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Sybel e Tamlorn portarono Coren all’interno della casa di marmo bianco; Maelga li seguì, tormentandosi i capelli per la preoccupazione.

Tutt’intorno gli animali erano estremamente agitati: mormoravano, osservavano. Anche Tamlorn parlava senza interruzione, faticando a reggere sulle spalle la sua parte del peso di Coren:

— Arrivavo dalla casa di Nyl — spiegava — dopo che avevamo riportato nell’ovile le pecore. Avevamo notato che gli animali si raggruppavano contro il recinto e che parevano agitati da una profonda paura; non ne capimmo la ragione finché, sollevando lo sguardo, non vedemmo il Drago Gyld. Che volava nel cielo come una grande foglia di fuoco verde, e stringeva fra gli artigli oro e gioielli.

“Allora sono corso a casa, ma non ti ho trovata. Mentre scendevo da Maelga, ho visto l’uomo che guardava il Drago. Lo fissava ad occhi aperti, e Gyld è sceso in cerchio su di lui.

“L’uomo si è gettato a terra, e Gyld lo ha graffiato con gli artigli. Credo che anche Nyl l’abbia visto. Dove possiamo nasconderlo?”

— Non so — disse Sybel. — Mi spiace che quell’uomo sia rimasto ferito, ma non sarebbe dovuto venire qui; eppure, in parte è colpa mia, perché avrei dovuto lasciare già da tempo che Gyld si prendesse il suo oro. Mettiamolo sul tavolo, in modo che Maelga possa dare un’occhiata alla sua schiena. Porta un cuscino, glielo metteremo sotto la testa.

Tolse il tappeto dal tavolo di legno lucido e massiccio, e con l’aiuto degli altri, vi posò Coren. Quando Tamlorn gli mise il cuscino sotto la testa, il ferito aprì gli occhi.

Sulla schiena dell’uomo, coperta solo di una tunica di pelle, si vedevano i profondi graffi che gli avevano inferto gli artigli del Drago; i suoi capelli chiari erano sporchi di sangue. Tamlorn lo fissò, serrando le labbra.

— Credi che morirà? — chiese sottovoce a Sybel.

— Non lo so — rispose lei.

Coren cercò con gli occhi il volto della donna, e solo allora lei vide il loro chiaro, vivido colore azzurro, simile a quello degli occhi del Falco Ter. Fissandola, Coren le rivolse un debole sorriso. Poi bisbigliò qualcosa, e Tamlorn arrossì.

— Che cosa ha detto? — chiese lei.

Il ragazzo tacque per qualche istante, serrando le labbra.

— Ha detto — riferì poi — che sei stata crudele a scatenare contro di lui il Drago Gyld, anche se la cosa non lo sorprendeva affatto. Ma non è vero! Non ha il diritto di dire una cosa simile!

— Be’, forse ce l’ha — disse Sybel, pensosa. — Quando è venuto la volta scorsa, ho scatenato contro di lui il Falco Ter.

— È già venuto una volta? Quando? — chiese Tamlorn.

Sybel passava delicatamente le mani sulla schiena di Coren, per togliergli le vesti strappate.

— Quando ti ha portato da me — disse — dopo la morte dei tuoi genitori. Per questo sarò sempre in debito nei suoi confronti…

Poi, cambiando tono, gli ordinò: — Tamlorn, porta dell’acqua e la pezza di lino da ricamare che tengo da parte. Dopo, resta qui per procurare a Maelga ciò che le serve.

Dietro di lei, torcendosi gli anelli, Maelga cominciò a elencare ciò che le occorreva. — Bacche di sambuco. Fuoco, acqua, grasso e vino.

— Vino? — chiese Sybel, stupita.

— I miei nervi non sono più quelli di una volta — disse la vecchia, in tono di scusa.

— E neppure i miei… — bisbigliò il ferito, che, immobile sotto le mani attente di Sybel, cercava di sopportare il dolore senza lamentarsi.

Tra tutti, diedero fondo a un grosso fiasco di vino, mentre lavavano e bendavano Coren, gli tagliavano i capelli per medicargli la testa, e infine lo mettevano a dormire nel letto di Ogam, vuoto da molto tempo.

Maelga, con i capelli più scarmigliati del solito, si lasciò cadere su una sedia accanto al fuoco.

Sybel rimase a lungo davanti al camino, con lo sguardo perduto nelle fiamme guizzanti. Infine, socchiuse gli occhi.

— Maelga, perché è venuto qui? — chiese a bassa voce. — È qui per Tamlorn, ne sono certa. Ma sono stata io ad allevarlo, sono stata io ad amarlo, e non lo lascerò in mano a uomini che intendono servirsene per i loro giochi di odio. Non glielo lascerò!

“Coren è meno saggio di quanto lo giudicavo, se è venuto qui a chiedermi un simile sacrificio. Se oserà dire a Tamlorn una sola parola sulla guerra o sul regno, io… Non lo farò divorare dal Drago Gyld, ma qualcosa farò!”

