8

Quando la neve si fu sciolta sulla terra sempre più intiepidita dall’approssimarsi della primavera, Rok cominciò a parlare di costruire nel Sirle un giardino in cui accogliere gli animali di Sybel. Un giorno, lei gli mostrò alcuni progetti: i disegni per la caverna del Drago, per il lago del Cigno Nero, e anche quello della sua bianca casa con la grande cupola di cristallo. Il figlio di Ceneth e le figlie di Rok si raccolsero attorno a lei per ascoltare la storia degli animali.

— Il Drago Gyld ha bisogno dell’oscurità e del silenzio; il Cigno, naturalmente, deve avere un laghetto. Il Leone Gules e la Gatta Moriah devono avere un ambiente chiuso, riscaldato d’inverno, per non spaventare le persone e gli animali che li vedono.

“Non so come reagiranno alla presenza di tanta gente intorno a loro: molti uomini hanno dato loro la caccia, specialmente al Cinghiale Cyrin. Sul Monte Eld rimanevano sempre al chiuso. Non posso lasciarli soli, preda degli uomini e dei loro stessi impulsi.

“Sapete che il Drago ha ferito Coren. La cosa potrebbe ripetersi, e la prossima volta potrebbe trattarsi di una persona meno conciliante: è un pericolo non solo per gli uomini, ma anche per gli animali. Nel vederli in libertà, la gente potrebbe cercare di catturarli o di ucciderli. Non voglio che siano molestati.”

— Vi preoccupate molto per i vostri animali — mormorò Rok.

Sybel annuì.

— Vi preoccupereste anche voi — disse — se poteste parlare con loro. Sono animali potenti, nobili, ricchi di esperienza. Sono lieta del vostro aiuto, Rok, e del fatto che li lasciate venire qui. Speravo anch’io in una soluzione di questo tipo, ma non me l’aspettavo così presto.

— È una collezione da far sognare qualsiasi sovrano — disse lui, lanciandole un’occhiata indecifrabile. — E, a dire il vero, sorrido al pensiero del fastidio che potrà dare a Drede.

Lei abbassò gli occhi.

— Non la vedevo sotto questo aspetto — disse piano.

Rok, imbarazzato, cercò di cambiare argomento.

— Lasciamo stare Drede — disse. — Qui nel castello, tra la cinta esterna e quella interna, c’è un vasto giardino chiuso, che non è più stato frequentato dopo la morte di nostra madre. Era stato preparato come luogo di ristoro per lei, lontano dai suoi rumorosi figli. Ha un cancello interno e un secondo cancello all’esterno, vicino al maschio della fortezza, da cui si raggiungono i campi.

“I bambini non vanno mai a giocare laggiù; le nostre mogli hanno altri giardini, più vicini. Può contenere un piccolo lago, degli alberi, una caverna e una fontana per il drago, ma non sarei capace di costruire una cupola di cristallo per voi.”

Lei rise.

— Se potete fare tutto questo per me, non vi chiederò una cupola di cristallo. Mi basta un posto dove custodire i miei libri, e posso tenerli in una stanza qualsiasi. Sono molto preziosi. Uno di questi giorni dovrei andarli a prendere sul Monte Eld, ma qui mi trovo talmente bene che mi è passata la voglia di mettermi in viaggio.

— Sono lieto che vi troviate bene — disse Rok.

Tacque per qualche istante, mentre Lara si arrampicava sullo schienale della sua sedia.

— Parlando schietto — disse poi — non mi sarei mai aspettato di vedervi qui. Conoscevo i vostri sentimenti nei riguardi di Tamlorn e quelli di Coren nei riguardi di Drede; non pensavo che poteste superare così facilmente i vostri amori e le vostre avversioni.

Lei lo guardò, senza smettere di scarabocchiare sul margine del foglio che aveva davanti.

— Non ho molta simpatia per Drede — disse. — Però, è più utile a Tamlorn da vivo che da morto. E Coren… so che ormai ha superato il dolore per la morte di Norrel. Ma so anche che è un Principe del Sirle, e che, se ci sarà un’altra guerra, combatterà: non contro Drede, ma per i suoi fratelli, così come ha combattuto per Norrel.

— Comunque — disse Rok — possiamo fare piani finché vogliamo, ma non ci sono possibilità di dichiarare guerra. Voi e Coren potrete vivere in pace, qui nel Sirle, almeno finché Drede vivrà.

Sybel cessò di scarabocchiare. — E poi?

Rok si alzò e si avvicinò al fuoco, trascinandosi dietro Lara, abbracciata alla sua gamba.

— Se Drede morirà prima che Tamlorn raggiunga la maggiore età — disse senza mezzi termini — un mucchio di sciacalli si getterà sul regno di Eldwold, vedendolo in mano a un fanciullo.

Fissò la cognata.

— Il mondo in cui siete giunta dopo essere scesa dalla vostra montagna — le disse — non è certo un paradiso di tranquillità; ormai anche Tamlorn deve essersene accorto. Se il ragazzo si dimostrerà intelligente, imparerà a destreggiarsi con il potere, togliendolo da una parte e assegnandolo a un’altra. Drede gli insegnerà certamente a farlo, in modo che non abbia delle brutte sorprese quando il Sirle, un giorno o l’altro, comincerà a rosicchiargli i confini del regno.

