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Quello era giorno di mercato a Megateopoli e, in genere, quando c’era mercato, la Grande Piazza pullulava di gente quasi fino all’ora del coprifuoco. Ma quel pomeriggio, il sole non era ancora tramontato, che già i cittadini comuni stavano raccogliendo le loro mercanzie e si affrettavano verso casa.

Gli affari erano stati piuttosto magri. Il pensiero della notte che stava per calare aveva fatto passare a tutti la voglia di comprare.

Per tutta la giornata si era aggirato in mezzo a loro un mercante invisibile, che dava via la sua merce gratis: il suo nome era Terrore.

Chi osava rientrare a casa al crepuscolo e correre il rischio di imbattersi in una di quelle enormi bestie grigie, con gli occhi iniettati di sangue, che la notte precedente erano state viste aggirarsi furtive nei vicoli della città? O rischiare di trovare la strada di casa oscurata da quella tenebra silenziosa e infida che aveva costretto una pattuglia di diaconi a cercar rifugio nell’abitazione di un popolano? Umder Chom, il fabbro che li aveva ospitati, aveva dichiarato che erano più spaventati di lui.

Tutti avevano qualcosa di terribile o di portentoso da raccontare e centinaia di storie bisbigliate di orecchio in orecchio avevano fatto il giro del mercato assai più rapidamente dei manufatti esposti. In molti giuravano di aver visto gli angeli sfrecciare in cielo: “grandi esseri alati con il volto ardente”, segno che finalmente il Grande Dio mostrava di preoccuparsi delle tribolazioni che affliggevano le sue creature. Ma a queste notizie rassicuranti facevano riscontro altre voci, spaventose e inquietanti, secondo cui gli stessi sacerdoti erano terrorizzati da quanto stava accadendo.

Naturalmente queste voci avevano raggiunto tutti i cittadini comuni, benché ognuno di loro vi accennasse con estrema cautela e, prima di aprir bocca, si guardasse attorno con circospezione per accertarsi che non vi fossero diaconi a portata di orecchio. Si mormorava che un sacerdote fosse fuggito a gambe levate da una cappella nella quale stava celebrando, perché qualcosa di invisibile lo aveva afferrato alla gola mentre predicava. Altri riferivano di un gruppo di popolani che, mentre rientravano di sera dai campi, erano stati abbandonati dal sacerdote che aveva il compito di scortarli e di proteggerli contro le forze del male.

Qualcuno aveva addirittura raccontato che prima dell’alba un bambino era morto del Mal Soffocante, perché nessun prete del Terzo Circolo aveva accettato di uscire dal Santuario.

Ma vi erano anche altri segnali che indicavano che la Gerarchia era spaventata. Da due giorni continuavano ad affluire alla spicciolata in città gruppi di preti di campagna. Alcuni sostenevano che fossero venuti a Megateopoli per celebrare una festa religiosa, ma altri sussurravano che cercassero la protezione del Grande Santuario. Quest’ultima voce trovava conferma nei racconti dei contadini che erano venuti al mercato. I contadini, che erano più schietti della gente di città, avevano riferito, senza mezzi termini, che molti santuari rurali erano stati abbandonati e che il lavoro nei campi era pressoché fermo.

I mercanti che erano giunti dai centri vicini, chi a dorso di mulo, chi a bordo di carri, avevano dichiarato che anche in quelle città i servi di Satanas erano all’opera, e non si erano mostrati per nulla sbigottiti nell’apprendere che Megateopoli fosse sottoposta a un simile assedio.

Satanas rideva. La terra tremava. E il Grande Dio non se ne curava.

Così, a poco a poco, fra i cittadini comuni scoppiò una discussione sulla vigliaccheria dei sacerdoti. Ecco quello che pensavano gli uomini e le donne del popolo: — Perché i preti non ci proteggono? Abbiamo confessato i nostri peccati già due volte. Ci siamo pentiti e siamo ritornati sulla retta via. Allora perché continuano a farci vivere nel terrore? Loro dicono che è una prova, ma se è davvero una prova è durata fin troppo. Hanno sempre sostenuto di essere in grado di sconfiggere Satanas in qualsiasi momento. E allora perché non lo fanno?

