Capitolo sesto

— È improprio usare il termine “giocatore” per un uomo che usi le tavole attuariali o le tavole della probabilità per fare scommesse che gli assicurino una favorevole percentuale di vincite. Ancor meno è appropriato chiamare giocatore un uomo che bara. Egli elimina il caso dalle sue operazioni con il suo barare. Egli non gioca per niente d’azzardo.

Il solo autentico giocatore è uno che corre dei rischi senza considerare il caso; che agisce in base alla ragione, all’intuito, all’ispirazione o alla superstizione senza far conto delle probabilità. Egli ignora il fatto che il caso quanto il pensiero ha un peso nel determinare il risultato di qualunque azione. In questo senso, il criminale è un vero giocatore. È sempre fiducioso che la probabilità non interferisca; che non avvenga alcun avvenimento casuale. Fino ad oggi tuttavia, non esiste alcuna analisi statistica di un crimine che abbia dimostrato di trattarsi di un’azione che un uomo ragionevolmente prudente avrebbe arrischiato. Gli effetti del puro avvenimento fortuito irregolare possono essere tanto imponenti…

Fitzgerald,

Probabilità e condotta umana


I rumori notturni del pianeta Maris III venivano da tutta l’aperta campagna oltre la città stessa. Negli edifici, naturalmente, c’era solo silenzio. C’erano parchi, aperti tra essi, qua e là, e spazi verdi erano a fianco di ogni superstrada. Ma dalla città venivano solo piccoli suoni di cinguettii. L’aperta campagna cantava alle stelle.

Calhoun si dispose ad aspettare, con il suo carico incosciente e con Murgatroyd. Non poteva sapere quanto tempo sarebbe passato prima che si accorgessero che l’operatore del centralino non rispondeva e andassero a controllare. Era sicuro comunque che l’apparire del coma finale in un uomo che avrebbe dovuto essere immune alla pestilenza avrebbe prodotto dei risultati. L’uomo del centralino sarebbe stato portato al microbiologo che doveva essere a capo di quell’operazione di assassinio. Doveva esserci un uomo del genere. Un uomo che doveva sapere tutto sulla pestilenza, in grado di fronteggiare qualunque eventualità che si fosse presentata e c’era da immaginare che soltanto il più qualificato di tutti gli uomini che avevano lavorato per sviluppare la pestilenza sarebbe stato incaricato di controllare la sua prima prova pratica. Poteva essere proprio l’uomo che aveva escogitato la combinazione sinergica. Sarebbe stato a portata di mano. Avrebbe avuto ogni possibile attrezzatura di cui potesse avere bisogno, in un laboratorio organizzato in modo superlativo sull’astronave. E l’uomo del centralino gli sarebbe stato portato.

Calhoun attese. Aveva un altro uomo in coma apparente, pronto da usare quando ne fosse giunto il momento. Ora riposava nella profonda ombra delle stelle di uno dei supporti della massiccia griglia di atterraggio. Murgatroyd gli si stringeva addosso. Il tormal era normalmente attivo durante il giorno. Ma l’oscurità lo intimidiva. Tendeva a piagnucolare se non era appiccicato a Calhoun.

Sopra di loro apparivano indistintamente le pesanti arcate slanciate della griglia di atterraggio. La griglia doveva controllare navi di linea di ventimila tonnellate e anche più. Era progettata per regolare il traffico interstellare di un mondo. Oltre ad essa la città si stendeva sullo sfondo delle stelle. L’edificio di controllo, dal quale si faceva. funzionare la griglia, si stendeva su almeno mezzo acro, non lontano da dove Calhoun stava in attesa. I suoi occhi si erano adattati all’oscurità e poteva vedere deboli luminosità, come se ci fossero finestre illuminate lontano, davanti a lui. Era a meno di venti metri dall’astronave gigante globulare che aveva portato fin lì gli invasori a compiere il loro lavoro da macellai.

C’era quasi silenzio, salvo il coro di miri di piccole voci che facevano la serenata al cielo. Era un notevole caso di suono totale. Di tanto in tanto Calhoun udiva note di basso profondo prolungate, come fossero i toni più bassi possibili di un grande organo. Poi c’erano dei trilli liquidi che potevano provenire da qualunque specie di uccello, di animale o di rettile. Tra l’uno e l’altro giungevano dei cinguettii e improvvisi peana di musica, come strumenti musicali a fiato che provassero brani melodici sperimentali.

