni. E a bordo di quella nave c’era una sola persona, un solo sopravvissuto. Dopodiché la nave aveva virato, su una pericolosa rotta interna, verso i soli del sistema. E se quella traiettoria non fosse stata una curva a fionda? Se fosse stata un tuffo diretto, senza ritorno?

— Figlio di puttana — imprecò Miles.

— Milord? — disse Vorpatril. — Se…

Zitto — scattò Miles.

L’ammiraglio non osò parlare.

Una volta all’anno, quello che la razza haut aveva di più prezioso lasciava il Nido Celeste. Otto navi, ognuna diretta a uno dei pianeti dell’Impero governato in modo tanto peculiare dagli haut. Ognuna di quelle navi era carica della nuova generazione di embrioni degli alti haut, rappresentanti i risultati geneticamente modificati e certificati di tutti i contratti di concepimento stabiliti con cura, l’anno precedente, tra i membri delle grandi costellazioni, i clan, le linee genetiche coltivate della razza haut.

Ogni carico di circa mille vite era accompagnato da una delle otto dame haut più importanti dell’Impero, le consorti planetarie che erano il comitato direttivo del Nido Celeste. Tutto assolutamente privato, assolutamente segreto, da non discutere con estranei.

Come mai un agente ba non poteva tornare indietro a prendere delle altre copie, se perdeva nel viaggio un tale carico di future vite haut?

Forse non era un agente. Forse era un traditore.

— In queso caso il crimine non è stato l’omicidio — borbottò Miles. — Il crimine è stato il rapimento.

Gli omicidi erano venuti dopo, in una sequenza sempre più frenetica, quando il ba aveva tentato di nascondere le proprie tracce. Ecco perché Gupta e i suoi amici erano destinati a morire; erano testimoni di una nave dirottata, prima di essere distrutta… Il governo cetagandano starà impazzendo per questa faccenda.

— Milord, va tutto bene? — chiese Roic.

La voce di Ekaterin arrivò con un sussurro intenso: — No, non lo interrompa, Roic. Sta pensando. E quando lo fa gli sfuggono questo genere di borbottìi, tutto qui.

Dal punto di vista del Giardino Celeste, una nave dei bambini del Nido Celeste era scomparsa su quella che avrebbe dovuto essere una rotta sicura verso Rho Ceta. Ogni squadra di salvataggio, ogni pedina segreta a disposizione dell’Impero cetagandano sarebbe stata coinvolta nell’indagine. Se non fosse stato per Gupta, la tragedia avrebbe potuto passare per un misterioso guasto che aveva fatto precipitare la nave verso un infuocato destino. Nessun sopravvissuto, nessun relitto, nessuna traccia da seguire. Ma Gupta c’era. E a ogni passo strascicato dei suoi lunghi piedi si lasciava dietro una pista di indizi.

Quanto lontano potevano essere i cetagandani, ormai? Troppo vicini per i gusti del ba, ovviamente. Era già un miracolo, che quando Gupta era apparso all’improvviso dietro la ringhiera dell’albergo, il ba non fosse morto per un attacco di cuore senza neanche bisogno dell’attentato. Ma la pista del ba, marcata da Gupta, portava dritta dalla scena del delitto al cuore del nemico Barrayar. Che cosa potevano pensare i cetagandani di tutto questo?

Be’, ora abbiamo un indizio, no?

— Bene — esalò Miles, con decisione. — Bene, ammiraglio. Registri quello che sto per dire. Il mio primo ordine come Voce dell’Imperatore è di revoca degli ordini che ha ricevuto dal Settore Cinque. E se non sbaglio era proprio quello che stava per chiedermi, giusto?

— Grazie, Lord Ispettore, sì — disse Vorpatril, riconoscente. — Normalmente, preferirei morire piuttosto che trascurare una chiamata di questo genere, ma… data l’attuale situazione, dovranno aspettare un po’. — Vorpatril non stava esagerando: ciò che aveva detto era un dato di fatto. — Non troppo a lungo, spero.

