3

L’inverno li rinserrò nella sua stretta gelida e spietata. Grandi masse di neve si accumularono contro la casa e il lago del cigno si congelò fino a far credere che la faccia cristallina della luna fosse scesa laggiù, in mezzo alla neve. Alle finestre della bianca sala di marmo si formarono grandi sbarre di ghiaccio, altre scesero davanti alle porte, come file di lacrime congelate.

Gli animali si aggiravano liberamente nel tepore che regnava all’interno della casa, o si trovavano qualche angolo buio e silenzioso dove riposare. Il Drago dormiva raggomitolato sul proprio oro; la nera Gatta Moriah passava lunghe ore accanto al fuoco, cupe e sonnolente, perduta nei suoi sogni a occhi aperti.

Sybel lavorava nella sala della cupola di cristallo: leggeva e mandava il suo richiamo nel cielo buio, o punteggiato di stelle o permeato del colore della luna. Per attirare a sé il Liralen.

Il suo richiamo penetrante esplorava non soltanto l’intera superficie dell’Eldwold, ma si spingeva a sud nei deserti, a est nella Palude di Fyrbolg, a nord nella Foresta di Mirkon e nelle terre silenziose e inesplorate dei laghi, al di là del ricco territorio dei Signori di Niccon, nell’Eldwold settentrionale.

Ma le rispondeva soltanto il silenzio, e lei, con infinita pazienza, lanciava il suo richiamo ancora una volta.

Quanto a Tamlorn, il ragazzo attraversava l’inverno come se quella stagione non esistesse: trascorreva intere giornate nelle casupole di pietra dei pastori, celate nelle balze del Monte, o steso accanto al Leone Gules, con una mano sul suo collo e lo sguardo perduto a rimirare il fuoco, oppure andando a caccia con il Falco Ter sul pugno.

Una mattina, quando ormai l’inverno era inoltrato, il ragazzo entrò nella stanza sotto la cupola e vi trovò Sybel ancora immobile sul pavimento, dopo una notte passata a chiamare. S’inginocchiò accanto a lei e la sfiorò. Sybel ritornò in sé, con un lieve trasalimento.

— Tamlorn, che cosa c’è?

— Niente — disse lui, in tono un po’ meditabondo. — Ma ormai sono passati vari giorni dall’ultima volta che ci siamo visti. Pensavo che fossi preoccupata per me. Lei si strofinò gli occhi con il palmo della mano.

— Oh, già. Che cosa hai fatto? Sei stato con Nyl?

— Sì. L’ho aiutato a dar da mangiare alle pecore. Ieri abbiamo riparato una parte del recinto che era stata buttata a terra dalla neve, e poi ho accompagnato Nyl nelle caverne. D’inverno, là dentro fa abbastanza caldo. E là dentro, Sybel…

Lei lo fissò senza parlare. Aspettò che riprendesse il discorso, e vide che corrugava la fronte, che guardava il pavimento, che si passava le mani sulle cosce: su, giù.

— Gli ho raccontato di Coren e di quello che mi ha detto — riprese il ragazzo — e Nyl dice che se lui fosse l’erede del Re, non starebbe quassù, a dar da mangiare alle pecore d’inverno e a correre scalzo sui prati d’estate. E poi non ha più detto niente per tutto il giorno. Ma domani dobbiamo andare di nuovo a giocare nelle caverne.

Sybel sospirò. Seduta in terra, appoggiò il mento sulle ginocchia e per qualche tempo rifletté sulle parole di Tamlorn.

— Oh, come sono stanca di tutto questo — disse infine. — Tamlorn, ne hai parlato soltanto con Nyl?

— Solo con Nyl e con il Falco Ter.

— Allora, fatti promettere da Nyl di non dirlo a nessuno. Altre persone potrebbero venire a cercarti, e potrebbero portarti via contro la tua volontà. Potrebbero addirittura farti del male, quelle che non vogliono averti come loro Re. Di’ queste cose al tuo amico Nyl. Digli di non rispondere alle domande di estranei. Mi farai questo favore?

Il ragazzo annuì. Poi disse piano, fissandola:

— Sybel, mio padre verrà a cercarmi?

— Può darsi. Tu desideri che venga?

— Penso… che vorrei vederlo, Sybel.

— Sì?

— È una cosa così brutta, volerlo vedere? — bisbigliò. — Dimmi, lo è davvero?

Lei tornò a sospirare, passandosi distrattamente le mani fra i lunghi capelli.

— Oh, se soltanto tu fossi un po’ più grande… — sospirò. — Non è una brutta cosa, in sé e per sé, ma è brutto essere usati dagli altri uomini, far scegliere a loro che cosa dovrai o non dovrai diventare, lasciargli decidere la tua vita. Se fossi più grande, potresti scegliere da solo. Ma sei così giovane e conosci così poco la gente… e io la conosco poco più di te.

