4

Era un’ombra nell’ombra, una nebbia nera più alta di lei, con occhi simili a cerchi di ghiaccio cieco e luccicante.

Lei chiuse il libro e si alzò lentamente in piedi per affrontarlo. Gli toccò la mente e la trovò altrettanto immobile e scura quanto il suo aspetto.

“Dammi il tuo nome” gli chiese.

La voce mentale della creatura assomigliava allo scricchiolio delle foglie secche.

“Blammor.”

“Perché sei venuto a me di tua iniziativa? Molti lottano per nascondere il proprio nome. Ma tu sei venuto senza che ti chiamassi.”

“Se sono venuto, è perché mi hai chiamato” disse il Blammor. “E tu hai uno strano potere, che mi attira e che ti permette di vedermi come sono realmente. Perciò verrò sempre da te, e ti servirò, così come un giorno servirò colui che ti vedrà come realmente sei.”

“E adesso ti vedo come sei?” gli chiese Sybel. “Una nebbia nera, con occhi bianchi come il fuoco, ciechi e insieme capaci di vedere?”

“Questa è una parte di me.”

“Tu mi affascini” disse lei. “Tutti gli uomini, dimmi, ti vedono come ti vedo io? Si parla di te come di una creatura terribile.”

“Gli uomini vedono quel che temono maggiormente.”

“E che cosa desideri da me?”

“Nient’altro” rispose il Blammor. “Solo di non avere paura. Adesso devo lasciarti. Ho del lavoro da compiere.”

Scomparve tra le ombre, che tremarono per un istante al suo passaggio.

Lei si voltò, strofinandosi le braccia intirizzite dal freddo, e sulle labbra le si disegnò un lieve sorriso. Ritornò al focolare e, andando alla fiamma verde che ardeva nel caminetto senza mai spegnersi, vi accese un bastoncino di legno.

Pochi minuti più tardi, anche nel focolare ardeva un bel fuoco, e lei se ne servì per accendere torce e candele con cui rischiarare la gelida stanza, sotto gli occhi vigili del Cigno, del Cinghiale e del Leone.

E in quel momento, tra il canto dei venti invernali, sentì che qualcuno la chiamava dal cancello.

Corrugò leggermente la fronte, sorpresa. Fece per chiamare il Falco Ter, ma poi ricordò che era lontano; perciò prese con sé il Cinghiale Cyrin e una torcia ardente che parve tramutare in fiamma la neve del giardino.

I fiocchi cadevano come grandi, esili ciuffi cristallini che, alla fiamma della torcia, svanivano in un breve istante. Dietro il cancello c’era un uomo incappucciato, avvolto in un pesante mantello, che teneva per le briglia il cavallo.

Lei, senza aprire il cancello, sollevò la torcia per illuminargli il volto, e scorse una massa di capelli color del sole.

— Oh — sospirò.

Aprì, e l’uomo entrò nel giardino.

— Portate il cavallo nella stalla, di fianco alla casa — gli disse. — Avvertirò gli altri di non farvi del male.

— Grazie — rispose Coren.

Il vento sì portò via le parole del Principe del Sirle, come bianche nubi di fiato. Coren si fece dare la torcia; Sybel, quando si girò, vide che aveva le spalle bianche di neve che gli lasciava umide scie sulla schiena.

Pochi minuti più tardi, Coren la raggiunse all’interno della casa. Salutò cortesemente il Leone Gules, nel corridoio, e accennò un inchino all’indirizzo della Gatta Moriah, raggomitolata come un’ombra.

Sybel gli prese il mantello bagnato e lo pose ad asciugare accanto al fuoco; lui si fermò davanti al focolare, come se volesse assorbirne la fiamma, rabbrividendo.

— Dal Sirle a qui, è stata proprio una cavalcata lunga e fredda — disse. — Sybel, qui si gela. Siete stata via?

— No. Sono stata… non so neppure io dove sono stata, ma non credo di essere ritornata del tutto.

Si sedette accanto al focolare, riscaldandosi le mani alla fiamma.

— Perché siete venuto? — gli chiese poi. — Ormai dovreste sapere che Tamlorn è andato a stare con Drede.

— Lo so — rispose lui. — Sono venuto perché mi avete chiamato.

Lei lo fissò, stupita. Coren sorrise; tendeva le mani verso le fiamme e, al calore del fuoco, la sua faccia si stava già arrossando.

— No, non vi ho chiamato — disse lei.

— Eppure vi ho sentita. A volte, nel silenzio della notte, riesco a sentire la voce degli esseri che l’occhio non riesce a scorgere: una voce simile all’eco di un’antica canzone.

“Ho sentito la vostra voce, nei miei sogni, e mi ha detto che eravate sola… Mi ha svegliato, e per questo sono venuto. Vedete, so anch’io cosa si prova a pronunciare un nome in una stanza vuota, e a non avere nessuno che risponda.”

