Capitolo settimo

In un senso perfettamente reale, tutti i motivi e tutte le soddisfazioni sono soggettivi. Dopo tutto, noi viviamo nel nostro cranio. Ma un uomo può fare qualcosa che desidera fare e poi contemplare le conseguenze della sua azione con piacere. Questo piacere, per la verità, è soggettivo, ma è direttamente connesso alla realtà e al cosmo oggettivo che lo circonda. Tuttavia, c’è un tipo di motivazione e di soddisfazione ultrasoggettivo che è di grande importanza nella condotta umana. Molte persone trovano la loro grande soddisfazione nel contemplare se stesse in qualche particolare contesto. Tali persone trovano evidentemente la soddisfazione in un gesto drammatico, in una aspirazione elegantemente enunciata, o semplicemente nella pura finzione di importanza, di saggezza e di merito. I risultati oggettivi di tali gesti o finzioni, sono raramente considerati. Molto spesso grandi privazioni, sofferenze ed anche morte sono state causate da qualche persona che contemplava incantata il bel dramma del suo comportamento, e che non pensava nemmeno alle sue conseguenze nei confronti di qualcun altro…

Fitzgerald,

Probabilità e condotta umana


Calhoun rese innocuo il piccolo uomo, usando l’uniforme dell’invasore che aveva indossato sopra la sua, dopo averla tagliata a strisce. Fece un lavoro accurato. Legò il suo prigioniero su una sedia e poi lo avvolse in un autentico bozzolo di strisce di stoffa. Quindi esaminò il laboratorio.

Murgatroyd camminava impettito mentre Calhoun esaminava le attrezzature. La maggior parte gli erano familiari. C’erano bacinelle di culture, microscopi visuali e elettronici, autoclavi e apparati di irradiazione, pipette e strumenti per la microanalisi, mobiletti termostatici capaci di mantenere il materiale delle culture nei limiti di un centesimo di grado della temperatura desiderata. Murgatroyd si sentiva ora completamente a suo agio.

Dopo un poco Calhoun sentì un rantolo. Si volse e fece un gesto con il capo al suo prigioniero.

— Salve, — disse educatamente. — Mi sono interessato molto al suo lavoro. Sono del Servizio Medico, a proposito. Sono venuto qui per un normale controllo sanitario del pianeta e qualcuno ha tentato di uccidermi quando ho chiesto le coordinate di atterraggio. Avrebbero fatto meglio a lasciarmi atterrare e fulminarmi quando fossi uscito dalla mia nave. L’altro naturalmente era un gesto molto più drammatico.

Occhi neri velenosi lo guardavano. Cambiavano notevolmente da momento a momento. In un certo istante erano pieni di furia rovente che era praticamente pazzia. In un’altro sembravano diventare astuti. E poi ancora rivelavano una paura puramente animale.

Calhoun disse in tono staccato:

— Dubito che serva molto parlare in questo momento. Attenderò fin che lei si sarà reso conto della situazione. Io sono nella nave. Sembra che non ci sia qualcun altro in condizione di provocare dei guai. I due uomini che il suo reparto di… ehm… ripulitura ha portato qui sono fuori causa per qualche giorno. — Aggiunse come spiegazione, — polifosfato. Una dose extra. È tanto semplice che ho pensato non l’avrebbe indovinato. Li ho messi fuori uso perché pensavo che lei fosse pronto a farmi entrare con un altro esemplare.

La figura simile a una mummia emise dei suoni inarticolati. Si sentiva un digrignare di denti. Si sentivano gorgoglii di pazza rabbia impotente.

— Lei è in stato di shock emotivo, — disse Calhoun. — Immagino che in parte sia vero, in parte falso. La lascerò perché lei lo superi. Desidero delle informazioni. Penso che lei voglia trattare. La lascio solo perché ci pensi.

Uscì dal laboratorio. Sentiva un acuto disgusto dell’uomo che aveva catturato. Era vero che credeva che il piccolo uomo avesse ricevuto un acuto shock emotivo scoprendosi catturato e impotente. Ma una parte di quello shock era costituito da una rabbia così orribile da minacciare la pazzia. Calhoun immaginò freddamente che chiunque avesse preso le decisioni e condotto la vita che egli immaginava fosse quella dell’uomo legato (la sua ipotesi fra l’altro era notevolmente esatta) potesse essere letteralmente condotto alla morte o alla pazzia, ora che era legato e poteva essere schernito a piacere. Ma non aveva voglia di schernire il suo prigioniero.