Trasse un profondo respiro.

— Tamlorn, vuoi che lo faccia? Lui si affrettò a scuotere la testa.

— Non voglio lasciare te e gli animali — disse.

Tacque per un attimo, con lo sguardo perduto in lontananza, come se riflettesse.

— Ma gli occhi di Nyl… — continuò — erano così grandi e tondi, quando gli ho raccontato di Coren: grandi come quelli di un gufo. E anch’io mi sono sentito molto strano. Sì, penso che vorrei vedere mio padre.

Tamlorn guardò Sybel negli occhi.

— Potresti chiamarlo — suggerì. — Non è necessario che lui mi riconosca; mi basta vederlo… vedere che aspetto ha.

Lei si massaggiò delicatamente gli occhi, con la punta dei polpastrelli. Il ragazzo continuava a fissarla attentamente, con una luce di speranza nello sguardo.

— Se io lo chiamassi — disse Sybel — forse non potresti più decidere di fermarti qui.

— Ma lui non saprà chi sono! Dirò di essere il fratello di Nyl. Guardami, Sybel! Come può capire che sono suo figlio?

— E se in te riconoscesse i lineamenti di tua madre? Tamlorn, gli basterebbe vedere una volta i tuoi occhi chiari per capire tutto, ancor più che dal colore dei tuoi capelli o dalla forma del tuo viso.

Si alzò in piedi. Tamlorn la prese per il braccio.

— Ti prego, Sybel — le bisbigliò. — Ti prego…

Fu così che, quello stesso mattino, lei chiamò il Re di Eldwold, che sedeva nella sua calda reggia dai pavimenti coperti di ricchi tappeti e dalle pareti decorate di antiche leggende, ricamate sui suoi grandi arazzi nel corso dei secoli.

Tre giorni più tardi, il Re risaliva a cavallo, con due guardie del corpo, la crosta di neve che copriva il sentiero montano: tre piccole figure scure sullo sfondo bianco, che assomigliavano a foglie secche accartocciate. Il vento stesso si era congelato e pendeva dai rami coperti di una patina di ghiaccio; il respiro dei tre uomini si fermava davanti al loro viso come nebbia.

Avanzavano lentamente, sul tortuoso sentiero che saliva dalla città. Sybel, dalla sua alta finestra, li vedeva spuntare e scomparire fra gli alberi. Provò a sondare la mente del Re: una mente possente e inquieta come quella del Falco Ter, piena di frammenti di volti e di avventure, di frammenti di passione guerresca e di passione amorosa, con un duro strato di gelosia simile a una distesa di pietra nera, e, in un angolo, un nucleo di paura e di solitudine, velato da una perpetua nebbia, grigio, gelido, indistruttibile come una sfera di acciaio.

Quando vide che il gruppo si stava ormai avvicinando, Sybel ordinò al Falco Ter, che volava con Tamlorn, di riportare a casa il ragazzo.

Più tardi, il Cinghiale Cyrin l’avvertì che i visitatori erano arrivati. Si recò con lei fino al cancello, nel cortile coperto di neve: per l’occasione, Sybel gli aveva messo sulla schiena una calda gualdrappa, bianca come l’argento.

“Una volta, un uomo si è buttato in un pozzo per controllare quanto fosse profondo” commentò il Cinghiale “ma certo tu sai quello che fai”.

Sybel scosse la testa. “Quando si tratta di Tamlorn, non lo so affatto” gli rispose.

“È facile chiamare un uomo perché salga fino alla tua casa, ma poi non è altrettanto facile mandarlo via.”

“Lo so” disse lei. “Credevi forse che non me ne rendessi conto? Ma Tamlorn desidera vedere suo padre.”

Aprì il cancello e si recò ad accogliere i tre uomini.

— Siete la maga Sybel? — le chiese il Re di Eldwold.

La fissava dall’alto del suo grande cavallo nero; nelle mani, protette da spessi guanti, teneva la briglia. Indossava un mantello scuro e un vestito senza pretese, non molto diverso da quello dei due uomini che lo accompagnavano.

Sybel lo fissò negli occhi grigi e stanchi, circondati da una rete di rughe; gli osservò le labbra immobili e decise, la grande massa di capelli grigi e si rivolse solo a lui.

— Sono Sybel.

Il Re rimase in silenzio per un istante, e lei non riuscì a leggere i pensieri che gli passarono nello sguardo. Poi Drede smontò di sella e le si fermò davanti senza lasciare le redini. Nella grande immobilità di quel mondo, anche lui pareva in soggezione.

— Sapete chi sono? — le chiese, incuriosito.

Lei gli rivolse un leggero sorriso.