Rabbia e paura: erano questi i sentimenti che si agitavano nel cuore dei cittadini comuni che lasciavano la Grande Piazza, o per lo meno questa fu l’impressione che ebbe Sharlson Naurya, scivolando furtivamente fra di loro. Lo si intuiva dal modo in cui litigavano per il diritto di precedenza e altre quisquilie del genere, dalle accuse di furto che si scambiavano l’un l’altro e dai ceffoni che assestavano ai figli quando restavano indietro.

La confusione creata da quei bisticci era propizia per la ragazza, perché teneva occupati i pochi preti e diaconi presenti.

Era consapevole di correre un grosso rischio e di disobbedire agli ordini di Asmodeo, ma la scomparsa dell’Uomo Nero e di Jarles aveva profondamente cambiato la situazione. Jarles aveva lasciato la casa di Madre Jujy per rimettersi in contatto con la Stregoneria e l’Uomo Nero era andato a incontrarlo. Questo era tutto quello che Drick era riuscito a scoprire.

Così, vestita come una popolana, lo scialle stretto intorno alla testa, Sharlson Naurya si era mescolata alla folla che gremiva la grande piazza, come una giovane madre alla ricerca dei figli scomparsi.

Ed era proprio come una madre che si sentiva in quel momento. Perché se era vero che lei era innamorata di uno dei due uomini, a volte le sembravano i suoi figli. L’Uomo Nero, il cocco un po’ viziato: intelligente e buono d’animo, ma anche sfrontato, monello e incosciente. Jarles, quello più serio, cocciuto e tormentato dai dilemmi morali.

A un tratto, all’angolo con una delle viuzze che confluivano nella piazza, vide un cittadino comune della medesima corporatura di Jarles. Istintivamente accelerò il passo. L’uomo aveva la barba corta e ispida e indossava un cappuccio… Forse per nascondere la tonsura?

Sharlson Naurya gli si avvicinò. Assomigliava a Jarles. Era Jarles. Il suo cuore ebbe un sussulto di gioia, ma al tempo stesso non poté fare a meno di provare una punta di sottile auto-compiacimento. Dunque, secondo Drick, non valeva la pena tenere la riunione, vero? Perché quella sera lei avrebbe portato Jarles direttamente alla riunione delle Congreghe. E allora Drick si sarebbe reso conto di quale nuovo valido soldato lei avesse conquistato alla causa della Stregoneria.

Sharlson Naurya attirò l’attenzione dell’uomo. Poi con un cenno quasi impercettibile del capo, gli fece segno di seguirla nella stradina laterale. Dopo un attimo lui la raggiunse.


L’ebbrezza che Jarles provò quando riconobbe Sharlson Naurya fu istantaneamente smorzata da una certa apprensione. Non aveva sperato di riuscire a mettersi in contatto con la Stregoneria così presto e con tanta facilità, ma al tempo stesso era cosciente che la strada che stava per imboccare era lastricata di pericoli… di minacce al suo benessere fisico. E ultimamente lui aveva incominciato a provare un gran rispetto per quell’involucro di carne e di ossa che racchiudeva il suo io. Una volta che quell’involucro si danneggiava in modo grave, non c’era più modo di riceverne in dotazione uno nuovo!

Proprio non riusciva a capire il motivo che in passato l’aveva spinto a correre rischi tanto folli. Almeno l’avesse fatto per trarne un profitto personale! Ma probabilmente quel comportamento aveva a che vedere con quel suo incredibile spirito idealista di un tempo. Quello era un mistero ancora più grande, e non gli piaceva pensarci: erano cose troppo misere e puerili.