Fu facile attendere per Calhoun. L’intera faccenda si era chiarita nella sua mente. Sentiva non soltanto di sapere quel che era accaduto su quel mondo, ma anche quello che sarebbe potuto accadere altrove se quella particolare impresa si fosse dimostrata vantaggiosa.

Maris III avrebbe dovuto essere il pianeta gemello del vecchio Dettra Due, da tempo colonizzato. Ci sarebbe stato uno stretto vincolo di interessi e di tradizioni tra i due mondi. Avrebbero avuto una tradizione comune e sangue comune e tutti i legami che mantengono due civiltà consanguinee. La cultura più vecchia aveva costruito una città e fattorie e servizi per mezzo milione dei suoi membri più avventurosi. Essi sarebbero venuti lì a prendere possesso di quel mondo e avrebbero zelantemente incominciato il suo sviluppo sulla falsariga del vecchio pianeta. Avrebbero orgogliosamente iniziato il pagamento di quel che avevano avuto, e anche più orgogliosamente si sarebbero preparati a ricevere ancora e ancora e poi ancora abitanti del vecchio mondo affollato.

Tutto ciò era in accordo con la legge naturale, che non solo determina il corso dei pianeti attorno al loro sole centrale, ma detta ciò che è saggio, idoneo e conveniente per l’umanità. Ma gli uomini non hanno bisogno di dar retta alle leggi della natura. Non possono essere cambiate, non possono essere infrante. E da qualche parte c’era un mondo, o almeno il governo di un mondo, che tentava di spezzare le leggi che Calhoun sapeva essere essenziali.

Nel grande cosmo anche il crimine è normale. Le leggi naturali possono essere distorte per aiutarlo. Per esempio una nave spaziale poteva essere costruita con le ali. Nello spazio non avrebbe avuto importanza. Normalmente sarebbero state inutili. Ma se qualcuno desiderava commettere un crimine enorme, si poteva costruire un’astronave dotata di ali, e invece di entrare nell’atmosfera per mezzo di raggi progettati per farla calare gentilmente in caso di emergenza, avrebbe potuto entrare nell’aria del pianeta ignaro e volarvi con le ali che aveva portato attraverso anni luce di vuoto.

Una tale nave alata, che volava a reazione come un aeroplano, poteva disseminare pallottoline congelate di contagio. Poteva scegliere per quello scarico un posto che fosse sopravvento a una città e poteva scegliere un’altezza tale che un’area di molti e molti chilometri quadrati sarebbe stata saturata da invisibili e mortali creatori di infezione. La nave poteva volar via anche sempre più in alto e alla fine contare solo sui suoi razzi nella mancanza d’aria fin dove la sua propulsione spaziale potesse agire nello spazio non sottoposto a tensione. Poteva tornare alla base con la superpropulsione e il solo segno della sua venuta, il solo segno che sarebbe stato conosciuto, sarebbe stato il ricordo del rombare del tuono in un cielo colmo di stelle. Ma ci sarebbe stata una pestilenza.

Questo era quanto era accaduto esattamente. La città vuota era stata imbevuta di particelle di virus così sottili che soltanto il microscopio elettronico avrebbe potuto dire che esistevano e non avrebbe potuto distinguerle da quelle strettamente simili ad esse. Ma esse erano mortali. Singolarmente, no. Da solo, ciascuno dei due tipi poteva produrre soltanto la più semplice delle infezioni. Combinate, producevano una tossina che toglieva al sangue umano la sua capacità di trasportare l’ossigeno. In un certo senso l’effetto era uguale a quello del monossido di carbonio. Più direttamente, facevano deperire i corpi per mancanza di ossigeno.

E tutto ciò era innaturale. Degli uomini avevano progettato la peste e i mezzi per diffonderla. Ne avevano fatto uso. Sul mondo dove il tuono era rimbombato in un cielo senza nubi, uomini e donne erano morti. Poi era giunta una nave per verificare le cose, per assicurarsi che tutto fosse andato bene su Maris III. I nuovi venuti sapevano che la pestilenza non li avrebbe toccati. Avevano ucciso i pochi sopravvissuti che erano riusciti a trovare in città e avevano dato la caccia agli altri in aperta campagna.