— Volete che pronunci ad alta voce il vostro nome? — gli domandò.

Drede si affrettò a scuotere la testa.

— No — disse.

Poi, anche lui sorrise, e le rughe gli si raccolsero tutte agli angoli degli occhi.

— In voi c’è davvero qualcosa che mi ricorda la mia prima moglie — commentò Drede. — Siete sua nipote. Lo saprete certamente anche voi.

— Lo so — rispose Sybel — ma conosco ben poco di lei e degli altri miei parenti. A dire il vero, conosco poche persone, al di fuori di questa montagna. Non mi occupo delle cose degli uomini.

— Mi è difficile crederlo — rispose Drede. — Avreste un grande potere, se decideste di occuparvene, soprattutto in questi tempi inquieti. Non ve l’hanno mai offerto?

— Intendete offrirmelo voi adesso? — chiese lei. — È per questo che, in pieno inverno, siete salito fin qui?

L’uomo rimase per qualche tempo in silenzio, soppesandola con lo sguardo.

— La gente della città — le chiese infine — non viene mai a farsi dare consigli… ad acquistare piccoli incantesimi o a chiedervi, che so, di curare un bambino o una mucca? O di accelerare la morte di un ricco zio, o di riaccendere l’interesse di un marito stanco?

— In fondo al sentiero — suggerì Sybel — abita una vecchia, Maelga, che fa queste cose. Forse stavate cercando lei.

L’uomo scosse la testa.

— No — disse. — Sono venuto… per seguire un impulso. Per farvi una domanda. Avete mai sentito parlare di un bambino che abita su questa montagna, ma che non è nato qui? Rifletteteci attentamente. Pagherei una forte somma per sapere la verità.

— Come si chiama? Quanti anni ha?

— Ha dodici anni; questa primavera ne avrà tredici. Per quanto riguarda il nome… non saprei dire.

Poi, all’improvviso, sentì dei clamori che provenivano dagli alberi, e si girò in quella direzione.

Tamlorn e Nyl scendevano verso di loro lungo il fianco della montagna, impacciati dalla neve alta, ridendo e scherzando. In tutto quel silenzio, si udiva distintamente la voce chiara di Tamlorn:

— Nyl! Nyl, aspettami! Ho visto degli uomini a cavallo…

Il Re tornò a fissare Sybel.

— Chi sono quei ragazzi?

— Giovani della montagna — rispose lei. — Sono sempre vissuti qui.

Glielo disse senza pensarci, perché aveva visto il Falco Ter staccarsi da Tamlorn e volare dritto verso di lei, come una scura saetta.

Poi il Falco atterrò bruscamente sulla spalla del Re, e lei, fissandolo negli occhi chiari, gli disse:

“No.”

Anche sotto i pesanti artigli del rapace, il Re rimase impassibile. Solo le sue labbra si mossero leggermente.

— È vostro? — chiese a Sybel.

— Sì. È una buona protezione per una donna sola.

Diede al Falco un solo ordine: “Via”, e Ter, dopo un istante, volò ad appollaiarsi sul muro, dietro di lei.

Il Re riprese fiato, silenziosamente.

— Non ho mai visto un falco così grosso — disse. — Mi stupisco che non ne abbiate paura.

— Certo saprete cos’è il potere — rispose Sybel.

— Lo so. Ma…

La voce di Drede si addolcì; negli occhi gli comparve un esile, incerto sorriso, simile all’acqua che scorre sotto una lastra di ghiaccio.

— Ho sempre un po’ di timore — confessò il Re — di coloro su cui esercito il potere.

Nyl e Tamlorn si avvicinarono al gruppo. Ora camminavano più lentamente e scrutavano con sospetto le guardie reali.

— Sybel — disse Tamlorn, e anche Drede si voltò verso di lui. — Maelga ha bisogno di te.

Così dicendo, il ragazzo allungò istintivamente il braccio per accarezzare sul muso il cavallo del Re. Leggendogli negli occhi una domanda, Sybel gli spiegò gentilmente:

— Questo signore viene da Mondor. Cerca una persona di cui ha perso le tracce.

Nyl si affiancò a Tamlorn. Era emozionato: il bianco vapore del suo respiro pulsava nell’aria.

Il Re chiese ai due ragazzi:

— Conoscete un giovane della vostra età che non è nato qui sul Monte?

Nyl scosse la testa, e il Re si rivolse a Tamlorn:

— E tu? C’è un ricco premio.

Tamlorn inghiottì a vuoto. Mosse lentamente la mano, avanti e indietro, sul collo vellutato del cavallo.

— No — disse infine, ma la voce gli si spezzò e dovette ripetere: — No.

Il Re aggrottò leggermente le grigie sopracciglia.

— Come vi chiamate, ragazzi? — chiese.

