— Asmodeo ha detto che la Stregoneria aumenterà la pressione, Drick. Questa notte, i lupi verranno a Megateopoli. All’inizio si limiteranno ad aggirarsi in periferia, ma poi si addentreranno in città. A partire da mezzanotte, nelle città chiave i telesolidografi funzioneranno ventiquattr’ore su ventiquattro. Per quell’ora dovremmo avere il secondo già installato qui. Voi ragazzi potrete fare i turni. Divertitevi ma state attenti a non affaticare gli occhi. Nel frattempo, ogni congrega ordinerà a tutte le streghe e a tutti gli stregoni disponibili di dare inizio al secondo stadio di persecuzioni a danno dei sacerdoti del Quarto Circolo. In questi nastri sono descritte le paure dei preti più impressionabili. Puoi iniziare a distribuirli. Così dicendo, l’Uomo Nero allungò una scatola piena zeppa di minuscoli contenitori a forma di ruota al giovanotto che stava in piedi davanti alla scrivania. Quest’ultimo, basso, corpulento, scaltro e, come lui, vestito di nero, diede un’occhiata ai nomi scritti su ciascun contenitore, quindi, con un rapido gesto della mano, chiuse la scatola.
— Mi piacerebbe sapere dove Asmodeo reperisce informazioni così dettagliate — aggiunse l’Uomo Nero, sfregandosi gli occhi cerchiati di rosso. — Se fossi religioso, direi che è il Grande Dio in persona. Sa così tante cose sulla Gerarchia.
Drick si sporse in avanti. — Forse fa parte della Gerarchia.
L’Uomo Nero annuì, aggrottando le sopracciglia. — Può darsi — convenne con aria pensosa.
Drick lo guardò in modo strano.
— Non sono io Asmodeo, Drick. Non sono nemmeno sicuro di essere l’uomo più importante di Megateopoli, anche se sembra che io sia il primo a ricevere gli ordini.
— Da dove? — Drick appoggiò una mano sulla scatola. — Una cosa come questa, per esempio. Devi pur averla avuta da qualcuno.
— Naturale. — L’Uomo Nero gli rivolse un sorriso un po’ stanco. — Logica vuole che se io entro in questa stanza e trovo una scatola sul mio tavolo, qualcuno deve avercela messa. Ma chi?
— È così che è andata?
L’Uomo Nero annuì.
Drick scosse la testa con fare dubbioso. — Certo è che noi ci fidiamo molto.
L’Uomo Nero sghignazzò. — Però devi ammettere che questo sistema presenta dei notevoli vantaggi. Se qualcuno di noi viene catturato non può mandare all’aria tutta l’organizzazione… nemmeno se lo persuadono a farlo.
— Finora non è stato preso nessuno di noi. — C’era una nota di impertinenza nella sua voce.
L’Uomo Nero sollevò lentamente gli occhi su di lui: il suo viso, normalmente malizioso si era fatto serissimo. — Non è che per caso pensi che sia così perché in realtà non ne sono capaci? Non stai mettendo in dubbio il fatto che la Gerarchia abbia già individuato alcuni di noi e che stia soltanto aspettando di far abboccare i grandi capi prima di tirare su le reti?
Drick parve un po’ sorpreso. Aggrottò la fronte. — Certo che no. — Prese la scatola e si alzò. Poi gli venne in mente qualcosa. — Sono stato un po’ con Sharlson Naurya. Comincia a scalpitare. Non le piace restare rinchiusa qui.
— Anche in questo caso, ordini di Asmodeo. Ha in serbo qualcosa per lei, un incarico speciale per quando sarà arrivato il momento opportuno. Passa un po’ di tempo con lei, Drick, se ne hai la possibilità. Distraila.
— Questi sì che sono ordini piacevoli da eseguire!
— Oh, ma non farti troppe illusioni. Credo che fra breve avremo di nuovo fra di noi un certo prete rinnegato.
— Il paziente di Madre Jujy? Ha cambiato idea?
— Penso che sia sul punto di farlo.
