Raven finse di andare in collera. — Voi potete provare di non essere qualcuno venuto da Sirio?
— Non voglio discutere con voi, né voglio permettere che vengano scossi i miei nervi. — Lomax indicò l’ultimo foglio di carta. — Tutto quello che mi riguarda è scritto qui. Dice che voi dovrete produrre prove inconfutabili che siete esseri umani. Con questo si intende la forma di vita superiore nata sulla Terra.
— Altrimenti?
— La Terra trarrà le debite conclusioni e farà i passi necessari per proteggere se stessa. Per cominciare, eliminerà tutti e tre noi che ci troviamo in questa stanza, e nello stesso tempo eliminerà quelli che si trovano su Venere. Poi, si preparerà a respingere gli attacchi che possono venire lanciati dallo spazio.
— Tutti e tre, avete detto. È duro per voi, vero?
— Vi ho già detto perché sono stato scelto — gli ricordò Lomax. — Sono pronto a morire, anche perché mi hanno assicurato che sarà una morte istantanea.
— Questo ci è di grande conforto — disse Leina enigmatica.
Lomax guardò prima uno e poi l’altra. — Morirò con voi soltanto per impedirvi ogni possibile via d’uscita, e voi non avrete la minima speranza di salvarvi impadronendovi della mia persona. Nessun’altra forma di vita, se si tratta di questo, uscirà mai da questa stanza sotto le spoglie di un uomo che si chiama Lomax. Vivremo insieme o moriremo insieme, a seconda che riusciate a produrre le prove richieste o meno.
Era leggermente compiaciuto delle sue parole. Per la prima volta le sue condizioni fisiche gli davano una forza invincibile. Nelle circostanze in cui si trovava, il fatto di poter guardare alla morte con assoluta calma poteva davvero essere una sbalorditiva prova di forza.
Se una delle parti non aveva paura, il conflitto poteva finire in un modo soltanto, con la disfatta dei vigliacchi. Lomax, al pari delle persone che lo avevano scelto, dava per scontato che qualsiasi forma di vita, umana o non umana, non potesse condividere la sua indifferenza di fronte alla distruzione.
A questo proposito, né lui, né quelli che avevano studiato la situazione avrebbero potuto fare uno sbaglio più grande. In quel momento, la cosa più difficile per le presunte vittime era di nascondere quello che provavano. Era assolutamente necessario che il nastro registrasse reazioni assolutamente umane.
Perciò Raven finse un tono di voce preoccupato. — Molti innocenti sono stati uccisi per i sospetti infondati e per le paure incontrollate di altri. Su questo mondo non sono mai mancati i cacciatori di streghe. — Si agitò nervosamente sulla poltrona. — Quanto tempo abbiamo a disposizione per produrre le prove? Esiste un limite di tempo?
— Non esistono limiti. O riuscite a presentare la prova, o non ne siete in grado — disse Lomax, con stanca indifferenza. — Se credete di poter fornire una prova qualsiasi, cominciate a pensare senza perdere tempo. Se invece non ne siete in grado, il fatto di sapere che non avete una via di scampo, prima o poi vi porterà alla disperazione. È evidente che a questo punto io…
— Reagirete?
— Esatto. — Lomax appoggiò i gomiti sulla scrivania, con l’aria di chi si prepara ad aspettare una cosa inevitabile. — Ho molta pazienza, e potete trarne un vantaggio. Ma vi avverto di non cercare di guadagnar tempo e di farmi aspettare inutilmente per una settimana.
— Sembra una nuova minaccia.
— È solo un avvertimento amichevole. Per quanto la coppia di Venere abbia dato meno motivi di sospetto, viene trattata come voi. Siete quattro uccelli della stessa nidiata, e verrete liberati o uccisi insieme.
— Così, i due casi sono collegati? — chiese Raven.
— Esatto. Uno stato di emergenza sulla Terra azionerà un segnale che provocherà un’identica reazione su Venere. E viceversa. Ecco perché abbiamo tenuto le due coppie separate. Più tempo fanno perdere gli uni, più grande è la possibilità che gli altri giungano rapidamente a una decisione.