— Dovranno aspettare parecchio. Questo è il mio prossimo ordine come Voce dell’Imperatore: esegua una copia in chiaro di tutto, tutto, quello che avete registrato nelle scorse ventiquattr ’ore e la spedisca su un canale aperto, con la massima priorità, alla residenza imperiale, al comando centrale barrayarano, al Quartier Generale di ImpSec, e all’ufficio Affari Galattici di ImpSec su Komarr. — Prese fiato, e alzò la voce per sovrastare l’obiezione di Vorpatril: Copia in chiaro! In un momento come questo? — E, indirizzato dal Lord Ispettore Miles Vorkosigan di Barrayar all’urgentissima attenzione personale del generale ghem Dag Berlin, Capo della Sicurezza Imperiale, Giardino Celeste, Eta Ceta, personale, urgente, urgentissimo, e aggiunga queste parole: ’Per i capelli di Rian faccio sul serio, Dag’. Scriva esattamente questo.

Cosa? — urlò Vorpatril, poi abbassò in fretta il tono per ripetere angosciato: — Se hanno ordinato un’adunata a Marilac può significare la guerra con Cetaganda! Non possiamo regalargli informazioni di questo genere sulle nostre posizioni e movimenti, e su un piatto d’argento!

— Ottenga anche dalla sorveglianza della Stazione Graf le registrazioni complete e non censurate dell’interrogatorio di Gupta e trasmetta anche quelle, con la massima velocità.

Un nuovo orrore scosse Miles, una visione simile a un delirio febbrile: la grandiosa facciata di Casa Vorkosigan, nella capitale barrayarana di Vorbarr Sultana, investita da una pioggia di fuoco al plasma, le sue antiche pietre sciolte come burro; vasi pieni di liquido pestilenziale che esplodevano in uno sbuffo di vapore che lasciava tutti i protettori della Casa ammucchiati in cumuli di cadaveri; due replicatori quasi maturi che si esaurivano, si spegnevano, si raffreddavano lentamente, mentre i loro minuscoli ospiti morivano per mancanza di ossigeno, annegati nel loro stesso liquido amniotico. Il suo passato e il suo futuro, distrutti insieme… E anche Nikki, sarebbe stato raccolto con gli altri bambini in un qualche frenetico salvataggio, o dimenticato, lasciato indietro per errore, fatalmente solo? Miles aveva immaginato di poter diventare un buon padre adottivo per Nikki, ora c’erano seri dubbi in proposito. Ekaterin, mi dispiace…

Sarebbero passate ore, giorni, prima che le nuove comunicazioni a fascia stretta potessero arrivare a Barrayar e Cetaganda. Gente agitata e frenetica poteva commettere errori fatali nel giro di pochi minuti. Secondi…

— Se lei prega, Vorpatril, preghi che nessuno faccia niente di stupido prima che quei messaggi arrivino, e che vengano creduti.

— Lady Vorkosigan — sussurrò Vorpatril. — Pensa che possano essere allucinazioni dovute all’infezione?

— No, no — rispose lei. — Sta solo pensando troppo in fretta, e saltando i passaggi intermedi. Miles, amore, ti dispiacerebbe aggiungere qualche dettaglio?

Miles fece un profondo respiro, e poi altri due o tre, per smettere di tremare. — Il ba. Non è un agente in missione. È un criminale. Un rinnegato. Forse folle. Sono convinto che abbia dirottato la nave annuale dei feti haut diretta a Rho Ceta, mandandola a precipitare nel sole più vicino con tutti a bordo, probabilmente già assassinati, e se la sia svignata con il carico. Poi è passato per Komarr, ed è ripartito con una nave commerciale appartenente all’Imperatrice Laisa… e mi si torce lo stomaco a immaginare l’effetto che farà questo particolare dettaglio a certe menti all’interno del Nido Celeste. I cetagandani credono che noi abbiamo rubato i loro feti, o tenuto mano al ladro, e, buon Dio, assassinato una consorte planetaria, e così stanno per dichiararci guerra per sbaglio!