Drick annuì. — Dev’essere un buon diavolo. E credo che Naurya abbia un debole per lui. — Poi, arrivato sulla soglia, si voltò indietro di scatto. L’Uomo Nero si era abbandonato contro lo schienale della sedia e si stava stropicciando gli occhi. — Senti — gli suggerì Drick con finta noncuranza — se a partire da questa notte la situazione si farà più pesante, perché non ne approfitti per prenderti una mini-vacanza di sei ore, finché sei in tempo?
L’Uomo Nero assentì. — Non è una cattiva idea.
Quando Drick uscì, si drizzò a sedere e fissò il muro. — Non è affatto una cattiva idea.
In lontananza una potente campana cominciò a suonare a morto. Un sorriso malizioso increspò le sue labbra. Poi, però, lo stregone aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, come se volesse scacciare una tentazione. La campana continuava a rintoccare. La seconda volta il sorriso ebbe la meglio e, scrollando le spalle, l’Uomo Nero si alzò in piedi.
Adesso era scattante e pieno di energia.
Da un armadietto a muro estrasse una guaina nera piuttosto spessa che, per certi aspetti, assomigliava a un rotolo o a una rete di fili elettrici; se la legò all’avambraccio destro. Sopra uno stipo, dalla parte opposta della stanza, si trovava un vaso basso di bronzo, all’interno del quale galleggiavano alcuni fiori. L’Uomo Nero vi puntò contro la mano destra, come se stesse provando a stabilire una sorta di contatto. Il vaso ondeggiò leggermente, si sollevò di quattro o cinque centimetri dal ripiano e, all’improvviso, si capovolse, rovesciando acqua e fiori. L’Uomo Nero sorrise soddisfatto.
Al braccio sinistro assicurò un altro tipo di guaina, corredata di tasti che riusciva a toccare piegando il palmo verso il basso. Armeggiò nello stipo e dopo un po’ nella stanza riecheggiò un brano musicale: era una melodia solenne. L’Uomo Nero indietreggiò, mosse il braccio sinistro come se stesse cercando di nuovo di stabilire un misterioso contatto e cominciò a sfiorare i tasti. Immediatamente la melodia si trasformò in uno stridio rauco e discordante.
Lo stregone sghignazzò e, avvicinatosi all’armadio, tolse da un attaccapanni un’uniforme da cittadino comune: un grembiule di stoffa grezza con le maniche lunghe, le mollettiere, gli stivali e un cappello.
Una vocina sottile, smorzata e stridula, che sembrava provenire dal nulla, osservò: — Eccoti di nuovo pronto per fare altri scherzi! E immagino che anche questa volta a me toccherà il lavoro più duro!
— Ti sbagli, caro Dickon, perché questa volta penso proprio che ti lascerò a casa — rispose l’Uomo Nero.
La grande campana aveva smesso di suonare, ma l’eco dei suoi rintocchi sembrava indugiare nell’aria, immutata, quasi fosse un arcano messaggio proveniente dall’eternità. Un’immensa folla di cittadini comuni, silenziosi e riverenti, gremiva la Cattedrale: un luogo di immensa e gradevole tenebra, rischiarata da deboli luci rosate e dallo sfavillio dell’oro e dei gioielli incastonati nelle pareti. L’aria era inondata dal dolce aroma dell’incenso. I sacerdoti si affrettavano con passo leggero lungo le navate, tonache flosce che frusciavano sul pavimento come seta, apparentemente impegnati in mistici uffici.
L’Uomo Nero fece gli inchini di rito. Dopodiché, la testa bassa e le spalle curve, prese posto in cima a una delle ultime panche, proprio di fronte alla meraviglia luccicante dell’organo, dalle cui gole dorate aveva cominciato a fluire una musica dolce, che si fondeva con l’eco immaginaria della campana. L’Uomo Nero sembrava mezzoistupidito, immerso in una meditazione resa incerta dall’ignoranza, intento a biascicare come un ruminante, le sopracciglia aggrottate nella pia riflessione sui suoi peccati.