Sybel rimase a bocca aperta, senza parole. Coren si mise a sedere accanto a lei. La Gatta Moriah, senza fretta, si alzò e si accovacciò ai loro piedi, fissando il Principe con i suoi occhi verdi e insondabili. Sybel sospirò.

— Non ho mai sentito discorsi come i vostri — gli disse. — Che cosa siete, voi? In un certo senso siete uno sciocco, eppure conoscete cose che mi lasciano stupita.

Lui annuì, increspando le labbra in un sorriso.

— Il settimo figlio di mio nonno Steth, Signore del Sirle, ha avuto sette figli, e io sono il più giovane. Forse è per questo che sento ciò che raccontano gli alberi con i bisbigli delle loro foglie, al sorgere della luna, o quel che rivelano le spighe di grano che crescono, o gli uccelli al crepuscolo. Ho buone orecchie. Sono riuscito a udire il silenzio delle vostre pareti di marmo anche in mezzo alle rumorose abitazioni del Sirle.

Lei distolse lo sguardo dai suoi occhi e si mise a fissare le fiamme.

— Capisco — disse poi. — Avevo davvero bisogno di qualcuno, ma finora non me ne ero resa conto. Avete fame?

— Sì, ma rimaniamo qui a sedere ancora un poco. Quando mi sarò riscaldato, vi preparerò qualcosa.

— Sapete cucinare? — chiese lei, incuriosita.

— Certo. Molte volte sono stato da solo, in luoghi isolati, con soltanto un uccello di palude o un falco a rispondere alle mie domande.

— Avete cinque fratelli. Perché vi recate da solo in luoghi simili?

— Oh, i miei fratelli vengono sempre a caccia con me — rispose lui. — Ma quando devo raggiungere una foresta o un lago citati da un’antica leggenda, per ascoltare i loro segreti… è un tipo di viaggio che non suscita il loro interesse.

“Una volta mi sono recato nella Foresta di Mirkon, la grande, buia selva a nord del Sirle, tra alberi simili a colonne di pietra nera, tra radici cupe e immense che fuoriescono dalla terra, e laggiù, ascoltando il rumore che faceva un’unica foglia caduta, sono venuto a conoscenza della storia del Principe Arn.”

Sybel accennò a un pallido sorriso.

— Anche Maelga, quando Tamlorn era piccolo — disse — la sera gli raccontava questo genere di storie, se lo vedeva triste.

— Sybel — disse lui — mio fratello Rok mi prende in giro, quando gli racconto queste cose. Ed Eorth, che è un grosso drago ottuso, mi sorride e mi stringe fra le braccia fino a incrinarmi le costole. Ma non pensavo che anche voi avreste riso.

Lei lo fissò, incuriosita e dubbiosa.

— Non rido di voi — gli disse. — Ma pensavo che poteste essere venuto… o che vostro fratello potesse avervi mandato… per controllare se mi ero alleata con Drede, visto che gli ho dato Tamlorn. Anche Drede era un po’ intimorito, quando gli ho detto di averlo chiamato.

— L’avete chiamato?

— Sì, ma solo per dargli Tamlorn, nient’altro. Però, quando era qui, ho commesso una sciocchezza: gli ho detto che eravate venuto anche voi. Adesso, perciò, dubita di me; penso che lo stesso si possa dire di vostro fratello Rok.

— Oh, certo. — Sorrise, ma la fronte gli rimase aggrottata. — Dov’erano il Cinghiale Cyrin e il Leone Gules, quando avreste avuto bisogno dei loro consigli? Voi siete esperta di campi che sfuggono alla conoscenza dell’uomo, ma siete stata incauta a chiamare a voi un Re insicuro del proprio potere, attirandolo alla vostra casa senza che lo sapesse.

— Gli ho detto che non doveva avere paura di me.

— E questo è stato sufficiente a tranquillizzarlo, penso.

— Ne dubito — rispose lei.

Poi, scuotendo la testa, aggiunse:

— Oh, ma perché preoccuparmi di quel che pensa Drede… o di quel che pensa il Signore del Sirle? È stato Rok a mandarvi?

— Vi ho detto perché sono venuto.

Coren aveva smesso di sorridere, ma continuava a fissarla.

Lei alzò le spalle.

— Già — disse. — Ma non so come abbiate potuto sentire la mia voce, in mezzo a tutte quelle dell’Eldwold.

— Io lo so — disse lui. — L’ho sentita perché vi amo.

Lei aprì le labbra per rispondere, ma scoprì all’improvviso di non avere parole. Coren la fissava con le guance leggermente arrossate; quando lei infine rise, arrossì fino alla radice dei capelli.

— Certo — disse lei. — Drede mi ha offerto di diventare Regina di Eldwold… voi cosa volete offrirmi?

Incrociò le mani sul grembo e guardò Coren. Vide che i suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, erano sconvolti.

— Drede — mormorò lui, serrando i pugni. — Sempre Drede.