— Oh — disse Vorpatril senza espressione.

— La sicurezza del ba dipendeva dalla totale segretezza, perché, una volta capita la verità, i cetagandani non si sarebbero fermati finché non avessero punito questo crimine. Ma il piano perfetto si è incrinato quando Gupta non è morto come prestabilito. Gupta ha coinvolto Solian, che ha coinvolto voi, che avete coinvolto me… — La sua voce rallentò. — Tuttavia rimane il mistero di cosa diavolo intende farsene il ba di quei feti haut.

Ekaterin suggerì esitante: — Potrebbe averli rubati per conto di qualcun altro?

— Sì, ma i ba non dovrebbero essere corruttibili.

— Be’, se non per denaro o altri guadagni, magari perché era ricattato o minacciato? Magari una minaccia a qualche haut cui il ba è fedele?

— O magari qualche fazione nel Nido Celeste — suggerì Miles. — Solo che… se i nobili ghem agiscono per fazioni, così come i nobili haut, il Nido Celeste si è sempre mosso in modo unitario. Anche quando stava, forse, commettendo un tradimento, dieci anni fa. Le dame haut non hanno mai preso decisioni separate.

— Il Nido Celeste ha commesso tradimento? — fece eco Vorpatril, attonito. — Questo di certo non è mai trapelato! È sicuro? All’epoca non ho mai sentito di esecuzioni a un livello tanto alto dell’Impero. — Fece una pausa, e aggiunse in tono perplesso: — Come avrebbe fatto, comunque, una banda di dame haut fabbrica-bambini a commettere tradimento?

— Non è precisamente riuscito. Per vari motivi. — Miles si schiarì la voce.

— Lord Ispettore Vorkosigan. Sta parlando dal suo comunicatore, vero? — si intromise una nuova voce, molto gradita.

— Sigillatrice Greenlaw! — gridò felice Miles. — Siete in salvo? Tutti?

— Siamo in salvo sulla Stazione Graf — rispose lei. — Sembra prematuro definirlo in salvo. E lei?

— Sono ancora intrappolato sulla Idris. Anche se non totalmente privo di idee.

— Ho bisogno di parlarle con urgenza. Lei può isolarsi da Vorpatril?

— No, il mio comunicatore ha un collegamento aperto con l’ammiraglio Vorpatril, signora. Può parlare con tutti e due allo stesso tempo, se vuole — interloquì in fretta Miles, prima che lei potesse esprimersi ancora più liberamente.

La quad esitò per un istante. — Bene. Abbiamo assolutamente bisogno che Vorpatril trattenga, ripeto, trattenga qualsiasi forza d’attacco al suo comando. Corbeau conferma che il ba ha effettivamente con sé una specie di controllo a distanza, collegato alla carica che ha nascosto sulla Stazione. Il ba non sta bluffando.

Miles alzò gli occhi sorpreso sul suo video muto del ponte di comando. Corbeau stava seduto nel posto del pilota, con la cuffia di controllo abbassata, il viso privo di espressione. — Corbeau conferma? Come? È nudo come un verme… e il ba lo tiene d’occhio costantemente! Ha un comunicatore sottocutaneo?

— Non c’è stato tempo di trovarne uno e inserirlo. Siamo rimasti d’accordo che avrebbe fatto lampeggiare le luci di posizione della nave secondo un codice prestabilito.

— Di chi è stata l’idea?

— Sua.

Svelto, il ragazzotto. Il pilota era dalla loro parte. Oh, questa sì che era una buona notizia… I tremiti di Miles stavano diventando insostenibili.