Lei abbassò gli occhi, senza guardare Rok.

— Siete davvero una casa di leoni irrequieti… — disse.

— Sì, ma non possiamo spiccare nessun balzo; non abbiamo alleati, abbiamo consumato le armi e gli uomini nella Piana di Terbrec, e il ricordo della sconfitta continua ancora a frenarci.

Sorrise, prese in braccio Lara e se la mise sulla spalla; la bambina cominciò a giocare con i suoi capelli.

— Ma non dovrei parlarvi di queste cose — concluse. — Scusatemi.

— Oh, non dovete scusarvi di niente. Sono argomenti che mi interessano.

La porta che conduceva alle stanze private di Rok si aprì e ne spuntò Coren. Li guardò entrambi.

— Che cosa fai, qui con mio fratello? — chiese a Sybel, fingendo di sgridarla. — Sei stanca di me, a quanto vedo. Vuoi un marito più vecchio e rugoso…

— Coren, Rok vuole costruirmi un giardino. Guarda, abbiamo fatto dei disegni. Questa è la caverna di Gyld, questo è il lago del Cigno…

— E questo è il Liralen — disse lui, indicando il disegno. — Dove lo metterai?

— Che cos’è il Liralen? — chiese Rok.

— Un bellissimo uccello bianco, con ali che ondeggiano nell’aria come se fossero la sua scia. Pochissimi l’hanno visto. Il Principe Neth lo catturò, poco prima di morire. Che c’è? — chiese poi a Sybel, vedendo che aggrottava la fronte.

— Qualcosa che mi ha detto Mithran — spiegò Sybel — a proposito del Liralen. Ha detto di avere pianto, una volta, perché sapeva di non poterlo possedere, anche se il suo potere poteva dargli ogni altra cosa… Mi chiedo come potesse affermarlo; mi chiedo perché non potesse prenderlo.

— Forse il Liralen era più potente di lui.

— Impossibile. È solo un animale, come il Leone Gules o il Cinghiale Cyrin…

— Forse è come il Rommalb.

— Anche il Rommalb si lascia chiamare.

Coren scosse la testa e le accarezzò i lunghi capelli.

— Credo che il Rommalb — disse — vada dove vuole, quando vuole. Ha scelto di venire a te e di esserti legato perché ti ha guardato negli occhi e non vi ha visto traccia di paura.

— Che cos’è il Rommalb? — chiese Rok. — Non abbiamo previsto la sua presenza nel giardino.

Coren sorrise. Si sedette al tavolo e osservò i vari disegni.

— Il Rommalb — spiegò — è una creatura che ho incontrato davanti al focolare di Sybel, una sera. Non credo che vogliate averla qui nel Sirle. Va per la propria strada, soprattutto di notte. Rok alzò le sopracciglia.

— Comincio a sospettare — disse — che alcune delle storie che ci racconti, ormai da quasi trent’anni, possano essere vere.

— Ho sempre detto la verità — disse Coren, semplicemente.

Poi rise nel vedere l’espressione di Rok.

— Nell’Eldwold ci sono molte cose pericolose, oltre ai Re minacciosi.

— Davvero? Sono troppo vecchio per incontrare qualcosa di più minaccioso di Drede.

— Coren — disse Sybel. — Dovrei andare a prendere i miei libri sul Monte Eld.

— Lo so — disse lui. — Era venuto in mente anche a me. Se vuoi, possiamo partire domani, viaggiando senza fretta nella bella stagione.

Si udì la voce di Rok, bassa come un ruggito:

— Può essere pericoloso. Se Drede non si fida di Sybel, potrebbe averle teso un’imboscata sul Monte, in attesa che vada a prendere i suoi animali.

— Non c’è bisogno che vada a prenderli — disse Sybel. — Potranno venire da soli, quando il loro giardino sarà pronto. Ma io devo avere quei libri.

— Potrei mandare Eorth e Herne a prenderli.

Lei scosse la testa, sorridendo.

— No, Rok. Anch’io desidero rivedere la mia casa, i miei animali. Chiamerò il Falco Ter e gli dirò di spiare per noi. Se ci sarà qualche pericolo, ci avvertirà.


L’indomani mattina lasciarono il castello dei Signori del Sirle per raggiungere il Monte Eld. Dalla vetta coperta di ghiaccio del Monte scendeva un vento gelido che correva lungo l’ininterrotta pianura del cielo. Gli alberi del cortile, all’interno delle mura del castello, erano ornati delle dure e scure gemme da cui dovevano nascere le nuove foglie.

Rok ed Eorth scesero in cortile per vederli partire; nel vento, i loro larghi mantelli si gonfiavano come vele. Eorth disse lentamente, con la sua voce profonda, tenendo ferma la staffa a Sybel per farla montare in sella:

— Io e Ceneth potremmo venire con voi, Coren. Forse sarebbe più saggio.

— Io, invece — rispose Coren — preferisco passare alcuni giorni con una maga dai capelli color della neve: io e lei soli. Non preoccupatevi per noi. Sybel può immobilizzare con un’occhiata chiunque le dia fastidio.