— Un piano ben pensato — ammise Raven.
— Avete due modi per lasciare questo mondo. Per mia mano, nel caso di una vostra reazione, o per mano dei vostri alleati di Venere. — Lomax fece un leggero sorriso. — Vi trovate nella infelice situazione di chi si rende conto di poter battere i nemici, ma che non è certo di portersi salvare dagli amici.
Raven si lasciò sfuggire un profondo sospiro. Si appoggiò allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi, come per concentrarsi sul problema che doveva risolvere. Il fatto che Lomax gli potesse leggere i pensieri non lo preoccupò. Aveva assoluta fiducia nella inviolabilità del suo scudo mentale e sapeva che i telepati di tipo terrestre non potevano sintonizzarsi su una banda mentale tanto alta.
“Charles… Charles!”
La risposta giunse parecchio tempo dopo, perché la mente dell’altro era stata assorta nei propri pensieri.
“Sì, David?”
“A che punto siete?”
“Ci hanno detto in questo momento che quattro astronavi deneb hanno inseguito uno scafo terrestre, ma che sono state distolte dalla caccia… Non riesco proprio a capire cosa possa averle indotte a cambiare proposito.” Seguì una risatina mentale.
“Siete in ritardo di qualche minuto. Noi siamo arrivati alla fine. Chi vi sta interrogando?”
“Un uomo molto vecchio. Pronto di mente, ma agli ultimi giorni di vita.”
“Da noi c’è un uomo giovane” informò Raven. “Un caso pietoso. E non ci sarebbe da stupirsi se venisse colto da un attacco e morisse sotto lo sforzo di questo colloquio. Sui nastri verrebbe registrata una morte naturale. Spiacevole, ma naturale. Penso che si possa trarre vantaggio dalle sue condizioni.”
“Cosa proponi?”
“Recitare ai microfoni una specie di piccolo dramma. Lo faremo per offrire maggiore plausibilità di innocenza. Poi, lui avrà il suo attacco. Noi reagiremo in modo naturale, e anche lui, perché non ne può fare a meno. Il risultato toglierà tutti dall’imbarazzo.”
“Quanto tempo ti ci vorrà?”
“Un paio di minuti.”
Raven si raddrizzò sulla sedia e spalancò gli occhi, come se avesse trovato la possibile soluzione. — Sentite, se la mia vita è conosciuta in ogni minimo particolare, è ovvio che il mio corpo può essere stato occupato soltanto al momento della mia morte e della rinascita.
— Non mi riguarda — fece Lomax. — Saranno gli altri a decidere.
— Dovranno convenirne — disse Raven, con voce piena di speranza. — Ora, se si accetta l’assurda teoria che qualcuno possa essersi impossessato del mio corpo, com’è possibile che si sia impossessato anche di una cosa tanto immateriale quali possono essere i miei ricordi?
— Non chiedetelo a me. Non sono un esperto in materia. — Lomax prese alcuni appunti su un foglio. — Continuate.
— Se posso ricordare fatti della mia fanciullezza, di quando avevo tre o quattro anni — continuò Raven con il tono di chi ha trovato la soluzione a tutti i suoi guai — e se posso farli confermare da persone ancora in vita, in che situazione mi verrei a trovare?
— Non lo so — disse Lomax. — In questo momento le vostre parole vengono considerate da competenti. Un segnale mi dirà se potete illustrare il vostro argomento.
— Che cosa succederebbe se dimostrassi che, nella mia giovinezza, ho volontariamente represso i miei poteri perché mi consideravo una specie di mostro? Cosa succederebbe se dimostrassi che l’amicizia fra questi quattro mostri è dovuta semplicemente al fatto che ogni simile ama il suo simile?
— Forse può bastare — disse Lomax — e forse no. Lo sapremo presto. — Improvvisamente la sua faccia ebbe una contrazione di dolore e grosse gocce di sudore gli segnarono la fronte. Ma si controllò subito. — Se avete qualcos’altro da dire siete ancora in tempo.
