Lo vide arrivare. Anche nel buio della notte poteva scorgere in lontananza la figura che si stava muovendo verso di lui.
Quando si era fatto troppo buio per continuare a viaggiare e ormai i muscoli delle braccia e delle gambe gli dolevano, Axxter aveva fissato saldamente le corde, sistemandosi il più possibile vicino al muro. Per dormire; o, almeno, per sembrare addormentato.
Si aspettava che il misterioso benefattore, la persona che gli aveva lasciato il pane, si sarebbe fatta viva quando ormai il sole fosse calato dietro alla barriera delle nuvole. Durante tutto il viaggio aveva avuto l’impressione che qualcuno lo stesse seguendo. Non si trattava di quella folle ragazza — immaginò che, pazza o meno che fosse, avesse davvero parecchie cose da fare. Nemmeno del megassassino; se fosse stato abbastanza vicino da individuarlo, avrebbe già messo a fuoco e fiamme la distanza che li separava, piombando su di lui e riducendolo a carne trita. A meno che non ci fosse qualcun altro su quel settore, doveva trattarsi di chi gli aveva procurato il cibo. Sperò che fosse così: un intero giorno di cammino l’aveva stremato e gli sembrava di morire di fame.
Eccolo di nuovo. La fame e il mistero in cui era avvolto avevano affinato i suoi sensi. Poteva sentirlo, qualcosa che si avvicinava, un rumore di metallo contro il metallo che strisciava lungo il muro. Chiuse gli occhi e attese.
Il suo respiro era tranquillo e regolare. Axxter avvertì una certa eccitazione nell’aria. Fino a quando non gli fu vicino…
Si girò e lo afferrò. Per un attimo il suo braccio strinse la vita di quell’essere, attirandolo a sé. Questi emise un forte grugnito, in parte per la sorpresa, in parte per il dolore, perché, afferrandolo, Axxter l’aveva colpito allo stomaco con la testa.
— Figlio di puttana… — Un pugno colpì Axxter alla testa e lo stordì. Questi abbandonò la presa e fu spinto indietro, verso le corde.
Si accese una torcia e Axxter se la trovò puntata in faccia. Si coprì gli occhi; abbassando un poco la mano, vide davanti a sé un uomo scarsamente illuminato dal fascio di luce che si rifletteva sul muro.
L’uomo si raddrizzò e respirò profondamente. — Cristo… — un altro respiro. — Fai un favore a qualcuno ed ecco cosa ci guadagni.
Axxter vide un viso lungo, stretto, un po’ spigoloso e delle mani simili a ragni che tenevano la torcia come fosse una clava, pronta a scattare in caso succedesse qualcos’altro.
— Bel modo di comportarsi. — L’uomo si toccò la cassa toracica. — Avresti potuto uccidermi.
Non erano proprio le sue mani, notò Axxter. Alle estremità delle dita indossava delle specie di uncini a ventaglio, legati agli avambracci. Non erano fatti di metallo, ma di un materiale nero che si piegò come fosse gomma quando l’uomo li appoggiò alla giacca.
— Mi dispiace — Axxter scosse il capo, cercando di liberarsi di un ronzio che aveva nelle orecchie. — Ma tu eri qui intorno in agguato.
— Naturalmente. Mi aspettavo una reazione simile. Voi abitanti della zona del giorno siete tutti uguali… siete sempre pronti a combattere in ogni momento.
Voi abitanti della zona del giorno… era facile capire cosa significava. — Tu appartieni alla zona della sera?
— Ci sono nato e cresciuto. Il mio nome è Sai. Tieni, pensavo che potesse servirti. — Infilò una mano nello zaino che aveva sulle spalle e prese qualcosa.
Altro pane piatto. Axxter lo prese e ne staccò un pezzo, ma prima di metterselo in bocca, chiese: — Perché?
— Perché cosa? Il cibo? Sapevo che ne avevi bisogno, bloccato qui in questo modo. Non volevo vederti morire di fame, senza che tu avessi una possibilità di tornare a casa. — Prese dallo zaino una borraccia d’acqua e ne bevve una sorsata prima di porgergliela. — Mi sembrava molto crudele. Essere conciati in questo modo. Voglio dire, se davvero vuoi attraversare l’edificio per tornare a casa, mi sembra giusto che tu abbia una reale possibilità di farcela.