Tacque, e le fiamme dei suoi occhi continuarono a torcersi e a rivoltarsi, e i lunghi capelli si agitarono intorno a lei come un manto argenteo dai bordi infuocati.

Maelga si passò le dita sulle palpebre.

— Sono vecchia e stanca — mormorò. — È un giovane davvero ben fatto, un vero Principe fra gli uomini, con gli occhi azzurri e le ciglia del vecchio signore del Sirle, nere come l’ala di un corvo. Quelle che gli ho visto sulle spalle erano ferite di battaglia.

Sybel rabbrividì.

— Non voglio — bisbigliò — che il mio Tamlorn porti sulla carne le cicatrici delle battaglie…

Così dicendo, si voltò verso Maelga, e si accorse che la vecchia le rivolgeva una delle sue occhiate penetranti.

— Tamlorn potrebbe essere molto importante, per i loro giochi di potere — disse Maelga. — Non si arrenderanno tanto facilmente, se hanno bisogno di lui.

— In tal caso — disse Sybel — dovranno vedersela con me. Anch’io farò il mio gioco, con le mie regole. Può darsi che passino molti anni, prima che il Signore del Sirle riveda il proprio figlio.

— Il vecchio Signore è morto — disse la vecchia. — Adesso il Signore del Sirle è il più anziano dei fratelli di Coren, Rok, padrone di ricche terre, di fortezze dalle mura robuste, di un esercito che da secoli costituisce la principale minaccia per i Re di Eldwold. Bambina mia — aggiunse, perplessa — non ti avevo mai vista piangere, finora.

— Oh, sono così in collera…

Con le dita, Sybel si asciugò gli occhi. Poi fissò le lacrime scintillanti che aveva raccolto sui polpastrelli.

— Che strano — disse. — Mio padre mi disse di aver visto mia madre piangere, poco prima della mia nascita, mentre guardava fuori della finestra, ma non ho mai capito cosa volesse dire…

“Perché non posso semplicemente dare Coren in pasto al Drago Gyld, e sbarazzarmene una volta per tutte? Posseggo il suo nome e il suono della sua voce; le sue parole, se voglio, possono obbedirmi.

“Lui è uno sciocco, ma è vivo: ha occhi capaci di vedere e di piangere, mani capaci di reggere un bambino e di uccidere un uomo, cuore capace di amare e di odiare, e anche una mente da usare, entro certi limiti. Nel suo mondo, senza dubbio, è un uomo stimato.”

— Bambina mia — bisbigliò Maelga — apparteniamo tutti a un solo mondo.

Sybel non disse niente.

Prima di andare a dormire, si recò nella stanza di Coren per controllare come stava. Passando, vide che anche Tamlorn si era addormentato; intorno a lei, nella buia notte, aleggiavano solo i vaghi sogni degli animali, strani e coloriti come i frammenti di una vecchia storia dimenticata. Oltrepassò con passo leggero la sala delle bianche colonne: anch’essa era avvolta nel silenzio; il fuoco dormiva, custodito dalle sue braci nere e pulsanti. Infine aprì delicatamente la porta e udì le parole fioche e ansanti che Coren pronunciava nel delirio della febbre.

Alla luce dell’unica candela che rischiarava il letto, l’uomo si voltò verso di lei. I suoi occhi scintillavano come quelli del Falco Ter.

— Bianca Signora… Signora del Ghiaccio… — bisbigliava. — Il Drago era così bello, quando mi è apparso con gli artigli carichi d’oro e di ametiste. Ma dicono che non si deve fissare in volto la bellezza. E siete bellissima anche voi: bianca come l’avorio e come il diamante, bianca come il fuoco, con gli occhi neri come il cuore di Drede… ancora più neri… neri come gli alberi della Foresta di Mirkon, dove Arn, il figlio del Re, si perse per tre giorni e tre notti, e quando ne uscì aveva i capelli bianchi come la neve più immacolata… Occhi come…

— Il Principe Arn — mormorò Sybel, con un filo di voce. — Dove avete imparato una storia come questa? È scritta in un solo posto, e la chiave di quel libro l’ho io.

— Lo so — rispose lui.

Poi batté gli occhi come se Sybel, davanti a lui, lo abbagliasse con il suo splendore. Cercò di tendere la mano nella sua direzione, ma subito lasciò ricadere il braccio con un gemito di dolore.

— Sono ferito — disse, in tono perplesso. Poi, a voce alta, gridò: — Rok! Ceneth!

— Sst! — fece lei. — Sveglierete Tamlorn!

— Rok! — esclamò ancora Coren.

Cercò di girarsi sul fianco, distogliendo gli occhi da lei, ed emise un altro gemito. Poi non si mosse più, e Sybel si chinò su di lui, gli sfiorò i capelli, glieli scostò dalla faccia. Inumidì nel vino un pezzo di tela e gli terse la fronte madida di sudore; gli tamponò le tempie con la tela finché lui si rilassò e ricadde nel sonno.