Guardandosi attorno, Raven vide le lenti delle telecamere, i cavi di registrazione nascosti nella parete, il piccolo pulsante vicino ai piedi di Lomax, e i fili che correvano dal pulsante alla macchina situata nel sotterraneo. Senza la minima difficoltà riuscì a studiare la macchina e a calcolare la potenza del suo raggio distruttivo.
Lui e Leina si erano resi conto di tutto questo fin dal momento in cui erano entrati nella stanza. Sarebbe stato facile, per loro, staccare tutti i contatti anche senza muoversi dalla loro poltrona. Sebbene Lomax pensasse il contrario, la via della salvezza era aperta… Ma una fuga sarebbe stata la completa confessione di ogni loro segreto.
La situazione del momento indicava che molte cose erano ormai trapelate. In qualsiasi modo, dovevano far cessare i sospetti e far trarre conclusioni false.
Nello stesso tempo dovevano far scomparire per sempre, e in modo plausibile, le persone che erano la loro unica fonte di informazione. Le ombre che stavano all’altro capo dei fili avrebbero dovuto ricevere dati che portassero soltanto a conclusioni sbagliate.
Restare nascosti era l’obiettivo primario. Nessun frammento di verità doveva rimanere nelle menti degli uomini altrimenti un giorno qualcuno avrebbe potuto capirla. Gli esseri umani vivevano in una ignoranza protettiva, e dovevano restarci. Un briciolo di conoscenza sarebbe stato pericolosissimo e doveva essere loro negato per sempre.
La libertà che stava oltre la porta di ferro era una libertà ben misera… come quella del bambino che vuole giocare per la strada, o del neonato che può bagnare le lenzuola e agitare il sonaglio, o del bruco che striscia sotto una foglia per cercare una salvezza illusoria.
Come casualmente, Raven toccò la mano di Leina, era un gesto fatto di comune accordo. C’erano gli obiettivi da ingannare, e bisognava agire con molta prudenza. E poi c’erano il nastro di registrazione, il piccolo pulsante, e il proiettore mortale.
— Ci sono sempre stati mutanti sconosciuti — disse Raven, in tono che voleva essere persuasivo. — È un fatto che rende tutti i vecchi dati insufficienti e inesatti. Per esempio, il mio nonno materno, essendo un mascalzone, avesse cercato per tutta la vita di tenere nascosti i suoi poteri ipnotici per servirsene per scopi illegali, ne conseguirebbe che…
S’interruppe per osservare Lomax che aveva fatto una nuova smorfia di dolore e si era piegato in avanti. Prima che l’uomo alla scrivania potesse riprendersi. Leina lanciò un grido di sorpresa.
— Oh, David. Guarda! — Poi con tono atterrito: — Che cosa vi sta succedendo, Lomax?
Nello stesso momento le due menti si scatenarono con forza per vincere lo scudo mentale dell’altro. Lomax non ebbe il tempo di chiedere di che cosa stessero parlando né di affermare che non gli era successo niente di preoccupante. Sentì l’esclamazione di Leina e una fitta dolorosa al cervello. Cadde con la testa sulla scrivania. Nello stesso istante, il circuito di reazione scattò. Automaticamente il piede raggiunse il pulsante.
Per una frazione di secondo la mente di Lomax urlò disperatamente:
“L’ho fatto! Mio Dio, l’ho…”
Poi il grido s’interruppe.
Seguì un periodo di caos e di assoluto stupore. Lomax non poteva stabilire se fosse breve o lungo, se fosse stata una questione di secondi o di secoli. E non riuscì a stabilire se ci fosse la luce o l’oscurità, il freddo o il caldo, se fosse in piedi o sdraiato, se si stesse muovendo o fosse immobile.
Cos’era successo quando aveva premuto il pulsante? Avevano sperimentato su di lui e sulle due cavie qualche diavoleria spaventosa? Era stato scagliato nel passato, nel futuro, in qualche altra dimensione? O, peggio ancora, infinitamente peggio, avevano aggiunto una mente mutilata a un corpo mutilato?
Poi si rese conto che non sentiva più i dolori che gli avevano tormentato la vita negli ultimi due anni. Fu una lieta sorpresa, che gli fece cessare il pazzo turbinio della mente. E a poco a poco cominciò a coordinare le idee, incerto, come un bambino.