Axxter masticò e ingoiò. — Cosa sai di questa storia?
Una scrollata di spalle. — So molte cose. Conosco molte più cose su di te, di quanto tu non ne conosca di me e di come funzioni la vita quaggiù. Ma vedi, questo è da far risalire alla profonda divisione psichica che hai in testa; e l’edificio può essere visto come una rappresentazione esteriore, un’enorme immagine riflessa di questa scissione. La zona del giorno è tutta luce, superficie e azione; mentre da queste parti la vita si svolge al di là delle apparenze, nel pensiero e nella conoscenza. Molto filosofico.
Un altro pazzo. Questo tempo sembra pullulare di folli. Il pane era buono, però.
— Ehi, non guardarmi in quel modo. — Sai gli aveva letto nel pensiero. — Il fatto che tu non capisca quello che dico è un’ulteriore dimostrazione della tua radicata appartenenza alla zòna del giorno.
— Forse è così — Axxter aveva già finito una delle due pagnotte piatte. — Non ho molto tempo per discutere. Ho un sacco di problemi in questo momento.
— Questo è vero. Spero che non ti dispiaccia, ma ho ascoltato la chiamata del tuo agente. Mi sono introdotto sulla linea. Quell’affare del megassassino sarà un bel casino. Quei tipi sono costruiti per muoversi velocemente — Sai si grattò con uno degli uncini di gomma. — Ti sarà sotto il culo prima ancora che tu te ne accorga.
Questo pazzo sembra più utile del precedente. O almeno mi sembra più preoccupato. — Bene, sto cercando di procedere il più velocemente possibile… ma è davvero difficile.
— Questo avviene perché vi siete resi schiavi di quelle moto. Pensate che solo facendo rumore sia possibile muoversi — Sai sollevò una mano, illuminando la contrazione degli uncini. — Più le cose sono semplici e meglio è. Con questi si può essere davvero veloci. — Prese un altro paio di quegli aggeggi dallo zaino, che restò del tutto vuoto. Cinturini di cuoio e fibbie penzolavano dagli uncini. — Non potrò mostrarti bene come funzionano finché non ci sarà più luce. Possono essere un po’ complicati finché non ti abitui a usarli bene.
Axxter esaminò gli uncini; avevano dei piccoli sensori sulle punte, simili a quelli delle sue corde.
— Dormiamo un po’ — Sai estrasse delle corde dalla sua cintura, se le passò sul petto e le fissò al muro. — Ci metteremo in moto non appena ci sarà luce. — Incrociò le braccia e chiuse gli occhi.
— Non capisco — Axxter si legò gli uncini alla cintura. — Perché stai facendo tutto questo? Cosa ci guadagni?
L’uomo aprì un occhio e lo guardò. — Sei la cosa più interessante che sia capitata qui intorno da molto tempo. Non lo sai, ma tu sei qualcosa di… storico. — Richiuse l’occhio e abbassò il mento sul petto. — Vedrai.
Axxter infilò una mano nella tasca della giacca e staccò un pezzo di pane. Per un po’ continuò a masticare e a osservare la figura che dormiva accanto a lui.
— Forza, devi lasciarti trasportare da loro. Ondeggia un po’ mentre ti muovi — Sai, molti metri sopra di lui si era girato a guardarlo, aspettando che lo raggiungesse.
Gli uncini da viaggio — come li chiamava Sai — lo avevano spaventato inizialmente. Axxter si era aggrappato al muro, con le mani piatte sul metallo freddo, cercando di riprendere fiato. A metà mattinata, quando Sai gli aveva applicato per la prima volta quegli affari sulle braccia, aveva dovuto compiere un vero e proprio atto di fede nei suoi confronti, rinunciando a usare le corde della cintura e degli stivali. Le sue ancore di salvezza; gli tornarono la vecchia nausea e la paura che aveva provato appena arrivato sul verticale. Gli girava la testa e l’immobile edificio sembrava rullare e tremare tutte le volte che si guardava alle sue spalle, verso la barriera di nuvole. Poi quella sensazione era scomparsa, ma gli ci erano voluti ancora molti minuti prima che trovasse il coraggio di usare gli uncini come gli aveva mostrato Sai, ancorandosi con uno degli aggeggi mentre dondolava come una scimmia e si attorcigliava per riuscire a raggiungere un appiglio dopo l’altro.