Voltò il cavallo e sollevò un braccio per salutare i fratelli. Come un fulmine, il Falco Ter piombò dal cielo e gli si posò sulla mano.

Rok rise.

— Ecco la vostra guardia del corpo.

Gli artigli del falco gli erano entrati nella carne; Coren fece una smorfia di dolore.

— Vatti ad appollaiare su Sybel — gli disse. — Io mi difenderò da solo.

Guardò la donna e aggrottò la fronte nel vedere lo sguardo che passava tra lei e il Falco, forte come un legame. Sybel emise un’esclamazione di sorpresa.

— Che c’è? — chiese Coren.

— Tamlorn. Ha lasciato Mondor questa mattina, diretto al Monte Eld. Mi chiedo come Drede lo abbia lasciato andare. A meno che…

— A meno che Drede — disse Rok — non sia all’oscuro della sua partenza. Naturalmente, potete estendere l’invito anche a Tamlorn perché venga nel Sirle, se lo vedete.

— Un tempo lo abbiamo avuto con noi — disse Coren — e poi lo abbiamo perduto. Lascia stare.

Rok sorrise.

— Sono certo che Drede gli ha insegnato bene. Inoltre, quando raggiungerete il Monte Eld, senza dubbio sarà già sulla via del ritorno. Andate. Godetevi il viaggio. Se vi serve aiuto, mandateci il Falco Ter.

Attraversarono lentamente il Sirle, fino a raggiungere la foresta, e trascorsero la notte in una piccola fattoria ai bordi della Piana di Terbrec.

Nel pomeriggio del giorno seguente raggiunsero il Monte Eld. Il sentiero era coperto del fango del disgelo; il Monte avvampava sullo sfondo del cielo azzurro; le brezze, profumate di resina e neve, avevano l’aroma di un vino raro.

Sybel abbassò il cappuccio, liberando i capelli nel vento, come una fiamma bianca; l’aria gelida le arrossò le guance pallide. Coren le afferrò i capelli, se li avvolse tra le dita, le tirò indietro la testa e la baciò. Il calore del sole colpì Sybel sulle palpebre. Cavalcarono fino alla casa bianca e videro che il cancello era aperto.

Tamlorn venne ad accoglierli.

Avanzò lentamente verso di loro, con il Leone Gules al fianco. Fissava Sybel con aria dubbiosa. Con un grido di sorpresa, lei smontò rapidamente di sella.

— Tamlorn! — Corse ad abbracciarlo, gli strinse il viso tra le mani. — Tamlorn, sei preoccupato. Perché? Drede ti ha fatto qualcosa?

Il ragazzo scosse la testa. Lei gli posò le mani sulle spalle. — E allora?

Tamlorn era molto pallido. Attorno agli occhi, per la mancanza di sonno, gli si scorgevano grandi cerchi scuri. Si afferrò alle braccia di Sybel, poi guardò Coren, che, dietro di lei, era smontato di sella per tenerle fermo il cavallo.

— Coren è in collera con Drede? — chiese.

Sybel strinse i pugni. Disse in fretta, sorpresa:

— Coren non sa niente. Ma tu, che cosa hai saputo? E come lo hai saputo?

Lui scosse la testa, stancamente.

— Non ho capito bene. Drede mi aveva detto che stavate per sposarvi, e io ero molto contento, e poi… qualcosa deve averlo spaventato: non ha più voluto parlare di te.

“Quando gli ho detto che ti eri sposata con Coren, è talmente impallidito che ho temuto di vederlo svenire. L’ho toccato e allora lui ha ripreso a parlare; ma è così spaventato che mi addolora guardarlo.

“Perciò, sono venuto qui per scoprire le ragioni di questa sua paura. Sapevo che saresti venuta anche tu, se il Falco Ter ti avesse detto che io ero qui.”

— Dimmi, Tamlorn — chiese Sybel — Drede sa che sei qui?

— No. Non lo sa nessuno.

Poi Tamlorn guardò la figura di Coren che si avvicinava e gli disse rigidamente:

— Vedo uno dei sette Principi del Sirle. Mi è stato insegnato a temervi.

Coren disse gentilmente:

— Ter siede sulla mia spalla e accetta la carne dalle mie dita, senza beccarmele. Per lui sono solamente Coren che ama Sybel.

Tamlorn lasciò le braccia della donna. Sospirò, aggrottando le sopracciglia.

— Speravo che sposasse Drede — mormorò. — Siete soli?

— Con il Falco Ter — disse Sybel. — Sei fortunato che non siano venuti i fratelli di Coren. Tamlorn, metà dell’Eldwold deve essere alla tua ricerca per un motivo o per l’altro. Non dovresti girare così imprudentemente per il Paese, come se rincorressi ancora a piedi nudi le pecore insieme a Nyl.

— Lo so. Ma Drede non mi lasciava venire e io desideravo vederti, per sapere… se tu… se tu ancora…

Lei sorrise.

— Se ti amo ancora, Tamlorn? — mormorò.

Lui annuì, aggrottando leggermente le sopracciglia, con aria afflitta.

