È questo il mio buco. Ventesimo piano in uno dei condomini di Marble Hill, Broadway, 228a Strada, inizialmente un progetto edilizio comunale per appartamenti tipo medio, adesso rifugio per emarginati e detriti vari di scarico urbano. Due stanze più servizi, cucinetta, corridoio. Un tempo nessuno avrebbe potuto entrare in questo complesso se non era sposato e con bambini. Adesso alcuni individui soli ci si sono infiltrati, adducendo a motivo la loro povertà. Le cose cambiano via via che la città decade; i regolamenti vanno in fumo. La stragrande maggioranza della popolazione del complesso è portoricana con una spruzzatina di irlandesi e di italiani. In questa tana di papisti un David Selig è un’enorme anomalia. A volte pensa di dovere ai suoi vicini una quotidiana, vigorosa interpretazione dello Sh’mà Yisroel, ma non ne conosce le parole. Kol Nidre, forse. Oppure il Kaddish. Questo è il pane di afflizione che i nostri antichi padri hanno mangiato nella terra d’Egitto. Lui è fortunato di essere stato condotto fuori dall’Egitto nella Terra Promessa.
Vi piacerebbe fare un giro, con tanto di cicerone, nel covo di David Selig? Benissimo. Prego, da questa parte. Non toccate niente, per favore, e non appiccicate le vostre cicche sui mobili. Il sensibile, intelligente, amabile, nevrotico individuo che vi farà da cicerone non è altri che David Selig in persona. Non è permesso dare mance. Siate i benvenuti, miei cari, benvenuti nella mia umile residenza. Cominceremo il nostro giro con il bagno. Come vedete, questa è la vasca da bagno, quella macchia gialla sullo smalto procellanato c’era già prima che arrivasse lui, questo è il cesso, questa è la cassetta delle medicine. Selig passa qui un mucchio di tempo; è una stanza importante per chiunque capisca in profondità la sua esistenza. Per esempio, alle volte lui fa due o tre docce al giorno. Allora voi penserete: cos’è che cerca di tirarsi via? Lascia perdere questo spazzolino, tesoro. Okay, venite con me. Avete visto i poster nell’ingresso? Sono artefatti risalenti al 1960. Questo mostra il poeta Allen Ginsberg vestito da Zio Sam. Questo è una cruda volgarizzazione di un sottile paradosso topologico fatta da M.G. Escher. Questo mostra una giovane coppia nuda che fa all’amore sulla risacca del Pacifico. Otto, dieci anni fa, centinaia di migliaia di giovani decoravano le loro stanze con simili poster. Selig, benché per l’esattezza non fosse giovane neanche allora, l’ha fatto anche lui. Spesso ha seguito le manie e le mode correnti nel tentativo di aggregarsi con maggior consistenza alle strutture dell’esistere contemporaneo. Presumo che oggi questi poster siano veramente di valore. Lui li porta sempre con sé, da una casa a poco prezzo alla seguente, e così via.
Questa stanza è la camera da letto. Scura e stretta, con il soffitto basso tipico delle case popolari di una generazione fa. Tengo sempre le finestre chiuse in modo che la sopraelevata, rombando nell’aria a notte fonda, non mi svegli. È già abbastanza difficile dormire anche quando tutto è tranquillo attorno a te. Questo è il suo letto, nel quale lui dorme sonni agitati, di quando in quando, come adesso, leggendo involontariamente nelle menti di chi gli si trova vicino e incorporando i loro pensieri nelle sue fantasie. Su questo letto, forse ha fornicato con una quindicina di donne (una per volta, o anche due e occasionalmente anche tre per volta) durante i due anni e mezzo da che abita qui. Non faccia quel volto tutto sconcertato, signorina! Il sesso è un salubre sforzo umano e resta un aspetto essenziale della vita di Selig, anche adesso nella mezz’età. Può diventare anche più importante per lui negli anni a venire, perché il sesso è, dopo tutto, un modo di stabilire un contatto con gli altri esseri umani, e certi altri canali di comunicazione appaiono chiusi per lui. Chi