Gli sembrò di volteggiare in mezzo a una miriade di bolle lucenti, colorate, piccole e grandi. Gli parve di essere una piccola barca senza timone, trascinata dalla corrente di un grande fiume iridescente di bolle.
Il dolore era scomparso, e c’era soltanto questo ondeggiare sonnolento in mezzo a una corrente di mille colori, in una pace infinita. Lomax aveva sonno, ed era felice di questa sonnolenza. Avrebbe voluto che durasse per sempre.
Poi la sua mente si scosse, si fece attiva e venne sollecitata all’attenzione.
Gli parve che dalle bolle sorgessero mille voci che non erano vere voci ma che potevano essere comprese come se fossero normali.
Qualcuna parlava da molto lontano con brevi frasi staccate. Altre giungevano da più vicino. Curioso. Avevano tutte una udibilità unicamente mentale, ma lui poteva anche stabilire con precisione, per un motivo che non riusciva ancora a comprendere, la direzione da cui provenivano, e da quale distanza.
“Restate con lui.”
“Può darsi che non abbia motivo di vendicarsi, ma restate con lui. Non vogliamo più impulsi pericolosi come quelli di Steen.”
“Ha detto di essere pronto. Perciò dovrebbe adattarsi presto.”
“Non è mai facile, anche se si è pronti.”
“Deve imparare che nessun uomo deve essere un nemico.”
A poco a poco, cominciò a comprendere qualcosa, pur continuando a chiedersi se si trattava di un delirio dovuto a una mutilazione mentale. In modo confuso si rese conto che le entità conosciute come Raven e Leina erano ancora presenti. Lo stavano tenendo, benché senza toccarlo, e volteggiavano insieme a lui in mezzo alla nebbia di bolle.
Non erano gli stessi, eppure sentiva che erano loro, senza ombra di dubbio. Era come se li vedesse guardandoli internamente.
D’un tratto, il senso di percezione divenne chiaro. La miriade di bolle si allontanò prendendo posizione a una enorme distanza. Divennero soli e pianeti luccicanti in mezzo allo spazio di eterna oscurità.
La nuova visione non era stereoscopica e mancava di prospettiva, tuttavia Lomax poteva calcolare con estrema precisione le distanze relative. Sapeva quali bolle fossero più vicine, e quali più lontane. E a quale distanza si trovassero.
“Charles! Charles!”, sentì chiamare Lomax mentre si trovava ancora in compagnia delle due creature.
La risposta giunse da lontano.
“Eccomi, David!”
Non erano stati usati quei nomi, ma pensò a quelli perché non aveva potuto afferrare i nomi nuovi. Tuttavia sapeva a chi si riferivano. Questo fenomeno non gli suscitò curiosità, né lo fece pensare, perché si era concentrato nella contemplazione delle bolle che riempivano il cosmo.
Le superfici di certe sfere erano perfettamente visibili in ogni particolare. Molte erano abitate da creature di strane forme… esseri che saltavano, che strisciavano, che vibravano, esseri di fiamma, esseri ondeggianti… una varietà infinita di creature, per lo più di livello evolutivo basso.
Soltanto una forma aveva raggiunto un livello superiore. Si trattava di esseri con un corpo allungato e sinuoso, ricoperto di pelle grigia. Avevano un cervello molto sviluppato, e organi di percezione extrasensoriale. Avevano poteri telepatici, ma su una banda limitata alla loro specie. Potevano pensare come singoli individui, oppure combinarsi mentalmente e pensare come massa.
Questi esseri giravano per lo spazio in lunghi scafi neri, esploravano gli altri mondi, pattugliavano gli abissi, stendevano carte delle costellazioni, riferivano alle loro basi, e continuavano le ricerche, senza mai fermarsi.
I Deneb!
Si credevano i signori del creato.
Assimilando dati inviatigli da chissà dove, Lomax comprese parecchie cose che riguardavano i Deneb. Erano in cima alla scala delle forme di vita e avevano grande tolleranza per gli esseri che consideravano inferiori. Ma non potevano ammettere di dividere il cosmo con una forma di vita identica alla loro… o superiore.