Poi riaprì i pugni e si appoggiò le mani sulle ginocchia. Trasse un lungo, silenzioso sospiro e le chiese:

— Anche a Drede avete risposto con una risata?

— No — disse lei, sorpresa.

D’improvviso, Coren si alzò in piedi e si mise a passeggiare avanti e indietro nella stanza. Poi tornò a guardarla.

— Ho pensato a voi — mormorò — ai vostri capelli chiari come la neve, per tutta la durata del mio viaggio, lungo e freddo, dal Sirle a qui. Dentro di me, sentivo che eravate preoccupata, e non c’era altro posto al mondo dove volessi essere, salvo che laggiù, sulla strada che portava a voi. Quando avete aperto il cancello per farmi entrare, mi sono sentito come a casa mia. Non pensavo che mi avreste dato tanto dolore.

Quelle parole riecheggiavano quelle che lei stessa aveva pronunciato tempo addietro, e Sybel aprì la bocca per dire qualcosa. Poi si guardò le mani.

— Mi spiace — disse. — Ma, Coren, come posso fidarmi di voi?

— Capisco.

— Quando vi guardo, vedo l’ombra del vostro odio, l’ombra di vostro fratello Rok che desidera servirsi di me. Lo capite, vero?

— Sì.

Lei tornò a guardarlo e vide che era impallidito. Gli toccò il braccio.

— Sedete — gli disse. — Entrambi siamo stanchi e affamati. Io non ho più dormito dal giorno della partenza di Tamlorn, e sono troppo stanca per continuare a discutere.

— Sybel… — cominciò a dire lui.

Poi s’interruppe e si mise a sedere, senza più guardarla. Dopo un momento, riprese:

— Se giurassi… sul mio amore per Norrel… che non cercherò mai di usarvi contro la vostra volontà, comincereste a fidarvi di me?

— E voi potreste giurarlo?

Lui annuì, fissandola negli occhi.

— Sì. Cercherò qualche altro modo di uccidere Drede.

— No!

— Ma, Sybel, cosa devo fare?

— Vi restano cinque fratelli: accontentatevi di quelli che avete.

— Non posso, Sybel! Quando ero più giovane, ed ero insicuro di me e delle mie strane conoscenze, tra tutti i miei fratelli, Norrel era l’unico che non mi deridesse.

“Potevo dirgli che nella Palude di Fyrbolg avevo visto lo spettro di coloro che erano morti rincorrendo il Cervo Bianco creato con il fumo dal mago Tarn, e lui mi credeva. Non capiva come potessi saperlo, ma credeva alle mie parole.

“Norrel mi insegnò a cavalcare e a combattere, a cacciare con il falco. E quando si innamorò di Rianna, anch’io mi innamorai di lei, perché volevo che fosse sua. E poi, quando Drede lo uccise nella Piana di Terbrec, io lo vidi cadere a terra. Non potei raggiungerlo in tempo, e lui morì senza avere nessuno al suo fianco, in una battaglia combattuta per lui. Questo non posso perdonare a Drede: che Norrel sia morto da solo, senza assistenza, senza conforto.”

La sua voce si abbassò fino a tacere. Dal fuoco, giunse il crepitio di un ramo che si spezzava. Il vento mormorava senza posa, contro le pareti della casa, muovendosi nel buio come una bestia che cercasse di entrare.

Dopo un poco, Sybel ritrovò la parola e disse, esitante:

— Mi spiace. Ma Tamlorn lo ama, quindi io non voglio che muoia.

Coren sospirò.

— È così — disse. — Ma allora, Signora di Ghiaccio, che cosa devo fare? Non posso impedirmi di amare, e neppure di odiare.

— Che cosa dobbiate fare — rispose lei — non lo so. Non conosco l’odio, e conosco poco anche l’amore. Vorrei poter fare qualcosa per voi, ma non posso fare niente.

— Non è vero. Potreste.

— No.

Lui sospirò di nuovo. Poi le prese una mano, e lei sollevò la testa.

— Vi è occorso un grande amore, per dare Tamlorn a Drede — disse Coren. — Spero che sia felice con lui, per il suo bene e per il vostro, anche se non riesco a capire perché preferisca Drede a voi.

Lei sorrise, e il verde riflesso delle fiamme le illuminò i capelli e le guance.

— Tamlorn — disse — è attirato dalle persone che hanno bisogno di lui.

S’interruppe per fissare Coren.

— Certamente — riprese — ci sarà qualche donna del vostro mondo che ha bisogno di voi. Avete delle grandi doti, e siete gentile, e anche… molto… piacevole da guardare.

— Grazie — rispose lui, serio. — Ma perché trovate così difficile dire queste parole? Per me è facilissimo dire che siete saggia, meravigliosa, onesta, bellissima e che vi amo.

Le accarezzò una ciocca dei lunghi capelli chiari, poi scosse rapidamente la testa nel vedere che questo la innervosiva.

— No — le disse — non vi turberò con parole che in questo momento non volete udire da me. Ma se poteste concedermi la vostra amicizia, ve ne sarei molto grato.