sono queste ragazze? Alcune di loro non sono ragazze; alcune sono donne già avanti negli anni. Lui le affascina con quel suo timido modo di fare e le convince a condividere con lui un’ora di gioia. Raramente invita una seconda volta qualcuna di loro, e quando lo fa in genere rifiutano, ma comunque è tutto okay. I suoi bisogni sono soddisfatti. Come? Quindici donne in due anni e mezzo non sono poi tante per uno scapolo? Chi siete voi per giudicare? Per lui sono sufficienti. Ve lo assicuro, per lui sono sufficienti. Per favore, non sedetevi sul suo letto. È un letto vecchio, comprato di seconda mano in un seminterrato per super-affari che l’Esercito della Salvezza gestisce ad Harlem. L’ha preso per pochi dollari quando traslocò dal suo ultimo buco, una stanza ammobiliata in St. Nicholas Avenue, e aveva bisogno di alcuni mobili tutti suoi. Alcuni anni prima, verso il 1971, 72, aveva un letto con materasso di gomma pieno d’acqua, altro esempio del fatto che segue le mode passeggere, ma non riuscì mai a servirsene per lo sciacquio e il gorgoglio e, alla fine, lo diede a una giovane capace che lo sfruttò al massimo. Che cos’altro c’è in camera da letto? Molto poco di interessante, temo. Un armadio contenente banali vestiti. Un paio di ciabatte logore. Uno specchio rotto, siete superstiziosi? Uno scaffale sbilenco pieno di vecchie riviste che non rileggerà mai più, Partisan Review, Evergreen, Paris Review, New York Review of Books, Encounter, un mucchio di materiale di tendenza letteraria, più alcuni periodici di psicanalisi e di psichiatria, che Selig legge sporadicamente nella speranza di incrementare la sua conoscenza di se stesso; ma finisce sempre per buttarli via con fastidio e disappunto. Usciamo di qui. Questa stanza deve riuscirvi deprimente. Saltiamo la cucinetta — una stufa a quattro fornelli, un frigorifero di medie dimensioni, un tavolo ricoperto di formica — dove lui prepara colazioni e pranzi proprio modesti (la cena la fa abitualmente fuori) ed entriamo nel punto focale, nell’anima dell’appartamento, il soggiorno-studio a forma di L dipinto in azzurro, riempito-stivato-pigiato.
Qui potete osservare l’intera trafila dello sviluppo intellettuale di David Selig. Questa è la sua collezione di dischi, un centinaio, superconsunti, alcuni acquistati addirittura nel lontanissimo 1951 (arcaici dischi monofonici!). Quasi tutta musica classica, benché si notino due pile abusive: cinque o sei dischi jazz datati 1959 e cinque o sei dischi rock datati 1969, ambedue i blocchi acquistati durante opachi, abortiti sforzi per allargare gli orizzonti del suo gusto. D’altronde, quello che troverete qui, essenzialmente, è roba austera, spinosa, inaccessibile: Schònberg, l’ultimo Beethoven, Mahler, Berg, i quartetti di Bartok, le passacaglie di Bach. Niente che potreste agevolmente fischiettare dopo averlo sentito una volta. Non se ne intende gran che di musica, però sa quello che gli piace. Non dovete preoccuparvi troppo.
Questi, poi, sono i suoi libri, accumulati da quando aveva dieci anni e deliziosamente trasportati qui e là, dietro di lui, di luogo in luogo. Gli strati archeologici dei suoi interessi di lettura possono essere isolati ed esaminati facilmente. Jules Verne, H.G. Wells, Mark Twain, Dashiell Hammett alla base. Sabatini, Kipling. Sir Walter Scott. Van Loon: Storia del genere umano. Verrilli: Grandi conquistatori dell’America del Sud e dell’America centrale. I libri di un assennato, serio, alienato ragazzino. Poi di colpo, con l’adolescenza, un brusco sbalzo: Orwell, Fitzgerald, Hemingway, Hardy, il Faulkner più facile. Date un’occhiata a questi rari paperback degli anni ’40 e dei primissini anni ’50, in un formato così inconsueto, con sopraccoperte plastificate. Guardate che cosa potevate comperare allora con 25 cent. Osservate i disegni accattivanti, i titoli vistosi!
