Murray Leinster L’arma mutante

Capitolo primo

La probabilità di conseguenze sfavorevoli non può essere calcolata zero in ogni azione di vita normale, ma la probabilità aumenta esponenzialmente, quando una serie di azioni si prolunga. L’effetto delle considerazioni morali, nel comportamento, si può affermare che sia una riduzione verificabile matematicamente del numero degli avvenimenti casuali possibili. Naturalmente non fa alcuna differenza, rispetto ai fatti, che questo processo sia chiamato uso intelligente della probabilità, o etica o pietà. È il metodo per cui gli avvenimenti casuali sfavorevoli sono resi meno probabili. Azioni arbitrarie, come quelle che noi definiamo criminali, non possono mai essere giustificate dalla matematica. Per esempio…

Fitzgerald,

Probabilità e condotta umana


Calhoun era disteso nella sua cuccetta e leggeva Probabilità e condotta umana di Fitzgerald, mentre la piccola Nave Medica fluttuava in superpropulsione, durante la quale non restava che far passare il tempo. Murgatroyd, il tormal, dormiva raggomitolato come una palla in un angolo della piccola cabina della nave. La sua coda era meticolosamente disposta attorno al naso. Le luci della nave splendevano senza variazioni di intensità. C’erano dei lievi rumori occasionali, quelli che si devono fornire perché un uomo non impazzisca nella mortale mancanza di suoni di una nave che viaggi a velocità molte volte superiore a quella della luce. Calhoun voltò la pagina e sbadigliò.

Qualcosa si ridestò da qualche parte. Ci fu uno scatto e una voce registrata disse:

Quando suona il rintocco, mancheranno cinque secondi all’uscita.

Nel silenzio risuonò uno scatto metronomico, grave e deciso. Calhoun si sollevò dalla cuccetta e mise un segno nel libro. Si diresse alla poltrona di comando e vi si sedette, allacciando la cintura di sicurezza. Disse:

— Murgatroyd, ascolta, ascolta, l’allodola canta da qualche parte in Cielo. Svegliati e pettinati i baffi. Ci stiamo arrivando.

Murgatroyd aperse un occhio e vide Calhoun nel posto del pilota. Si srotolò e zampettò dove c’era qualcosa a cui aggrapparsi. Fissò Calhoun con occhi scintillanti.

— Bong! — fece il nastro registrato. Poi iniziò il conto alla rovescia. — Cinque… quattro… tre… due… uno…

Si fermò. La nave emerse dalla superpropulsione. La sensazione era inconfondibile. Lo stomaco di Calhoun sembrò rivoltarsi due volte ed egli ebbe la nauseante sensazione di girare fino al capogiro in quello che in un certo qual modo sembrava essere un cono. Inghiottì la saliva. Murgatroyd emise suoni soffocati. Fuori, cambiò tutto.

Il sole Maris fiammeggiava silenziosamente nel vuoto aldilà dell’oblò. L’ammasso stellare di Cetis era a poppa e la luce che lo rendeva visibile aveva viaggiato molti anni per giungere fin lì, benché Calhoun avesse lasciato il Quartier Generale Medico soltanto tre settimane prima. Il terzo pianeta di Maris viaggiava splendidamente lungo la sua orbita. Calhoun controllò e annuì soddisfatto. Si voltò a mezzo per parlare con Murgatroyd.

— Siamo proprio arrivati.

— Ciii! — stridette Murgatroyd, che sgancio la coda dalla maniglia di un mobiletto e saltellò a guardare lo schermo televisivo. Quel che vedeva, naturalmente, non significava niente per lui. Ma tutti i tormal imitano le azioni degli esseri umani, come i pappagalli imitano le loro parole. Diede una rapida occhiata, con aria giudiziosa, allo schermo e poi fissò Calhoun con aria interrogativa.

— È Maris III, — gli disse Calhoun, — ed è abbastanza vicino. È una colonia di Dettra Due. Ci hanno informato che una città era stata incominciata due anni terrestri fa. Ora dovrebbe essere sul punto di essere colonizzata.