— Devo saperlo, Sybel. — Si passò la mano sulla fronte, stancamente. — A volte sono ancora un bambino. Volete che vi porti nella stalla i cavalli?

Prese le redini, mormorando gentili parole agli animali mentre li conduceva al coperto.

Sybel si nascose la faccia tra le mani.

— Mi spiace di avergli fatto conoscere Drede — disse, tesa, a testa china.

Coren le scostò i capelli dalla guancia.

— Non potevi tenerlo protetto per sempre — le disse, in tono tranquillizzante. — Non era destinato a una vita tranquilla, e questo a causa sia della sua nascita, sia delle circostanze createsi nella Piana di Terbrec.

— Lo porterei con me nel Sirle — disse Sybel — ma lui non verrebbe. Ha bisogno di Drede. E non intendo usare Tamlorn per punire Drede.

Poi, accorgendosi di ciò che aveva detto, si interruppe bruscamente.

Sollevando gli occhi, vide che Coren la fissava con grande stupore.

— Punire Drede per che cosa? — chiese lui.

Sybel trasse un lungo respiro e sorrise.

— Oh, comincio a parlare come Rok ed Eorth, quando si fa il nome della Piana di Terbrec.

— Ti hanno dato fastidio?

— No. Sono stati molto gentili. Ma anch’io ho le orecchie, e ho sentito i loro discorsi carichi di odio.

Si chinò sul Leone Gules, pazientemente fermo davanti a lei, e lo fissò negli occhi dorati.

“Stai bene?” gli chiese.

“Certo, Bianca Signora, ma ho sentito una brutta storia che riguarda quel Re. Dimmi cosa devo fare, e io lo farò.”

“Non devi fare niente. Almeno per ora. Vi porto tutti nel Sirle.”

“Ce lo aspettavamo.”

Sybel si alzò in piedi; sulle labbra le compariva un sorriso tirato.

Coren le disse piano:

— A volte mi sembri così lontana. La tua faccia si trasforma… diventa come una fiamma chiara e immobile, potente, intoccabile.

— Non mi allontano mai più del suono del mio nome — gli rispose lei.

Poi gli prese la mano e si avviò con lui verso la casa.

— Il Leone Gules mi ha detto che già si aspettavano il trasferimento. Sono lieto che Rok si sia offerto di ospitare i miei animali.

— Rok, mia cara, non è uno sciocco.

Quando aprirono la porta, trovarono ad accoglierli il Cinghiale Cyrin, e Coren si fermò a salutarlo, con un sorriso.

— Cyrin. Come vedete, sono riuscito a superare quella famosa montagna di vetro.

Il Cinghiale dalle setole argentee disse con la sua voce musicale:

— Lo ritenete davvero? O è stata la strega a toglierla di mezzo, per qualche suo particolare motivo?

— Certo, l’ho tolta io — disse Sybel, tranquilla. — Per un motivo a cui non potevo resistere. Cyrin, andiamo tutti nel Sirle.

Il Cinghiale disse mentalmente, rivolto alla sola Sybel:

“Conosce quanto basta per indurlo a rivolgersi la domanda?”

“Non gli ho detto niente” rispose Sybel. “Non voglio che si preoccupi. Cerca di frenare la tua sapiente lingua.”

“E chi frenerà la lingua del Sapiente del Sirle, quando i suoi occhi ciechi si apriranno?”

Lei rimase in silenzio per un attimo, e strinse di più la mano di Coren.

“Ti chiedo solo di stare zitto. Se non sei in grado di farlo, e vuoi riavere la libertà, ti libererò.”

“Quando si è presi tra la domanda e la risposta non ci può essere libertà” disse il Cinghiale.

— Sybel… — disse Coren.

Sybel riportò l’attenzione su di lui.

— A volte, il Signore della Saggezza è alquanto irritante — gli spiegò, a bassa voce. — Ma tu lo sai.

— Sì, lo so. Ma solo per le menti irritate.

Lei lo guardò.

— Io non sono sempre sincera, Coren — gli disse.

— E ti amo anche per questo. Dimmi: che cosa ti ha detto, per irritarti così?

— No, mi sono irritata per cose che appartengono al passato. Nient’altro. Anch’io, come Tamlorn, a volte sono ancora una bambina.

Tamlorn giunse in quel momento, con il Falco Ter sulla spalla. Si chinò ad accarezzare Moriah, che si era già raggomitolata ai piedi di Sybel.

— Siete venuti a stabilirvi qui? — chiese, in tono speranzoso.

— No, Tamlorn — rispose lei. — Porto nel Sirle i libri e gli animali.

La mano con cui il ragazzo accarezzava la Gatta Moriah si immobilizzò. Lui disse piano, senza sollevare lo sguardo:

— Sybel, per me sarà difficile venire a trovarti laggiù. Ma forse potresti venire qualche volta a Mondor.

— Forse — disse lei, gentilmente.

— Inoltre…

Sollevò lo sguardo e si tolse i capelli dagli occhi.

— Posso parlarti in privato per qualche momento?

Sybel guardò Coren, che disse educatamente:

— Rimarrò qui, seduto accanto al fuoco, e chiacchiererò con il Cinghiale Cyrin.