Eppure esisteva!
Così, da innumerevoli secoli i Deneb esploravano i mondi alla ricerca di quella forma di vita che poteva competere con loro. Avrebbero distrutto immediatamente i rivali, se fossero riusciti a individuarli. I loro scafi neri esploravano, ed erano giunti nelle vicinanze delle colonie che certi bruchi bianchi, bipedi avevano fondato su vari pianeti distanziati.
Lomax provò un particolare interesse per queste piccole creature. Poveri piccoli bruchi operosi, che cercavano o speravano di costruire astronavi che non sarebbero mai riuscite ad attraversare che una minuscola parte del creato. Bruchi malinconici, pensierosi, estatici, ambiziosi, e anche dittatori.
Con tutta probabilità, c’erano tra loro individui leggermente meglio dotati, con capacità superiori a quelle dei bruchi normali. Si consideravano di certo superiori perché potevano esercitare una porzione di poteri del tutto normali, ma che venivano definiti paranormali. Qualcuno forse poteva leggere la mente di un bruco al limite irrisorio dell’orizzonte di una sfera. Altri forse potevano incantare un bruco e costringerlo alla completa obbedienza.
Ciascuna colonia senza dubbio aveva sviluppato una bruco-cultura, una bruco-filosofia e una bruco-teologia. Essendo incapaci di concepire qualcosa di infinitamente più alto, forse alcuni pensavano di essere l’immagine del superbruco onnipotente.
Di tanto in tanto, qualche audace forse si azzardava a sporgere il capo dal nascondiglio per scrutare nell’oscurità la falena dagli occhi lucenti che volava nella notte senza fine. Poi si ritirava impaurito, tremante, del tutto incapace di riconoscere… se stesso!
Un enorme impeto di vita s’impadronì di Lomax, man mano che comprendeva gli elementi. I bruchi! I piccoli! Dotati di una potenza enorme, vide Raven e Leina, Charles e Mavis come mai aveva visto nessuno prima di allora. Gli stavano ancora vicino, e lo aiutavano, lo curavano, lo incitavano ad adattarsi al nuovo ambiente.
“I piccoli bruchi a due gambe!” stava gridando. “I nostri! Le nostre larve che stanno aspettando la loro metamorfosi naturale! Se i Deneb, incapaci finora di riconoscerli per quello che sono, dovessero apprendere la verità da una mente illuminata su una delle colonie, distruggeranno sistematicamente tutti i bruchi. Se un bruco apprenderà troppo, tutti i bruchi forse saranno distrutti, da un capo all’altro del cielo.”
“Non accadrà mai!” assicurò quello che Lomax aveva conosciuto come Raven. “Non verranno mai a saperlo. Su ogni nido ci sono due osservatori che vivono nel corpo di un bruco, preso col permesso del vecchio proprietario, come io ho fatto con David Raven. Sono dei guardiani. In coppia. Ne basterebbe uno, ma il secondo serve per rompere la solitudine.”
“Il posto che abbiamo… che avete lasciato?”
“È già stato preso da altri due.”
Si staccarono da lui, muovendosi silenziosamente nelle immense profondità che erano il loro campo d’azione naturale. I Deneb erano la forma di vita più elevata legata alle bolle planetarie. Ma questi, più elevati di loro, finita la fanciullezza di bruchi, non erano legati a niente. Diventavano le creature supersensibili, dai molteplici poteri e dai grandi occhi, che solcavano gli spazi.
“Quelle pallide e fragili creature a due gambe, come si chiamavano?”, si chiese Lomax. “Oh, sì: Homo sapiens. Alcuni di loro erano precoci e si consideravano Homo superior. Una cosa pietosa, in un certo senso. E patetica.”
Istintivamente, come un bambino che muove i primi passi senza rendersi conto di avere i piedi, Lomax spiegò grandi campi di forze lucenti a forma di ventaglio e si lanciò nella scia dei compagni.
Era vivo come non lo era mai stato prima.
E pieno di esultanza.
Perché sapeva cos’era diventato, e cosa sarebbero diventati i piccoli bruchi bianchi.
Homo in Excelsis!