Lei lo guardò, rivolgendogli un incerto sorriso.

— Siete venuto questa notte — gli disse — quando avevo bisogno di un po’ di gentilezza. Per quanto avete fatto, sono vostra debitrice.

— Bene.

Si alzò e mise altra legna sul fuoco; la fiamma pallida gli danzò sul viso.

— Sybel — disse — il vostro fuoco ha il colore dei giovani alberi. Vado a preparare qualcosa da mangiare… No, rimanete qui. Fidatevi di me: vado io in cucina. E cercate di dormire un poco, se potete.

Si allontanò senza fare rumore, e altrettanto silenziosamente il Cinghiale Cyrin si sollevò dall’ombra e lo seguì nella cucina.

Cercando qua e là, Coren trovò coltelli, pentole, carne salata, pane e verdura dell’orto. Stava pulendo una cipolla da tagliare a fette, quando il grande Cinghiale disse dietro di lui, con la sua voce dorata:

— Il falco bene addomesticato torna sempre alla mano del padrone.

Per poco, a causa della sorpresa, non gli sfuggì di mano il coltello. Si voltò verso il Cinghiale.

— Mi ero scordato — disse — che il Signore della Saggezza ha la voce per parlare.

Gli occhietti rossi lo fissarono senza battere ciglio.

— Cosa siete disposto a darmi, in cambio di tutta la saggezza del mondo?

— Niente — rispose lui, tornando ad affettare la cipolla. — So che conoscete la risposta a tutte le domande meno una. È proprio quella che mi occorrerebbe adesso.

Il Cinghiale Cyrin sbuffò educatamente.

— Quando il saggio fa una domanda — disse — conosce sempre la risposta.

— E domanda e risposta sono la stessa cosa — concluse Coren per lui.

Buttò in una pentola la cipolla e cominciò a tagliare a fette un pezzo di zucca.

— Voi non vi fidate di me — riprese poi. — Credete che io sia un falco ammaestrato, legato alla politica di Rok. Ma mio fratello non ha niente a che vedere con la mia venuta.

— Quando il Sire di Dorn ricevette in segreto, dalla strega Glower, il mortale incantesimo da lei preparato per i suoi nemici, accanto a lui c’era un’ombra più nera della notte, che gli era indissolubilmente legata.

Per qualche tempo, Coren rimase in silenzio e continuò a tagliare a dadini la zucca. Infine disse:

— Non devo dimostrare a voi di poter amare liberamente, ma a Sybel.

— Nel buio, i suoi occhi vedono chiaro.

— Lo so — disse lui. — Non le ho mai nascosto niente.

— Le radici crescono al buio.

— Certo. — Prese un’altra cipolla e cominciò a pulirla. — Ma io non sono una radice, e i miei pensieri non sono affatto un segreto.

— Il gigante Grof fu colpito all’occhio da una pietra, e quell’occhio si voltò all’interno, in modo che poté guardargli nella mente. Di quel che ci vide, lui morì.

Coren si voltò verso il Cinghiale. Vide che era fermo sulla soglia.

— Se si tratta di un indovinello, ammetto di non sapere la risposta — dichiarò.

Il Cinghiale dalla voce melodiosa parve riflettere per qualche istante.

— Allora ve la darò io — disse poi. — Chiedete a Sybel il nome che ha pronunciato oggi, prima del vostro.

Coren aggrottò la fronte.

— Farò così — promise, cercando il prezzemolo.

Quando portò a Sybel ia minestra e la carne, pane fresco e vino tiepido, la trovò addormentata. Posò i piatti su un tavolino accanto a lei e la chiamò piano per nome. La donna si scosse.

— Oh — disse, drizzando la schiena e soffregandosi le palpebre.

Lui le passò il vino.

— Sono lieto — disse — che abbiate dormito un poco.

— Mi sono riposata. Non ho fatto sogni.

Assaggiò il vino, e sulle gote le ritornò il colore.

— La vostra minestra ha il profumo di quella di Maelga — commentò.

Lui la servì, poi si sedette a mangiare accanto a lei, con una scodella sulle ginocchia.

— Non dovreste lasciar passare tanti giorni senza mangiare — le disse.

— Me ne dimentico. Coren, questa minestra è davvero buona. Non so quale delle due cose mi dia maggior calore: la vostra gentilezza o la vostra minestra.

Lui sorrise.

— Non importa — disse. — Il Cinghiale Cyrin è venuto a parlarmi, mentre ero in cucina.

Sybel inarcò le sopracciglia.

— Davvero? — chiese. — Parla così raramente. E che cosa vi ha detto?

— Mi ha proposto una sorta di indovinello. Poi, quando non ho saputo rispondergli, mi ha detto di chiedervi il nome che avete pronunciato oggi, prima del mio.

— Perché? E la risposta all’indovinello?

— Penso di sì. Che nome era?

