Le mani lasciarono i gomiti di Jarles dopo aver stretto per un attimo la presa, quasi ad ammonirlo: — Sta fermo lì! — Sentì il bordo di una scatola o di un sedile contro i polpacci, ma non si sedette.
A poco a poco si delinearono i vaghi contorni dell’ambiente che lo circondava, simile a un notturno abilmente dipinto da un valente pittore, con rapide pennellate fosforescenti su una superficie nera sfumata di viola.
Si trovava in un’ampia stanza dal soffitto molto basso. Lo capiva dalle correnti d’aria e dall’eco dei suoi stessi passi.
A quella che sembrava una delle estremità del locale, su una bassa predella, era collocata una specie di sedia o di trono, che emanava una debole luce. Davanti al trono si trovava un piccolo tavolino, sul quale era collocato un oggetto che ricordava, nella foggia, i libri delle civiltà passate. Era enorme ed era aperto. Alcune minuscole creature, di natura non meglio specificata, stavano giocando ai piedi del trono; o per lo meno questa era l’impressione che aveva Jarles, perché percepiva un rapido moto, come di corsa, vicino al pavimento e gli giungeva all’orecchio un vago stridio accompagnato da uno strascicamento, e, una volta o due, un flebile plop, come se qualcosa dotato di una ventosa venisse staccato da una superficie liscia.
Poi, con un balzo, una delle creature salì sul trono e vi si acquattò con fare birichino: era minuta, molto magra, vagamente somigliante, come struttura fisica, a una scimmia.
Quello che accadde subito dopo gli fece correre un brivido freddo lungo la spina dorsale. Perché la creatura parlò. O per lo meno dalla direzione del trono provennero dei bisbigli, voci troppo sottili e acute e stranamente confuse per essere umane… ma nondimeno indiscutibilmente umane. Jarles riusciva a cogliere soltanto qualche parola qua e là.
— …stata questa sera Mysie?
— …dentro la sua veste… un sacerdote del Quarto Circolo… spaventato a morte.
— Jill?
— …fare una visita lontano, per riferire…
— Meg?
— …sul suo petto, mentre dormiva.
— E Micia? Ma so…
— Sì, Dickon.
Sembrava che la creatura seduta sul trono facesse le domande e le altre rispondessero, in una sorta di parodia degli esseri umani quando fanno rapporto a un capo. Con orrore, Jarles si rese conto di aver già udito in precedenza l’ultima voce che aveva parlato e cominciò a tremare.
— Chi siete? — urlò, con più baldanza di quanta non ne avesse in realtà. — Che cosa volete da me? Perché tutto questo mistero?
L’eco delle voci si spense in un silenzio cupo. Non ci fu risposta, solo l’improvviso stropiccio di una corsa frettolosa.
Jarles si sedette. Se avevano deciso di giocare a quel modo con lui, non c’era niente che potesse fare, se non evitare di lasciarsi impressionare, o almeno di farlo trapelare.
Ma quale poteva essere lo scopo del loro gioco? Per cercare di capire chi potesse averlo salvato, e poi fatto prigioniero, riesaminò mentalmente tutto quello che era accaduto dal momento in cui l’ira del Grande Dio stava per abbattersi su di luì.
I primi ricordi erano confusi per la grande paura e lo stupore che aveva provato. La sensazione di essere stato circondato da qualcosa di solido, semi-trasparente e striato di nero. Una luce blu accecante, un frastuono infernale di grida, crepitii e risa. Poi qualcosa l’aveva trascinato in alto, sconquassandolo tutto, e quindi di nuovo in basso, verso un buco nero che si era spalancato come un enorme forno.
Quindi, una breve attesa, nella più assoluta oscurità. Poi le mani. Mani che si eclissavano quando lui cercava di afferrarle. Mani che lo avevano guidato per un tratto indefinito e poi lo avevano lasciato in quella che, dopo una cauta esplorazione, aveva scoperto essere una piccola cella. Una lunga attesa. E poi di nuovo le mani, che lo avevano portato lì.
Aguzzò a lungo la vista in direzione del profilo evanescente della predella e del trono, fino a quando riuscì a distinguere altre sagome, ancora più vaghe di quelle delle piccole creature che si erano dileguate, così vaghe che ogni volta che cercava di metterle a fuoco svanivano. Sagome più grandi di figure sedute fra lui e la tenebra sfumata di viola della parete di fondo, anche se non frapposte fra lui e il trono.