— Ciii, ciii! — strillò Murgatroyd.

— Quindi togliti dai piedi, — ordinò calmo Calhoun. — Ci avvicineremo e li avvertiremo che siamo qui.

Compì una manovra normale di avvicinamento a velocità interplanetaria. Naturalmente fu un procedimento lungo ma dopo qualche ora abbassò l’interruttore del trasmettitore e inviò le solite frasi di identificazione e di richiesta di atterraggio.

— Nave Esculapio Venti a terra, — disse nel trasmettitore. — Richiedo le coordinate per atterrare. La nostra massa è di cinquanta tonnellate. Ripeto, Cinque zero tonnellate. Scopo dell’atterraggio: ispezione medica planetaria.

Si rilassò. Questo lavoro ormai era pura routine. C’era una griglia di atterraggio nello spazioporto di Maris III. Dalla sua stanza di controllo sarebbero state inviate istruzioni, che indicavano una posizione a circa cinque diametri planetari dalla superficie di quel pianeta. La piccola nave di Calhoun si sarebbe diretta in quel punto. La gigantesca griglia di atterraggio avrebbe emesso un suo campo di forza particolare che avrebbe agganciato la nave e l’avrebbe portata gentilmente ma irresistibilmente a terra. Poi Calhoun, che rappresentava il Servizio Medico, avrebbe conferito con aria grave con le autorità planetarie a proposito delle condizioni sanitarie di Maris III.

Non ci si doveva aspettare che venisse a galla qualcosa di importante. Calhoun avrebbe fornito tutti i dettagli dei recenti progetti nel campo della medicina. Queste notizie potevano essere già giunte a Maris III per mezzo degli ordinari rapporti commerciali, ma lui avrebbe dovuto assicurarsene. Poteva, ma la cosa non era possibile, imparare qualcosa di nuovo che avessero scoperto lì. In ogni caso entro tre giorni doveva tornare alla piccola Nave Medica, la griglia l’avrebbe spinta in alto fino a non meno di cinque diametri planetari di distanza e l’avrebbe rilasciata. E Calhoun, Murgatroyd e la Nave Medica sarebbero rientrati nella superpropulsione tornando velocemente al Quartier Generale da dove erano venuti.

In quel momento, Calhoun stava aspettando una risposta alla sua richiesta di atterraggio. Ma guardava il grande disco del vicino pianeta.

— In base alla carta, — osservò a Murgatroyd, — la città dovrebbe essere sulle rive di quella baia, più o meno dove finisce, vicino alla linea dell’orizzonte.

La sua chiamata ebbe risposta. Una voce disse con tono incredulo dall’altoparlante del telefono spaziale:

Che cosa? Di che si tratta? Che cosa avete detto?

— Nave Medica Esculapio Venti, — ripeté pazientemente Calhoun. — Chiedo le coordinate per l’atterraggio. La nostra massa è di cinquanta tonnellate. Ripeto, cinque zero tonnellate. Scopo dell’atterraggio: ispezione sanitaria planetaria.

La voce disse con aria ancora più incredula:

— Una Nave Medica? Santo… — Dal cambiamento del tono, l’uomo sul pianeta doveva essersi voltato dal microfono. — Ehi! Senti un po’ qui!

Silenzio improvviso. Calhoun alzò le sopracciglia. Tamburellò sul pannello di controllo davanti a lui. Una pausa molto lunga. Poi dalla superficie del pianeta giunse una nuova voce:

Voialtri lassù! Fatevi conoscere!

Calhoun disse con molta educazione:

— Questa è la Nave Medica Esculapio Venti. Vorrei scendere a terra. Scopo dell’atterraggio: ispezione sanitaria.

Aspettate, — disse la voce dal pianeta. Suonava molto tesa.