L’indomani, Sybel dormì fino a mattina inoltrata, e quando si svegliò per andare a controllare gli animali scoprì di essere ancora stanchissima.

Attraversò il vasto giardino fino a raggiungere il laghetto scavato da Myk, dove il Cigno Nero scivolava fiero e silenzioso sotto il cielo turchino e grigio.

Il grande Cigno, quando la vide fermarsi sulla riva, si diresse maestosamente verso di lei e la fissò con quei suoi occhi che parevano il liquido stesso di cui è composta la notte. Con un timbro simile a quello di un flauto dolce, i suoi pensieri s’insinuarono nella mente della donna:

“Sybel, oggi sei bella come il ghiaccio illuminato dalla luna.”

Negli occhi di lei, per un istante, comparve un amaro sorriso.

“Sempre il ghiaccio” pensò. “Grazie. Stai bene?”

“Certo” rispose il Cigno. “Ma alcuni di noi sono piuttosto inquieti.”

“Lo so. Adesso andrò a trovare il Cinghiale Cyrin.”

“E chi si occuperà del Principe del Sirle? A quanto ho sentito, viene a riprendersi quel che ha portato.”

“Da me non riavrà niente” disse Sybel. “Niente del tutto.”

“Davvero?”

Il grande Cigno scivolò sull’acqua in silenzio, per qualche istante, prima di riprendere:

“Una volta, quando il giovane principe di Elon era in pericolo di vita per mano dei nemici di suo padre, lo portai via in volo, di notte e alla luce della luna, fino a un luogo dove nessun uomo sarebbe mai riuscito a trovarlo.”

“Me ne ricorderò” promise Sybel. “Grazie.”

Udendo stormire le fronde sopra di sé, si voltò e scorse il Falco Ter, i cui grandi artigli parevano scintillare nella pallida luce della radura.

“Ho fiutato l’odore di qualcosa di familiare” disse il rapace, e lei pensò ancora una volta che, con quegli occhi così azzurri, le ricordava davvero Coren.

“Vuoi che lo butti in qualche precipizio?” proseguì il Falco.

“Oh, no!” si affrettò a dire lei. “Credo che stia già abbastanza male. Deve essere venuto per…”

Tacque, fissando lo sguardo negli occhi acutissimi del Falco, e la sua mente si svuotò di ogni pensiero come una tazza d’acqua rovesciata sulla ghiaia. Ter mosse le penne, che si arruffarono leggermente.

“Ho corso nel vento” disse il Falco “e ho ascoltato i suoi segreti: le parole che mormora a notte fonda, confidandole solo a me, perché non posso rispondergli. Ho trascorso molti anni nelle corti degli uomini, e posso capire quale sia la missione del Principe del Sirle.”

“Non devi fargli del male” gli ordinò Sybel “a meno che non sia io stessa a chiedertelo. Coren pensa che abbia ordinato al Drago Gyld di colpirlo.”

“Che importanza può avere ciò che pensa quell’uomo?” chiese il Falco.

Sybel, invece di replicare, cercò in se stessa la risposta alla domanda.

“Ha importanza” ammise alla fine. “Anche se non saprei dirtene la ragione.”

Anche il Falco rimase in silenzio per un lunghissimo istante. Sybel aspettò, tesa e senza fare alcun gesto, mentre il vento le appiattiva l’orlo del vestito nero. Poi sentì una sorta di strattone mentale, quando Ter, con una rapidità da capogiro, distolse i pensieri da lei per lanciarli verso un cielo lontano.

Ma riuscì a sgombrare la mente dalla paura, a mantenerla immobile e chiara, seguendo il volo immaginario del Falco, come se la sua mente fosse diventata un cerchio capace di contenere tutto il cielo e tutta la terra.

Il cerchio si allargò sempre di più, e il volo del Falco non riuscì mai a oltrepassarlo; infine, fu Ter ad avere un attimo di esitazione e a fermarsi. E allora il suo volo si spezzò e precipitò in picchiata sulla terra, trasformandosi in una grande onda di collera e di violenza che divampò dentro Sybel, finché i muscoli di lei si tesero come le corde di un’arpa e il suo cuore si accese del sangue rovente di Ter.

Ma sempre, nella sua mente, il cerchio di serenità entro cui aveva inscritto il proprio nome rimase freddo e imperturbabile, inaccessibile. E alla fine il rapace si arrese e riportò dentro di sé i propri pensieri come il riflusso di un’onda; e Sybel poté infine trarre un lento respiro.

Sulle labbra le comparve un sorriso di trionfo.

“Spiegami” gli chiese “perché continui sempre a provarci?”

“Per amore del bambino. Se ti fossi arresa, sarei andato a uccidere quell’uomo.”

“E pensare che sei stato proprio tu a non volerlo gettare dalla cima della montagna!” disse lei.

“Adesso mi pento di non averlo fatto” rispose il Falco Ter.

“Non gli permetterò di portare via Tamlorn.”

“Neanch’io” disse Ter.