Lei rifletté per qualche istante, aggrottando la fronte.

— Oh — disse infine — era il nome del Blammor, ma non vedo come…

S’interruppe, sgranando gli occhi. Poi gridò, incollerita:

— Cyrin!

Alzandosi in piedi, non si accorse che il suo piatto cadeva a terra.

In quell’istante, davanti a loro, comparve il Blammor; attraverso la sua forma di nebbia si poteva scorgere la fiamma verde del focolare. I suoi occhi di ghiaccio si fissarono in quelli di Coren, che impallidì e rimase immobile, senza più riuscire a parlare.

Impercettibile come una nebbia, il Blammor prese ad allargarsi e ad allungarsi, finché si stese su Coren come un’ombra, così vicino alla sua faccia pallida che anch’essa parve costituita di oscurità.

L’uomo emise un grido stridulo, incoerente, e dondolò su se stesso, come se fosse tenuto in piedi da una sorta di vento. Poi Sybel, che si torceva le mani, lo udì bisbigliare:

— Blammor…

Il Blammor fissò Sybel.

“Hai altri ordini?” le chiese, con indifferenza.

Lei, scuotendo la testa, bisbigliò:

— No.

Il Blammor, soddisfatto, si allontanò; Sybel sentì che il fuoco tornava a riscaldarla.

Accanto a lei, il giovane si portava le mani alle tempie. Con le palme, prese a sfregarsi gli occhi, come se volesse cancellare una visione paurosa. Poi scivolò a terra, così all’improvviso che lei non riuscì ad afferrarlo. Si inginocchiò accanto a lui, lo aiutò a sedere.

— Coren…

Lui non rispose.

Affannosamente, Sybel si mise a cercare il vino; e così facendo, al di là del cerchio di luce del fuoco, scorse gli occhi rossi e imperturbabili del Cinghiale Cyrin che l’osservava. Gli inviò nella mente un grido furibondo:

“L’avrei rimandato via io stessa. Non c’era bisogno…”

— Sybel… — chiamò Coren, come se la voce gli uscisse dalle profondità dell’anima. Lei gli prese le mani.

— Sono qui — gli disse.

— Stringimi. Stringimi…

Lei lo abbracciò, tenendolo così stretto da sentirgli il battito del cuore e il rumore ansante del respiro.

— Mi spiace. Mi spiace — continuò a mormorare, e lo baciò come se fosse stato Tamlorn, venuto a lei per farsi consolare.

Poi le venne in mente un particolare, e si affrettò a sciogliersi da lui. Coren protestò debolmente e cercò di afferrarla, ma lei, aggrottando la fronte, gli disse:

— Coren.

Lui aprì gli occhi, uscendo da un sogno.

— Cosa?

— Coren, come conosci il nome del Rommalb?

Lui la guardò senza capire, e lei lo afferrò per i polsi. Infine, Coren rispose:

— Lo conosco.

— Ma come hai fatto?

— Come faccio a sapere quello che so?

Il giovane appoggiò la schiena al focolare e tornò a chiudere gli occhi.

— Come hai fatto, allora?

— Sono stato costretto a ricordarlo.

Per un momento, quelle parole rimasero sospese tra loro, prive di forza.

— Altrimenti — continuò lui — sarei morto qui, sul tuo focolare. Ho preso parte a una grande battaglia, ho dovuto combattere di notte, senza aspettarmelo, da solo, ma non ho mai visto la morte così vicina come poco fa, qui nella tua casa.

“Aveva il colore della notte e non potevo respirare perché non era d’aria, ma sapevo che se fossi riuscito a darle un nome non avrebbe più potuto farmi del male.

“Tutti i miei pensieri erano di morte… volavano in cerchio, come uccelli spaventati… ma sapevo che non potevo incontrare la morte nella tua casa, accanto al tuo focolare.

“Perciò, una parte di me ha continuato a cercare tra tutti i nomi antichi che conoscevo. E infine ho capito cos’era. Non era la morte, ma la paura. Rommalb. La paura che conduce gli uomini alla morte.”

Riaprì gli occhi per qualche istante, fissandola dalla profondità di un abisso senza nome.

— Sybel, non potevo lasciarmi uccidere da qualcosa che non poteva farmi del male.

— Moltissimi uomini sono stati uccisi da quella cosa — bisbigliò lei. — Fin da epoche immemorabili.

— Ma io non potevo lasciarmi uccidere. Avevo qualcosa per cui vivere.

— Drede? — chiese lei.

Lui scosse la testa e per un po’ non disse niente. Teneva gli occhi chiusi, e lei pensò che si fosse addormentato. Poi raddrizzò la schiena, si sporse verso di lei e la baciò.

Lei si tirò indietro, stupita.

— Non credevo che esistesse uno come te — disse. — Mi aspettavo di vederti morire o impazzire nella mia casa, e poi di trovarmi alla porta i tuoi cinque fratelli, a chiedermi spiegazioni.