— In questo momento ogni quad della Stazione non impegnato in funzioni di emergenza sta cercando la bio-bomba — continuò Greenlaw — ma non abbiamo idea di che aspetto abbia, o di quanto sia grande, o se sia mascherata in qualche modo. E se ce ne sia più di una. Stiamo cercando di far evacuare i bambini su tutte le navi e navette che abbiamo a portata di mano, e sigillarle, ma in realtà non possiamo essere sicuri nemmeno di quelle. Se voialtri fate qualunque cosa per provocare quel pazzo, se fate partire una forza d’attacco non autorizzata prima che questa minaccia sia stata trovata e completamente neutralizzata, giuro che darò personalmente ordine alla nostra milizia di abbatterla in volo. Ricevuto, ammiraglio? Confermi prego.

— Ho capito — rispose Vorpatril con riluttanza. — Ma signora, lo stesso Ispettore Imperiale è stato infettato dal ba. Non posso starmene qui seduto senza far niente.

— Ci sono cinquantamila vite sulla Stazione Graf, ammiraglio… Lord Ispettore! — La sua voce venne meno per un momento, poi tornò rigida. — Mi dispiace, Lord Vorkosigan.

— Non sono ancora morto — replicò Miles, compassato. Una nuova, estremamente sgradita sensazione lottava con la paura che gli serrava lo stomaco. Aggiunse: — Attendete, torno subito.

Facendo cenno a Roic di restare fermo, Miles aprì la porta dell’ufficio, uscì in corridoio, aprì la visiera, si chinò, e vomitò sul pavimento. Niente da fare. Con un gesto rabbioso, rialzò la temperatura della sua tuta. Serrò gli occhi per respingere un capogiro, si pulì la bocca, rientrò e riaprì la comunicazione. — Continui pure.

Smise di prestare attenzione alle voci di Vorpatril e Greenlaw che discutevano tra loro, ed esaminò più attentamente la panoramica del ponte di comando. C’era un oggetto che doveva essere lì, da qualche parte… ah, eccolo, un piccolo crio-congelatore delle dimensioni di una valigetta, posato con cura su uno dei sedili vuoti, vicino alla porta. Un normale modello commerciale, senza dubbio acquistato da qualche fornitore di attrezzature mediche lì alla Stazione Graf. Tutto questo, tutto questo pasticcio diplomatico, questo esagerato percorso di morti che si dipanava per mezzo Complesso Iperspaziale, due imperi in bilico sull’orlo della guerra, dipendeva da quella valigetta.

Miles ricordò la vecchia favola barrayarana del malvagio mago mutante che teneva il suo cuore in uno scrigno per nasconderlo ai suoi nemici.

— Greenlaw — si intromise Miles. — Avete un modo per fare segnali a Corbeau?

— Abbiamo selezionato uno dei fari di navigazione che trasmette sui canali dei piloti ai controlli ciberneurali. Non possiamo trasmettere comunicazioni a voce, Corbeau non era certo di come sarebbero arrivate ai suoi sensi. Siamo sicuri di potergli far arrivare qualche semplice segnale visivo o sonoro in codice.

— Ho un messaggio semplice per lui. Urgente. Trasmettetelo se potete. Ditegli di aprire tutte le porte stagne interne nel ponte centrale. E, se può, di disattivare anche le telecamere di sicurezza della stessa zona.

— Perché? — chiese lei, sospettosa.

— Lì c’è intrappolato del personale che morirà tra breve se non lo fa — rispose prontamente Miles. Be’, era vero.

— D’accordo — replicò lei. — Vedrò cosa possiamo fare.

Miles chiuse il collegamento vocale in uscita, poi si voltò sulla sedia e segnalò a Roic con un gesto di fare lo stesso. Si chinò in avanti. — Mi senti?

— Sì, Milord. — La voce di Roic era attutita, attraverso la visiera più spessa della tuta da lavoro, ma abbastanza udibile; nessuno dei due aveva bisogno di gridare, in quel piccolo spazio silenzioso.