Malgrado l’esitazione di Axxter, erano comunque veloci; quando il sole raggiunse la vetta dell’edificio, Axxter calcolò che lui e Sai avevano già percorso il doppio della distanza che egli aveva coperto nel suo spostamento precedente. Una volta che fossero riusciti a prendere il ritmo, con la particolare torsione degli uncini che si ancoravano e poi giravano intorno a se stessi… Le poche volte in cui Axxter aveva mancato la presa, gli era venuto un crampo allo stomaco al pensiero di cadere di nuovo a capofitto. Poi Sai ebbe pietà di lui e gli spiegò come funzionavano i congegni del sistema interdipendente: il primo uncino di ancoraggio si sganciava solo un microsecondo dopo che l’altro aveva trovato una nuova presa.
— Muoviti… — Lo chiamò Sai — Non hai tempo da perdere, amico.
Un’altra ora di viaggio; Axxter raggiunse il punto in cui Sai si era fissato comodamente al muro. Gli facevano male le braccia e le spalle; se le massaggiò, dopo avere agganciato tutte le corde di sicurezza.
— Ti abituerai in fretta — Sai indicò la mano di Axxter che stava massaggiandosi un bicipite. — Si tratta solo della novità del movimento, tutto qui. Sono gli uncini a fare lo sforzo maggiore. — Prese del pane e dell’acqua. — È ora della pausa.
Masticando, Sai indicò il cielo. — Ehi, ecco là il tuo piccolo amico.
Axxter girò la testa e vide la figura lontana dell’angelo. Lahft; quando questa si avvicinò un po’, la riconobbe immediatamente, con il suo sorriso felice.
Fluttuò nell’aria accanto a lui; era così vicina da poterla toccare. — Ciao! Ciao! Stai cadendo?
Axxter si spinse indietro e scosse il capo. — No. Almeno, non ancora.
Con piccoli movimenti, l’angelo si girò e si guardò la membrana sferica. — Fallo ancora. Fallo più bello.
I disegni che aveva programmato sul biofoglio che le aveva innestato erano ancora lì. Si è stancata di questo. Una delle peggiori caratteristiche del tempo: ogni cosa diventa vecchia alla fine. Non era sicuro di averle fatto davvero un favore, rivelandole il concetto di tempo e privandola di quell’ultima briciola di innocenza.
— Credo di potere… — Non aveva provato a trasmettere alcun segnale con la sua ricetrasmittente; visto che l’orbita della Piccola Luna non contemplava quella parte dell’edificio, gli era sembrato del tutto inutile. Ma ora aveva il destinatario proprio davanti a sé… — D’accordo. Cosa ne pensi di questo? — Dal suo archivio scelse una tigre che giocava con una farfalla, la codificò e la trasmise a meno di un metro di distanza. Appena l’immagine scomparve dal suo schermo, la vide apparire sulla membrana di Lahft.
— Carino! — L’angelo si girò per ammirarsi e poi lo guardò. — Sì, è carino. — Il sole che filtrava attraverso la membrana la rendeva radiosa, una delicata rosa incandescente. — È la miglior cosa che abbia mai avuto.
Accanto a lui, Sai annuiva. — È davvero un peccato che lavori così belli vengano sprecati per quel branco di animali.
Lahft non li stava ascoltando, lasciandosi trasportare dal vento. — Ehi! — Axxter la chiamò. — Torna a trovarci ogni tanto, tutte le volte che vuoi, e te ne farò un altro nuovo!
Lei considerò la proposta, mettendosi un dito sul mento. Poi tornò a sorridere. — Quando tu vuoi. Tu qui e io… — Allungò il braccio per indicare un punto distante nel cielo. — Tu fai tu… carino, ma su di me. Poi io vengo qui. Da te. — Si era già spostata di parecchi metri e aveva dovuto gridare le ultime parole. In un attimo se n’era andata, diventando un minuscolo puntino.