Mentre Sybel faceva ritorno a casa, la grande Gatta Moriah, nera e dagli occhi verdi, scese come un’ombra da un albero. Si mise a camminare al suo fianco, senza fare rumore, e Sybel le passò le dita nel pelo vellutato della schiena.

“C’era un incantesimo” disse infine la Gatta, con la sua voce mentale dolce e frusciante come seta “usato talvolta dalla mia precedente padrona, che dissolveva un uomo in modo così completo da far rimanere soltanto gli anelli d’oro che aveva alle dita.”

“Non penso che Maelga sarebbe d’accordo” disse Sybel. “Sei sicura di star bene?”

“Maelga ha fatto ogni genere di cose.”

“Sì, ma non ha mai fatto dissolvere un uomo.” Si fermò, irritata. Poi riprese: “Perché mi vengono in mente queste cose? Non voglio più pensarci. Né mio padre né tantomeno mio nonno amavano la gente, ma non hanno mai ucciso nessuno. Quanto a me, poi, non sarei neppure capace di farlo.”

“Io sì” disse la Gatta.

“Comunque, sarà sufficiente fargli un po’ di paura.”

Il Cinghiale Cyrin li aspettava sulla porta. I suoi occhi, alla luce di quel sole autunnale, erano uno specchio d’innocenza. Sybel gli si fermò davanti e lo fissò con aria interrogativa.

“Secondo te” gli chiese “come dovrei comportarmi con quell’uomo?”

Il Cinghiale dalle setole argentee emise un brevissimo soffio divertito.

“Una rete di parole” disse infine “è più forte di una rete di corda”.

“Ossia?” chiese lei.

“Ossia, in questo momento il tuo ospite sta parlando a Tamlorn, con parole più dolci del canto di un arpista.”

Sybel sentì che il suo cuore prendeva ad agitarsi come le tortore di Maelga. Entrò in casa e corse alla stanza di Ogam. Aprì la porta, e vide che Tamlorn, stranamente acceso in volto, distoglieva gli occhi dal Principe del Sirle per guardare verso di lei. Nel suo sguardo si scorgeva un conflitto di emozioni indistinte, indefinibili.

— Mi ha detto… — esclamò il ragazzo, fermandosi per deglutire a vuoto — che sono il figlio del Re di Eldwold.

Sybel si fermò accanto al letto; un rovente lampo di dolore sorse per un istante dentro di lei, per poi frantumarsi e scomparire. Disse piano:

— Tamlorn, caro, adesso lascialo tranquillo. Deve riposare.

Il ragazzo si alzò in piedi, senza staccare lo sguardo dagli occhi di lei.

— Quello che ha detto… è vero? — chiese. — Tu non me ne hai mai parlato.

Lei gli accarezzò il volto abbronzato.

— Tamlorn — disse — più tardi ne parleremo. Ma non ora. Ti prego.

Il ragazzo li lasciò soli, chiudendosi la porta alle spalle, senza fare rumore. Lei si accomodò sulla sedia accanto al letto e si portò le mani alla faccia.

Infine bisbigliò, da dietro le mani che le coprivano gli occhi e la bocca:

— Voi mi avete ordinato di amarlo. E così ho fatto, amandolo più di ogni altra cosa al mondo. Adesso volete togliermelo, per usarlo nei vostri giochi di guerra. Rispondete a questa domanda: chi di noi ha il cuore di ghiaccio?

Coren non si mosse. Poi mormorò qualcosa, e Sybel si sentì toccare le mani dalle sue dita febbricitanti.

— Vi prego. Cercate di capire. State piangendo?

— Non sto piangendo! — esclamò lei.

Coren tolse la mano, e lei lo fissò: la febbre dava ancora un aspetto sognante ai suoi occhi, la calda luce del mattino gli batteva sulla schiena ferita.

— Che cosa dovrei capire? — riprese la donna. — Che dopo avermi dato Tamlorn, dopo avermi detto di allevarlo e di amarlo, ora vi sentite autorizzato a portarmelo via?

“Lui non vi appartiene, Coren. Non avete alcun diritto su di lui, perché non è il figlio di Norrel. È figlio di Drede: me l’ha detto Maelga, dodici anni fa.

“Ma sono stata io ad allevarlo, e non intendo cederlo né a voi né a Drede perché lo usiate come pedina di un gioco politico. Riferite queste parole a vostro fratello Rok, quando ritornerete da lui. Molti di coloro che abitano con me hanno poca simpatia per voi: da loro, non aspettatevi un’accoglienza migliore di questa.”

Coren non mosse muscolo, e per qualche tempo parve meditare sulle parole della donna.

Infine disse:

— Fin dal primo momento in cui mi avete visto, già sapevate che cosa volevo. Eppure mi avete medicato la schiena e la testa, e ormai avete perso ogni possibilità di farmi realmente paura. Se lascerò la vostra casa senza quel che sono venuto a prendere, Rok mi dirà di tornare. Ha molta fede in me.