Nyl diede il proprio nome, e aggiunse, indicando il compagno:

— Questo è mio fratello Tamlorn.

— Tuo fratello? Non vi assomigliate affatto.

Il Re sfiorò il ciuffo di capelli neri sfuggito dal cappuccio che copriva la fronte di Nyl.

— Ce lo dicono tutti — spiegò Tamlorn, poi tacque e rimase immobile quando il Re gli abbassò il cappuccio del mantello, rivelando i suoi capelli color dell’avorio.

Dietro di loro, il Falco Ter emise un grido. Con due dita, il Re sollevò la faccia di Tamlorn, e il ragazzo dapprima serrò le labbra, poi sorrise.

Il Re chiuse gli occhi. Lasciò Tamlorn e si rivolse a Sybel:

— Devo vedere la loro madre. Vi hai mai parlato dei figli? Vi ha mai detto qualcosa di strano?

— No — rispose lei. — Non mi ha mai detto niente. Sono bambini come tutti gli altri.

Il Re la fissò per un lungo istante.

— Mi chiedo che cosa sappiate veramente di loro, voi che conoscete il mio nome — disse. E aggiunse: — Penso che probabilmente tornerò a farvi visita.

Si voltò verso Tamlorn e gli posò una mano sulla spalla:

— Guida tu il mio cavallo. Portami a casa tua.

— Nostra madre non è in casa — disse Nyl. — È andata ad aiutare Marte, che sta per avere un bambino. Devo andare a chiamarla?

— Sì. Va’ — disse Drede, e il ragazzo corse via, tra gli alberi.

Tamlorn si rivolse al cavallo, mormorandogli parole gentili. Girò ancora per un istante, verso Sybel, i suoi occhi chiari, e si allontanò con Drede.

Lei tornò nel giardino e poi rientrò nella casa silenziosa. Andò nella sua stanza, sotto la cupola di cristallo, e si sedette in terra, con le braccia conserte, gli occhi fissi nel vuoto.

Tamlorn ritornò molto più tardi. Si recò silenziosamente fino a lei e si infilò sotto la cascata dei suoi lunghi capelli, come fa un bambino molto piccolo. Rimase a lungo in silenzio. Poi disse piano:

— Nyl ci ha preceduto, e ha detto a sua madre le bugie che noi avevamo detto al Re. Quando il Re se n’è andato, però, ho visto che i dubbi gli erano rimasti. Sybel…

Lei si accorse che tremava.

— Che cosa c’è, Tamlorn?

— Lui… ci siamo parlati…

All’improvviso, le posò la testa sulle ginocchia e comincò a piangere, afferrandosi alla sua veste. Lei gli accarezzò con gentilezza i capelli e infine riuscì a calmarlo.

— Tamlorn, non c’è niente di male nel voler bene al proprio padre.

— Ma io voglio bene anche a te! E non voglio lasciarti, ma per tutto il tempo in cui sono stato con lui, ho provato il forte desiderio di dirgli che sono suo figlio, per vedere se era soddisfatto di me.

“Abbiamo parlato del Falco Ter… ha detto che era davvero meraviglioso che non avessi paura di andare a caccia con un falco così grande.”

La guardò con gli occhi gonfi di pianto, disperati.

— Non so cosa fare — concluse. — Voglio restare, e voglio anche andare. Sybel… se io me ne andassi… verresti anche tu?

— Ma Tamlorn, come farei per gli animali?

— Devi venire! Porta gli animali… Sybel, lui ti chiederà certo di venire… Anche Coren ti voleva… Potresti fare delle cose per lui.

— Contro i Signori del Sirle? — chiese lei, irritata.

Il ragazzo non seppe cosa rispondere.

— Mi userebbe contro il Sirle — spiegò lei.

— Non m’importa di come ti userebbe — mormorò Tamlorn. — Io voglio che tu venga.

Lei scosse la testa. I suoi occhi si erano rabbuiati.

— No, Tamlorn. Farei qualsiasi cosa per te, ma non questa. Tu de vi vivere la tua vita e io la mia. Mi dispiace, ma devi scegliere tra noi due. Mi troverai sempre qui, su questa montagna, quando avrai bisogno di me… No, non piangere…

Gli sorrise, perché anche lei aveva gli occhi pieni di lacrime. Se li asciugò con il dorso della mano.

— Una volta eri così piccolo e soffice — bisbigliò — e stavi così bene nelle mie braccia… Allora non pensavo che crescendo potessi darmi tanto dolore.

— Sybel, vieni con me… te ne prego.

— Tamlorn… — disse lei, disperata, e il ragazzo si alzò, si allontanò di corsa e uscì nel giardino. Da laggiù le giunse il grido con cui chiamava il Falco, mentre la neve riprendeva a cadere.