— Grazie — disse Tamlorn, e, chinando le spalle, entrò con Sybel nella stanza con il soffitto di cristallo. Il Leone Gules li seguì silenziosamente. Sybel si sedette sul soffice tappeto di pelliccia e si tirò accanto a sé il ragazzo.

— Sei cresciuto — gli disse. — Adesso sei quasi alto come me.

Lui annuì, infilando distrattamente le dita nel folto tappeto. Poi aggrottò le sopracciglia.

— Sybel, sento molto la tua mancanza — disse. — E mi dispiace che tu abbia sposato Coren… non per lui, ma perché adesso, per tutti, noi non siamo più Sybel e Tamlorn, ma Sirle e Drede, che sono sempre stati nemici. Una volta le cose erano molto semplici, e adesso sono tanto complicate. Non so come andranno a finire.

— Non lo so neanch’io, Tamlorn. So soltanto che non farò mai niente che ti possa dare un dolore.

Lui la guardò, preoccupato.

— Sybel — chiese — di che cosa ha paura mio padre? Di te? Non mi lascia neppure pronunciare il tuo nome.

— Tamlorn, io non ho fatto niente contro di lui. Non ho fatto niente per impaurirlo.

— Non l’ho mai visto così — disse il ragazzo — e non so come aiutarlo. Non lo conosco da molto tempo, e ho paura di perderlo, così come ho perduto te.

Lei corrugò la fronte.

— Tu non mi hai affatto perduto. Io ti amerò sempre, indipendentemente da dove vivi tu e da dove vivo io.

Lui annuì, un po’ a disagio, storcendo le labbra.

— Lo so — disse. — Ma adesso è diverso, perché le persone che amiamo sono nemiche tra loro. Pensavo che tu rimanessi sul Monte Eld, e che avrei potuto venire a trovarti in qualsiasi momento, allontanandomi dal chiasso e dall’affollamento di Mondor e… di potermene stare qui, accanto al fuoco con il Leone Gules, o correre sulla montagna con Nyl e con il Falco Ter… solo per qualche ora, e poi tornare da Drede. “Pensavo che tu rimanessi sempre qui con gli animali. Ma adesso te ne vai, e li porti in un luogo dove non posso venire. Non pensavo che succedesse una cosa simile. Non pensavo che tu sposassi Coren. Anzi, avevo l’impressione che non ti piacesse affatto.”

— Anch’io — disse Sybel — non lo avrei mai pensato. Ma poi ho scoperto di amarlo.

— Be’, posso capirlo. Ma non so perché Drede non lo capisca. Tu non useresti mai i tuoi poteri per scatenare una guerra; l’hai detto tu stessa. Drede lo sa; ma c’è qualcosa che lo atterrisce… e a volte penso che si sia perduto dentro di sé.

Sybel trasse un lungo sospiro.

— Mi piacerebbe che tu fossi ancora piccolo come un tempo — disse — per poterti prendere in braccio e consolarti così. Ma sei cresciuto, e sai che per alcune cose non ci può essere consolazione.

— Oh, lo so. Ma… a volte non sono tanto cresciuto!

Lei sorrise, attirandolo a sé.

— Non lo sono neanch’io.

Tamlorn le posò la testa sulla spalla e si avvolse sulle dita una ciocca dei suoi chiari capelli.

— Sei felice a Mondor? — gli chiese lei. — Hai fatto molte amicizie?

— Oh, ho vari cugini della mia età — rispose il ragazzo. — Non avevo mai saputo che cosa sono i cugini. Mi sono stupito, nel trovarmi tanti parenti, mentre prima avevo soltanto te. Vado a caccia insieme a loro: vogliono bene a Ter, ma ne hanno paura, e lui non si lascia tenere da nessun altro.

“All’inizio mi prendevano in giro, perché c’erano tante cose che non sapevo. Tu e Maelga mi avete insegnato a leggere e a scrivere, ma non mi avete mai insegnato a usare una spada, o ad andare a caccia con i cani, o come si chiamavano i re di Eldwold prima di Drede. Ho saputo molte cose dell’Eldwold che tu non mi avevi mai detto. Ma su questa montagna ho imparato cose che laggiù non sanno. E tu… sei felice nel Sirle?”

— Sì. Anch’io, stando con la gente, imparo cose che Ogam non avrebbe saputo dirmi.

Ma Tamlorn non riusciva a togliersi dalla mente una preoccupazione.

— Sybel — disse, cercando le parole — perché mio padre ha detto che stavate per sposarvi? Me lo ha detto una sera, non molto tempo fa. Affermava che non doveva dirmelo, perché era un po’ troppo presto, ma che voleva vedere la mia faccia. Io l’ho abbracciato. Ero tanto contento; lui si è messo a ridere. Ma poi, l’indomani sera, quando gliene ho parlato di nuovo, mi ha fissato senza dire niente. Aveva un’aria malata… e invecchiata.

— Tamlorn… — cominciò a dire lei, ma s’interruppe perché si accorse che le tremava la voce. — Non aveva il diritto di dirtelo, perché io non gli avevo mai dato il mio consenso. Forse lui pensava che…

— Sì, ma quando te l’ha chiesto? Ti ha scritto?