All’improvviso, la sua attenzione fu attratta da una fugace macchia di luminescenza in una delle silhouette, nel punto in cui dovevano trovarsi i denti. Poi brevi tracce giallognole nell’aria, come se qualcuno stesse agitando una mano ricoperta da una sostanza fosforescente.
Jarles osservò le proprie mani: ogni unghia risplendeva di un colore giallastro. Evidentemente la stanza era immersa in una luce ultravioletta. Forse gli altri indossavano appositi occhiali convertitori.
— L’Uomo Nero è stato trattenuto, Sorelle.
Jarles trasalì con orrore. Non perché quella voce, una voce di donna, era il primo suono innegabilmente umano che udiva. Non perché quelle parole erano misteriose e gravide di oscure allusioni. Ma perché era diabolicamente simile a una delle voci subumane che aveva sentito poco prima. Come se quella fosse la voce che l’altra più flebile di prima aveva cercato di imitare.
— Dickon è qui. L’Uomo Nero non può essere lontano.
Un’altra voce di donna e, ancora, l’agghiacciante sensazione di averla già udita.
La prima donna: — Che cosa hai fatto questa sera, Sorella?
La seconda donna: — Ho mandato Mysie a molestare un sacerdote del Quarto Circolo, che Satanas possa tormentarlo per l’eternità! Si è intrufolata sotto la sua veste e l’ha spaventato a morte, se è vero quel che mi ha raccontato. Dice sempre un sacco di bugie quando la sua mente è lontana dalla mia! In ogni caso, quando è tornata era affamata. Mi avrebbe salassato fino a ridurmi a un cencio se glielo avessi permesso. Quella piccola ingorda!
All’improvviso, Jarles trovò il bandolo di quella intricata matassa.
La Stregoneria della Civiltà dell’Alba.
Quello doveva essere un convegno di streghe, una riunione in cui tutte le fattucchiere si ritrovavano a riferire il loro operato. L’Uomo Nero doveva essere il loro capo. E quelle piccole creature che, a quanto sembrava, si nutrivano del loro sangue, i demoni al loro servizio.
Ma se lui stesso aveva detto ai comuni cittadini, ed era il primo a crederci, che non esisteva nessuna Stregoneria, se non nella forma degradata e innocua mantenuta dalla Gerarchia per i propri fini!
Anche quella sembrava abbastanza degradata, visti quei minuscoli esseri bestiali, fantasmi di un’evoluzione regressiva. Ma era davvero innocua? Non aveva avuto quell’impressione.
Si voltò di nuovo verso la predella, con l’intenzione di rivolgere altre domande alla tenebra e cercare di ottenere una risposta.
Ma adesso il trono non era più vuoto. Vi era seduta una sagoma d’uomo, nera come la morte.
Poi la sagoma parlò: la sua voce era suadente, ma al tempo stesso inflessibile come l’acciaio, e intrisa di una perfida allegria.
— Vi chiedo scusa per il ritardo, Sorelle. Ma questa sera sono stato occupato come un prete. Prima ho dovuto azionare Le Mani di Satanas per rapire un pretucolo rinnegato proprio sotto il naso del Grande Dio. La sorpresa è stata tanta che ci è mancato poco che starnutisse! Poi Micia è venuta di corsa a dirmi che la Gerarchia aveva catturato Sorella Persefone e che la stava conducendo al Santuario. Così Dickon e io abbiamo dovuto volare sopra i tetti e far cadere il Velo Nero per confondere i sacerdoti che l’avevano arrestata e costringerli a scortarla verso un rifugio sicuro.
In parte, quella voce affascinava Jarles e in parte lo ripugnava. Si rese conto che quell’uomo gli sarebbe piaciuto, ma che l’avrebbe detestato al tempo stesso!
— Sapete Sorelle? Ogni tanto mi diverto a usare la scienza dei preti contro di loro. E senza dubbio il nostro Signore è contento quando gli viene risparmiato un po’ di lavoro extra. Conoscete il Velo Nero, Sorelle? È uno dei piccoli trucchi che abbiamo messo a punto sfruttando il solidografo della Gerarchia. Due luci possono creare il buio, Sorelle, quando si trovano sulla stessa frequenza: si chiama interferenza. Il proiettore del Velo Nero emana frequenze multiple che si regolano automaticamente per neutralizzare qualsiasi luce nella regione focale. Quella è la sola vera tenebra per voi, Sorelle, quella che nasce da due luci contrastanti!