“Invece, hai restituito il nome al Rommalb e hai voltato le spalle alla morte per ritornare qui a baciarmi, seduto sul mio pavimento.”

— Mi pareva una soluzione di gran lunga preferibile — disse lui sorridendo. Ma poi un terribile ricordo gli gelò il sorriso sulle labbra e gli svuotò gli occhi, che divennero freddi come stelle perdute. Scosse la testa per liberarsi da quel ricordo, e cercò di alzarsi, rigidamente. Sybel lo aiutò e mettersi in piedi, corrugando con preoccupazione la fronte.

— Nella mia casa — gli disse — hai sempre avuto un’accoglienza spaventosa. Ti preparerò il letto di Ogam. E poi prenderò il Cinghiale Cyrin e ne farò salsicce.

— No, Sybel. Mi ha rivolto un indovinello, e sono stato io a chiedergli la risposta. Lui, perciò, me l’ha data.

— Niente affatto — disse lei. — Con un inganno, ha fatto in modo che te la dessi io. E non aveva alcuna ragione di trattare così un mio ospite, venuto a trovarmi per pura gentilezza di cuore.

Coren tornò a sedere, poi si curvò a raccogliere i cocci della scodella.

— Se non riesci a trovare la ragione — disse — vuol dire che non ce n’era nessuna.

— Non riesco a trovarla. Lasciamo perdere, Coren; cercherò di chiarirla in separata sede, quando sarai andato a dormire.

— No. Questa sera non voglio dormire al buio. Lasciami sedere qui, accanto al fuoco. Sybel…

— Come?

Lui la guardò.

— Non hai mai paura di niente? — le chiese. — Che cosa sei, visto che lo stesso Rommalb obbedisce al tuo richiamo?

— Di alcune cose, ho paura. Ho avuto paura per te. Ho paura per Tamlorn. Ma non mi è mai passato per la mente di avere paura del Rommalb.

Si inginocchiò sul pavimento, per pulirlo della minestra rovesciata. Coren continuò a guardare il gioco della luce verde delle fiamme tra i bianchi capelli di lei, finché si confusero in una sola macchia: s’era addormentato.

L’indomani mattina, Sybel lo trovò accanto al fuoco, con il Leone Gules accucciato ai piedi. La neve non cadeva più; il mondo, dietro le colonne di ghiaccio delle finestre, aveva un’opalescenza lunare.

Sul tavolino c’era una pagnotta sbocconcellata; il vino era finito. Lui le sorrise, e lei, nel vedere i suoi occhi cerchiati di rosso, gli disse gentilmente:

— Non hai dormito bene?

— Mi sono svegliato e, vedendo che non c’eri, non sono più riuscito a prendere sonno. Ho parlato con il Cinghiale Cyrin; mi ha raccontato alcune storie.

— Spero che si sia limitato a quelle.

— Mi ha detto del Principe Lud, che poteva avere qualsiasi fiore da lui desiderato, ma che voleva soltanto la rosa fiammeggiante che cresce sulla Punta Nera di Fyrbolg. E che, una volta ottenuto ciò che desiderava, fu soddisfatto per tutta la vita. Perciò, qualche speranza l’ho ancora.

Lei arrossì leggermente.

— Non mi pare che queste cose riguardino il Cinghiale Cyrin — gli disse. — Inoltre, tu stesso dicevi che non sono una rosa fiammeggiante, ma un fiore di ghiaccio cresciuto in un mondo senza vita. Tu appartieni al mondo dei viventi, e laggiù, secondo me, troverai la tua rosa.

Coren sospirò.

— Come hai detto — rispose — a volte sono uno sciocco. Credo di essere io quello vissuto in un mondo senza vita. Questa notte ho sognato Norrel.

“Le altre volte, quando lo sognavo, non lo vedevo mai come era in vita, ma solo come era in punto di morte, allorché, isolato da tutti, immerso nel dolore della sua ferita mortale, vedeva Drede allontanarsi da lui e cercava di chiamare qualcuno, ma non aveva più la voce e non c’era nessuno che lo ascoltasse.

“Nei miei sogni, Norrel mi chiama e non mi vede, e io non riesco mai a raggiungerlo. Ma questa notte, quando mi sono addormentato, avevo negli occhi la tua immagine e ho sognato Norrel come era da vivo, quando rimanevamo svegli a parlare fino a notte inoltrata.

“Lui mi diceva di Rianna e del suo amore per lei. E io sorridevo, ascoltavo, assentivo, perché capivo tutto ciò che provava, tutto ciò che diceva.

“Quando mi sono destato, avevo ancora nelle orecchie l’eco della sua voce, e in quel momento ho pensato a Drede e ho provato una grande pietà per lui. Perché non aveva mai potuto avere quel che aveva avuto Norrel. Drede è solo un vecchio impaurito, con nessuno che lo ami a eccezione di Tamlorn. E anche se pensavo che fosse come il Rommalb, un dispensatore di morte…”

— Vuoi ancora ucciderlo?