Del resto era naturale che se uno voleva ottenere vantaggi personali e appagare il proprio io dovesse correre dei rischi. Ogni cosa aveva un prezzo. E nessuno faceva mai niente per niente. Era chiaro dunque che se Goniface gli aveva promesso di promuoverlo sacerdote del Quarto Circolo, pretendesse qualcosa in cambio. Era per questo che era indispensabile che lui si imbarcasse nella difficile impresa di tradire la Stregoneria.

Goniface! Quello sì che era un uomo! Jarles non ricordava di aver mai invidiato una persona in vita sua con tanta intensità né di averne ammirata un’altra in modo così profondo, benché a denti stretti. Nemmeno Cugino Deth. Perché l’arciprete possedeva un’ampiezza di vedute e una naturale inclinazione al potere (di cui intimamente sapeva godere come nessun altro) che al diacono mancavano.

L’elevazione al Quarto Circolo, e tutto quello che ciò comportava (e anche qualcosina di più), era una ricompensa che giustificava il rischio. Non poteva esserci peggior sorte di dover avere a che fare con le menti limitate e timide dei sacerdoti dei primi due circoli. Ma ciò non significava che non dovesse usare il buon senso e cercare di ridurre al minimo i rischi.

Per cui fu con mente vigile e occhi aguzzi che Jarles si decise a seguire Sharlson Naurya nel distretto abitato dai cittadini comuni. Notò con un certo piacere le intense sfumature di luce che i raggi rossi del sole riuscivano a strappare da quei muri grezzi. In quegli ultimi giorni era iniziata una nuova vita per lui, infinitamente più piacevole e gratificante di quella precedente. I suoi sensi, la vista, il tatto, l’olfatto e altri più intimi, gli regalavano emozioni mai sperimentate prima di allora. Perché finalmente lui aveva capito quale fosse la sua vera identità: era io puro, assoluto, libero per un certo periodo di assaporare i piaceri del mondo e di imporre al mondo la sua volontà. Una volta capito quello, tutto diventava chiaro come il sole e ogni istante prezioso.

Un vago idealismo aveva reso cieco quell’altro Jarles e incapace di godere di ciò che aveva a portata di mano. Ma adesso quell’altro Jarles non poteva più dargli fastidio… se non nel sonno.

Quando furono abbastanza lontani dalla Grande Piazza, Jarles si affiancò a Sharlson Naurya e da quel momento in poi procedettero appaiati. Gli sembrò saggio dire, a fior di labbra: — Adesso sono con voi fino in fondo. Ho riflettuto a lungo, mentre ero da Madre Jujy e alla fine ho preso la mia decisione.

Come risposta gli giunse la calda, amichevole stretta di mano di Naurya. Quel contatto, così rapido eppur così intimo, ebbe l’effetto di fargli riaffiorare alla mente un dubbio che lo tormentava fin da quando aveva parlato con Goniface.

Goniface aveva dato istruzione molto precise riguardo a Sharlson Naurya, sia a lui sia a Cugino Deth. Se nel corso dell’azione fossero riusciti a catturarla, avrebbero dovuto ucciderla subito.

Naturalmente, se non gli fosse rimasta altra via d’uscita l’avrebbe sacrificata… l’avrebbe soppressa con le sue stesse mani, se fosse stato assolutamente inevitabile. Ma se, senza attirare troppi sospetti su di sé, fosse riuscito a farla sparire misteriosamente, be’ quella sarebbe stata senz’altro la soluzione migliore.

Ma perché a Goniface premeva tanto la sua morte? Era chiaro che lei doveva essere a conoscenza di un paio di segretucci sul suo conto che il caro arciprete preferiva rimanessero tali, ma che forse a lui sarebbero tornati utile per fare carriera più in fretta… Per cui adesso aveva non più una ma due buone ragioni per salvarle la vita, se solo ne avesse avuto l’opportunità.

La luce intensa del tramonto aveva ceduto il posto a quella più tenue del crepuscolo. A un tratto, la sua guida piegò in direzione di un minuscolo tempio in cui, presumibilmente, i cittadini comuni si riunivano a pregare. Nell’oscurità, Jarles riuscì a discernere l’immagine del Grande Dio, l’altare, e alcune piccole panche. Il tempio era vuoto. Sharlson Naurya si avvicinò a una delle pareti a fianco dell’altare, e tastò la cornice di plastica decorata.