Sai sbadigliò, stiracchiandosi di fronte a lui. — Gli angeli sono in gamba. Sarebbe molto peggio se tu non avessi buoni rapporti con loro.
Si rese conto che Lahft non aveva mostrato la solita timidezza degli angeli nei confronti di Sai. Come se fosse abituata a lui o comunque non ne fosse affatto spaventata.
— Penso di sì. Però non vedo come possano aiutarmi.
Sai fece spallucce. — Vedi, è come quelle vecchie storie, le vecchie leggende, in cui i bambini salvano le formiche e gli uccelli. E poi vengono ricompensati, salvandosi la vita proprio all’ultima pagina grazie a quegli stessi animali. Non si sa mai.
Non era la prima volta in cui Axxter non aveva idea di cosa diavolo gli stessero parlando. — E cosa mi dici di quell’altra? Quella ragazza? — Egli suppose che Sai, avendolo spiato, avesse visto il loro incontro. — Credo che anche lei possa essere utile, allora.
— Quella viaggiatrice di circuiti? — Sai grugnì. — Faresti bene a stare alla larga da lei. Gente come quella può causarti un sacco di guai.
— Già, sembrava davvero demente. Parlava di muoversi, insinuandosi in corpi diversi. Come se ne avesse un guardaroba intero, o qualcosa del genere.
Sai scosse il capo. — Non volevo dir questo. Se fosse pazza davvero, non avrebbe un grande potenziale per procurare guai. Ma lei può realmente fare quello che ti ha detto… ecco perché porta sempre cattive notizie. — Strinse i cinturini dei suoi uncini. — Forza, dobbiamo muoverci.
— Eccoci. Eccolo — Sai indicò un punto davanti a loro.
Riprendendo fiato, Axxter guardò il muro. La superficie dell’edificio era tinta del rosso del tramonto. L’entrata del cunicolo sembrava un buco nero in mezzo alla luce riflessa di un fuoco.
Sai aveva spinto, in modo da raggiungere il posto prima del tramonto. L’abilità di Axxter nell’usare gli uncini era molto migliorata e questo aveva permesso loro di aumentare la velocità, ma il viaggio l’aveva stremato e gli aveva procurato dolori lungo le braccia.
— Te l’avevo detto che ti avrei portato qui — Sai gli diede una pacca sulle spalle. — Forza.
Lo guidò fino al bordo di quel buco. Axxter si morse le labbra e guardò all’interno. Niente, se non il buio.
— Dovrebbe esserci qualcuno dei miei amici intorno. Li avevo avvertiti di aspettarmi qui. — Sai infilò la testa nel buco ed emise un grido acuto, che riecheggiò all’interno dell’edificio per qualche secondo. Poi, un urlo in risposta. — Bene, entriamo. — Cominciò a slacciarsi le cinghie degli uncini.
Axxter si allontanò da lui. — Aspetta. I tuoi amici, gente come te, vive lì dentro? — E lanciò un’altra occhiata all’oscurità all’interno dell’edificio.
Sai si legò gli uncini alla cintura. — Be’, certo. Dove altrimenti?
Axxter si spostò ancora, scosso da un improvviso orrore. — Io pensavo… io pensavo che tu fossi un abitante della zona della sera. Io credevo che tu vivessi qui fuori. — E con un gesto indicò l’esterno dell’edificio.
— E allora? — Sai lo fissò. — Che differenza fa?
Axxter capì. — Tu vieni da lì dentro. — Si allontanò ancora dall’uomo, mentre le parole Centri dei Morti, impronunciabili, gli riempirono la bocca. Quell’uomo, quella figura sorridente che l’aveva accompagnato fino a lì, e tutti quelli come lui all’interno, che si chiamavano con ululati simili a quelli dei lupi…
Sai provò ad avvicinarsi. — Forza… non fare lo scemo…
Axxter cercò di colpirlo con gli uncini. Sai balzò all’indietro per evitare le punte affilate.
— Stammi lontano — Axxter continuava a strisciare via, usando le corde di sicurezza. Aveva gli uncini sollevati tra sé e Sai, usandoli come un’arma. — Non ti avvicinare. So chi sei. So cosa vuoi.
Sai lo guardò con disgusto. — Tu non sai un bel niente — Scosse il capo, si girò ed entrò nel buio del cunicolo.