Risuonò un mormorio, trasmesso da ottanta chilometri più in basso. Poi si sentì uno scatto. Il trasmettitore là in basso era stato chiuso. Calhoun alzò ancora le sopracciglia. Questo non era affatto previsto dalle consuetudini. Il Servizio Medico era sovraccarico e scarso di personale. Le risorse dei servizi interplanetari erano sempre destinate ad essere stiracchiate al massimo, perché al momento non era possibile un governo galattico. Migliaia di pianeti occupati, i più vicini a distanza di anni luce, non potevano fare le elezioni o tenere riunioni politiche perché il viaggio, anche con la superpropulsione, era troppo lento. Potevano avere soltanto organizzazioni di servizi la cui autorità dipendeva dal consenso della gente servita e il cui sostegno doveva essere ottenuto dove e quando era possibile.

Ma tutti ammettevano che il servizio medico era importante. Il Quartier Generale del settore locale era nell’ammasso stellare Cetis. Era una specie di clinica interstellare, con delle appendici. Raccoglieva e disseminava i risultati dell’esperienza sulla salute e sulla medicina tra qualche migliaio di mondi coloniali e di tanto in tanto prendeva contatto con altri quartier generali che facevano lo stesso lavoro da qualche altra parte. Si doveva ammettere che ci volevano cinquanta anni perché una nuova tecnica sulla selezione dei geni attraversasse la parte occupata della galassia, ma la stessa distanza poteva essere coperta in tre anni con la superpropulsione andando direttamente da un punto all’altro. E il Servizio Medico era valido. Non c’era alcun problema di adattamento ecologico umano che fino a quel momento non fosse riuscito a risolvere, e c’erano diverse dozzine di pianeti le cui colonie umane gli dovevano la propria esistenza. Non c’era alcun posto, proprio alcun posto in cui una nave medica non fosse la benvenuta quando proveniva dal Quartier Generale.

— Voi a terra! — disse seccamente Calhoun. — Che cosa succede? Mi fate atterrare o no?

Non ci fu risposta. Poi improvvisamente ogni apparecchiatura in grado di emettere suoni sulla nave emise di colpo un rauco e mostruoso rumore. Le luci si alzarono e gli interruttori le spensero. Il segnalatore di vicinanza di un oggetto ululò. Il segnalatore della temperatura dello scafo sibilò. Il campo di gravità interna della nave diede uno strappo orribile per un istante poi cessò del tutto. Ogni strumento destinato a segnalare una emergenza scampanellò, o urlò, o rumoreggiò o ululò. Per un istante si scatenò l’inferno.

Durò soltanto meno di un secondo. Poi tutto si fermò. Non c’era più peso entro la nave e non c’erano luci. C’era un silenzio mortale e Murgatroyd emetteva suoni piagnucolosi nell’oscurità.

Calhoun pensava assurdamente dentro di sé. Secondo il libro, questa è la conseguenza casuale sfavorevole di qualcosa. Ma era più che uno sfavorevole avvenimento casuale. Era un avvenimento intenzionale, drastico e probabilmente mortale.

— Qualcuno s’è messo in azione, — disse Calhoun con calma nell’oscurità. — Che diavolo hanno laggiù?

Premette il pulsante dello schermo televisivo per vedere che cosa c’era fuori. Gli schermi televisivi di una nave sono ben protetti da fusibili contro i corti circuiti da sovraccarico, perché non c’è niente nel cosmo tanto indifeso e destinato a perire quanto una nave che sia cieca nel vuoto dello spazio. Ma gli schermi non si riaccesero. Non potevano. Gli interruttori non erano scattati in tempo.

I capelli di Calhoun si rizzarono. Ma quando i suoi occhi si adattarono al buio, vide le maniglie delle porte e degli strumenti che emettevano una pallida luce fluorescente. Non erano stati resi fluorescenti in vista di una emergenza come quella, naturalmente, ma potevano essere di grande aiuto. Sapeva quel che era accaduto. Poteva essere una cosa sola. Un campo di forza di una griglia di atterraggio agganciato a una nave di cinquanta tonnellate con la forza necessaria a far atterrare una nave di linea di ventimila tonnellate. Con quella forza avrebbe paralizzato qualunque strumento e fatto saltare qualunque interruttore. Non poteva essere un incidente. La ricezione delle notizie della sua identità, la richiesta ripetuta della sua identità, e poi la richiesta di aspettare. Quell’azione criminale era deliberata.