Controllò tutta la nave. Controllò il tipo e la struttura, verificò il cantiere in cui era stata costruita, fece una lista esatta nella sua mente di quel che sarebbe stato necessario per renderla un involucro inerte inutilizzabile da chiunque e tornò nel laboratorio.

Il suo prigioniero ansava, esausto. C’erano degli allentamenti di non grande entità delle strisce che l’avvolgevano. Calhoun con indifferenza strinse meglio i nodi. Il suo prigioniero sputava bestemmie indicibili e isteriche.

— Bene, — disse Calhoun tranquillamente. — Si liberi di tutta la sua pazzia e vedremo di parlare.

Si mosse per uscire ancora dal laboratorio. Da un altoparlante uscì una voce ed istantaneamente cercò e trovò il microfono che serviva a rispondere. Lo spense mentre il suo prigioniero tentava di urlare degli ordini.

— Non ha ancora scoperto niente? — chiedeva con apprensione la voce nell’altoparlante. — Non sa che cosa è successo a quegli uomini? All’appello ne mancano altri due. Qui si sta creando qualcosa di molto simile al panico. Gli uomini stanno immaginando che un dottore locale stia diffondendo la pestilenza tra noi.

Calhoun alzò le spalle. La voce veniva dall’esterno. Era stata una voce autorevole fino a poco tempo prima. Ora era preoccupata. Non rispose alla domande e queste furono ripetute. L’uomo attese poi chiese ancora. Quasi implorò una risposta che con il microfono chiuso, comunque non poteva esserci. Calhoun ascoltò con aria distaccata quando la voce autorevole, che doveva essere quella del capo dei macellai si seccò perché non veniva tenuta in considerazione. La voce svanì piano piano, tremando, leggermente scossa ma non si poteva dire se lo fosse per il terrore o per l’odio. Forse per entrambe le cose.

— La sua popolarità sta calando, — disse Calhoun. Depose il microfono disinnestato. Notò un ricevitore spaziofonico vicino all’altoparlante interno. — Ehm, — disse. — Sospettoso, no? Lei non si fidava nemmeno del capitano. Voleva tenere i contatti direttamente! Tipico!

L’uomo avvizzito, legato come un salame improvvisamente parlò con assoluta gelida precisione:

— Che cosa vuole? — domandò.

— Informazioni, — disse Calhoun.

— Per lei? Che cosa vuole? Io posso darle tutto! — disse la bocca sotto gli occhi da pazzo. — Posso darle tutto quel che riesce ad immaginare! Posso darle ricchezze maggiori di quelle che può sognare!

Calhoun si sedette con aria negligente sul bracciolo di una poltrona.

— La ascolto, — osservò. — Ma a quanto pare lei è soltanto il direttore tecnico di questa operazione. Non è un’operazione molto grande. Avevate soltanto un migliaio di persone da uccidere. Lei sta eseguendo degli ordini. Come potrebbe darmi qualcosa di importante?

— Questa… — il prigioniero bestemmiò, — questa è una prova, un esperimento! Mi lasci andare, mi lasci finire e io le darò un pianeta da comandare! La farò re di un pianeta. Avrà milioni di schiavi! Avrà donne a centinaia, a migliaia se lo vorrà!

Calhoun disse in tono distaccato: — Non si aspetterà che ci creda senza particolari.

Gli occhi neri fiammeggiarono. Poi con uno sforzo di volontà tanto violento quanto era stata violenta la sua furia, la piccola figura legata si costrinse alla calma. Ma non era vera calma. La furia si rivelava quando tentava un gesto persuasivo e non riusciva a muoversi. La frustrazione una terrificante plausibilità, con una precisione di dettagli che dimostrava uno schema elaborato con infinita accuratezza. Aveva convinto un governo planetario a tentare. Era il suo schema. Per realizzarlo ci voleva lui. Avrebbe avuto tanto potere da essere in grado di corrompere Calhoun con tutto ciò che poteva essere seducente e apparentemente irresistibile. Si mise decisamente all’opera per corromperlo.