Poi, un meraviglioso senso di pace e di benessere si impadronì di lui, troppo grande per essere attribuito all’effetto prodotto dalla tiepida oscurità, dalle luci soffuse, dalla musica suadente e dall’incenso. Ma poiché sapeva che quella sensazione era dovuta ad alcune radiazioni che deprimevano il sistema simpatico e stimolavano il parasimpatico, poteva contrastarne l’influsso, o al contrario, sfruttarne consapevolmente il benefico effetto fino in fondo: così, se era ancora un po’ nervoso, sarebbe riuscito a rilassarsi. Senza farsi notare, osservò gli effetti che le radiazioni producevano sugli altri: muscoli tesi che si allentavano, fronti corrugate che si spianavano, mascelle rilasciate e bocche semi-aperte, sguardi vacui e intontiti.
— Grande Dio, signore del Cielo e della Terra, sacerdote dei sacerdoti, del quale la Gerarchia è serva …
Una voce fervente e salmodiante vibrò nell’oscurità rilucente. Poi, dietro l’altare, simili a trombe mute, si accesero numerose luci, palesando l’effige del Grande Dio, che sembrava un riflesso in chiave minore del più grande busto che sovrastava la Cattedrale. I cittadini chinarono il capo e biascicarono una risposta corale, che suonò come un sospiro stanco. L’ufficio era iniziato.
L’atmosfera di devozione aumentava, a mano a mano che le voci monotone dei fedeli rispondevano alle invocazioni. Vi fu solo un accenno di confusione quando alcuni dei cittadini più anziani risposero automaticamente alla preghiera “Affretta la venuta della tua Nuova Età dell’Oro”, che era stata recentemente soppressa dalla liturgia.
Il sacerdote che occupava il pulpito lasciò il posto a un ministro più anziano che cominciò a predicare. La sua voce era eccezionalmente duttile, capace di passare in un attimo dal tono aspro dell’ira a quello dolcemente saporifero del conforto. Le sue parole si confacevano mirabilmente alla mentalità dell’assemblea riunita ad ascoltarlo e non una sola andava a vuoto.
Parlava, come sempre, dell’infelice sorte dei cittadini comuni, e degli sforzi incessanti dei sacerdoti per alleviarne la miseria, figlia del loro peccato. Dipinse il quadro semplice e convincente di un universo in cui solo la fatica di un lavoro senza fine avrebbe permesso di espiare le colpe ereditate dall’Età dell’Oro e di evitare la dannazione eterna.
Ma quando passò ad affrontare la questione più urgente della crescente audacia di Satanas e dei suoi diavoli, ogni traccia di dolcezza sparì dalla sua voce. Uno stropiccio sommesso di piedi, accompagnato dallo strofinio della stoffa ruvida dei grembiuli contro il legno delle panche, sottolineò l’attenzione suscitata dal nuovo argomento nell’assemblea dei popolani. Molti si drizzarono istintivamente a sedere per poter udire meglio il sermone. La baldanza di Satanas era interamente dovuta alla loro condotta sempre più peccaminosa, proclamò il sacerdote. Poi li ammonì contro il terribile destino riservato a coloro che non facevano atto di sincero pentimento, e ingiunse a tutti di vigilare attentamente gli uni sugli altri.
— …perché nessuno può sapere dove si manifesterà il peccato. I semi del male sono ovunque e Satanas li innaffia e li concima ogni giorno. È questo il raccolto a cui tiene più di tutti. La Gerarchia può sconfiggere Satanas in qualunque momento. Ma il merito di questa vittoria non potrà andare a voi fino a quando ciascuno di voi non caccerà Satanas dal suo cuore e non impedirà ai semi del male di attecchirvi e di dare frutti.
Con questo avvertimento severo e sinistro, la predica finì. Alcuni sacerdoti del Primo Circolo comparvero alla testa delle navate; ciascuno reggeva in mano un piatto scintillante. Un altro prete salì sul pulpito ed esortò i fedeli a contribuire, nella misura che ritenevano opportuna, al patrimonio della Gerarchia, ricordando che quelle offerte libere avevano un particolare valore.
Centinaia di mani armeggiarono nelle tasche e sui piatti che venivano fatti passare di banco in banco tintinnarono le monete.