Questi libri di fantascienza sono della stessa epoca. Me la sono masticata tutta, quella roba, sperando di trovare qualche suggerimento per la mia natura di spostato nelle fantasie di Bradbury, Heinlein, Asimov, Sturgeon, Clarke. Guardate: ecco qui Q.I. = 10.000 di Stapledon; ecco Il mostro dell’Hampdenshire di Beresford; ed ecco un libro intitolato Gli Estranei: i ragazzi-prodigio, con storie di super-ragazzi dotati di mostruosi poteri. Ho sottolineato un mucchio di passi in quest’ultimo; si tratta, generalmente, di brani per i quali mi trovo in disaccordo con gli scrittori. Estranei? Quegli autori, con le loro capacità, erano i veri estranei, che tentavano di immaginare poteri che non avevano mai posseduto; io invece, che c’ero dentro, io il giovane parassita mentale (il libro è datato 1954) avevo ben motivo di dissentire da loro. Loro erano ossessionati dall’angoscia del supernormale, e dimenticavano l’estasi. Con tutto ciò, riflettendo ora su angoscia ed estasi, devo ammettere che ne sapevano più di me. Amici, ho sempre meno motivo di dissentire. Questo è il vicolo cieco dei topi, dove i morti hanno perso la loro aggressività.
Osservate come le letture di Selig vanno sempre più rarefacendosi via via che ci avviciniamo agli anni del college. Joyce, Proust, Mann, Eliot, Pound, la gerarchia della vecchia avanguardia. Il periodo francese: Zola, Balzac, Montaigne, Céline, Rimbaud, Baudelaire. Questo mattone di Dostoievsky che occupa mezzo scaffale. Lawrence Woolf. L’epoca mistica: Agostino, l’Aquinate, i Tao Te Ching, le Upanishad, i Bhagavad-Gita. L’epoca psicologica: Freud, Jung, Adler, Reich, Reik. L’epoca filosofica. L’epoca marxista. Per tutto questo: Koestler. Il ritorno alla letteratura: Conrad, Forster, Beckett. Avanzando verso i dilaniati anni ’60: Bellow, Pynchon, Malamud, Mailer, Burroughs, Barth. Comma 22 e La politica dell’esperienza. Oh, sì, signore e signori, voi vi trovate alla presenza di una persona istruita! Qui ci sono i miei documenti. Un tesoro, riportato alla luce, di note autobiografiche, in attesa di un biografo ancora da spuntare. Relazioni, sempre con piccole annotazioni di condotta. («David rivela poco interesse nel lavoro e frequentemente mette a soqquadro la classe»). Cartoline di compleanno crudamente scarabocchiate per suo padre e sua madre. Vecchie fotografie: com’è possibile che questo grasso lentigginoso ragazzino sia l’individuo scheletrico che vi sta davanti in quest’istante? Quest’uomo dalla fronte alta e il sorriso forzato rigido è l’ultimo Paul Selig, padre del nostro soggetto, morto È (olav hasholom!) l’11 agosto 1971 per complicazioni conseguenti a un intervento chirurgico su un’ulcera perforata. Questa donna dai capelli grigi con occhi da ipertiroidea è l’ultima Martha Selig, moglie di Paul, madre di David, defunta (oy, veh, mama!) il 15 marzo 1973 per improvvisa putrefazione di organi interni, probabilmente cancro. Questa giovane donna sorridente con quella faccia fredda affilata è Judith Hannah Selig, figlia adottiva di P e M, non amata sorella di D. Data sul retro della foto: luglio 1963. Pertanto Judith ha 18 anni ed è nel pieno dell’estate del suo odio per me. Quanto assomiglia a Toni in questa fotografia! Prima non mi ero mai accorto della somiglianza, ma avevano l’identico fosco sguardo yemenita, gli ideatici lunghi capelli neri. Però gli occhi di Toni erano sempre caldi e innamorati, fuorché nel preciso momento della rottura; gli occhi di Jude, invece, non avevano per me altro che ghiaccio, ghiaccio, un ghiaccio alla Plutone. Ma proseguiamo con l’esame degli effetti personali di David Selig. Questa è la sua collezione di saggi e di compiti finali, scritti durante gli anni del college. («Carew è un poeta raffinato ed elegante, la cui opera riflette le influenze sia del meticoloso classicismo di Jonson sia del gusto del grottesco di Donne, una sintesi interessante. I suoi poemi sono costruiti con gusto e concisi; in una poesia quale Ask me no more where Jove bestows, egli si appropria magistralmente dell’armoniosa austerità di Jonson; mentre in altre, quali