“Ma io sto monopolizzando la conversazione, quando invece immagino che ognuna di voi abbia una storia divertente da raccontare. Ma prima, rendiamo insieme omaggio ai nostri dei e signori!”
L’Uomo Nero si alzò e levò in alto le braccia in atto di invocazione, un’ombra pipistrellesca sullo sfondo di una fumosa fosforescenza.
— A Satanas Nero, il Dio del Male, la nostra eterna fedeltà!
— A Satanas la nostra fedeltà! — rispose il coro indistinto delle streghe, almeno una dozzina, a giudicare dai diversi timbri delle voci.
E, in sottofondo, come la parodia di un coro di fanciulli, l’eco pappagallesca delle voci in falsetto dei demoni.
— Ad Asmodeo, Signore dei Diavoli, nostro signore sulla terra, la nostra obbedienza per tutta la vita!
— Ad Asmodeo la nostra obbedienza per tutta la vita! — risuonò la risposta mezza cantata, in parte sovrastata dalle vocine stridule.
— Alle congregazioni e alla Stregoneria, alle nostre sorelle streghe e ai nostri fratelli stregoni, sia qui sulla terra che nelle loro segrete dimore celesti, ai piccoli e ai cittadini comuni che sudano sotto il giogo della Gerarchia, la nostra lealtà e il nostro amore!
— Alle congregazioni il nostro amore!
— Per il Grande Dio, sedicente sovrano dell’universo, fantasma grasso e impotente, il nostro scherno e il nostro odio!
— Per il Grande Dio il nostro odio!
— Contro la Gerarchia e i suoi subalterni, palloni rossi e parassiti, i nostri trucchi e la nostra condanna!
— Contro la Gerarchia la nostra condanna!
Poi la voce dell’Uomo Nero si ridusse di colpo a un mezzo sussurro, ma così penetrante e minaccioso da fare accapponare la pelle.
— Scendi, o notte, e avvolgi la terra! Vieni, paura e scuoti il mondo!
— Radunati, tenebra!
Un attimo dopo l’Uomo Nero si stava di nuovo adagiando sul trono. Adesso la sua voce sardonica era più pacata.
— Prima di procedere con gli affari ordinari, c’è la questione dei nuovi membri. Persefone?
Poco lontano da sé, nell’oscurità, Jarles udì la risposta di Sharlson Naurya.
Era tre volte confuso: per l’insospettata vicinanza della ragazza, per aver finalmente capito perché la voce della creatura chiamata Micia gli era suonata così familiare e per quello che Sharlson Naurya stava dicendo.
— Io propongo che venga accolto come membro della Stregoneria l’ex sacerdote del Primo Circolo, Armon Jarles! Se ne è dimostrato degno bestemmiando pubblicamente contro il Grande Dio e sfidando la sua ira. Potrebbe diventare uno stregone astuto e potente.
— Presentatelo — ordinò l’Uomo Nero — ma non prima di avergli preso quello che va preso!
Due mani afferrarono Jarles per le braccia e qualcosa di appuntito gli trafisse la schiena. Lui soffocò un grido e si divincolò per liberarsi.
— Non avere paura — tuonò l’Uomo Nero in tono beffardo. — Noi abbiamo quello che vogliamo, il seme per ciò che deve crescere. Conducetelo all’altare, Sorelle, affinché chini la testa sul Libro e io possa battezzarlo con il suo nuovo nome, il suo nome di stregone, Dite!
A quel punto Jarles ritrovò la voce.
— Perché dovrei diventare uno di voi?
Un silenzio sbigottito. Poi. vicino al suo orecchio, il sussurro di Sharlson Naurya: — Taci! — E una rapida stretta delle dita che gli serravano il braccio da quella parte.
Ma quell’ammonimento ebbe il solo effetto di incitarlo a proseguire. — Che cosa vi fa credere che diventerò un membro della Stregoneria?
Di nuovo il sussurro di Naurya: — Dove altro pensi di trovare scampo, stupido!
Seguì un mormorio concitato di voci umane e subumane.
Ma l’Uomo Nero si era già alzato in piedi. — Sii gentile, Persefone — l’apostrofò. — Ricorda che nessuno può accedere alla Stregoneria, se non di propria spontanea volontà. A quanto pare la tua recluta ha delle riserve. Lasciamo che ce le esponga.