Il sacerdote che percorreva la navata centrale era arrivato alle ultime file. Quando allungò la mano per ritirare il piatto, che adesso era carico di monete, ebbe l’impressione che il cittadino che lo reggeva lo trattenesse. Allora si protese ulteriormente, lo afferrò e, poiché era occupato a incenerire con lo sguardo l’uomo che si era comportato in modo tanto maldestro, lo porse, senza voltarsi, al primo cittadino della fila corrispondente della parte opposta della navata. Quando sentì che l’altro l’aveva preso, abbassò la mano. Ma subito dopo dovette notare l’espressione stupita delle persone che lo circondavano, e forse ne udì anche l’esclamazione soffocata di sorpresa, perché si voltò immediatamente a guardare.
Il primo cittadino della fila aveva effettivamente allungato la mano per afferrare il piatto, ma prima che le sue dita potessero stringersi intorno al disco di ottone, un’altra forza lo aveva sollevato dal palmo del sacerdote. Il cittadino fece un balzo all’indietro e strabuzzò gli occhi.
Il piatto rimase sospeso in aria, senza che niente e nessuno lo reggesse.
Il sacerdote si precipitò ad afferrarlo, ma il vassoio gli sfuggì dalle dita, volando più in alto.
Lui cercò nuovamente di agguantarlo, sollevandosi sulle punte dei piedi, ma ancora una volta il piatto eluse la sua presa, alzandosi di un’altra spanna.
All’improvviso, memore del comportamento dignitoso che doveva tenere un ministro del culto, il sacerdote rinunciò a ogni tentativo e si limitò a fissare i volti inebetiti dei cittadini, compreso quello paonazzo di un uomo della quarta fila che, se possibile, sembrava ancora più allocchito degli altri.
Subito dopò, però, la sua attenzione si concentrò di nuovo sul piatto sospeso, che aveva cominciato a sobbalzare bruscamente, facendo tintinnare le monete. Un paio caddero per terra.
Un numero crescente di cittadini si voltò a fissare la scena.
Poi, d’un tratto, il piatto schizzò di lato e verso l’alto, e, fendendo la tenebra con una curva scintillante, si capovolse rovesciando sui presenti una pioggia di monete. Per un po’ precipitò anch’esso insieme ai dischetti dorati, ma giunto a un paio di metri da terra si raddrizzò e rimase fermo a mezz’aria.
Con un’ammirevole prontezza di spirito, forse perché pensava che si trattasse di una dimostrazione di cui i suoi superiori si erano dimenticati di metterlo al corrente, il prete urlò: — Guardate! Un miracolo! Nella sua infinita generosità, il Grande Dio ha deciso di dare a ciascuno secondo i propri meriti!
Immediatamente, quasi in risposta alle sue ultime parole, il piatto si avventò su di lui con il chiaro intento di colpirlo alla testa. Lui lo schivò abbassandosi di scatto, poi alzò rapidamente gli occhi per guardare. Il piatto aveva invertito la rotta e stava ritornando all’attacco. Il prete chinò la testa, ma questa volta non guardò in alto. Il piatto si fermò bruscamente sopra il suo cranio tonsurato, simile a una grande aureola d’ottone, e poi si abbassò colpendolo con grande frastuono, per due volte consecutive.
Il sacerdote urlò per il dolore e la sorpresa, e solo allora si ricordò di attivare il suo campo di inviolabilità.
Il piatto balzò in alto e rimase sospeso in aria.
Ma nella Cattedrale si era già scatenato il panico o, per meglio dire, un vero e proprio tumulto. Un’intera sezione di cittadini si era tuffata sotto le panche per raccattare quante più monete poteva. Altri, terrorizzati, si stavano accalcando verso l’uscita. Ma i più continuavano a guardare in alto, eccitati, dandosi l’un l’altro di gomito.
Obbedendo a un ordine frettoloso, l’organista attaccò una melodia solenne. L’idea di per sé sarebbe stata perfetta, se la musica fosse rimasta tale. Ma, all’improvviso, con un ragliò dissonante, il ritmo cambiò, accelerò e, mentre l’organista fissava inorridito lo spartito e continuava a pigiare convulsamente i tasti, dalle canne dorate uscì il seducente swing di quello che tutti i sacerdoti, e molti dei cittadini comuni, riconobbero essere il motivetto più suonato nelle case delle Sorelle Perdute. Le radiazioni parasimpatiche sono armi infide, che stimolano reazioni istintive, animalesche. A uno a uno, i cittadini comuni cominciarono a ondeggiare, a contorcersi, a fare piroette e a danzare in un’estasi quasi mistica, belando e gridando, boccheggiando e grugnendo come animali, come se quello fosse una riunione di mammut e non un ufficio religioso.