Mediocrity in Love Rejected oppure Ingrateful Beauty Threatened, il suo spirito riproduce quello di Donne»). Che fortuna per D. Selig aver conservato quelle chiacchiere letterarie: in questi ultimi anni quei fogli sono diventati la fonte da cui ricava il capitale per campare, perché voi sapete bene, naturalmente, come la figura centrale delle nostre ricerche si guadagna da vivere giorno per giorno. Che cos’altro possiamo trovare in questi archivi? Le copie carbone di innumerevoli lettere. Alcune sono missive assolutamente impersonali. Caro Presidente Eisenhower. Caro Papa Giovanni. Caro Segretario Generale Hammarskjold. Spessissimo un tempo, e molto raramente negli ultimi anni, egli spediva queste lettere negli angolini più remoti del globo. Il suo spasmodico unilaterale sforzo di entrare in contatto con un mondo sordo. I suoi turbati futili tentativi di restaurare l’ordine in un universo che stava precipitando a corpo morto verso la definitiva distruzione termodinamica. Vogliamo dare un’occhiata a qualcuno di questi documenti? Lei, Governatore Rockefeller, dice che «con il proliferare delle armi nucleari, la nostra sicurezza è intimamente connessa alla credibilità delle nostre intenzioni di ricorrere al nostro deterrente. È il nostro gravoso senso di responsabilità come pubblici ufficiali e come cittadini che può salvare le vite e proteggere la salute del nostro popolo. Uno sforzo per la difesa civile che avanzi troppo lentamente non trova la sua scusante nella convinzione che una guerra nucleare sarebbe una tragedia e che noi dobbiamo lottare con ogni mezzo a nostra legittima disposizione per assicurare la pace.» Permetta che io non sia d’accordo. Il vostro programma di difesa, Governatore, è il progetto di una mente moralmente impoverita. Distogliere energie e risorse dalla ricerca di una pace durevole per orientarle su questo schema dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, ritengo sia una politica da pazzi e pericolosa che… Il Governatore, invece di rispondere, mandò i suoi ringraziamenti e una riproduzione del discorso, proprio quello contro il quale Selig aveva protestato. Ci si poteva aspettare qualcosa di più? Mr. Nixon, tutta la vostra campagna elettorale è imperniata sulla teoria che l’America non è mai stata così bene come sotto il Presidente Eisenhower: «Proseguiamo, dunque, allo stesso modo per altri quattro anni». A me voi sembrate Faust che urla rivolto all’attimo fuggente: «Bleibe doch, du bist so schoen!» (Sono troppo letterario per voi, signor Vice-Presidente?). Cacciatevi bene in testa, per cortesia, che quando Faust urla quelle parole, Mefistofele arriva per prendersi la sua anima. Onestamente vi pare che questo istante nella storia sia così delizioso da meritare che gli orologi vengano fermati per sempre? Ascoltate l’angoscia sulla Terra. Ascoltate le voci dei negri del Mississippi, ascoltate le grida dei bambini affamati, dei lavoratori delle fabbriche privati del lavoro dalla recessione repubblicana, ascoltate… Cara signora Hemingway: permettete che aggiunga la mia parola alle migliaia che esprimono tutta l’amarezza per la morte di vostro marito. Il gesto audace che egli ha opposto a una situazione di vita diventata insopportabile e intollerabile, è un limpido esempio per tutti quelli di noi che… Caro dottor Buber… Caro professor Toynbee… Caro presidente Nehru… Caro signor Pound: tutto il mondo civilizzato gioisce con voi per la vostra liberazione da una prigionia crudele e innaturale che… Caro Lord Russell… Caro presidente Khrushchev… Caro M. Malraux… caro… caro… caro… Una notevole raccolta di corrispondenze, dovete ammetterlo. Con risposte parimente notevoli. Ascoltate, questa lettera di risposta dice: Può essere che voi siate nel giusto, e quest’altra dice: Sono riconoscente per il vostro interesse, e quest’altra: Naturalmente la mancanza di tempo non mi consente di rispondere individualmente a ogni lettera che ricevo, ma, nonostante questo, voglio assicurarvi che le osservazioni saranno prese in attenta considerazione, e quest’altra ancora: Bastardo: grattati la tua rogna!