— Forse, — disse, Calhoun nella cabina nera come l’inchiostro, — il nostro arrivo come Nave Medica è una conseguenza casuale sfavorevole di qualcosa… e qualcuno ha intenzione di impedirci di farlo. Sembra proprio così.

Murgatroyd piagnucolò.

— E penso, — aggiunse freddamente Calhoun, — che qualcuno può aver bisogno di un buon calcio nel suo apparato negativo di alimentazione!

Si slacciò la cintura di sicurezza e si gettò a tuffo attraverso la cabina in cui non c’era alcuna gravità. Nell’oscurità aperse la porta di un ripostiglio. Quel che fece nell’interno di solito era compiuto da un uomo che calzava guanti fortemente isolanti, nella griglia di atterraggio del Quartier Generale. Fece scattare certi interruttori che avrebbero permesso lo scarico delle batterie di accumulatori di potenza che facevano funzionare la superpropulsione della nave. Per inserire nella superpropulsione anche solo una nave da cinquanta tonnellate ci volevano mostruose quantità di energia e quando la nave ne usciva mostruose quantità venivano immagazzinate. La potenza consisteva in pochi grammi di energia pura, naturalmente e per ragioni di sicurezza quelle quantità erano immesse nelle batterie Duhanne soltanto prima del lancio della Nave Medica e ne erano tirate fuori non appena tornava. Ma ora, Calhoun aveva aperto interruttori che avevano reso disponibili enormi quantità di energia da gettare nel campo di forza d’atterraggio che lo circondava… se fosse stato necessario.

Fluttuò di nuovo verso la poltrona di comando.

La nave si scosse. Violentemente. Era mossa dal campo di forza senza alcuna delicatezza. Le mani di Calhoun fecero appena in tempo ad afferrare lo schienale della poltrona, prima che la scossa avvenisse, e quasi furono costrette a lasciare la presa. Evitò per un pelo di essere sbattuto contro la parete posteriore della cabina dalla improvvisa accelerazione. Ma era ben lontano dal pianeta. Era alla estremità di una leva lunga ottanta chilometri e per riuscire a fare in modo che questa leva riuscisse a sbatacchiarlo brutalmente erano necessari determinati controlli. Ma qualcuno li stava facendo. La scossa cambiò direzione. Fu sbattuto selvaggiamente contro la poltrona alla quale si era aggrappato. Lottò. Un’altra scossa, in un’altra direzione. Ancora un’altra. Lo sbatté violentemente nella poltrona.

Dietro di lui Murgatroyd squittì rabbiosamente mentre era sbatacchiato nella cabina. Cercò di aggrapparsi a qualcosa con le quattro zampe e la coda.

Un’altra scossa. Calhoun aveva appena finito di agganciare la cintura di sicurezza, altrimenti una scossa furiosa lo avrebbe mandato a spiaccicarsi contro il soffitto della cabina. Un altro maligno impulso di accelerazione mentre cercava di raggiungere i comandi. Lo scuotimento della nave aumentò in modo intollerabile. Aveva la nausea. Una volta fu sbattuto tanto violentemente nella poltrona che quasi svenne; poi la direzione della spinta fu cambiata nella direzione opposta tanto che il sangue che affluì alla sua testa fu quasi sul punto di farla esplodere. Le braccia gli si apersero incontrollabilmente. Gli venne il capogiro. Ma quando le sue mani furono sbattute sul pannello degli strumenti, tentò, malgrado le escoriazioni, di aggrapparsi agli interruttori e ogni volta riuscì ad aprirli. Praticamente tutti i circuiti erano fuori uso, ma ce n’era uno…