Un pesante pannello scivolò di lato e la ragazza oltrepassò rapidamente il varco che si era aperto nel muro. Jarles. invece, indugiò per qualche istante suite soglia, in modo che la valvola dei traccianti radioattivi, che portava legata all’avambraccio sinistro, potesse lasciare in quel punto un segno più marcato e facilitare così la ricerca di Cugino Deth. Con un moto di impazienza, Sharlson Naurya gii fece segno di affrettarsi.

Il pannello si richiuse alle sue spalle. Si ritrovarono in una stretta galleria, scarsamente illuminata da rare e minuscole lampadine. La ragazza tastò di nuovo la cornice, che da quella parte era liscia, per ripristinare il sistema di allarme che aveva disattivato pochi istanti prima. Senza dare nell’occhio, Jarles studiò i suoi movimenti e, quando lei si voltò e si avviò lungo il cunicolo, ne approfittò per allungare la mano nel punto in cui l’aveva vista armeggiare, trovare il pulsante e premerlo. Poi, lesto come un fulmine, la raggiunse.

Alla fine del corridoio, discesero alcuni scalini. Un altro corridoio. Altri scalini. I sensi di Jarles erano tesi allo spasimo.

— Questi passaggi sotterranei risalgono all’Età dell’Oro — gli spiegò Naurya.

A un tratto si fermò.

— L’ingresso alla Camera della Convegno è più avanti, dopo una doppia curva — disse. — Adesso entreremo insieme e io proporrò subito che tu venga accolto come nuovo adepto della Stregoneria. La riunione è già cominciata. Questo — aggiunse toccando il muro — è uno degli ingressi secondari. Li usiamo in caso di emergenza.

Le sue dita fecero scattare un meccanismo e un pannello si aprì.

Il nuovo Jarles pensò e agì rapidamente. Dopo aver regolato il raggio dell’ira, che portava legato al braccio destro, sulla funzione “paralisi”, ne diresse il getto, adesso invisibile e accompagnato soltanto da un debole sibilo, contro il busto della ragazza. Sharlson Naurya si irrigidì: contrasse convulsamente il diaframma, aprì la bocca per urlare, ma neppure un flebile suono uscì dalle sue labbra.

Dopo averla afferrata per un braccio, Jarles la lasciò cadere gentilmente nel cunicolo laterale che lei aveva appena aperto. Poi. contando i secondi, azionò con freddezza il raggio contro la sua testa, e quando ritenne che sarebbe rimasta priva di conoscenza per un sufficiente periodo di tempo, chiuse il pannello e si avviò verso l’ingresso principale della Camera del Convegno.


Tenebra sfumata di rosso e una voce potente e imperiosa. Stagliato contro l’oscurità lievemente meno intensa della parete di fondo, un nutrito cerchio di sagome umane ascoltava la voce. Un trono fosforescente contro la parete e, assisa in esso, una figura pseudo-umana, nera come la pece. Era da quella figura che proveniva la voce.

Nella mente di Jarles riaffiorò il ricordo vivido della prima volta che aveva messo piede in quel luogo. Un ricordo così vivido che per un attimo le due esperienze si sovrapposero, benché adesso lui fosse una persona completamente diversa. Il potere infallibile della memoria di colmare qualsiasi vuoto.

Senza far rumore, indossò gli occhiali per la conversione dei raggi ultravioletti che, dietro suo suggerimento, Cugino Deth gli aveva procurato. Fu come se all’improvviso una pallida luce gialla avesse inondato l’intera stanza. E, contemporaneamente, ogni mistero svanì. Jarles si guardò attorno e quello che vide gli parve della massima normalità, con due sole eccezioni. La Camera del Convegno era una banale stanza lunga e bassa; il cerchio di sagome umane era un gruppo di uomini e donne intenti ad ascoltare, con profonda attenzione, un oratore seduto su un trono completamente disadorno e per nulla imponente. A quella vista, Jarles provò un gratificante senso di superiorità.