S’interruppe di nuovo, poi le sorrise.

— Ma non mi ha solo chiesto — continuò — di portargli Tamlorn. Nel Sirle, Sybel, devo portare anche voi.

Lei lo fissò, sorpresa. — Siete pazzo — disse.

Coren scosse la testa, cautamente. — No. Io, anzi, sono il più savio dei miei fratelli. Siamo in sette… in sei, adesso.

— In sei.

— Sì, mentre Drede ha soltanto un figlio che non ha mai conosciuto. Vi pare strano che il Re di Eldwold sia in allarme?

— No — disse lei. — Se nel Sirle ci sono sei pazzi, e voi siete il più savio di tutti, confesso di essere allarmata anch’io. Ho pensato che foste una persona saggia la notte che mi avete portato il bambino: avevate delle conoscenze che non mi sarei mai aspettata. Ma adesso ragionate come uno sciocco.

— Lo so — rispose Coren. La sua voce rimase tranquilla, ma l’espressione cambiò e gli occhi si persero in qualche lontano ricordo.

— Vedete — spiegò — io amavo Norrel. Anche voi conoscete un poco l’amore. E Drede l’ha ucciso. Quando si tratta di Norrel, io divento uno sciocco. So che cosa sia l’odio.

Sybel sospirò.

— Mi spiace — disse. — Ma il vostro odio non mi riguarda, e Tamlorn non è vostro: non potete prenderlo.

— Rok mi ha incaricato di comprare i vostri poteri.

— Hanno un prezzo più alto di quanto possiate permettervi.

— Qual è la cosa che desiderate maggiormente?

— Non esiste — disse lei.

— No? — la fissò negli occhi. — Ditemelo. Quando scrutate in voi, come potete scrutare voi sola, che cosa vi chiede il cuore? Io vi ho detto che cosa voglio io.

— La morte di Drede?

— Qualcosa di più — disse Coren. — Prima desidero togliergli il suo potere e le sue speranze, e infine la vita. Proprio come avete detto voi: sono uno sciocco. Allora, cosa volete?

Per un lungo tempo, lei non parlò.

— La felicità di Tamlorn — disse infine. — E il Liralen.

Senza che lei se lo aspettasse, sulle labbra di Coren si disegnò un sorriso. — Il Liralen. Il bellissimo uccello dalle bianche ali che il Principe Neth catturò poco prima di morire… l’ho visto nei miei sogni, così come ho visto nei miei sogni, uno alla volta, tutti i vostri grandi animali. Ma non ho mai sognato di voi. Siete in grado di prendere quell’uccello, Sybel? Pochi sono riusciti a catturarlo.

— Voi siete in grado di darmelo?

— No — disse Coren — ma posso promettervi questo: un posto di potere ih un terra dove il potere ha un prezzo infinito e dove comporta onori senza uguali.

“Il vostro unico desiderio è davvero quello che mi avete detto? Abitare su questa montagna, parlando unicamente con i vostri animali, che vivono nei sogni del loro grande passato, e con Tamlorn, cui negate un futuro?

“Considerate: a legarvi a questo posto è solo la volontà di vostro padre; voi vivete la sua vita, non la vostra. Invecchierete e morirete quaggiù, dedicando l’esistenza ad altri che non hanno bisogno delle vostre attenzioni.

“Lo stesso Tamlorn, un giorno, non avrà più bisogno di voi. In futuro, dunque, che cosa vi resterà della vita? Solo un silenzio privo di significato e alcuni antichi nomi che non vengono mai pronunciati fuori di queste mura. Con chi riderete, quando Tamlorn sarà grande? Chi amerete? Il Liralen? È un sogno. Lasciate questa montagna, prendete il posto che vi spetta tra i viventi.”

Lei non rispose. Vedendo che non si muoveva, Coren allungò la mano e le spostò i capelli per guardarla in faccia.

— Sybel — mormorò.

Lei si alzò bruscamente in piedi e uscì senza voltarsi.

Si recò nel giardino, e, all’ombra dei pini scuri e degli alberi che già rosseggiavano di foglie autunnali, s’immerse nei suoi pensieri, sorda a tutto il resto.

Dopo qualche tempo, Tamlorn la raggiunse, silenzioso come un animale della foresta, e le cinse la vita con un braccio. Lei sussultò per la sorpresa.

— È vero? — le chiese il ragazzo.

Lei annuì.

— Io non voglio andarmene — disse Tamlorn.

— Allora, non te ne andrai.

Lo fissò, e con la mano gli ravviò i capelli, chiari come i suoi e come quelli della madre. Trasse un leggero sospiro.

— Non sono mai stata triste come ora — disse. — E mi sono scordata di parlare con il Drago Gyld.

— Sybel.

— Sì?

Il ragazzo cercò le parole. — Ha detto… che voleva farmi diventare Re di Eldwold.

— Desidera servirsi di te per ottenere un maggiore potere: per sé e per la sua famiglia.