— Questa è stata una delle tue mosse più stupide.
Sentì una voce alle sue spalle; Axxter, sussultando, girò la testa e vide Fellonia aggrappata al muro che lo guardava con aria di superiorità.
Lei annuì e guardò l’entrata del tunnel in cui Sai era scomparso. — Perché hai trattato male quel tipo? Ti stava facendo un favore. Ti ha accompagnato fino a qui e tutto il resto.
Axxter guardò prima il buco nero, poi la donna. — Non è … non è uno di loro?
— “Uno di loro”… uno di loro chi?
— Lo sai benissimo. — Non voleva ancora pronunciare quelle parole.
— Intendi i Centri dei Morti?
Axxter annuì.
— Cristo onnipotente — Fellonia alzò lo sguardo al cielo. — È di questo che hai paura? E se anche lo fosse? Ti stai spaventando per niente, ragazzo. Non c’è proprio da preoccuparsi per la gente dei Centri dei Morti. Sono innocui.
Questo dimostra che è matta. O ignorante… forse non ha mai visto le cose che hanno fatto, come quel settore bruciato sull’altra parte dell’edificio. — Be’… per quanto ne so io le cose stanno in un altro modo.
Fellonia sbuffò ironicamente, considerandolo un idiota. — Ci sono un sacco di cose che credete di sapere. E nessuna è vera.
Irritato, Axxter distolse lo sguardo da lei, esaminando la superficie dell’edificio. L’ultima luce del tramonto stava svanendo e le nuvole erano tinte di un rosso sempre più scuro. Voleva allontanarsi dall’entrata del tunnel, senza però perderla di vista; se Sai e i suoi amici fossero usciti di lì, voleva avere un buon vantaggio su di loro.
Inoltre doveva occuparsi di un’altra cosa. L’aveva quasi dimenticata: forse per lo spavento di aver scoperto la vera natura di Sai. — Sai dove posso trovare una presa per le comunicazioni qui intorno?
— Devi fare una chiamata? Non ci sono problemi. So esattamente dove si trovano tutte le prese.
Axxter la seguì, spostandosi diagonalmente lungo il muro; la ragazza non sembrava abile nel muoversi con le corde, come se non le avesse mai usate molto. A un chilometro di distanza dall’entrata vide i cerchi gialli e concentrici che indicavano la presenza di una presa.
— Eccoti qui — Fellonia si fissò al muro vicino alla presa.
Non appena inserì il dito nella presa, Axxter scoprì che una chiamata registrata lo stava aspettando. NY, PUOI AVERE L’ESATTA POSIZIONE DEL MEGASSASSINO CHIEDENDO DIRETTAMENTE ALLA CHIEDI RICEVI. TIENITI IN CONTATTO, BREVIS. Era strano; il suo agente sapeva già quello che avrebbe voluto chiedergli. Probabilmente la Folla Devastante stava pubblicizzando le mosse del megassassino, giusto per tenere vivo l’interesse del pubblico e accrescere la loro reputazione. Puoi fuggire, ma non ti puoi nascondere… funzionava sempre.
Chiamando la Chiedi Ricevi scoprì che il megassassino si trovava ancora molto vicino alla Fiera Equatoriale, che aveva attraversato il giorno prima.
È ancora più strano. Axxter chiuse la comunicazione e si appoggiò al muro. Pensava che il megassassino fosse molto più vicino; non sarebbe stato affatto felice di sapere che era appena al di sotto della curva dell’edificio, che l’aveva già individuato e che era pronto a saltargli addosso, ma non si sarebbe affatto stupito di scoprire che le cose stavano proprio così. Quegli esseri non erano forse programmati per essere molto veloci? Aveva sempre sentito dire, che una volta messi in moto sono inarrestabili, perché accumulano velocità e colpiscono i loro bersagli sia per la forza dell’impatto, sia per tutti gli aggeggi trapiantati sui loro corpi che una volta erano stati umani. Questo sembrava che avesse adottato una velocità da crociera per raggiungerlo.
— E allora, qual è il problema? — Fellonia era riuscita a leggere il messaggio. — Questo significa che hai un attimo di respiro.