Ora attendevano che giungessero altri della loro razza, per occupare il pianeta preparato per loro. Quando fossero venute le navi da Dettra Due, che aveva costruito la città e preparato i campi, i coloni occupanti potevano rifiutare di farli entrare. O potevano lasciarli atterrare e vederli morire. Maris III ora era inutile per il mondo che lo aveva sviluppato. Solo il mondo che aveva assassinato la sua prima minuscola popolazione poteva ricavarne un beneficio. Perché naturalmente gli emigranti del mondo criminale sarebbero stati immunizzati contro la pestilenza che i loro governanti avevano inviato prima di loro. Potevano vivere lì liberamente, come i macellai che erano giunti per primi. Poteva sembrare una brillante concatenazione di avvenimenti.

Ma Calhoun digrignava i denti. Vedeva altri aspetti di quella faccenda. Uomini che potevano fare una cosa del genere, potevano anche andare oltre. Molto oltre. Quel che aveva immaginato era niente in confronto a quanto poteva venire dopo.

C’era una luce in movimento nella città. Calhoun si alzò a sedere, tutto teso, a osservarla. Era un’automobile sulla superstrada con i fari che splendevano a illuminare la strada. Svanì dietro gli edifici. Ricomparve. Attraversò un ponte slanciato e scomparve di nuovo, per poi riapparire. Stava venendo più vicina e dopo poco i suoi fari splendettero negli occhi di Calhoun mentre filava furiosamente sul tappeto erboso della griglia di atterraggio, diretta all’edificio dove erano alloggiati i trasformatori e i comandi della griglia.

Là si fermò con una rapida frenata. Le luci rimasero accese. Degli uomini balzarono fuori e corsero all’edificio di controllo. Calhoun non sentì alcuna voce. Le canzoni delle creature della notte avrebbero annullato le voci umane. In pochi minuti comunque un maggior numero di uomini uscì dall’edificio ammassandosi accanto all’automobile. Dopo pochi secondi l’auto era ancora in movimento, ondeggiando e sobbalzando sull’erba verso l’astronave atterrata.

Si fermò a cento metri da dove Calhoun si era nascosto. I fari brillavano e scintillavano contro il tondeggiante metallo argenteo dell’astronave. Un uomo si mise a gridare:

— Aprite, aprite! È accaduto qualcosa! Un uomo è ammalato! Sembra che abbia la peste!

Non accadde niente. Lui gridò ancora. Un altro uomo batté sullo spesso metallo del portello stagno esterno.

Dagli altoparlanti esterni risuonò improvvisamente una voce.

Che c’è? Di che si tratta?

Molte voci tentarono di balbettare, ma una voce dura li fece tacere e gridò delle spiegazioni, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere stata scritta in precedenza da Calhoun. C’era stato un uomo di guardia al centro delle comunicazioni della città, il quale non aveva passato diverse comunicazioni tra i posti abitati dagli invasori. Qualcuno era andato a vedere perché. L’uomo al centralino era incosciente. Sembrava aver preso la peste. Sembrava che le iniezioni che aveva fatto non lo avessero immunizzato.

La voce dell’altoparlante disse:

Sciocchezze! Portatelo dentro!

Pochi secondi dopo il portello si aprì e scese in basso, formando una rampa dal terreno al portello vero e proprio. Gli uomini a terra sollevarono una figura inerte dall’automobile. In parte portandola in parte trascinandola salirono la rampa fino al portello. Calhoun vide che anche il portello interno era aperto. Trascinarono dentro la figura.

Poi non accadde niente, salvo che uscì un uomo fregandosi le mani sull’uniforme come se avesse una paura isterica che toccando il compagno privo di conoscenza si fosse infettato anche lui.

Poco dopo uscì un altro uomo. Tremava. Poi gli altri. La voce aspra disse furiosamente:

— Così lui scoprirà di che si tratta. Non può essere la peste. Siamo stati immunizzati. Deve andare tutto bene. Magari è svenuto o qualcosa del genere. Smettetela di comportarvi come se doveste morire! Tornate al lavoro. Ordinerò un appello, tanto per essere sicuro.

Calhoun ascoltò con soddisfazione. La porta interna si chiuse ma quella esterna rimase giù come una rampa. L’automobile si allontanò, si fermò, scaricò qualche passeggero all’edificio di controllo e se ne andò, scomparendo sulla superstrada da dove era apparsa la prima volta.