— Dice che alcune persone mi cercano, per vendermi a mio padre, e che devo stare attento. Dice che nel Sirle sarebbero in grado di proteggermi.

— Mi chiedo come — disse Sybel. — Nella Piana di Terbrec, gli uomini del Sirle sono stati sconfitti da Drede.

— Pensa di servirsi di te, credo. Ha detto che c’era posto per entrambi, un posto che nel suo mondo è molto importante; basta volerlo.

“Non so come si faccia, per voler essere Re. Non so neppure cosa sia un Re, ma lui mi ha parlato di bei cavalli, di falchi bianchi e altre cose… ma, Sybel, non so cosa fare! Credo che sarebbe una vita molto diversa da quella che vivo adesso, pascolando le pecore con Nyl e arrampicandomi sulle rocce con lui.”

La fissò come per chiederle aiuto. Poi, visto che lei non rispondeva, le prese le braccia e le scosse piano, disperatamente.

— Sybel…

Lei, per qualche momento, si coprì gli occhi. — È come un sogno, Tamlorn. Presto lo rimanderò a casa e ci dimenticheremo di lui. E, allora, a tutti gli effetti, sarà stato davvero solo un sogno.

— Fa’ presto.

— Certo.

Le lasciò le braccia, più calmo di prima. Guardandolo, a Sybel parve di vedere per la prima volta certe sue caratteristiche fisiche: l’alta statura, la promessa di larghe spalle, il gioco di muscoli sulle sue braccia irrobustite dalle scalate. Adesso quei muscoli erano contratti dalla tensione nervosa.

Lei bisbigliò: — Presto.

Il ragazzo annuì. Poi riprese a camminare accanto a lei, ma senza abbracciarla, spostando con i piedi scalzi le pigne, fermandosi per scrutare qualche cespuglio che avesse visto muoversi.

— Come farai per l’oro del Drago Gyld? — le chiese poi. — L’ha già trasportato tutto?

— Non credo. Dovrò lasciarlo volare di notte.

— Quell’oro potrei portarlo io, accompagnato da Nyl.

— Oh, Tamlorn! — esclamò lei, sorridendo. — Come sei ingenuo!

— Nyl non gli ruberebbe l’oro!

— No, ma non si scorderebbe della sua esistenza. L’oro è potente, terribile. Serve a creare i Re.

Tamlorn fece una smorfia.

— Non voglio pensare a questa parola — disse.

Si fermò a guardare nel cavo di un albero.

— L’anno scorso — disse — qui c’era un nido di uova azzurre… Sybel, vorrei essere tuo figlio, perché potrei parlare con il Falco Ter, il Cinghiale Cyrin e il Leone Gules e nessuno riuscirebbe a portarmi via.

— Nessuno ti porterà via. Il Falco non permetterà a Coren di farlo.

— Che cosa farà? Ucciderà Coren? Per vendicare Aer, ha ucciso molte persone. Gli impedirai tu di farlo? — le chiese all’improvviso, e lei non seppe cosa rispondere. — Sybel…

— Sì!

— Be’, preferirei che tu fermassi il Falco — le disse, cercando di consolarla. — Ma se quell’uomo non fosse mai venuto, sarei più contento. Coren è… preferirei non averlo mai visto.

All’improvviso si allontanò, correndo veloce e leggero come un gatto verso le alte cime del Monte Eld.

Lei lo vide sparire tra gli alberi, e, bruscamente, notò che il vento d’autunno le si avventava ai piedi, ruggendo.

Si sedette su un tronco caduto e chinò la testa sulle ginocchia. Sentì che un grande, morbido tepore la proteggeva dal vento; alzò gli occhi e scorse gli occhi tranquilli e dorati del Leone Gules.

“Che cosa c’è, Bianca Padrona?” le chiese.

Lei si inginocchiò accanto al Leone e serrò tra le braccia la sua folta criniera, seppellendovi il viso.

“Vorrei avere le ali” gli disse “per volare senza sosta, senza più tornare indietro”.

“Che cosa ti preoccupa, o possente figlia di Ogam? Come può giungere a preoccuparti un essere debole come Coren?”

Per un lungo istante, lei non rispose. Poi riprese, serrando le dita sul suo pelo dorato:

“Mi ha rubato il cuore e si è offerto di ridarmelo. E io, che l’avevo giudicato innocuo!”

Dopo che il Leone Gules si fu allontanato, Sybel rimase lungamente a sedere sotto gli alberi. Il cielo si scurì; le foglie secche presero a girare attorno a lei, in mulinelli interminabili.

Il vento era freddo come le legature di ferro dei suoi libri di magia. Scendeva dalla vetta coperta di neve del Monte Eld, e dopo avere attraversato l’umida nebbia, veniva a gemere in mezzo ai grandi alberi del giardino di Sybel.

Le tornò in mente l’immagine di Tamlorn, che correva a braccia nude, scalzo, fra l’alta erba e i piccoli fiori di campo dell’estate; Tamlorn che alzava il suo grido in direzione del grande falco, e il coro di grida degli altri ragazzi della montagna che gli faceva eco.