Anche lei si alzò lentamente in piedi, chiusa nei propri pensieri; si avvicinò al fuoco e tese le mani verso le fiamme. La Gatta Moriah l’osservò in silenzio; i suoi occhi di smeraldo non battevano ciglio. Poi, Sybel indossò il mantello e uscì, dirigendosi verso il sentiero che portava alla casa di Maelga.

Quando vi fu giunta, si accomodò accanto al focolare, sulla pelle di pecora, senza parlare, e appoggiò il mento alle pietre, fissando le fiamme che guizzavano sotto il calderone.

La fattucchiera si muoveva qua e là per la casa, mettendo in ordine le sue cose, seguita dal gatto grigio. Dopo qualche tempo, venne a sedersi accanto a Sybel e l’abbracciò; lei nascose la faccia sulla sua spalla.

— Bambina, che cos’hai? — le chiese Maelga. — Che cos’è questo gelo che hai negli occhi, e che non ti permette neppure di piangere?

Le accarezzò i lunghi capelli chiari finché Sybel le mormorò, con voce lontana e priva di emozione:

— Tamlorn vuole lasciarmi. Hai un incantesimo che gli impedisca di farlo?

— Oh, Bianca Signora, in tutto il mondo non esiste un incantesimo simile!


Nei giorni seguenti, Tamlorn si limitò a scambiare con lei poche parole. Lo vide raramente: solo quando veniva per mangiare e per dormire, e quando poi se ne andava, taciturno, scuro in faccia, con il Falco Ter sul pugno e Nyl al fianco per riprendere a scorrazzare sul Monte Eld avvolto nella sua cappa di ghiaccio.

Non riuscì a lavorare molto, in quei giorni, e passò le ore a guardare il ricamo che teneva in grembo senza mai terminarlo, o a passeggiare attorno al fuoco, prigioniera nella sua irrequietezza.

Attorno a lei, anche gli animali tacevano: si aggiravano per la casa con passo silenzioso e furtivo, la osservavano dalle altre stanze o dalle finestre del giardino.

Infine, una grigia mattina, Sybel si recò sotto la cupola di cristallo e posò lo sguardo sul mondo gelido e bianco che la circondava, sulla lunga teoria di fiocchi di neve che scendeva dal cielo senza sosta e senza rumore.

E da quella stanza inviò fino alla città di Mondor il richiamo che doveva far presa sul cuore del Re di Eldwold.

Quella volta, il Re era solo, quando salì a lei. Sybel andò ad accoglierlo al cancello, seguita dal Leone Gules e dal Cinghiale Cyrin venuti a proteggerla.

Il Re la guardò in silenzio, leggermente perplesso, e lei gli spiegò:

— Sono stata io a chiamarvi.

Drede rimase a bocca aperta, stupito e incredulo. — A chiamarmi? — chiese.

— Vi ho chiamato e siete venuto. Nello stesso modo, mio padre e mio nonno chiamarono a sé gli antichi animali dell’Eldwold.

Il Re scosse la testa, prima da un lato e poi dall’altro.

— Non è possibile — disse.

Ma vide che le labbra di Sybel, bianche per il gelo, gli sorridevano.

— Vi avevo già chiamato perché Tamlorn, vedendovi, potesse fare la sua scelta.

Il Re corrugò la fronte, nell’udire un nome di cui si era dimenticato, e lei proseguì, piano:

— Dodici anni fa… questa primavera saranno tredici anni… Coren del Sirle portò un bimbo a questo cancello e mi implorò, per amore di una mia parente che non avevo mai conosciuto, di prendermene cura. Io ho amato quel bambino, mi sono presa cura di lui e l’ho visto crescere, e adesso… dietro sua richiesta… vi ho chiamato quassù perché lo riportiate nel mondo degli uomini.

Il Re chiuse gli occhi. Rimase immobile; la neve gli si accumulò sulla faccia e sulle spalle, il fiato gli uscì con lentezza dalle labbra, come una lunga nebbia bianca.

Poi smontò di sella.

— Dov’è? — bisbigliò.

— In giro, con il Falco Ter. Lo richiamerò presto, dopo che avremo parlato un poco.

Aprì il cancello per farlo passare.

— Venite accanto al fuoco — gli disse. — Avrete freddo. E anch’io mi sento gelare.

Drede la seguì all’interno della casa. Sybel prese una sedia e la mise accanto al fuoco, per lui. Il Re si tolse il mantello e lo pose ad asciugare sulle pietre, levando le mani verso la fiamma. Poi, accorgendosi che tremavano, le lasciò ricadere e si mise a sedere.

— Tamlorn — mormorò.

— Siete contento di lui? Sperava che lo foste.

Pensando a quel che la donna gli stava chiedendo, lui sorrise; anche la maschera di tensione, sul suo volto, si alleggerì.