Lo aperse con le dita intorpidite. Ci fu un rombo così feroce che sembrò quasi un’esplosione. Aveva raggiunto l’interruttore che rendeva efficiente il circuito di scarico delle batterie Duhanne. Lo aveva aperto. Era stato fatto per permettere lo scarico della riserva di potenza di superpropulsione della piccola nave negli accumulatori del Quartier Generale al ritorno da una missione. Ora, invece, si versò nel campo di atterraggio all’esterno della nave. Ammontava a centinaia di milioni di kilowatt/ora, immessi nella frazione di un secondo. Si sentì odore di ozono e il rumore fu come un colpo di tuono.

Ma improvvisamente ci fu una strana e incredibile pace. Le luci ripresero a splendere con incertezza appena le sue dita tremanti rimisero a posto gli interruttori di sicurezza. Murgatroyd strillò con indignazione, mentre stava aggrappato disperatamente a un pannello di strumenti. Ma gli schermi televisivi non si riaccesero. Calhoun bestemmiò. Velocemente rimise in funzione altri circuiti elettrici. L’indicatore di vicinanza denunciò la presenza del pianeta Maris III a circa sessantacinquemila chilometri. L’indicatore di temperatura dello scafo era sui 13 gradi C. Il campo di gravità interno si riattivò debolmente e poi crebbe fino a ridiventare. normale. Ma gli schermi non si accendevano. Erano danneggiati permanentemente. Calhoun si arrabbiò per qualche secondo, poi recuperò la calma.

— Ciii, ciii, ciii! — balbettò Murgatroyd disperatamente. — Ciii, ciii!

— Zitto! — grugnì Calhoun. — Qualche intelligentone a terra ha escogitato un nuovo modo di commettere un assassinio. E c’è quasi riuscito, anche! Ha pensato di scuoterci a morte come fa un cane con un topo, solo che lui usava una griglia di atterraggio. Spero proprio di averlo abbrustolito!

Ma non era probabile. Quantità di potenza come quelle usate per far atterrare una nave di ventimila tonnellate non sono controllate direttamente, ma per mezzo di comandi a distanza. La potenza che Calhoun aveva gettato nel campo di forza della griglia avrebbe fatto saltare i trasformatori della griglia con un bell’effetto di fuochi artificiali, ma era poco probabile che avesse raggiunto la persona che stava ai comandi.

— Ma sospetto, — disse Calhoun con aria vendicativa, — che considererà la faccenda come un avvenimento sfavorevole. Qualcuno gli salterà in testa anche, o per aver tentato di fare una cosa del genere oppure per non essere riuscito a farla. Solo che, soltanto a scopo di precauzione…

La sua espressione cambiò improvvisamente. Aveva tentato di non pensare al fatto che non aveva alcuna visibilità del cosmo fuori dalla nave. Ora gli venne in mente il telescopio elettronico. Non era stato in funzione, quindi non avrebbe potuto essere stato bruciato come gli schermi televisivi. Lo mise in funzione. Sulla sua testa apparve un campo di stelle.

— Ciii, ciii! — gridò istericamente Murgatroyd. Calhoun gli diede un’occhiata. Le scosse della nave avevano spostato gli strumenti della rastrelliera alla quale si era aggrappato Murgatroyd: pur fissati com’erano, si erano spostati tanto da imprigionare saldamente la coda del tormal.

— Dovrai aspettare, — gli gridò Calhoun. — In questo momento devo fare in modo che il nostro sembri un incidente riuscito. Altrimenti chiunque abbia voluto spiaccicarci in cabina tenterà qualcos’altro.

La Nave Medica schizzava nello spazio alla velocità che aveva avuto quando il campo di forza si era spezzato. Calhoun spostò il campo visivo del telescopio e simultaneamente mise in funzione i razzi di emergenza. Ci fu il rumoreggiare degli scoppi sottili come una matita e ad alta velocità. La nave si impennò.