Poi i suoi pensieri tornarono alle stanze silenziose abitate dai maghi a cui aveva rubato i libri. Li udiva discutere tra loro, li osservava mentre operavano, e poi, con un sorriso, si allontanava silenziosamente, portando con sé un libro di valore inestimabile, prima ancora che si accorgessero che era entrato qualcuno.

“Che cosa desideri veramente?” mormorò a se stessa, disperata, e non appena ebbe finito di bisbigliare queste parole si accorse che una Creatura senza nome la osservava dall’ombra degli alberi.

Lentamente, Sybel si alzò in piedi, nel vento che soffiava attorno a lei, vuoto e veloce. Continuò ad attendere in silenzio, con la mente simile a un laghetto liscio e immobile, in attesa di scorgere l’onda suscitata da un’altra mente.

E alla fine, senza il minimo fruscio che ne tradisse il movimento, la Creatura se ne andò. Sybel si voltò lentamente, ritornò nella casa e si diresse alla stanza di Coren.

Lui voltò la testa quando la vide entrare, e la donna scorse le scure linee di dolore sotto i suoi occhi, notò che aveva le labbra secche.

Si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla fronte.

— Non dovete morire nella mia casa — gli bisbigliò. — Non voglio che la vostra voce venga a turbarmi nella notte.

— Sybel…

— Avete già detto tutto. Adesso, ascoltate. In questa casa, io potrò diventare vecchia e rugosa come la faccia della luna, ma non intendo mettere in vendita la felicità di Tamlorn per comprarmi la libertà.

“L’ho visto correre nei campi di erba alta, con il Falco Ter sul pugno; l’ho visto giacere addormentato senza sogni nella notte fonda con le braccia attorno alla Gatta Moriah o al Leone Gules.

“Non intendo accompagnarlo con voi nel Sirle per poi vedermelo confondere, ferire, usare dagli uomini; per vedergli promettere un potere che risulterà vuoto; per vederlo esporre a ostilità, a menzogne, a guerre che lui non potrebbe capire.

“Voi intendete fare di lui un Re, ma intendete anche amarlo? Avete guardato nel mio cuore con i vostri occhi strani e penetranti, e vi avete trovato alcune verità. Sono lieta e orgogliosa di usare il mio potere, ma devo pensare anche a un’altra persona, e non a me sola: questo per causa vostra.

“Perciò, adesso dovete andarvene, e non dovete tornare più.”

Coren la guardò, e lei non riuscì a leggere nei suoi occhi.

— Drede verrà a cercare suo figlio — disse il Principe del Sirle. — Nella sua corte c’è una vecchia, una donna di altissimo rango che gli ha giurato che Rianna e Norrel non sono mai stati soli, neppure per un momento.

“Lei aveva cercato di aiutarli: più volte i due amanti hanno tentato di rimanere soli per un’intera giornata, o anche solo per parte di una notte, ma ogni volta, a impedirglielo, sopraggiungeva qualche imprevisto che mandava in fumo i loro piani.

“Noi portammo via il bambino, dopo la morte della madre, temendo per la sua vita, e la vecchia pensò che l’avremmo ucciso se ci avesse detto la verità, ossia che era figlio di Drede.

“La seconda moglie di Drede è morta senza dargli dei maschi; lui sta invecchiando, desidera disperatamente un erede, e la vecchia è venuta a sapere che il bambino era vivo, ma che non era con noi nel Sirle.

“Perciò, recentemente si è decisa a dire a Drede la verità, dandogli una fragile speranza. Sa che un tempo una donna della famiglia di Rianna sposò un mago che abitava sotto la vetta del Monte Eld, dove pochi uomini osano recarsi.

“Che cosa farete, quando verrà a cercare suo figlio?”

Lei cambiò posizione sulla sedia; si sentiva profondamente turbata.

— La cosa non vi riguarda — disse.

— Drede è un uomo duro e ostinato — disse Coren. — Da tempo ha dimenticato che cosa sia l’amore. A Mondor ha pronta per Tamlorn un’intera serie di gelide stanze, in una casa piena di uomini impauriti e sospettosi.

— So come tenere Drede lontano dalla mia casa — mormorò lei.

— E come terrete lontano dal cuore di Tamlorn il pensiero di Drede? In un modo o nell’altro, Sybel, il mondo riuscirà ad arrivare fino a lui.

Lei trasse un profondo respiro, poi esalò lentamente l’aria.

— Perché siete venuto a portarmi queste notizie? — gli chiese. — Mi avete ordinato di amare Tamlorn, e così ho fatto. Ma adesso mi dite che devo smettere di amarlo.

“Ebbene, io non intendo smettere, né per Rok, né per Drede, né per venire incontro al vostro odio. Dovrete coltivare il vostro odio da qualche altra parte, e non nella mia casa, sul letto stesso di Ogam.”

Come risposta, Coren fece un piccolo gesto con la mano, per indicare che ormai le cose esulavano dal suo potere.