— L’uomo che ho messo fuori combattimento, — disse seccamente Calhoun a Murgatroyd, — li impressiona sfavorevolmente. Sperano che sia soltanto un incidente. Vedremo. Ma la persona autorevole farà l’appello. Dovrebbe scoprire qualcosa che li preoccuperà tutti, quando lo farà.

— Ciii! — disse Murgatroyd in tono sommesso.

Ci fu ancora silenzio e tranquillità salvo per la canzone alle stelle in aperta campagna. Sembrava che di tanto in tanto nel coro vi fossero colpi di tamburo.

Passò mezz’ora prima che dall’edificio di controllo si vedesse uscire una luce a pianterreno. Era come se fossero state aperte porte invisibili e la luce ne uscisse. In pochi minuti apparve una luce che avanzava. Svanì e fu visibile ancora, come la luce della prima automobile.

— Ah, — disse Calhoun soddisfatto. — Controllando, hanno trovato l’invasore che abbiamo lasciato per strada. Lo hanno annunciato per mezzo del comunicatore. Può darsi che abbiano registrato altre due scomparse, una delle quali è accanto a te, Murgatroyd. Dovrebbero sentirsi leggermente scombussolati.

L’automobile giunse in velocità al centro della griglia di atterraggio e frenò. L’attendevano delle figure. Dopo una brevissima pausa raggiunse ancora l’astronave con il portello aperto. La voce aspra ansimò:

— Ce n’è un altro. Lo portiamo dentro!

L’altoparlante disse, in tono in certo qual modo seccato:

— Va bene. Ma il primo uomo non ha la peste. Il suo tasso metabolico è normale. Non ha la peste!

— Qui ce n’è un altro, comunque!

Le figure arrancarono sulla rampa con il secondo carico inerte. Riemersero dopo pochi minuti.

— Non è riuscito a svegliare il primo uomo, — disse una voce inquieta. — Mi sembra un brutto segno.

— Lui dice che non è la peste.

— Se dice che non lo è, — intervenne la voce autorevole, — allora non lo è! Dovrebbe saperlo. Ha inventato lui la peste!

Calhoun dietro il gigantesco supporto della griglia di atterraggio disse quietamente a se stesso, — Ah.

— Ma ascolta, — disse una voce spaventata. — C’erano dei dottori nella città quando siamo arrivati noi. Forse qualcuno è scappato. Forse, forse avevano qualche specie di germe che hanno messo in giro per ammazzarci…

La voce autorevole abbaiò. Tutte le voci ruppero in una confusione di parole e di balbettii. Gli invasori erano preoccupati. Erano spaventati. Normalmente non sarebbe loro accaduto di pensare a una malattia infettiva deliberatamente introdotta tra di loro, ma erano in quel posto proprio in seguito a una faccenda del genere. Non comprendevano tali minacce. Erano stati disposti ad approfittarne, fin che si trattava di una faccenda a senso unico. Ma ora sembrava che un’infezione stesse colpendo anche loro, sembrava probabile che si trattasse della peste da cui si era assicurata loro l’immunità. Alcuni avevano già la tremarella.

L’automobile si allontanò dalla nave spaziale. Si fermò a lungo davanti all’edificio di controllo. Ci fu una discussione animata. Calhoun sentì il debole suono del litigio sopra le voci della notte. L’automobile ripartì.

Lasciò passare venti minuti. Gli sembrarono molto lunghi. Poi raccolse l’uomo che aveva reso incosciente fuori dall’edificio dove i bevitori gozzovigliavano rumorosamente. Se lo mise sulle spalle. Aveva indossato l’uniforme della terza delle sue vittime stradali sopra la propria e quel terzo uomo giaceva da qualche parte in mutande. Alla fine sarebbe stato trovato.

— Chiederemo di essere invitati sull’astronave… e nel laboratorio, Murgatroyd, seguimi!

Si mosse verso l’astronave ferma e silenziosa.

Mentre vi si avvicinava questa diventava sempre più larga e alta. Il portello era sempre calato come una rampa. Arrancò sul piano inclinato di metallo entrò dal portello. Qui bussò alla porta interna e gridò:

— Ce n’è un altro! Anche lui svenuto! Che cosa ne faccio?

Dovevano esserci dei microfoni nel portello come all’esterno. Ma la sua voce non sarebbe arrivata tanto forte all’edificio di controllo. Non poteva plausibilmente moderare il tono, ma lo rese agitato.