— Niente percorsi diretti — ricordò Calhoun a se stesso.

Fece entrare la nave in una spirale da capogiro, come se innumerevoli cose si fossero sganciate nel suo interno e i suoi razzi si fossero accesi da soli. Faticosamente fece esplodere all’esterno tutte le immondizie che avevano dovuto essere immagazzinate durante il viaggio in superpropulsione perché non potevano essere espulse in quelle condizioni di volo. A qualunque strumento di esplorazione spaziale da terra sarebbero apparse come una esplosione avvenuta nell’interno della nave.

— Ora… Il pianeta Maris III ruota attraverso il campo del telescopio elettronico. Sembrava orrendamente vicino, ma dipendeva dall’integramento del telescopio. Eppure Calhoun sudò. Per rassicurarsi guardò il quadrante dell’indicatore di vicinanza. Il pianeta era più vicino di una quindicina di miglia di chilometri.

— Ah! — disse Calhoun.

Cambiò la direzione a spirale della nave. La cambiò ancora. E improvvisamente invertì la direzione della sua rotazione. Un adeguato allenamento in combattimento spaziale avrebbe potuto contribuire a definire una rotta di fuga, ma avrebbe potuto essere riconoscibile. Mentre ora nessuno avrebbe potuto prevedere le sue manovre. Regolò il telescopio la prima volta che il pianeta passò nel suo campo visivo e fece scattare il fotoregistratore. Poi uscì dalla spirale, fece turbinare la nave fin che la città fu inquadrata dal telescopio, e fece funzionare il fotoregistratore tanto a lungo quanto osò mantenere la nave su una rotta diritta. Poi si tuffò verso il pianeta con una pazza caduta a spirale con sbandate intermittenti e compì un ultimo folle balzo quasi parallelo alla superficie del pianeta.

A ottocento chilometri dal suolo scoprì gli oblò che dovevano essere tenuti necessariamente schermati nello spazio. C’era un cielo illuminato vivamente dalle stelle. E c’era una profonda oscurità a tribordo che era l’emisfero notturno del pianeta.

Discese. A seicento chilometri l’indicatore della pressione esterna oscillò. Lo usò come un indicatore di tubo di Pitot, facendo a mente le somme per trovare la pressione statica che doveva esistere a questa altezza, per confrontarla con la pressione dinamica prodotta dalla sua velocità attraverso il vuoto quasi assoluto. La pressione avrebbe dovuto essere sostanzialmente zero. Capovolse la nave e diminuì la velocità per diminuire l’indicazione della pressione. La nave discese. Trecento chilometri. Vide la sottile linea luminosa al bordo del pianeta. Giù a centocinquanta chilometri. Spense i razzi e lasciò calare la nave silenziosamente con la punta rivolta verso l’alto.

A quindici chilometri controllò se ci fossero radiazioni prodotte dall’uomo. Nello spettro elettromagnetico non c’era niente, salvo il crepitare delle scariche statiche in una tempesta elettrica che doveva essere lontana almeno 1.500 chilometri. A otto chilometri di altitudine l’indicatore di vicinanza, al punto più basso della sua scala numerica, ondeggiò in modo da fargli capire che egli si stava spostando lateralmente attraverso un terreno montagnoso. Raddrizzò la nave e diminuì anche la velocità.

A tre chilometri usò i razzi per decelerare. La fiamma sottile come una matita si spinse verso il basso a una incredibile distanza. Per mezzo della osservazione a occhio nudo da un oblò, inclinò la nave che scendeva velocemente rombando, fino a che le colline e le foreste sotto di lui smisero di muoversi. A quel punto era davvero a bassa quota.

Toccò terra sul fianco di una montagna che fu illuminata dalla fiamma bianco azzurrina degli scarichi dei razzi. Scelse un’area in cui le cime degli alberi erano quasi allo stesso livello, indicando che spuntavano da qualcosa di simile a un pianoro. Murgatroyd era a quel punto praticamente fuori di sé per il suo imprigionamento e la pressione sulla coda, ma Calhoun non aveva tempo di liberarlo. Fece calare la nave lentamente, tentando di scendere lungo una linea perfettamente verticale.