— Come può dubitarne? È così alto, così forte e libero, con i capelli e gli occhi della madre…

— No, quelli sono i vostri — disse lei con convinzione, e vide allargarsi il suo sorriso, brillargli gli occhi come due polle d’acqua colpite dal sole. Poi Drede superò la distanza che li separava e le prese una mano fra le sue, grandi e coperte di cicatrici.

— Mi chiedo come possiate darmelo.

Lei sospirò.

— Come potrei negarvelo, se è lui che vi vuole? — sussurrò. — Non vorrei darlo a nessuno, perché so che giungeranno uomini potenti a turbarlo, per cose che lui non conosce. Voi ne farete un Re, e lui conoscerà l’odio, le bugie e le passioni senza nome che giacciono in fondo al cuore degli uomini.

“Ma lui vi ha guardato, e l’ho visto sorridere. È vostro figlio. Non ha niente di mio. Io l’ho amato per dodici anni, e voi per… dodici minuti, ma non posso trattenerlo qui. Posso tenere un grande Falco e un antico e possente Leone, ma non posso tenere qui, contro la sua volontà, un solo ragazzo dagli occhi sinceri.”

Drede, nell’udire queste parole, aggrottò leggermente le sopracciglia.

— Siete così strana, Sybel — disse. — Non mi chiedete niente, eppure sapete che lo cercavo disperatamente.

— Niente di ciò che possedete — si affrettò a dire lei — poteva farmi rinunciare a Tamlorn.

— Può darsi. Uomini potenti lo stavano cercando per venderlo a me. Non sarebbero certo stati gentili, con un vecchio leone coperto di cicatrici. Chiedetemi… qualsiasi cosa.

— Vi chiedo solo di volergli bene — bisbigliò Sybel.

Lui le strinse le mani.

— Mi dispiace… — mormorò, ma lei scosse la testa.

— No — gli disse. — Siate felice. È bello avere un ragazzo da amare. Lui si fa amare facilmente, e gli piacciono le creature potenti. Per questo, penso, è stato tanto attirato da voi. Voi siete un po’ come il Falco Ter.

— Oh. — Sorrise, e dalla bocca e dagli occhi gli scomparve ogni traccia di durezza. Sollevò una mano verso di lei, ma poi la lasciò ricadere e gli occhi gli si velarono di ricordi.

— Rianna — disse — aveva la pelle bianca come la vostra… Rianna. Non pronunciavo il suo nome da dodici anni. Prima non volevo pronunciarlo perché ero in collera con lei, e poi per la tristezza che mi dava.

“Lei era come un vento, tiepido e dolce, che spirava nel mio cuore; lei era un posto dove riposarmi, il tempio di pace dove potevo dimenticare tante cose… Finché un giorno la vidi rivolgere un’occhiata a Norrel: un’occhiata che era come il tocco delle labbra. Perdetti allora la mia oasi di pace e di tranquillità. Qui, seduto nella vostra casa serena, ne ho ritrovato un poco.”

— Ne sono lieta — disse lei, in tono cortese. — E sono lieta che…

S’interruppe, arrossendo.

— Lieta che…? — la incoraggiò lui.

— Lieta che Coren del Sirle si sbagliasse. Diceva che eravate un uomo amareggiato e ormai incapace di amare. Ma ora sono convinta che saprete voler bene a Tamlorn.

Dagli occhi di Drede scomparve il sorriso.

— Coren — disse, senza alcuna intonazione particolare. — È venuto qui. Per Tamlorn?

— Sì.

— E voi non glielo avete ridato. Eppure mi hanno descritto l’astuzia delle sue parole, la dolcezza dei suoi sorrisi…

Sulle guance della donna, il rossore si accentuò ancora di più. Gli disse con asprezza:

— Credete che il mio amore per Tamlorn sia così piccolo da essere disposta a darlo al primo che viene a chiedermelo con qualche parolina dolce? Non ve lo darei, se già non vi volesse bene.

— Mi avreste lasciato morire senza un erede?

— Che importanza può avere, per me, il vostro destino? O quello di Coren? Che pace potremmo avere, io e la mia casa, se badassi a tutte le lotte che si intrecciano nelle corti della pianura? Sono cose che non capisco. Capisco solo quel che c’è dentro la mia abitazione.

Il Re la fissava con severità, come se, in quel momento, la vedesse per la prima volta.

— Eppure — le disse — avete tanto potere… Mi avete fatto uscire dalla mia casa senza che io lo volessi. Potreste fare qualsiasi cosa di me e io non sarei in grado di oppormi. Coren del Sirle voleva anche voi, oltre a Tamlorn?

— Certo — disse lei, imperturbabile, — Mi ha chiesto il prezzo dei miei poteri.