In una delle navate laterali, un gruppo di cittadini urtò un sacerdote: il piatto delle decime che teneva ancora in mano si rovesciò e le monete volarono in tutte le direzioni. In molti si tuffarono sotto le panche, strisciando affannosamente; ma dopo un po’ la maggior parte smise di raccogliere le monete e cominciò a rotolarsi gemendo e urlando con devoto fervore. Alcuni si abbracciarono.
Poi, dall’organo provenne una risata sguaiata, folle e meccanica; immediatamente, tutti i piatti che erano sospesi a mezz’aria cominciarono a sfrecciare, passando rasente alle teste dei preti, simili a pipistrelli di ottone, per poi andare ad abbattersi con grande fragore, contro l’immagine del Grande Dio. A quella vista, una buona parte dei presenti fu colta dal panico e si precipitò verso la porta.
Ma a quel punto un ruggito assordante riecheggiò nella Cattedrale. Non proveniva dall’organo. Chi stava fuggendo si fermò all’istante. I meno esagitati fra quelli che ballavano si guardarono attorno terrorizzati. Ovunque, i cittadini si fecero piccoli per la paura.
Poi una voce severa tuonò dall’alto: — Che nessuno osi muovere un passo! In questo luogo c’è un demone di Satanas. I cittadini comuni verranno esaminati ad uno a uno fino a quando non verrà trovato il peccatore… colui che è posseduto dal demonio. Ritornate ai vostri posti. Chiunque osi avvicinarsi alla porta, sperimenterà l’ira del Grande Dio!
A conferma di quelle parole, una dozzina di diaconi vestiti di nero, marciarono in fila indiana davanti al grande portale a volta. Ognuno reggeva in mano una verga dell’ira.
L’Uomo Nero, che si trovava nel gruppo di testa della folla in fuga, avvertì un improvviso cambiamento nelle proprie emozioni: era chiaro che erano state attivate le radiazioni “simpatiche”. Ma quella non si rivelò una mossa saggia. Perché se i pochi che ancora danzavano e si rotolavano sul pavimento si fermarono quasi all’istante, nel volgere di pochi attimi una paura incontrollata si impadronì di tutti i cittadini, che si lanciarono in avanti come animali in fuga. Ma i diaconi alzarono le verghe e l’onda umana si arrestò bruscamente.
L’Uomo Nero mosse un po’ il braccio destro, che teneva piegato di lato, nel tentativo di stabilire il contatto. Poi si inclinò leggermente a sinistra, per bilanciare il peso del pennello di forza.
Uno dei diaconi al centro del cordone si voltò di scatto verso il suo vicino, sfregandosi il gomito. Tutti udirono il suo sussurro rabbioso: — Sta attento, imbecille! — L’altro ribatté con altrettanta veemenza: — Ma sei stato tu a urtarmi!
Un simile alterco scoppiò anche verso una delle estremità della fila. Altri scambi di battute brusche, finché, nel giro di pochi secondi, le tonache nere presero a spintonarsi e a minacciarsi a vicenda; a loro non veniva insegnato a comportarsi con la dignità dei sacerdoti.
Alla fine, il demone della discordia li contagiò tutti, aizzandoli l’uno contro l’altro. Al resto provvidero le radiazioni simpatiche, che facilitarono il passaggio dalla rabbia alla paura. Pochi istanti dopo cominciarono a volare i primi pugni e il cordone dei diaconi si trasformò in un groviglio di uomini infuriati. Alcuni lasciarono cadere le verghe, altri le usarono come mazze.
Lo scoppio di quella misteriosa lite e il fatto che si fosse improvisamente aperta una via di fuga furono più che sufficienti per la folla terrorizzata, che in una grande ondata frastagliata si riversò fuori dalla Cattedrale.