Se non vi riuscì perfettamente, ci andò molto vicino. La nave si adagiò in quello che era praticamente un tunnel scavato dal fuoco tra alberi mostruosi. La sottile fiammata ad alta velocità non si allargò quando toccò il suolo. Penetrò. Si scavò un foro per sé attraverso l’humus, l’argilla e la roccia e quando la nave si posò definitivamente, stabilizzandosi, c’erano sotto di essa una ventina di metri di pietra fusa ribollente; ma quando si fermò si udì soltanto un piccolo suono stridente. Un ramo d’albero, amputato dalla fiamma, accarezzò gentilmente lo scafo.

Calhoun spense i razzi. La nave oscillò leggermente e si udirono suoni di scricchiolii. Poi rimase immobile sugli alettoni di atterraggio.

— Ora, — disse Calhoun, — posso occuparmi di te, Murgatroyd.

Mise in funzione i microfoni esterni, che erano più sensibili delle orecchie umane. I rivelatori di radiazioni erano ancora in funzione. Trasmettevano soltanto il crepitio della tempesta lontana.

Ma i microfoni introdussero l’ululare del vento sulle vicine cime dei monti ed il sussurrare quasi assordante delle foglie che stormivano. Sotto quei suoni c’era un accavallarsi di altri rumori naturali. Erano cinguettii e squittii e i grugniti della vita animale locale. Questi suoni avevano una qualità singolarmente pacifica. Quando Calhoun li abbassò, fino a farne un rumore di sottofondo, suggerirono quella specie di concerto di creature notturne che per gli uomini è sempre stato un’indicazione della più assoluta tranquillità.

Subito dopo Calhoun osservò le telefoto che il telescopio aveva scattato quando passava sopra la città. Era la città coloniale che il rapporto indicava essere stata iniziata due anni prima per ricevere i coloni di Dettra Due. Era la città della griglia di atterraggio che aveva tentato di distruggere la nave medica come un cane uccide un topo, scuotendola per ridurla in pezzi a circa sessantacinquemila chilometri nello spazio. Era la città che aveva costretto Calhoun ad atterrare con i suoi schermi visivi accecati; che lo aveva costretto a fingere che la sua nave era un rottame; che aveva assorbito le sue riserve di potenza di qualche centinaio di milioni di kilowatt/ora di energia. Era la città che aveva reso impossibile il suo ritorno al Quartier Generale.

Ispezionò le foto telescopiche. Erano molto chiare. Mostravano la città con stupefacente dettaglio. C’era un intreccio di superstrade, con i loro medaglioni di costruzioni multiple di abitazioni. C’erano le lussureggianti aree dei parchi tra gli edifici di quella capitale planetaria. C’era anche la griglia di atterraggio, una struttura di travature d’acciaio alta ottocento metri, con il diametro di oltre millecinquecento metri.

Ma non c’erano veicoli sulle superstrade. Non c’erano puntini sui sovrappassi a indicare gente a piedi. Non c’erano elicotteri sui tetti degli edifici, né c’erano oggetti a mezz’aria a indicare un traffico aereo.

O la città era deserta o non era mai stata occupata. Ma era assolutamente intatta. Le strutture erano perfette. Non c’era alcuna indicazione di panico o di un disastro passati ed anche le superstrade non erano state invase dalla vegetazione: era vuota… oppure era morta.

Ma in essa c’era qualcuno che aveva tentato molto ferocemente e con singolare efficienza di distruggere la Nave Medica.

Perché era una Nave Medica.

Calhoun alzò le sopracciglia e guardò Murgatroyd.

— Perché tutto questo? — domandò. — Hai qualche idea?

— Ciii! — strillò Murgatroyd.

Загрузка...