Era una cosa orribile.

Dapprima doveva esserci una spiegazione, con tali particolari per cui l’uomo del Servizio Medico potesse comprendere che la sua ricompensa sarebbe stata infallibilmente disponibile.

La conquista di Maris III era, come Calhoun aveva più che indovinato, soltanto la prova pratica di un nuovo metodo di guerra e di conquista interplanetaria. Lì c’era un nuovo pianeta. Aveva una minuscola popolazione di preparatori che attendevano le centinaia di abitanti permanenti che avrebbero dovuto prendere possesso della città costruita su misura, delle strade, delle fattorie. Quella minuscola popolazione era stata usata per provare una nuova e irresistibile forma di conquista. La peste. La peste era stata diffusa sopra la città, l’unica fino a quel momento. Nella notte, la gente non si era accorta di nulla. Aveva incominciato a morire e anche allora non aveva saputo perché moriva o che cosa avesse provocato la morte o quando la causa della sua morte fosse stata introdotta. Ma moriva!

Calhoun annuì. Non era impressionato dal fraseggiare misterioso. Avrebbe potuto esserlo qualcuno che non fosse riuscito a immaginarsi come la peste era stata introdotta e che cosa fosse e come si era ritenuto che potesse sfuggire ai metodi microbiologici ordinari.

Il suo prigioniero continuò. E il suo tono divenne lusinghiero, e fu stridulo, e poi ancora fu tremendamente convincente e notevolmente persuasivo.

Una volta che Maris III fosse stata occupata dai coloni del mondo che aveva inviato la peste, non sarebbe stato possibile far niente. Dettra Due non avrebbe mai potuto far atterrare la sua gente nella città. Sarebbe morta. Solo la popolazione usurpatrice avrebbe potuto viverci. Per tutto il tempo a venire, il mondo di Maris III sarebbe appartenuto alla gente che vi aveva seminato la morte. I coloni permanenti avrebbero dovuto essere immunizzati come i membri del gruppo dei primi invasori.

— I quali, — disse Calhoun, — non sono tanto felici quanto lo erano prima.

Il suo prigioniero si passò la lingua sulle labbra e continuò con gli occhi che sprizzavano morte e il tono ragionevole e convincente e notevolmente ipnotico.

Ma Maris III era soltanto una prova. Una volta che il procedimento fosse stato collaudato, ci sarebbero stati altri mondi da conquistare.

Non soltanto nuovi mondi coloniali come quello. Mondi vecchi e ben instaurati si sarebbero visti attaccati da pestilenze che i loro medici sarebbero stati incapaci di combattere. Poi sarebbero venute navi dal mondo che aveva collaudato la sua tecnica su Maris III. Le navi sarebbero state in grado di porre termine alla pestilenza. Lo avrebbero dimostrato. Si sarebbero offerte di vendere la vita ai cittadini del mondo colpito… a un certo prezzo.

— Scorretto, — disse Calhoun, — ma probabilmente vantaggioso.

Il prezzo in effetti sarebbe stato la sottomissione. Si sarebbe risolto in schiavitù. Quelli che non avrebbero accettato il baratto sarebbero morti.

— Naturalmente, — disse Calhoun, — potrebbero tentare di non osservare i patti in seguito.

Il suo prigioniero sorrise a labbra strette, mentre i suoi occhi non cambiavano espressione. Spiegò in modo convincente che se ci fosse stata una rivolta, non avrebbe avuto importanza. La contromisura verso un atto di sfida sarebbe stata una nuova pestilenza. C’erano molte pestilenze pronte ad essere usate. Avrebbero costruito un impero interstellare in cui la ribellione sarebbe stata una forma di suicidio. Nessun mondo, una volta conquistato, sarebbe stato in grado di liberarsi. Nessun mondo, una volta scelto, sarebbe stato in grado di resistere. Ci sarebbero stati mondi a decine, a centinaia, per essere dominati da uomini come Calhoun. Avrebbe meritato un regno planetario per sé solo. La sua preparazione medica gli garantiva un impero! Sarebbe stato padrone assoluto e dominatore assoluto di milioni di miserabili schiavi che avrebbero dovuto soddisfare ogni suo minimo desiderio oppure morire.