— Innanzi tutto spiegatemi che cosa vorreste da me — replicò Jarles.
Quando l’Uomo Nero parlò di nuovo, vi era una vaga nota di derisione nella sua voce. — Credevo lo avessi intuito. Vogliamo che tu abiuri il Grande Dio. Che ti metta, anima e corpo, al servizio di Satanas. Che tu scriva il tuo nome in questo Libro appoggiandovi sopra la fronte, in modo da ricevere il tuo schema personale e unico di onde del pensiero, che nessuno può contraffare. E che tu assolva a qualche altra formalità.
— Non basta: — ribatté Jaries. — È come diventare sacerdote della Gerarchia, le stesse ciance soprannaturali. Che cosa si prefigge questa organizzazione di cui mi chiedete di diventare schiavo?
— Noi non te lo chiediamo, Armon Jarles — rispose l’Uomo Nero. — E non uno schiavo, bensì un uomo libero che ha contratto certi obblighi. Per quanto riguarda le nostre finalità… Immagino che tu abbia sentito il nostro rito. Rovesciare il Grande Dio e la sua Gerarchia!
La dura risposta di Jarles suscitò un nuovo mormorio concitato.
— Capisco, in modo da elevare le vostre volgari superstizioni a decalogo di una nuova Gerarchia e opprimere il mondo a vostra volta? Anche gli scienziati dell’Età dell’Oro si prefiggevano nobili scopi, ma appena hanno assaporato il potere se ne sono scordati. E poi. come fate a essere sicuri di non essere anche voi dei burattini della Gerarchia? È vero, mi avete salvato. Ma la Gerarchia usa metodi subdoli. Mi hanno lasciato parlare ai cittadini comuni quando avrebbero facilmente potuto ridurmi al silenzio. Forse hanno permesso che venissi salvato per qualche oscura ragione.
— Non so proprio come convincerti, Armon Jarles… ammesso che sia possibile… — replicò l’Uomo Nero con divertita perplessità. — Per quanto riguarda le finalità ultime della Stregoneria, quando e se la Gerarchia verrà deposta, be’ qui intervengono questioni di alta politica di cui non sono autorizzato a parlare.
“Ma, Armon Jarles, se c’è qualcosa che posso ragionevolmente fare per persuaderti in merito agli scopi che ci prefiggiamo, chiedi pure!
— Sì, una cosa ci sarebbe — rispose Jarles con veemenza, incurante della pressione delle dita di Naurya sul suo braccio. — Se la vostra opposizione alla Gerarchia e il vostro amore per il popolo sono sinceri, rinunciate a questa ridicola messinscena e a tutti gli inganni! Non aumentate le superstizioni dei comuni cittadini! Non capite che alla radice di tutto c’è lo stato di ignoranza in cui sono tenuti? Dite loro la verità! Risvegliate le loro coscienze e incitateli a ribellarsi contro la Gerarchia!
— E patirne le conseguenze? — lo canzonò l’Uomo Nero. — Ti sei dimenticato quello che stava per accaderti nella Grande Piazza? E di come i cittadini reagivano alle tue parole?
— Io chiedo un favore — intervenne Sharlson Naurya precipitosamente. — Quest’uomo è un idealista dalla testa particolarmente dura. È sospettoso e criticone di natura. Nominalo stregone d’autorità! Non appena avrà avuto un po’ di tempo per riflettere vedrà anche lui le cose come le vediamo noi.
— No, Persefone. Temo che non potremo fare un’eccezione… neanche per un idealista con la testa dura.
— Allora fallo rinchiudere in una cella fino a quando vedrà la luce!
— No, Persefone, non possiamo ricorrere alla forza, né per obbligarlo a diventare stregone né per imprigionarlo. Anche se ammetto che ci sono volte in cui ne avrei una gran voglia! — Scoppiò a ridere.
Ma un attimo dopo la sua voce ritornò seria, seria quanto può esserlo una voce che trasuda allegria.
— Temo che tu non abbia altra scelta, Armon Jarles: o adesso o mai più. Che cosa hai deciso: vuoi diventare membro della Stregoneria o no?
Jarles esitò e si voltò a guardare il circolo di sagome nere, e a tratti fosforescenti, che a poco a poco si era stretto intorno a lui. Se avesse rifiutato, con ogni probabilità l’avrebbero ucciso. Ormai sapeva troppe cose.