— No.

— Non capisco. Mi pareva così sicuro… Forse ho capito male le sue parole. Ma di che cosa ha paura? Non ride mai. Parla con pochissime persone. Venendo qui, pensavo di poter scoprire l’origine delle sue preoccupazioni, ma mi sbagliavo.

— Mi spiace che ti preoccupi per Drede, ma non posso aiutarti. Le paure di Drede hanno origine solo da lui. Chiediglielo.

— Gliel’ho chiesto — rispose Tamlorn — ma non vuole rispondermi.

Abbracciò il Leone Gules, aggrottando la fronte.

— Nel viaggio di ritorno a casa, dovrò fare più attenzione di quando sono salito. Inoltre Drede sarà in collera con me. Ma sono contento di essere venuto e di averti parlato. Mi manchi, e mi manca anche Gules. Un giorno, penso, verrò a trovarti nel Sirle.

— No.

Lui sorrise. — Verrò così silenziosamente che solo tu, Gules e Cyrin vi accorgerete del mio arrivo.

— No, non venire — disse lei, preoccupata. — Non capisci…

S’interruppe bruscamente, tendendo l’orecchio verso un rumore che giungeva da dietro la porta chiusa: un lungo miagolio minaccioso.

— Che cosa…

Il Leone Gules si alzò in piedi, ruggendo. Anche Sybel si alzò. Dall’altra stanza giunse uno schianto, accompagnato da numerose voci maschili.

— Coren… — mormorò Sybel. Corse ad aprire la porta e il Leone Gules la precedette e si fermò accanto al focolare. Coren era seduto a terra, disarmato e con tre lame puntate al collo. La Gatta Moriah passeggiava ai suoi piedi e soffiava contro tre uomini che portavano la tunica nera con la stella rossa sul petto che contraddistingueva le guardie di Drede.

Tamlorn, accanto a Sybel, si affrettò a dire:

— Non fategli del male.

I soldati si voltarono lentamente verso di lui, senza perdere di vista Moriah. Uno di loro disse a denti stretti:

— Principe Tamlorn, quest’uomo è uno dei Sirle.

— Li conosci, Tamlorn? — chiese Coren. Una lama gli graffiò la pelle della gola, sotto il pomo d’Adamo, e lui chiuse la bocca.

— Sì, sono le guardie di mio padre.

Tornò a guardare i tre uomini.

— Sono venuto a trovare Sybel — disse. — Non era al corrente del mio arrivo. Le ho detto quello che dovevo dirle, e sono pronto a tornare a casa. Lasciate libero quest’uomo.

— È Coren del Sirle, fratello di Norrel… ha combattuto nella Piana di Terbrec.

— Lo so: se gli farete del male non lascerete vivi questa casa.

L’uomo guardò Moriah e poi il Leone Gules, che li fissava con i suoi occhi d’oro e che ruggiva minacciosamente.

— Il Re è quasi impazzito per la preoccupazione — disse la guardia. — Se non lasceremo libero Coren, saremo uccisi da queste bestie. E se Drede saprà che ci siamo lasciati sfuggire di mano uno dei Sirle, ci ucciderà lui.

— Siete soli?

— No, ma gli altri sono rimasti fuori del cancello. Verranno se daremo l’allarme.

— Allora, non c’è bisogno di dire che qui c’erano anche Sybel e Coren. Io non lo riferirò.

— Principe Tamlorn! È un nemico del Re… un vostro nemico!

— È il marito di Sybel! E se volete attaccarlo davanti a lei, al Leone Gules e alla Gatta Moriah, fate pure. Io posso tornare a casa da solo.

Moriah soffiò di nuovo, e le lame tremarono alla luce delle fiamme. Uno dei tre soldati, all’improvviso, staccò la spada dalla gola di Coren e la puntò contro la Gatta, ma la voce di Sybel lo costrinse a fermarsi:

— Se colpirete Moriah, vi ucciderò.

L’uomo fissò Sybel ; la faccia gli si coprì di sudore.

— Signora, prenderemo con noi il Principe e ce ne andremo, lo giuro. Ma chi ci garantisce che, una volta lasciato libero Coren, potremo allontanarci senza essere assaliti?

Tamlorn fissò per un istante Coren. Poi si inginocchiò davanti a lui e abbracciò la Gatta Moriah.

— Ve lo garantisco io. Adesso, lasciatelo andare.

Le spade si abbassarono. Coren tornò a respirare.

— Grazie.

Tamlorn lo guardò, continuando ad accarezzare la testa a Moriah.

— Consideratelo come un dono di Drede al Sirle.

Poi si alzò e disse alle guardie:

— Verrò a casa con voi. Ma nessuno dovrà fermarsi qui dopo di me, o seguire Sybel e Coren quando si allontaneranno. Nessuno.

— Principe Tamlorn… noi qui non abbiamo visto né Sybel né Coren.

Tamlorn tornò a respirare. — Il mio cavallo è nella stalla. Quello grigio. Portatemelo.

I tre soldati si affrettarono ad allontanarsi, seguiti dal brusio del Leone, del Cinghiale e della Gatta. Sybel si avvicinò a Tamlorn e lo abbracciò, affondando la faccia nei suoi capelli.