— Greenlaw non ordinerà né consentirà mai l’invio di una forza d’attacco per cercare di catturare il ba. Né la sua, né la nostra. Non può. Ci sono troppe vite quad in gioco. Il problema è che non credo che questo approccio conciliante metterà al sicuro la Stazione. Se quel ba ha veramente assassinato una consorte planetaria, non batterà ciglio per poche migliaia di quad. Prometterà di collaborare fino all’ultimo istante, poi attiverà la bio-bomba, prima di effettuare il salto nell’iperspazio, perché così pensa di rallentare o disturbare l’inseguimento per un giorno o due. Mi segui?

— Sì, Milord. — Gli occhi di Roic erano attenti.

— Se riusciamo ad arrivare fino alla porta del ponte di comando senza farci vedere, credo che avremo una possibilità di piombare sul ba. Per la precisione, tu piomberai sul ba, mentre io creerò un diversivo. Non avrai problemi. I colpi di storditore e i raggi nervini rimbalzeranno su quella tuta da lavoro. Anche i proiettili di una pistola ad aghi non penetrerebbero, se è per quello. E i pochi secondi che ti basteranno per attraversare quella stanzetta non saranno abbastanza perché il fuoco al plasma possa bruciarla.

Roic storse le labbra. — E se invece spara a lei? La sua tuta non è altrettanto resistente.

— No, se tutto va bene non farà in tempo a sparare contro di me. Se riusciamo a entrare, tu buttati subito sulle sue mani e tienile ferme. Il resto verrà da sé.

— E Corbeau? Quel poveraccio è nudo come un verme.

— Corbeau — disse Miles — sarebbe l’ultimo bersaglio per il ba… Ah! — Al limite estremo dell’immagine video, vide una mezza dozzina di piccole immagini che si stavano spegnendo senza il minimo rumore. — Esci in corridoio e stai pronto a correre. Più silenziosamente che puoi.

Dal suo comunicatore, Vorpatril stava chiedendo accoratamente all’Ispettore Imperiale di riattivare il suo contatto vocale. Esortò persino Lady Vorkosigan ad aiutarlo.

— Lo lasci stare — rispose Ekaterin con fermezza. — Non capisce cosa sta facendo?

— Ma cosa sta facendo? — gemette Vorpatril.

— Qualcosa che… — La sua voce si smorzò fino a un sussurro. O forse una preghiera. — Buona fortuna, amore.

In quel momento un’altra voce si intromise: era il capitano medico Clogston. — Ammiraglio? Può contattare il Lord Ispettore Vorkosigan? Abbiamo finito di preparare il suo filtro ematico e siamo pronti a provarlo, ma è uscito dall’infermeria e non riusciamo a chiamarlo.

— Ha sentito, Lord Vorkosigan? — provò Vorpatril, senza molte speranze. — Deve recarsi in infermeria. Subito.

Tra dieci minuti… forse cinque, i medici avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Miles si alzò dalla sedia e per farlo dovette spingersi con entrambe le mani, quindi seguì Roic nel corridoio fuori dall’ufficio di Solian.

Davanti a loro, nella semioscurità, la prima porta stagna che interrompeva il corridoio scivolò di lato con un sibilo sommesso, rivelando il percorso trasversale che portava alle altre stive.

Roic cominciò a correre. I suoi passi erano inevitabilmente pesanti. Miles gli trotterellava dietro evitando di pensare che da un momento all’altro poteva cadere a terra in preda alle mortali convulsioni. In ogni caso, decise che era un rischio che doveva correre. Non aveva armi, tranne il suo ingegno, e non era sicuro che potesse bastare.

Una seconda coppia di porte si aprì davanti a loro. Poi la terza. Miles pregò che non fosse un’altra trappola. Ma non credeva che il ba avesse avuto modo di intercettare quel subdolo canale di comunicazione che dall’ufficio di Solian permetteva di vedere all’interno del ponte di comando.