E poi c’era Sharlson Naurya, che pensava d’aver perduto per sempre. Accettare la proposta dell’Uomo Nero significava poter stare vicino a lei. E sembrava che anche lei lo volesse. Dite e Persefone non erano il re e la regina degli Inferi?
E poi c’erano anche quelle altre persone, l’Uomo Nero e gli altri. Verso di loro provava sentimenti contraddittori. Forse non gli piaceva quello che facevano ma non li odiava. Gli avevano salvato la vita.
All’improvviso si rese conto di essere molto stanco. Non gli si poteva chiedere di sfidare la morte, di sua spontanea volontà, due volte nello stesso giorno.
E le dita di Naurya continuavano a trasmettergli un messaggio insistente e ansioso. — Di’ di sì, di’ di sì!
Quando Jaries aprì le labbra fu per rispondere: — Sì.
Ma, come era accaduto nella Grande Piazza, la sua coscienza di idealista si ribellò e la rabbia che provava per tutto quanto era falsità e fantasticheria soprannaturale ebbe di nuovo il sopravvento.
— No! Credo in quello che detto! Non scenderò a patti con la menzogna! Non voglio aver nulla a che fare con la vostra Gerarchia Nera!
— Molto bene, Armon Jaries! Hai fatto la tua scelta! — risuonò la voce stentorea dell’Uomo Nero.
Le mani che lo avevano trattenuto lo lasciarono andare e l’Uomo Nero sembrò avventarsi contro di lui. Jaries cominciò a sbracciarsi in preda al panico. Il quadro che prima sembrava dipinto a pennellate nere e fosforescenti si disgregò in un caos informe.
Altre mani lo afferrarono, mani morbide, ricoperte di guanti di gomma e molto forti. Avvertì la pressione di una specie di campo, anche se diverso dal campo di inviolabilità delle vesti scarlatte dei preti della Gerarchia. Si divincolò invano.
Una cosa piccola, pelosa e dotata di artigli gli afferrò la gamba nuda. Jaries si mise a scalciare convulsamente. Udì la voce imperiosa dell’Uomo Nero che ordinava: — Torna qui, Dickon, qui! — La creatura pelosa mollò la presa.
Jaries fece in tempo a urlare: — Sono tutte menzogne, Naurya! Tutte menzogne! — E a udire riecheggiare dalla tenebra la sua risata irosa e il suo grido di condanna: — Idiota! Idealista!
Poi una forza, a cui non riusciva a opporre resistenza, lo trascinò via: fuori dalla porta, lungo un corridoio stretto che girava e poi girava ancora e ritornava indietro, come il budello di un labirinto. Lui vacillava e incespicava e le sue spalle rimbalzavano contro muri invisibili. Poi salì una scala. Qualcuno gli passò rapidamente una benda attorno agli occhi. Un altro corridoio. Altre scale. La sua mente cominciò a vorticare all’impazzata, come il suo corpo.
Infine, l’aria fredda della notte gli ferì le narici e gli gelò il sudore sulla pelle. Sotto i suoi piedi la pietra gelida e liscia dell’acciottolato.
E nelle orecchie la voce beffarda dell’Uomo Nero. — So che gli idealisti non cambiano mai idea, Fratello Jarles. Ma se tu dovessi essere l’eccezione che conferma la regola, ritorna nel posto in cui ti lascerò e aspetta. Può darsi che ci metteremo in contatto con te. Potremmo decidere di offrirti una seconda opportunità.
Ancora pochi passi e poi si fermarono.
— E adesso, Fratello Jarles, va e metti in pratica quello che predichi!
Una brusca spinta lo mandò a ruotare su se stesso finché inciampò e cadde sul selciato. Si tirò in piedi di scatto, strappandosi la benda dagli occhi.
Ma l’Uomo Nero era scomparso.
Jarles si ritrovò all’imboccatura di una delle strade che si aprivano sulla Grande Piazza.
Il cielo era appena rischiarato dalla prima luce dell’alba, che ingigantiva l’immensità vuota della piazza e accarezzava con incantevoli ombre di opalescenza le cupole e le guglie del Santuario, facendo impallidire il nimbo azzurro del Grande Dio.
E dalle terre arate delle colline soffiava un vento tagliente che, dopo essersi gonfiato spazzando la Grande Piazza, sferzò la carne nuda del prete rinnegato.