— E voi?

— E io gliel’ho detto: la felicità di Tamlorn, e un grande uccello bianco, con lunghe ali soffici, che sventolano come bandiere. Non essendo in grado di darmi queste due cose, se ne è dovuto andare a mani vuote.

Drede tornò ad appoggiarsi allo schienale. Sybel, per qualche tempo, continuò a fissarlo in silenzio. I capelli grigi del Re, bagnati di neve disciolta, si erano appiccicati sulla sua fronte scura e coperta di rughe; una gemma azzurra, su una delle sue dita, rifletteva la fiamma del focolare.

Dopo qualche tempo, accorgendosi di essere osservato, lui la fissò negli occhi.

— A che cosa pensate? — le chiese.

— Al Leone Gules. E al Falco Ter. E anche un poco al Drago Gyld…

Lui sorrise.

— Anche voi — disse — siete attirata dalle creature potenti.

Sybel si affrettò a distogliere lo sguardo, sorpresa da quell’osservazione, e si sentì imporporare le guance. Drede la guardò, e, standogli così vicino, lei avvertì in quell’uomo un potere che non conosceva, ma che era capace di turbarla. Poi Drede le sfiorò la guancia, costringendola a guardarlo.

— Venite con noi. Venite a Mondor con Tamlorn e con me.

— A lavorare contro il Sirle?

— A lavorare per Tamlorn. Portate i vostri animali, in modo che a Mondor, con voi, ci siano tutte le creature che amate. Faremo di Tamlorn un Re. Venite con noi. E, se vorrete, io farò di voi una Regina.

Sybel si sentì pulsare il sangue alle tempie.

— È più di quanto mi ha offerto Coren — mormorò.

Poi, d’improvviso, si alzò in piedi, si allontanò da lui e guardò le care, fredde, bianche pareti che la circondavano.

— No.

— Perché?

— Non lo so — rispose. — Ma non potrei… non potrei agire contro il Sirle.

— Ah.

Sybel si affrettò a voltarsi verso di lui.

— Non ha niente a che vedere con Coren — cercò di spiegargli. — Non voglio aiutare uno di voi e combattere contro l’altro. Qui, sulla mia montagna, non devo prendere questo genere di decisioni. Non voglio condividere la vostra guerra, ma non dovete avere paura di me: non lavorerò mai per i nemici del padre di Tamlorn. Siete al sicuro. E così lo è il Sirle, perché non voglio che il vostro odio diventi il mio.

Lui non disse niente; ma aggrottò la fronte, cosicché lei non poté leggergli nello sguardo.

— Siete troppo potente — mormorò Drede — e troppo bella. Pensando a voi, mi sento a disagio. Ma vi credo. Non operereste mai contro l’interesse di Tamlorn.

Anche lui si alzò in piedi, nervosamente, ma poi si voltò di scatto, nell’udire la porta che si apriva.

Era Tamlorn: si scosse la neve dal mantello, chiuse la porta e si diresse verso il fuoco. Solo allora li vide.

Il ragazzo s’immobilizzò, arrossendo. Drede gli fece un cenno con la mano.

— Vieni.

Tamlorn rimase fermo ancora per qualche istante. Dubbioso, continuò a guardare prima l’uno e poi l’altra. Infine Drede gli sorrise, e il ragazzo gli restituì il sorriso, inghiottendo a vuoto.

Si avvicinò, si fermò in mezzo ai due, accanto al fuoco, e tese le mani verso le fiamme.

Drede disse gentilmente:

— Guardami.

Il ragazzo obbedì.

— Dimmi il tuo nome.

— Tamlorn.

— E quello di tua madre.

— Rianna.

— E quello di tuo padre.

Il ragazzo si morse nervosamente le labbra; poi, con sicurezza, disse:

— Drede.


Tornò in città con il Re, quel pomeriggio. Sybel, dal cancello, li guardò partire. La neve non cadeva più; l’unico suono che si udiva al mondo era quello della loro voce pacata.

Per un lungo istante, Tamlorn rimase fermo davanti a Sybel, senza trovare le parole da dirle, mentre il Re attendeva in sella dietro di lui.

Sybel, con le ciglia bagnate di pianto, ma sorridendo, lo guardò ancora una volta negli occhi. Gli accarezzò la fronte, gli ravviò una ciocca di capelli ribelli che era andata fuori posto. Poi gli disse:

— Ho un regalo per te.

Pronunciò il nome di Ter, e il grande Falco andò a posarsi sulla spalla di Tamlorn. Il ragazzo trasalì.

— No, Sybel… sentirà la tua mancanza.

— No — disse lei. — È un uccello adatto ai sovrani. Se correrai dei pericoli, ti proteggerà, e quando lo chiamerò per nome mi dirà da lontano che stai bene e che sei felice.