Axxter si rosicchiò un’unghia. — Semplicemente non ha senso. Se la Folla Devastante vuole sottolineare la tragicità di questa mossa, deve per forza desiderare che quell’essere mi raggiunga in fretta e che non si diverta a gironzolare da qualche parte sul muro.
— E tu saresti quello che sa sempre tutto? Ma non capisci cosa sta succedendo, esatto?
— Cosa vuoi dire?
Lei aprì le mani, con i palmi rivolti verso l’alto. — Ehi, forse questi megassassini non sono poi quello che si crede. O forse sono davvero forti, ma sono del tutto privi di altre abilità. Per esempio, potrebbero non essere così bravi nel seguire le tracce della gente. Potrebbe aver avuto difficoltà a trovare le tue… sei arrivato su questa parte dell’edificio per via aerea, non dimenticarlo.
Axxter scosse il capo. — Avrebbe dovuto avere la mia posizione grazie alla presa che ho usato per comunicare. Questa storia continua a non aver senso.
— Senso, senso… devi sempre preoccuparti di ogni piccola cosa, buona o cattiva che sia? Limitati a considerarti fortunato. Almeno per il momento.
Era facile per lei parlare così… Axxter l’osservò. — Ehi, da quanto tempo ci stavi seguendo?
Alzò le spalle. — Abbastanza.
— Hai sentito quello di cui stavamo parlando?
— Vuoi dire se ho sentito quello che ha detto Sai su di me? Sì, l’ho sentito. E allora? — Il suo sorriso divenne ancor più luminoso.
— Quel tipo ha ragione. No, non sono pazza, ma posso causare un sacco di guai. — Si allungò e afferrò un nuovo appiglio. — Ho degli affari di cui occuparmi. Ci vediamo!
Durante la notte, Axxter fu combattuto se chiamare o meno la Chiedi Ricevi e controllare se avessero raccolto altre informazioni utili. Alla fine decise che sarebbe stato meglio di no: ne aveva abbastanza per proseguire e poi qualunque altra notizia l’avrebbe confuso anche di più.
Appena ci fu abbastanza luce, si diresse di nuovo verso l’entrata. Durante le ore di buio in cui aveva aspettato, si era concentrato su qualsiasi rumore che provenisse da Sai o dai Centri dei Morti: una delle loro ululanti chiamate; ma non aveva sentito niente se non l’eterno silenzio dell’edificio. Ora, affacciandosi al bordo dell’ingresso, sbirciò nel buio, cercando un qualsiasi segno di movimento.
Ancora niente. Forza! Il rotondo bordo metallico si appannava col suo respiro. Forza, entra e guarda cosa trovi.
Forse Fellonia aveva ragione; forse non c’era nulla da temere dai Centri dei Morti. Sembrava sapere molte cose sulla zona della sera, molte più di quante non ne sapesse lui. I suoi affari l’avevano probabilmente condotta in ogni zona del Cilindro; in qualche modo lei era un’autorità. Sempre che non sia folle… quella era l’altra possibilità. Aveva solo la parola di Sai che non fosse pazza, che tutte le strane cose che diceva non erano frutto di una mente malata. Ma se Sai era un abitante dei Centri dei Morti, allora fino a che punto poteva fidarsi di lui? Forse anche Sai aveva le sue misteriose ragioni per far sì che lui reputasse Fellonia davvero in grado di fare quanto gli aveva detto; qualche perfido disegno che Axxter non aveva ancora compreso. Ma se non poteva fidarsi di Sai e Fellonia — e perché mai avrebbe dovuto? — allora non poteva credere a quello che Fellonia aveva detto sui Centri dei Morti…
Continuava a ripensarci, come in un vortice, nel buio profondo simile a quello dell’entrata del tunnel. Doveva fidarsi di entrambi, Sai e Fellonia, oppure di nessuno dei due.
Era uno spreco di tempo cercare di capire, lo sapeva. Comunque fosse, era ancora su quella parte dell’edificio e tutto quello che voleva — tutta la sua vita — era sull’altra, molto, molto lontano. Preoccuparsi di chi gli stesse mentendo, come se fosse un affare di stato, era solo un modo per evitare di entrare nell’oscurità spaventosa del tunnel. Lontano dalla luce, in quella infinita notte all’interno dell’edificio. Un territorio difficile e spettrale.