— Tamlorn, stai diventando saggio e coraggioso come il Falco Ter.

Lui si scostò leggermente.

— No — disse. — Sto tremando.

Le sorrise e le baciò la guancia. Poi abbracciò il Leone Gules e, nell’udire rumore di zoccoli, si diresse verso la porta.

— Principe Tamlorn — disse Coren — vi ringrazio. Credo che la vostra generosità risulterà assai imbarazzante per mio fratello Rok.

— Spero che l’apprezzi — disse Tamlorn, piano. — Arrivederci, Sybel, anche se non so quando potremo incontrarci nuovamente.

— Arrivederci, Tamlorn.

Dalla finestra, la donna lo guardò montare a cavallo, con il Falco Ter che gli volava sulla testa, e poi confondersi in una folla di figure dal mantello scuro e dalla stella rossa che presto scomparve tra gli alberi. Si girò verso il marito, lo abbracciò e gli posò la testa sul petto.

— Nonostante tutti i miei poteri — gli disse — avrebbero potuto ucciderti prima che mi accorgessi del loro ingresso. E allora, cosa avrebbe detto Rok?

Lui sorrise e le sollevò il viso per guardarla negli occhi.

— Che non dovevo fare affidamento su mia moglie per salvarmi la pelle.

Lei gli toccò la gola. — Sanguini.

— Lo so. E tu tremi.

— Lo so.

— Sybel — disse lui, dopo qualche istante. — Saresti riuscita a uccidere quell’uomo? Lui pensava di sì, ma io non ne ero molto convinto.

— Non so. Ma se avesse ucciso Moriah, l’avrei scoperto.

Sospirò.

— Comunque — riprese — sono lieto che non l’abbia fatto; per lui e per me. In ogni caso, penso che sia meglio allontanarci di qui. Non mi fido di quelle guardie. Prendiamo i libri e andiamocene.

Coren annuì. Rimise a posto una sedia che era caduta a terra, raccolse la propria spada che era finita in un angolo, e la infilò nel fodero. Il Leone Gules era steso accanto al fuoco e brontolava piano. La Gatta Moriah camminava avanti e indietro davanti all’uscio. Sybel le accarezzò la testa; poi, guardandosi attorno, ebbe una strana impressione, come di trovarsi in un edificio vuoto e disabitato.

Disse lentamente:

— Non sembra più la mia casa… sembra attendere che un altro mago, come Myk o Ogam, inizi a lavorare qui nel silenzio.

— Forse ne arriverà uno — disse Coren. Cominciò ad aprire i grandi, robusti sacchi di canapa che avevano portato con loro per trasportare i libri, e aggiunse:

— Spero che i suoi ricordi di questa casa siano migliori dei miei.

— Lo spero anch’io — disse lei, stringendogli il braccio. Poi andò a parlare con il Drago Gyld e con il Cigno Nero, lasciando a Coren l’incombenza di preparare i sacchi.

Il cielo del pomeriggio passò dall’oro all’argento, e poi al grigio cenere. Coren finì il suo lavoro prima che Sybel tornasse. Uscì nel giardino e la chiamò a voce alta. Infine lei venne fuori dagli alberi e lo raggiunse.

— Ero con il Drago Gyld — gli spiegò. — Gli ho riferito che nel Sirle avremmo preparato un posto per lui, e mi ha detto che vuole portare il suo oro.

— Oh, no! Mi vedo già una scia di antiche monete, sparse per terra da qui alla porta del castello!

— Coren, gli ho detto che ce ne occuperemo noi; volerà di notte, quando tutto sarà pronto. Spero che non spaventi le mucche di Rok.

Alzò lo sguardo al cielo profumato color della cenere, e guardò le sagome cupe degli alberi.

— Si fa tardi — disse. — Cosa facciamo? Penso che sia rischioso fermarci in casa di Maelga.

— Certo — rispose Coren. — Drede non esiterebbe a uccidermi, con il rischio di scatenare una guerra, se pensasse di catturarti e di portarti a Mondor. È probabile che i suoi uomini ritornino questa notte a cercarci.

— Allora, cosa fare?

— Ci ho pensato — disse Coren.

— I cavalli sono stanchi. Non possono fare molta strada.

— Lo so.

— Allora, cosa hai pensato, per essere così allegro?

— Il Drago Gyld.

Lei lo fissò a bocca aperta.

— Gyld? Intendi dire… farci portare da lui?

Coren annuì. — Perché no? — chiese. — Fa’ conto che sia il Liralen. Mi sembra abbastanza robusto per portarci tutt’e due.

— Sì… ma cosa dirà Rok?

— Cosa si dice, quando ti atterra un drago nel cortile? — chiese lui. — Sybel, non possiamo fare molta strada a cavallo, e questa montagna non è più sicura per noi. Puoi lasciare liberi i cavalli, per poi chiamarli nel Sirle quando si saranno riposati.

— Ma nel Sirle non c’è un posto dove mettere Gyld.

— Troveremo qualcosa. Tutt’al più, potrebbe ritornare qui. Ne avrà voglia?