Le uniche due presenze di cui non riusciva a comprendere la natura, le due eccezioni per l’appunto, erano l’oratore e una cosa alta che si ergeva dietro al trono.

L’oratore era rimasto una semplice sagoma umana fatta di tenebra: era chiaro che doveva essere avvolto da un campo in grado di assorbire tutte le radiazioni.

La cosa alta che si profilava alle sue spalle sconcertò Jarles a tal punto che indugiò a fissarla confuso, senza nemmeno prestare orecchio alle parole della figura nera. Era sicuro che la volta precedente quell’oggetto non fosse presente nella stanza. Per altezza e conformazione, assomigliava a un angelo; ma il suo viso largo, scuro e senza vita, era di un’incredibile bruttezza, aggravata dalle corna maligne che spuntavano sulla fronte. Per braccia aveva zampe di rettile, che terminavano in lunghi artigli. Era un monolito luciferino, immobile, alto due volte un uomo e un po’ più alto della stanza, cosicché le sue corna si estendevano in quella che sembrava un’ampia nicchia circolare o un orifizio del soffitto.

Doveva trattarsi di una specie di scultura rituale, concluse Jarles. Quelle persone avevano molta fantasia, questo era indubbio; e, forse, erano anche molto intelligenti, ma era altrettanto innegabile che fossero sprovveduti e ingenui come dei bambini. Come si spiegava, altrimenti, la facilità con cui gli avevano permesso di infiltrarsi in una loro riunione segreta?

Paradossalmente, in quel momento l’oratore stava proprio esprimendo quello stesso concetto. Jarles si mise ad ascoltare la voce imperiosa.

— Finora voi avete semplicemente giocato a fare le streghe. È stato un gioco a volte duro e pericoloso, ma comunque, per molti di voi, soltanto un gioco. Siete diventati membri della Stregoneria per lo più per spirito di ribellione, e per un desiderio birbone di esercitare un potere segreto in un mondo in cui la Gerarchia detiene il potere assoluto. Quando io e i miei collaboratori abbiamo concepito e fondato la Stregoneria, abbiamo tenuto conto anche di questo fatto. Sapevamo che per attrarre nuovi seguaci non bastava conquistarli a una grande causa o a un nobile fine. Sapevamo che avreste obbedito ai nostri ordini soltanto se aveste avuto anche la possibilità di divertirvi. Ed è per questo motivo che tutte le volte che uno di voi indulgeva in qualche tiro mancino contro un proprio personale nemico, noi lo abbiamo lasciato fare.

La voce tacque. Con impazienza, una delle persone sedute in circolo ad ascoltare intervenne con una domanda.

— Quello che dici è vero. Ma che cosa vuoi che facciamo adesso, o Asmodeo?

Jarles trasalì. Asmodeo! Ma quello era il nome del capo della Stregoneria! Questo significa che, grazie a lui, quella sera la Gerarchia avrebbe fatto prigionieri illustri. Ma in questo caso, l’elevazione al Quarto Circolo non era più una ricompensa adeguata. Meritava almeno di venir promosso sacerdote del Settimo Circolo! Per fortuna aveva ancora Sharlson Naurya da usare come arma di ricatto contro Goniface, se l’arciprete lo avesse ostacolato.

— Adesso — riprese la voce imperiosa — il gioco è finito. O meglio, è entrato in una fase più delicata. Fino a oggi, nonostante la vostra negligenza e la vostra incoscienza, siete riusciti a riportare successi sorprendenti. Ma, cosa ancora più importante, la Gerarchia ha risposto ai nostri attacchi con estrema lentezza. È un’organizzazione di stampo conservatore, che dal giorno della sua costituzione non si è mai dovuta misurare con un’opposizione degna di tale nome. In più oggi è anche travagliata da dissensi intestini. Così, un po’ per conservatorismo, un po’ per astuzia, un po’ per esigenze di compromesso al suo interno, finora ha adottato una politica di attesa!