— Qui ce n’è un terzo, svenuto come gli altri! Che cosa ne faccio?

Una voce metallica disse irosamente:

Aspetta!

Calhoun attese. Due uomini incoscienti, portati separatamente da un gruppo di uomini che erano più spaventati la seconda volta che la prima, rendevano estremamente probabile il fatto che il terzo non avesse attorno a sé un gruppo di compagni solleciti. Era più probabile che fosse accompagnato da uno solo, dato il rischio del contagio.

Udì dei passi dietro lo sportello interno, poi questo si aperse. Una voce irritata disse:

— Portalo dentro!

L’uomo che era disceso ad aprire la chiusura dello sportello interno, gli voltò la schiena. Calhoun lo seguì nell’interno della nave, con Murgatroyd che zampettava spaventato tra i suoi piedi. Il portello si richiuse. La figura vestita con un camice bianco da laboratorio continuò a precederlo. Era una figura minuscola. Zoppicava un poco e non era affatto una bella figura.

Calhoun lo seguì schermando la pistola a spruzzo, che fino ad allora si era dimostrata tanto utile, col corpo del finto appestato. Ascoltò corrucciato se ci fosse qualche suono a indicare altri esseri umani nell’interno della nave. Ora che aveva visto, anche soltanto di schiena, la figura del direttore del progetto di sterminio, ragionò freddamente che non ci sarebbe stato nemmeno un assistente di laboratorio.

La bizzarra figura che si muoveva davanti a lui era esattamente classificabile. Ci sono persone che, essendo fisicamente poco attraenti, diventano personalità. Troppe ragazze, e troppi uomini anche, non si preoccupano altro che di apparire di piacevole aspetto. Alcune persone che non l’hanno accettano la situazione coraggiosamente e diventano persone piacevoli da conoscere. Ma altre si ribellano amaramente.

Sapendo, come lui sapeva, che quell’uomo aveva impiegato il cervello e l’abilità per escogitare faticosamente un metodo di assassinio di massa, Calhoun si sentì quasi in grado di descrivere la sua biografia. Era stato grottesco. Odiava quelli che lo trovavano grottesco. Faceva sogni grandiosi di guadagnarsi il potere per poter punire quelli che invidiava e odiava. Aveva messo nei suoi schemi di vendetta contro il cosmo che lo aveva disprezzato, tutta la furiosa energia che avrebbe potuto usare in altro modo. Aveva sviluppato una straordinaria pazienza e un incredibile veleno. Avrebbe tramato e tramato e tramato.

Calhoun aveva incontrato tante persone che avrebbero potuto scegliere quella strada. Uno dei grandi uomini al Quartier Generale del Settore, il cui elogio era più apprezzato dell’oro, era bizzarro d’aspetto la prima volta che lo si guardava. Ma dopo cinque minuti non ci si faceva più caso. C’era un presidente planetario a Cygnus, un maestro a Cetis Alpha, un musicista… Calhoun poteva ricordarne molti. Ma la figura zoppicante che lo precedeva, non aveva scelto di seguire la strada naturale, che implica coraggio. Aveva scelto invece l’odio, e la frustrazione era inevitabile.

Giunsero nel laboratorio. Qui Murgatroyd si rallegrò. Il posto era brillantemente illuminato. Gli strumenti scintillanti erano familiari. Anche gli odori del laboratorio magnificamente equipaggiato erano rassicuranti e simili a quelli di casa per Murgatroyd. Disse con tono felice:

— Ciii, ciii, ciii!

La piccola figura si girò di scatto. Gli occhi neri si spalancarono e si accesero.

Calhoun fece scivolare il suo carico sul pavimento, la sua uniforme di membro del Servizio Medico apparve sotto quella dell’invasore quando il corpo che scivolava a terra si impigliò nella stoffa.

— Mi spiace, — disse Calhoun gentilmente, — ma devo arrestarla per aver violato i princìpi basilari della sanità pubblica. Preparare e diffondere una pestilenza mortale è un grave reato.

La figura si girò ancora di scatto. Afferrò qualcosa. Poi scattò verso Calhoun tentando disperatamente di usare un bisturi da chirurgo, la sola arma mortale a portata di mano.

Calhoun premette il grilletto della sua pistola a spruzzo che invece di lanciare vernice, proiettava invisibili anelli vorticosi di vapore di destroetile.

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