Lei annuì, ancora sorpresa.

— Oh, certo; gli piace volare — disse. — Ma Rok…

— Rok preferisce vederci vivi in groppa a Gyld che morti sul Monte Eld. Se tornassimo a cavallo, saremmo seguiti. Perciò, torneremo in volo con Gyld. Pensa, tra quelle stelle ci deve essere un silenzio ancor più profondo di quello che regna sul Monte Eld: non hai voglia di ascoltarlo? Prenderemo le stelle e le porteremo nel Sirle, andremo a ballare sulla luna…

Lei sorrise, esitante.

— Ho sempre desiderato volare… — disse.

— Certo. E se non puoi volare sul Liralen, fa’ un fiammeggiante volo notturno sul Drago Gyld.

Sybel chiamò il Drago, e Gyld uscì dalla caverna e arrivò fino a loro volando lentamente tra gli alberi. La sua enorme sagoma scura coprì lo sfondo delle stelle. Sybel lo fissò nella profondità dei suoi occhi verdi.

“Sei in grado di portare sul dorso” gli chiese “un uomo, una donna e due sacchi di libri?”

Nella mente del drago si accese un tremolio di gioia, come la prima fiamma scaturita dall’esca di un acciarino.

“Per sempre.”

Attese pazientemente che Coren gli legasse i libri alla schiena, assicurandoli con vari giri di corda alla base del collo e all’attaccatura delle ali. Si sollevò leggermente da terra, in modo che Coren potesse passare la corda anche sotto di lui. Nella notte, i suoi occhi brillavano come gioielli e le sue scaglie mandavano riflessi dorati.

Infine, Coren fece sedere Sybel in mezzo ai due sacchi di libri e si sedette a sua volta davanti a lei, tenendosi alla corda che passava sotto il collo del Drago. Si voltò a guardare Sybel.

— Stai comoda? — le chiese.

Lei annuì, e intanto si rivolse mentalmente a Gyld:

“Le corde ti danno fastidio?”

“No.”

“Allora, possiamo partire.”

Le grandi ali si aprirono, nere sullo sfondo delle stelle. La grande massa del drago si sollevò lentamente, in un modo che aveva dell’incredibile, allontanandosi progressivamente dalla terra e dagli alberi fruscianti.

Una volta staccatisi da terra, l’aria li colpì come una frusta, gonfiando il loro mantello e premendo contro il loro petto. Coren e Sybel contemplarono muti l’immenso gioco di muscoli sotto di loro e lo sforzo dell’ala contro l’aria.

Poi provarono la gioia del volo pieno, dell’immersione nel vento e nello spazio quando il Drago scese in picchiata verso la pianura: una discesa nell’oscurità che li portò al di là della paura e della speranza, e che destò in Coren un improvviso scoppio di risa.

Poi tornarono ad alzarsi fino a raggiungere le stelle, con le grandi ali che si aprivano una strada nell’oscurità. La luna piena, bianca come il ghiaccio, volava accanto a loro, tonda e perplessa come l’unico occhio rimasto desto di una bestia stellata del buio.

Lo spettro del Monte Eld si rimpicciolì dietro di loro; la grande cima si raggomitolò, addormentata e sognante dietro le proprie nebbie. In basso il suolo era nero, a eccezione dei riflessi di luce che fiammeggiavano come un secondo firmamento.

Una volta oltrepassata la città di Mondor, il vento cadde e cessò, e il Drago procedette nel silenzio di una notte fresca e nero-azzurra che pareva la notte immobile dei sogni, priva di dimensione, eterna e spruzzata di stelle.

Infine scorsero, nel sottostante cuore di tenebre, la casa del Signore del Sirle, illuminata dalle torce.

Si posarono dolcemente al centro del cortile. Un cavallo, fermo a poca distanza da loro, nitrì terrorizzato. Dalla sala principale del castello giunse il gutturale latrato dei cani.

Coren calò a terra rigidamente, ridendo come un folle, e aiutò Sybel a scendere. Lei lo abbracciò per un attimo, rabbrividendo per il freddo, e sentì che il Drago Gyld cercava di mettersi in contatto mentale con lei.

“Gyld” gli disse “sta’ calmo”.

“Arrivano uomini con torce. Devo…?”

“No. Sono amici” disse Sybel. “Semplicemente, non si aspettavano il nostro arrivo. Nessuno cercherà di farci del male. Gyld, è stato un volo pazzesco.”

“Ti è piaciuto?”

“Moltissimo.”

— Rok! — gridò Coren, rivolto alla figura del fratello, che, illuminata dalle torce, si dirigeva verso di loro con i cani che gli sciamavano dietro, ringhiando. I bambini si affollarono sulla soglia, poi scapparono via quando accorsero Ceneth ed Eorth.

— Rok, abbiamo un ospite!

— Coren — disse Rok, trafitto dagli occhi lucenti e imperscrutabili del Drago. — In nome del Sopra e del Sotto, dove lo metteremo?

Coren afferrò per il collare uno dei cani, prima che mordesse l’ala del Drago.

— Ho pensato anche a questo — disse allegramente. — Possiamo tenerlo in cantina, insieme con il vino.

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