— Una obiezione, — disse Calhoun. — Lei non ha parlato del Servizio Medico. Non penso che questa organizzazione prenderebbe alla leggera un simile metodo di conquista planetaria.

Quella era la prova più alta della capacità del prigioniero di influenzare, persuadere, convincere e quasi ipnotizzare. Doveva in pochi minuti rendere ridicolo il Servizio Medico e far notare la impossibilità di difendere il suo Quartier Generale di Settore e poi, senza sollevare antichi pregiudizi, di far sembrare inevitabile e naturale e quasi umoristico che il Quartier Generale di Settore ricevesse un trattamento a base di bombe nucleari non appena fosse stata condotta a termine l’impresa di Maris III. Calhoun si agitò un poco. Il suo prigioniero parlò in modo più pressante, più disperato. Dipinse mondi in cui ogni essere vivente sarebbe stato schiavo di Calhoun…

— Basta, — ho avuto le informazioni che desideravo.

— Allora mi liberi! — disse ansiosamente il suo prigioniero. Poi i suoi occhi lessero l’espressione di quelli di Calhoun, non più mascherata.

— Lei accetta! — gridò furiosamente. — Lei accetta! Non può rifiutare! Non può!

— Naturale che posso, — disse Calhoun con aria annoiata. — Lei non ne ha l’idea. Io non voglio un milione di schiavi, non ne voglio nemmeno uno. Sono ragionevolmente sano di mente. E un piano così pazzo non potrebbe comunque funzionare. La pura probabilità potrebbe inserirvi tanti avvenimenti casuali sfavorevoli che tutto sarebbe destinato ad andare in pezzi. Io ne sono la prova. Io sono un avvenimento casuale sfavorevole, proprio qui, la prima volta che tentate questa bestiale faccenda.

Il suo prigioniero tentò di parlare in modo ancora più persuasivo. Tentò di essere ancora più tentatore. Tentò, ma la sua gola era secca. Lottò per essere più convincente e più affascinante di quanto fosse possibile esserlo. Improvvisamente urlò insulti a Calhoun. Erano orribili da ascoltare. Si mise a urlare…

Calhoun alzò la pistola a spruzzo, con i lineamenti contorti e fece partire un solo anello di vapore. Nell’improvviso silenzio che seguì, una debole voce metallica risuonò nel ricevitore dello spaziofono in un angolo del laboratorio.

Chiamata a terra, — disse una voce debolmente. — Nave da casa con passeggeri chiama la base su Maris III. Chiamata a terra

Calhoun voltò la testa e ascoltò la chiamata ripetuta. Poi si chinò a fare la cosa più necessaria al suo prigioniero.

— Chiamata a terra, — disse la voce pazientemente. — Non vi sentiamo, se state rispondendo non raccogliamo il vostro segnale. Andremo in orbita e continueremo a chiamare.

Calhoun spense il ricevitore. Murgatroyd disse con aria interrogativa: — Ciii?

— Questo è un limite per noi, — disse Calhoun con aria cupa, — l’astronave carica di coloni felici e immunizzati, pronta ad atterrare qui. Noi abbiamo fatto saltare la griglia di atterraggio, Murgatroyd, quando hanno tentato di spiaccicarci sulle pareti della Nave Medica. A quanto pare nello stesso momento abbiamo fatto saltare il loro spaziofono. Quindi questo che c’è sulla nave è il solo in funzione. E abbiamo troppo buonsenso per rispondere a quella chiamata. Ma ci pone comunque dei limiti di tempo. Se non riescono a farsi rispondere dai loro amici, staranno in orbita, ma qualcuno verrà giù con una scialuppa di salvataggio per scoprire che cosa c’è che non va. E questo darà fuoco alle polveri! Avremo una nave passeggeri carica di entusiasti pronti ad atterrare e finire la faccenda della ripulitura… e noi! Ci siamo solo tu ed io, Murgatroyd, per sistemare la faccenda. Diamoci da fare!

Ma era già quasi l’alba quando lui e Murgatroyd lasciarono la nave. Calhoun ghignò quando vide a oriente lo splendore cremisi della levata del sole. Davanti all’edificio in cui erano sistemati i comandi della griglia di atterraggio scorse un’automobile.