Fissò gli occhi azzurri del Falco Ter, ma, per un istante, il rapace non le disse niente. Poi le giunsero i suoi pensieri:

“Non pensavo che nel mondo degli uomini ci fosse ancora posto per me.”

“C’è un solo posto” disse lei. “Custodisci Tamlorn, con amore e con saggezza.”

“Così farò, o più potente di tutti i figli di Heald. E se avrai bisogno di me, chiamami, e io verrò subito.”

Lei gli sorrise.

“Addio, grande Signore dell’Aria.”

Tamlorn l’abbracciò così forte che la nebbia del loro respiro, nell’aria gelida, divenne un unico alone. Poi montò a cavallo dietro Drede, e il Falco gli si posò sulla spalla.

Il Re si chinò su Sybel e le prese la mano.

— Se verrete a Mondor, per voi ci sarà sempre un posto. Ma, anche se non vi vedrò più, serberò il vostro nome nel cuore, in silenzio.

Per un istante, si portò alle labbra la mano di lei. Poi, tirando le briglia, avviò verso il sentiero montano il suo grande cavallo nero, e Sybel rimase ferma a osservarli finché la faccia di Tamlorn, girata all’indietro, non scomparve fra gli alberi.

Solo allora, sentendo qualche brivido di freddo, ritornò nel giardino. La neve riprese a cadere leggera, senza rumore, interminabile. Accanto a lei, altrettanto silenzioso, comparve il Leone Gules; lei gli accarezzò la criniera, distrattamente.

Entrò nella casa tranquilla e buia e si mise a sedere davanti al fuoco. La Gatta Moriah venne a riposare ai suoi piedi, ma lei continuò a sedere immobile, mentre la fiamma si spegneva e il fuoco continuava a pulsare segretamente nelle braci, e infine anche le braci diventavano nere e fredde.

Poi scese su di loro la notte, gelida, e la neve si accumulò nel giardino, cancellando le ultime impronte lasciate da Tamlorn e le mezzelune del cavallo del Re.

Per tutta quella notte, e il giorno seguente ancora, Sybel rimase lì a sedere senza muoversi, con le mani posate sui braccioli della sedia e gli occhi fissi, come se fosse ancora in grado di vedere la fiamma verde e danzante. La bianca stanza di marmo divenne sempre più fredda e silenziosa intorno a lei.

Alla fine si scosse, batté gli occhi. Scorse intorno a sé tutti gli animali: anche la massa lucente del Drago Gyld era raggomitolata sulla pietra. Il bellissimo cigno dagli occhi indecifrabili la guardava dalla soglia della stanza che aveva per soffitto la cupola di cristallo. Lei si voltò, e scorse alle proprie spalle gli occhi rossi del Cinghiale Cyrin. Sorrise a tutti, e si accorse di essere intorpidita dal freddo.

— Sono qui. Avete fame?

La sua voce si perse tra le pietre, senza risposta.

Poi il Leone Gules avanzò fino a lei, infilando la testa sotto la sua mano.

“Alzati” le disse. “Accendi il fuoco. Mangia.”

Lei si alzò, sospirando, e si inginocchiò accanto al focolare. Poi, con le braccia cariche di legna, si fermò bruscamente. Si guardò alle spalle, perché proprio in quella stanza, fra gli altri animali, aveva colto la presenza della Creatura senza nome.

Socchiudendo gli occhi, la cercò negli angoli bui, dietro i pesanti tendaggi. Ma la Creatura era sempre un passo oltre la sua vista, un passo oltre il cerchio della sua attenzione, priva di forma, priva di nome.

Poi le passò nella mente un pensiero, un’idea improvvisa, un ricordo. Posò la legna e corse nella stanza dal soffitto a cupola.

Aprì un grosso codice in pergamena, decorato in foglia d’oro: un antico volume lasciatole da Ogam, contenente storie che risalivano addirittura al terzo Re di Eldwold. Ne scorse rapidamente le pagine, cercando una breve frase che ricordava di avervi letto, e infine la trovò. Si sedette sul pavimento, con in grembo il pesante volume, e lesse in silenzio:


E v’è inoltre quello spaventevole mostro, che attende la propria vittima appostato dietro un cantone oscuro o dietro una soglia buia, nelle ore più tenebrose della notte. Sopravvive alla sua vista soltanto chi sia privo di paura. Gli viene dato il nome di Rommalb, quando si parla di lui, perché pronunciando il suo vero nome se ne evoca la presenza.


Lentamente, sulle labbra le si disegnò un sorriso.

— Blammor — disse a voce alta, rotolandosi questo nome sulla punta della lingua. — Blammor.

E, quando sollevò lo sguardo, finalmente lo vide.

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