Oppure, avrebbe potuto scegliere di morire di fame là fuori. Axxter respirò profondamente e scivolò nel cunicolo. Lentamente si alzò in piedi, avvertendo una solida superficie orizzontale sotto ai piedi: era da molto che non provava quella sensazione. Si liberò immediatamente della continua tensione a cui era sottoposto quando si muoveva sul mondo verticale e fu una sensazione così piacevole da allontanare anche la paura.
Con prudenza fece qualche passo avanti, spostandosi dalla luce che filtrava dall’apertura. Qualunque fosse l’intenzione di Sai e degù altri abitanti dei Centri dei Morti verso di lui, non aveva certo migliorato la situazione minacciando Sai con gli uncini da viaggio. Quell’atteggiamento avrebbe fatto imbestialire anche la persona più gentile, soprattutto quando si trattava della ricompensa per i vari favori che gli aveva reso. Doveva stare in guardia.
A parte quella preoccupazione, non era poi così male trovarsi dentro l’edificio. C’era perfino un’illuminazione: file parallele di una debole luce bluastra sul soffitto; non le aveva viste dall’esterno. Forse ce la farò. Ci rifletté mentre camminava. Forse doveva solo continuare a mettere un piede dopo l’altro, continuare a camminare, senza smettere; forse avrebbe trovato del cibo dei Centri dei Morti, una grande pila di quelle pagnotte rotonde, forse Sai o qualcun altro avrebbe riallacciato i rapporti con lui, lasciandogli qualche piccolo dono mentre lui dormiva… Il pensiero continuava a frullargli in testa, mentre l’apertura del tunnel si faceva sempre più piccola alle sue spalle.
Avvertì uno strano odore provenire da un cunicolo secondario. Assomigliava a quello della benzina, era acre, pungente. Aveva invaso l’aria con un’ondata di calore. Poteva venire da una specie di macchina. Ebbe solo un attimo per fare ipotesi sull’origine di quell’odore, quando qualcosa uscì improvvisamente dal buio e lo colpì violentemente al petto. Axxter cadde all’indietro, volando per un breve tratto, per poi cadere battendo la testa e le spalle contro il pavimento. Stordito, scrollò il capo, cercando di rimettere a fuoco ciò che aveva davanti a sé. Il megassassino.
Non sapeva che potesse sorridere.
Era tutto nero, oscurità nell’oscurità, una grande macchina puzzolente d’olio e metallo surriscaldato e allo stesso tempo di odori umani, quali merda e sudore. Ad Axxter, che si trovava ancora a terra, quella massa impediva di vedere qualsiasi altra cosa, come se le sue enormi spalle arrivassero al soffitto del cunicolo.
L’essere lo guardò con i piccoli punti rossi che aveva al posto degli occhi e sorrise quando il suo petto si aprì mostrandogli immagini che stavano per prendere vita. Al centro, si trovava l’icona di morte.
Almeno non è la mia. È il lavoro di qualcun altro, un caos di vermi neri con i teschi che digrignavano i denti affilati, mentre si contorcevano intorno a un cuore pieno di spine. Sarebbe stato troppo essere uccisi da qualcosa che portava la sua stessa firma.
Eppure — il cervello di Axxter fu invaso da una strana lucidità, calma e serena — avrebbe potuto essere piacevole. Avere il suo lavoro inciso sull’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua.
Guardò verso l’alto, il ghigno del megassassino. Gli aggeggi orbitanti che aveva all’estremità delle braccia si stavano dirigendo verso di lui.
Poi ci fu l’esplosione e tutto ciò che Axxter vide furono il fumo e le fiamme.
— Che cazzo… — Il pavimento del cunicolo era stato attraversato da una scossa tanto forte da far cadere il megassassino. Axxter venne scagliato contro il muro in cui si era aperta una profonda crepa.
Una mano emerse dal fumo e lo afferrò per un braccio. — Forza… — Una voce che aveva già sentito. — Da questa parte…
Si lasciò trascinare attraverso quell’apertura nel muro. La forte presa di Fellonia lo costringeva a correre. Dietro a sé, udì l’urlo terribile del megassassino riecheggiare per tutto l’edificio.