— Allora — disse — dovrete controllare attentamente il ragazzo, perché non sono l’unico a cercarlo. Fin dall’inizio ho detto a Rok che voi non sareste stata disposta a seguirmi, ma lui mi ha voluto mandare ugualmente. Ho fatto quello che potevo.

La fissò negli occhi e disse ancora:

— Mi spiace che non siate disposta a venire nel Sirle.

— Ne sono certa.

— E mi spiace, anche, di avervi dato un dolore. Mi perdonate?

— No.

— Oh — disse Coren, cercando di muoversi; spostò le mani, senza ragione.

In tono più gentile, lei allora gli disse:

— Cercate di riposare. Voglio che ritorniate dai vostri fratelli il più presto possibile.

Si chinò su di lui per controllare le bende che gli aveva messo sulla schiena, ma lui si voltò, con gli occhi lucenti, tremante per il dolore, e alzò la mano per accarezzarle il viso, sfiorandolo lentamente con le dita.

— Bianca come la fiamma… — disse. — Nessuno dei sette Principi del Sirle ha mai posato lo sguardo su una come voi. Neppure Norrel, allorché vide per la prima volta la Regina di Eldwold avanzare verso di lui tra gli alberi del suo giardino fiorito… Bianca come il baleno dello sguardo del Liralen, che per ali ha la luna…

Sybel si fermò.

— Coren del Sirle — disse, pensosa — avete guardato il Liralen negli occhi, per sapere che colore hanno?

— Ve l’ho detto: sono saggio — rispose lui.

Poi il suo sorriso lasciò il posto a una smorfia di dolore, e Sybel vide che serrava i denti. Coren smise bruscamente di accarezzarle la guancia; strinse il pugno. Lei gli diede da bere qualche sorso di vino e gli bagnò la fronte, poi applicò di nuovo sulle ferite il balsamo preparato da Maelga e cambiò le bende. Alla fine, Coren si addormentò e anche le rughe di dolore sparirono dalla sua faccia.


Li lasciò poco dopo la caduta della prima neve dal cielo invernale, bianco e chiarissimo. Sybel chiamò il suo cavallo, che si era allontanato tra le rocce, e Maelga gli donò una calda veste di pelle di pecora da indossare durante il viaggio. Anche gli animali si riunirono per vederlo partire; lui rivolse loro un inchino un po’ rigido, e montò a cavallo.

— Addio, Falco Ter, Signore dell’Aria; Gatta Moriah, Signora della Notte; Cinghiale Cyrin, Custode della Sapienza, che riuscì a confondere i tre sapienti della corte del Sire di Dorn.

Si guardò attorno, scrutando ogni angolo del cortile.

— Dov’è Tamlorn? — chiese. — Ci siamo parlati poco, ma pensavo che fossimo amici.

— Vi siete sbagliato — disse Sybel, e lui si voltò subito verso la donna.

— Anche lui ha paura dei propri desideri, come voi?

— Questo — rispose Sybel — non verrete mai a saperlo.

Strinse la mano che lui, dalla sella, le porgeva. Invece di lasciarle le dita, Coren gliele tenne ferme per qualche istante.

— Sareste in grado di chiamare a voi un uomo? — le chiese.

— Sì, se me ne venisse il desiderio — disse lei, sorpresa. — Ma non l’ho mai fatto.

— Allora, quando qualcuno salirà quassù e voi avrete paura, chiamate me. Io verrò. Lascerò ogni altra cosa e verrò immediatamente da voi. Lo farete?

— Non vedo come possa succedere qualcosa di simile — disse lei. — Sapete che non intendo muovere un dito per voi. Perché dovreste partire dal Sirle e venire fin qui per aiutarmi?

Lui la fissò senza parlare. Poi alzò le spalle, e qualche fiocco di neve gli cadde dai capelli biondi.

— Non lo so — disse. — Perché sì. Allora, lo farete?

— Se avrò bisogno di voi, vi chiamerò.

Sorridendo, lui le lasciò la mano.

— E io verrò — disse.

— Ma io, probabilmente, non avrò mai occasione di chiamarvi — lo avvisò lei. — Comunque, se decidessi di avervi qui, vi chiamerei e voi dovreste venire in qualsiasi caso, volente o nolente.

Coren sospirò. Disse, in tono di somma pazienza:

— Io verrei di mia volontà. La cosa è diversa.

— Lo è davvero? — chiese lei.

Poi, sul suo volto si disegnò un leggero sorriso.

— Tornate a casa, nel vostro mondo dei viventi — gli disse. — Il vostro posto è laggiù. Io sono in grado di badare a me stessa.

— Può darsi.

Prese in mano le redini e girò il cavallo in direzione della strada che scendeva verso Mondor. Poi si volse indietro ancora una volta, a fissarla con il suo sguardo chiaro come limpida acqua di sorgente.

— Un giorno — l’ammonì — scoprirete che è bello avere qualcuno che è lieto di venire, quando lo chiamate.

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