“Ma non per questo noi dobbiamo sottovalutarla! Perché adesso la Gerarchia si sta rendendo conto, anzi si è già resa conto del pericolo che la minaccia. Ha allertato tutte le sue numerosissime spie e in migliaia di santuari i sacerdoti ricercatori del Quinto Circolo stanno per scoprire e riprodurre i segreti scientifici della Stregoneria. Inoltre ci sono segnali inequivocabili che i dissensi all’interno della Gerarchia verranno presto sanati… grazie a un drastico intervento di chirurgia.

“Non sottovalutate la Gerarchia! Il suo potere è così grande che può permettersi di indugiare prima di rispondere al nostro attacco. Non è vana millanteria quella dei sacerdoti quando minacciano di invocare aiuti dal cielo!”

Ormai, l’irruzione di Cugino Deth nella sala doveva essere imminente, pensò Jarles. Secondo i suoi calcoli, il diacono doveva aver già raggiunto la galleria sotterranea, eppure, a quanto sembrava non era scattato alcun allarme. Buon segno. Ciò nonostante, una paura improvvisa si impadronì di lui. Non era paura per la propria incolumità, per la quale temeva a ogni secondo (e per questo era in costante allerta). Si trattava di un sentimento più vago, informe, di cui si sforzò di comprendere la natura.

— In guerra il fattore tempo è fondamentale — proseguiva intanto la voce proveniente dal trono. Faceva pensare istintivamente a un paio di occhi pieni di luce maligna, ma capaci anche di allegria e di compassione. — Potete immaginare quanto sia ancora più importante nella guerra psicologica che stiamo combattendo! La paura è la nostra unica arma e ha un grande difetto: la sua efficacia è limitata. Grazie a un’ondata di terrore attentamente calibrata siamo riusciti a spaventare enormemente i sacerdoti dei circoli inferiori e a diffondere il timore di un’offensiva di tipo soprannaturale nelle alte sfere. Ma se adesso ci fermassimo, perderemmo tutto il vantaggio che abbiamo conquistato. Dobbiamo sferrare un attacco su vasta scala.

“È per questo motivo che vi ho convocato qui e che, per la prima volta, ho deciso di mostrarmi a voi di persona. Dopo tutto voi siete i capi delle congreghe.”

Di bene in meglio, pensò Jarles. Tutti i capi della Stregoneria messi nel sacco contemporaneamente. E insieme ad Asmodeo! Ciò nonostante l’oscura, vaga paura che si era impossessata di lui continuava a opprimerlo. Se soltanto Deth si fosse deciso ad arrivare!

— Sono venuto qui per discutere insieme a voi i piani delle nostre ultime operazioni. Gli ordini trasmessi attraverso i nastri registrati non bastano più e non sono più sicuri. Al termine della riunione ne parlerò con ciascuno di voi personalmente.

“Ma prima di affrontare questo argomento devo avvertirvi dell’enorme responsabilità che presto potrebbe ricadere sulle vostre spalle. Il problema riguarda me e i miei collaboratori. Noi, che siamo i capi supremi dell’organizzazione, ci troviamo in una posizione di grande vulnerabilità ed è possibile che veniamo scoperti e annientati prima che si giunga all’azione finale. In questo caso spetterà a voi, che siete i principali agenti della Stregoneria nella città chiave di Megateopoli, il compito di assumere il comando.”


Jarles serrò i pugni con impazienza. L’oscura paura che lo attanagliava da alcuni minuti si era trasformata in una sensazione più strana e sgradevole. Aveva l’impressione che stesse per accadere qualcosa che gli avrebbe nuociuto, ma che lui avrebbe potuto evitare se solo avesse saputo di che cosa si trattava. Si sentiva la testa calda e pesante, come se avesse la febbre.