— Ormai, credo di essermi stancato di pensare a lui.

Si alzò, si avvicinò a Sybel e rimase fermo accanto a lei, senza toccarla.

— Ti amo — le disse. — Quando avrai bisogno di me, io verrò.

— No, Coren — disse lei, confusa, e si accorse di avergli preso la mano. — Non sono molto capace di amare. In tutta la mia vita, ho amato solo Maelga, Tamlorn e Ogam, benché non fosse neanche lui molto capace di amare. Rimani nel Sirle, dove ci sono donne che possono darti quel che ti occorre. Il mio posto è qui.

— Mi occorri tu — le disse lui, semplicemente.

Si voltò a prendere il mantello e continuò:

— Quando il Principe Rurin inseguiva la strega Glower che gli aveva trasformato in maiali tutti i servitori, lei…

— Lo so. Innalzò sul suo cammino una grande montagna di vetro, che lui non poteva né aggirare né scalare. Perciò dovette fare ritorno a casa, scornato.

— Proprio così — disse Coren. Si chinò a darle un bacio d’addio, e lei lo accettò con freddezza.

— Che differenza può esserci — le chiese — tra il vetro e il ghiaccio?

— Oh, va’ a casa! — disse lei, irritata. Poi, anche se non ne aveva l’intenzione, sorrise.

Lo accompagnò fino al cancello, e rimase immobile a rabbrividire, nella mattinata silenziosa, per guardarlo mentre scendeva l’erto sentiero.

Il Cinghiale Cyrin si fermò accanto a lei, e il suo caldo respiro fiorì a sbuffi nell’aria. Lei lo fissò.

— Hai corso un grave rischio — gli disse, concisa.

Il Cinghiale dalle setole argentee emise il grugnito che era il suo equivalente di una risata. Poi, per la prima volta, si servì con lei della sua voce musicale.

— Due sciocchi sapienti si capiscono sempre tra loro — disse.


Tamlorn venne a trovarla qualche giorno più tardi. Lei, nell’udire il grido del Falco Ter, sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo e lo vide che volava in cerchio, al di sopra della cupola di cristallo.

Si mise addosso il mantello e corse in giardino, e il Falco venne a posarsi sulla sua spalla, mentre Tamlorn, accompagnato da cinque uomini, giungeva al suo cancello.

Il ragazzo scese da cavallo e le andò incontro gridando gioiosamente, e Sybel notò il pesante mantello di pelliccia ricamato in filo d’oro, gli stivali morbidi, i guanti imbottiti. Aprì il cancello, e lui corse ad abbracciarla, ridendo.

— Sybel, Sybel, Sybel…

Si strinse a lei, e poi, veloce come un turbine, si allontanò.

— Guarda il mio cavallo! Me l’ha scelto mio padre: grigio come la tempesta, grigio come il velluto. Si chiama Drede come lui. Non voleva lasciarmi venire, perché temeva per me, ma ho continuato a implorarlo finché non mi ha accontentato. Non posso fermarmi a lungo, però.

— Oh, Tamlorn, sono così contenta di vederti! Entra in casa.

Fissò il Falco negli occhi scintillanti e gli chiese:

“Sta bene?”

“Il Re è gentile con lui.”

Tamlorn le camminava al fianco, raggiante, e a ogni passo affondava profondamente i piedi nella neve.

— Sybel, sono così felice di vederti! Il palazzo di Drede è tanto grande… c’è gente dappertutto, e tutti sono cortesi con me, perché sono il figlio del Re. E ho dei ricchi abiti. Ma sento la mancanza del Leone Gules e di Nyl.

— È buono con te?

— Certo. Sono la sua protezione dai Signori del Sirle.

Lei lo guardò, sorpresa. Lui le sorrise con i suoi occhi limpidi.

— Vedo che sei maturato — gli disse Sybel.

— Drede dice sempre che ti assomiglio. Sai, Sybel, è molto gentile con me, e io sono felice. Qualche volta, quando siamo soli insieme e facciamo cose semplici… qualche volta ride.

Così dicendo, il ragazzo aprila porta. La Gatta Moriah venne ad accoglierlo, facendo rumorosamente le fusa. Lui si inginocchiò e le strofinò la guancia contro la testa, poi accarezzò la criniera del Leone Gules e lo fissò negli occhi d’oro.

— Gules, Gules… — mormorò, e dalla profonda gola del Leone uscì un commosso brontolio.

— Sai cos’altro mi manca, Sybel? Il fuoco verde del tuo focolare. È così bello.

Si tolse il mantello e ne scosse la neve. Sybel gli accarezzò i capelli chiari, luccicanti di minuscole gocce di neve disciolta.

— Sei davvero cresciuto — gli disse, pensosa, e lui rise.

Anche la voce gli si era fatta più profonda.