Roic si fermò un attimo, addossandosi dietro lo spigolo dell’ultima porta, e guardò avanti. Annuì brevemente e continuò ad avanzare, con Miles alle calcagna. Mentre si avvicinavano, Miles notò che il pannello di controllo della porta al di là della quale c’era il cetagandano era stato fuso da qualche attrezzo simile a quello che aveva usato Roic. Anche il ba era andato a fare provviste nel reparto meccanica. Miles con un segno del capo lo indicò a Roic il cui viso s’illuminò e un sorriso tranquillizzante apparve sulla sua bocca.

L’armiere indicò con l’indice guantato prima se stesso, poi la porta; Miles scosse il capo e gli fece segno di avvicinarsi.

— Appena tu avrai forzato la porta, per primo entro io — gli disse. — Devo prendere quella valigetta prima che il ba possa reagire.

Roic si guardò intorno, prese fiato, e annuì.

Adesso. Aspettare non giovava a nessuno.

Roic si chinò, appoggiò le mani guantate e aperte sulla porta, spinse e tirò. I motori della sua tuta da lavoro gemettero per lo sforzo, ma infine la porta si schiuse cigolando.

Miles scivolò subito dentro. Non si guardò attorno; il suo mondo si era ristretto a un solo obiettivo, un solo oggetto. Il congelatore… lì, ancora sul sedile dell’ufficiale delle comunicazioni. Balzò, l’afferrò, e la sollevò al petto come uno scudo.

Il ba, preso alla sprovvista dalla sorpresa, urlò e la sua mano andò subito in tasca per impugnare l’arma.

Ma ormai Miles aveva trovato i pulsanti che aprivano le serrature della valigetta. Se fosse rimasta chiusa, l’avrebbe scagliata contro il cetagandano, se invece si apriva… e così fece. Subito la spalancò, la scosse e la fece roteare.

Una cascata d’argento, formata da un migliaio di minuscole siringhe per la conservazione criogenica, si riversò fuori e rimbalzò a caso sul ponte. Alcune si frantumarono all’impatto, con piccole note cristalline come insetti morenti; altre rotolarono sul pavimento, andando in ogni angolo.

A quel punto, l’urlo del cetagandano divenne straziante; le sue mani scattarono verso Miles come in un gesto di supplica, di negazione, di disperazione. Il ba avanzava verso di lui con il viso grigio contorto dallo shock e dall’incredulità.

Ma le mani di Roic lo bloccarono afferrandogli i polsi e sollevandolo da terra. Le ossa dei polsi si frantumarono per la ferrea stretta dei guanti della tuta da lavoro e il sangue zampillò. Il ba si agitò convulsamente e i suoi occhi stravolti rotearono all’indietro. Le sue urla si tramutarono in uno strano gemito che si affievoliva poco a poco, mentre con i piedi tentava inutilmente di colpire l’armiere. Ma Roic rimase fermo, impassibile, tenendolo sollevato, impotente.

Miles lasciò cadere il congelatore che atterrò sul pavimento con un tonfo, e riattivò l’audio del suo comunicatore.

— Abbiamo catturato il ba — comunicò. — Mandate subito rinforzi con tute anticontaminazione. Non c’è bisogno di armi per… — Ma non riuscì a finire quello che stava dicendo.

Le ginocchia gli si piegarono e si accasciò a terra, ridendo in modo irrefrenabile. Poi vide che Corbeau si era alzato e stava per soccorrerlo, allora gli fece cenno di allontanarsi.

— Sta’ indietro! Sto per…

Riuscì ad aprire la visiera appena in tempo. I conati e gli spasmi che gli torcevano lo stomaco questa volta erano molto più violenti. È tutto finito pensò. Adesso posso morire.

Ma si illudeva: non era tutto finito, tutt’altro. Greenlaw si era preoccupata per cinquantamila vite. Ora toccava a lui salvarle.

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