— I piani per far fronte a una simile eventualità esistono da tempo, ma erano stati affidati a uno di voi che di recente è scomparso… Presumibilmente è morto o è prigioniero della Gerarchia. Di conseguenza sarà necessario prendere nuovi accordi.

Quell’accenno all’Uomo Nero avrebbe dovuto interessare Jarles, ma lui aveva quasi smesso di ascoltare Asmodeo, perché ormai quella strana paura non gli lasciava tregua. Aveva la gola secca e intorpidita, e quando si portò una mano alle labbra si rese conto che erano diventate insensibili al tatto.

Eppure, se solo avesse saputo quello che stava per succedere, era sicuro che sarebbe riuscito a evitarlo. Gli sembrava di impazzire. Se il suo stato fosse peggiorato, sarebbe stato costretto ad attivare i suoi traccianti radioattivi e chiamare Deth, anche se gli accordi erano che avrebbe dovuto farlo solo in caso di cattura da parte del nemico.

— …si avvicina il momento cruciale. — Ormai non sentiva quasi più le parole di Asmodeo. — …d’ora in poi, qualsiasi mossa farete… di importanza enorme… Non solo la vostra salvezza… il destino del mondo intero… questa città… fondamentale… il futuro dell’umanità…

In quell’istante, uno spasmo convulso percorse gli organi vocali di Jarles e, con immenso orrore e sconcerto, udì la propria voce urlare: — Tradimento! Questa è una trappola della Gerarchia! Fuggite finché siete in tempo!

Con uno sforzo supremo, Jarles riuscì a riacquistare il controllo dei propri muscoli e, ringhiando per la rabbia e la vergogna (mai aveva odiato qualcuno come odiava l’altro Jarles in quel momento), attivò i traccianti che aveva fissati al braccio sinistro e li regolò a un’intensità così alta da far saltare gli strumenti di Deth, se solo si fosse trovato nelle vicinanze.

E Deth doveva essere molto vicino, perché le streghe e gli stregoni riuniti nella sala ebbero appena il tempo di balzare in piedi, prima che un drappello di diaconi armati di verghe dell’ira facesse irruzione nella stanza.

All’improvviso, dal semi-cerchio dei capi delle congreghe provenne un rumore di passi frettolosi, mentre uno stuolo di ombre indistinte e agilissime attraversarono il pavimento, come topi in corsa precipitosa verso la tana. Ma prima che Jarles potesse attivare il suo raggio dell’ira, erano già svaniti.

Asmodeo fu l’unico essere umano a reagire rapidamente al segnale di pericolo. Con un balzo raggiunse la scultura luciferina dietro il trono. Lo spesso getto viola di una verga uccise una strega e poi rimbalzò su di lui. Per un attimo, mentre il suo campo assorbente si tendeva per neutralizzare l’energia della verga, la sua tenebra brillò di una luce spettrale. Ma prima che il suo campo cedesse, lui era già dietro la scultura.

Jarles cercò di aggirare la statua, che sembrava in grado di resistere alla forza di penetrazione del raggio, per colpirlo di lato. Gli attaccanti erano troppi perché Asmodeo potesse fronteggiarli tutti. Per il momento era riuscito a mettersi al riparo, ma non avrebbe potuto resistere a lungo.

Non dietro la scultura, per lo meno. Ma al suo interno sì.

Un forte colpo e l’impatto con l’estremità di un campo di repulsione si abbatté su Jarles mandandolo a rotolare per terra. La statua luciferina si mosse, poi si sollevò e immediatamente una dozzina di lingue di fuoco viola mirarono all’apertura nel soffitto.

Riverso a terra, Jarles ebbe l’amara conferma che la prima impressione che aveva avuto era esatta. La statua era come un angelo… si muoveva. E il condotto attraverso cui era sparita doveva portare alla superficie, dove con ogni probabilità era camuffato da un camino.

Deth aveva detto che in quel tratto il cielo era pattugliato dagli angeli. Rappresentavano la loro ultima risorsa. Ormai la speranza di catturare Asmodeo era legata a un filo.

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