— Lo so — disse. — Sybel, voleva che ti portassi a Mondor con me, ma gli ho detto che mi sarei limitato a chiedertelo… che non ti avrei pregato di farlo. Adesso che te l’ho chiesto, possiamo parlare d’altro. Gli animali stanno bene?

Nello sguardo di Sybel si affacciò un sorriso.

— Benissimo — disse, mettendosi a sedere accanto a lui, vicino al fuoco. — Dimmi, cosa fai tutto il giorno?

— Oh, Sybel! Non avrei mai pensato che potesse esistere tanta gente! Abbiamo attraversato a cavallo la città, in un giorno di mercato, e la gente gridava il nome di mio padre… e, sai, gridava anche il mio… Ne sono rimasto talmente sorpreso che mio padre si è messo a ridere. Mi piace vederlo ridere.

Lei lo lasciò parlare come se si fosse trattato di un ruscello tranquillo, dolce, confortevole; lo osservò, gli sorrise, non sempre ascoltò le sue parole. La faccia di Tamlorn era diventata più adulta e decisa, e si illuminava e cambiava espressione continuamente: rideva e ridiventava seria, poi tornava a sorridere con un sorriso strano, aperto, che però pareva suggerire qualcosa di segreto.

Mentre lo guardava, Sybel non pensava a niente: la sua mente si rilassò e si abbandonò come non le succedeva da molti giorni, contenta del calore del focolare che giungeva fino a lei, delle pareti bianche che la circondavano, della presenza di Tamlorn che parlava e accarezzava la testa di Moriah.

Poi qualcosa di minuto, di lontano e di indesiderato s’introdusse nella sua mente, increspandone la superficie. Tamlorn la toccò e lei trasalì involontariamente.

— Sybel, non mi stai ascoltando. Ti ho portato un regalo: un mantello di lana bianca con un ricamo di fiori azzurri. Drede l’ha fatto fare per te dalle donne del castello.

S’interruppe per un istante.

— Che cos’hai?

Lei scosse la testa.

— Niente. Sono un po’ stanca. Un mantello? Tamlorn, ricordati di ringraziare Drede per me. E il Falco Ter, si comporta bene? Temevo che avesse già divorato qualcuno che gli dava fastidio.

— Oh, no. Quando il tempo è bello, andiamo a caccia insieme, È molto gentile con i falchi di Drede, ma si lascia prendere solo da me. Sybel…

Ma lei non gli rispose, perché aveva di nuovo sentito quello strano movimento della mente, fioco e rapido come il tremolio di una stella nel cielo di mezzanotte.

Serrò lentamente le mani sui braccioli della sedia.

— Sybel — disse Tamlorn, aggrottando le sopracciglia. — Hai male? Dovresti parlarne con Maelga.

— Gliene parlerò. — Staccò le mani dai braccioli, allargò le dita. Con gli occhi grandi, luminosi, fissò le fiamme. — Gliene parlerò.

Poi si udì bussare alla porta, e il ragazzo cambiò immediatamente espressione.

— Così presto? Sono appena arrivato.

Lei si voltò a guardarlo. — Oh, Tamlorn. non andrai già…

— Come ti ho detto, non posso fermarmi molto.

Si alzò in piedi, sospirando.

— Sybel, quando i tempi saranno più tranquilli, mi fermerò di più. Ho il tuo mantello nella borsa della sella.

Tornarono a bussare alla porta. Tamlorn alzò il tono di voce:

— Sto arrivando! Sybel, parla con Maelga del tuo male. Lei riesce a curare qualsiasi cosa.

— Principe Tamlorn…

— Arrivo!

Mentre attraversavano il giardino, silenziosamente seguiti dalla guardia personale, Tamlorn pareva non volersi mai staccare da lei. Poi il Falco Ter venne nuovamente a posarsi sulla spalla del ragazzo.

— Sybel, la prossima volta mi fermerò di più. Io… spero che tu venga a farmi visita.

— Forse mi deciderò a venire — promise lei.

— Ti prego, vieni.

Aprì la borsa della sella e ne trasse un morbido mantello color perla, ricamato con volute azzurre.

— Questo è per te.

Lei accarezzò la stoffa.

— Oh, Tamlorn — disse — è bellissimo. È così soffice…

— Ha il bordo di ermellino — spiegò lui, ponendoglielo sulle braccia.

Poi le diede un rapido bacio.

— Ti prego, vieni a trovarci. E parla con Maelga.

Lei sorrise. — Certo, Tamlorn. Adesso, posso dire una parola al Falco Ter?

Tamlorn rimase fermo per qualche istante, e lei spostò lo sguardo dagli occhi grigi e sorridenti del ragazzo a quelli azzurri e duri del Falco.

“Ter.”

“Che cosa c’è, figlia di Ogam? Ti vedo turbata.”

Tamlorn, che la stava osservando, vide che la sua faccia rimaneva immobile per un istante e che i suoi occhi severi si fissavano duramente in quelli di Ter.

“Qualcuno mi sta chiamando a lui. Devi fermarlo.”

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