— Eccitati come sono quei tipi, — disse Calhoun, — e sospettosi che qualcuno stia spargendo pestilenze per loro, non saranno cordiali con chiunque non sia giunto qui insieme a loro. Non mi piace l’idea di andar via semplicemente a piedi con tutta questa luce. Penso sia meglio tentare di prendere l’automobile, Murgatroyd. Vieni!

Si diresse all’edificio di controllo. Giudicando dalla notte precedente, le stanze occupate non dovevano avere finestre che si aprivano verso la nave atterrata. Ma si mosse con cautela da un’arcata all’altra. Quando ebbe raggiunto l’ultima possibilità di riparo, tuttavia, l’auto era ancora distante una cinquantina di metri.

— Facciamo una corsa, — disse a Murgatroyd.

Lui e il piccolo tormal si precipitarono nella luce rosata dell’alba. Avevano percorso una trentina di metri quando qualcuno uscì dall’edificio. Si mosse verso l’auto e udì i passi di Calhoun sull’erba. Si voltò. Per un istante rimase a guardare. Calhoun era un estraneo. Non ci dovevano essere estranei vivi su quel pianeta. Dovevano essere tutti morti. Ecco la spiegazione dei due uomini trovati incoscienti e probabilmente morenti e degli altri due che mancavano. L’invasore gridò. Trasse il fulminatore.

Calhoun sparò per primo. Lo schiocco rabbioso di un fulminatore è inconfondibile. L’arma dell’invasore scoppiò fragorosamente.

— Corri, — gridò Calhoun.

Voci. Un uomo sbirciò fuori da una finestra. Calhoun era un estraneo con un fulminatore in mano. Vederlo era un invito all’assassinio. L’uomo alla finestra gridò. Mentre Calhoun gli tirava un colpo si ritirò e la finestra esplose e fumò dove la carica del fulminatore aveva colpito.

L’uomo e il tormal raggiunsero la linea dell’auto e della porta dell’edificio. La porta era aperta. Calhoun alzò la pistola a spruzzo e innaffiò la stanza di vapori esplosivi di destroetile con una corrente continua di anelli vorticanti. Si ritirò verso l’auto con Murgatroyd che danzava agitato ai suoi piedi.

Si udì rompere un vetro. Qualcuno saltò dalla finestra. Si udirono nell’interno passi affrettati. Gli uomini dall’interno stavano correndo verso la porta. Ma l’anticamera o qualunque cosa ci fosse oltre la porta, era piena di gas anestetico. Gli uomini avrebbero aperto la bocca e sarebbero svenuti.

Un uomo cadde. Calhoun sentì il tonfo del suo corpo quando colpì il pavimento. Ma un altro uomo giunse correndo da dietro l’angolo dell’edificio, con il fulminatore in mano, cercando Calhoun. Doveva comunque avvistare il suo bersaglio e mirare. Calhoun doveva solo premere il grilletto e lo fece.

Altre grida dall’interno dell’edificio. Altro rumore di passi. Altre cadute. Poi ci fu l’inizio del rumore rabbioso di un fulminatore e alla fine una detonazione smorzata, rimbombante, ruggente provocata dal vapore di destroetile infiammato. L’esplosione sollevò una parte del tetto dell’edificio, fece cadere i muri divisori, fece esplodere le finestre.

Calhoun si ritirò verso l’auto. Un colpo di fulminatore lo sfiorò.

Deliberatamente si spostò lungo l’edificio con il grilletto premuto. Balzarono in alto fiamme e fumo. Almeno un altro invasore si accasciò. Calhoun sentì una voce gridare — Siamo attaccati! I nativi stanno buttando bombe! Allarme, allarme! Abbiamo bisogno di aiuto!

Fra una chiamata radio d’aiuto. Dovunque degli uomini fossero in ozio o passeggiassero o stessero cercando qualcosa da rubare, lo avrebbero udito. Anche la squadra intenta a riparare la griglia d’atterraggio, e sarebbe stata la gente più vicina, lo avrebbe udito e sarebbe accorsa a prestare aiuto. Sarebbero giunti i cacciatori… gli uomini in automobile…

Calhoun sbatté Murgatroyd sul sedile accanto a lui. Girò la chiave di accensione e le stridettero mentre scattava via.

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