Sfortunatamente non possediamo le lettere immaginarie che egli dettava a se stesso senza mai spedirle. Caro signor Kierkegaard: sono assolutamente d’accordo con la vostra celebre massima che stabilisce un parallelo tra «l’assurdo» e il fatto «che con Dio tutto è possibile», e che dichiara: «L’assurdo non è uno dei fattori che possono essere differenziati nella sfera appropriata dell’incomprensibile: non coincide con l’improbabile, l’inaspettato, l’inatteso». Nelle mie personali esperienze con l’assurdo… Caro Mr. Shakespeare: Come vi siete espresso alla perfezione quando avete detto: «Amore non è amore se cambia quando un mutamento trova, o cede a chi lo rinnega». Tuttavia il vostro sonetto pone la domanda: se l’amore non è amore, allora che cos’è quel senso di intimità che può, così assurdamente e inopinatamente, essere distrutto da una bagatella? Se voi poteste suggerire qualche modo esistenziale alternativo di rapportarsi agli altri che… Dal momento che sono effimere, frutto di impulsi erranti, e spesso e volentieri incomprensibili, non possiamo accostarci con soddisfazione a questo tipo di comunicazioni che Selig talvolta produce al ritmo di un centinaio all’ora. Caro signor Giudice Holmes: nella sentenza Southern Pacific Co. contro Jensen, 244 U.S. 205, 221 (1917), avete decretato: «Mi rendo conto senza esitazione che i giudici legiferano e debbono farlo, però sono in grado di comportarsi così soltanto saltuariamente; sono relegati tra le petizioni macrocosmiche e quelle microcosmiche». Questa splendida metafora non mi riesce completamente chiara, devo confessarlo, e…
Caro signor Selig:
la condizione presente del mondo e della vita intera è malata. Se fossi un dottore e mi venisse chiesto il mio parere, risponderei: «Inventate il silenzio».
Vostro affezionatissimo
Ci sono poi queste tre cartelle qui, cartone spesso beige. Non sono accessibili al pubblico dal momento che contengono lettere di un tipo molto più personale. Sulla base dei termini del nostro accordo con la Fondazione David Selig, mi è proibito far citazioni: posso però parafrasarle. Si tratta di lettere da lui inviate o occasionalmente ricevute da ragazze che ha amato o che intendeva amare. La più antica è datata 1950 e, in alto, reca l’annotazione a grandi lettere rosse: MAI SPEDITA. Cara Beverly, così comincia, ed è tutta piena di imbarazzanti grafismi sessuali. Selig, che cosa potete dirci di questa Beverly? Be’, era piccoletta e graziosa e lentigginosa, con due tette grosse così e una spiccata tendenza all’allegria; sedeva di fronte a me nell’aula di biologia; aveva una sorella gemella, precisa identica, roba da brividi, Estelle, che continuava a squadrarti torva, e per qualche strana combinazione genetica era piatta così come Beverly era ben fornita. Forse era questo il motivo per cui era torva. A Estelle io piacevo, nella sua fosca maniera, e penso che alla fine avrebbe anche potuto venire a letto con me, il che avrebbe fatto un sacco di bene al mio ego quindicenne, solo che io la disprezzavo. Mi sembrava un’imitazione malfatta, bitorzoluta di Beverly, che io amavo. Ero solito girare a piedi nudi nella mente di Beverly mentre l’insegnante, Miss Mueller, farfugliava di mitosi e cromosomi. Lei aveva appena concesso le sue grazie a Victor Schlitz, il ragazzone scarno dagli occhi verdi e i capelli rossi che le stava seduto accanto, e io imparavo un mucchio di cose sul sesso da lei a ogni scorribanda, con 12 ore di ritardo, per il fatto che irradiava ogni giorno la sua avventura della notte precedente con Victor. Non ero geloso di lui. Lui era bello e sicuro di sé e la meritava, e, in quel tempo, io ero troppo insicuro per andare a letto con chicchessia, comunque. Perciò percorsi con loro, da abusivo, la loro storia d’amore, e fantasticai di fare con Beverly le cose che le faceva Victor, finché disperato sentii il bisogno di entrarci anch’io in lei, ma le esplorazioni della sua mente mi dissero che per lei io non ero nient’altro che un bamboccio divertente, una stramberia, un buffone. Allora, come riuscirci? Le scrissi questa lettera descrivendo con dettagli vividi, penosi, tutto quello che lei e Victor avevano fatto, e dissi: non ti interessa sapere come faccio a sapere tutto questo, eh?, lasciando intendere che ero una specie di superuomo dotato del potere di penetrare l’intimità della mente di una donna. Mi immaginavo che questo me l’avrebbe buttata tra le braccia in un deliquio di timore reverenziale; invece qualche pensiero captato in seguito mi fece intuire che lei mi avrebbe, in ogni caso, ritenuto un demente o quanto meno un tipaccio indiscreto, e, comunque, si sarebbe allontanata definitivamente da me, per cui archiviai la lettera senza recapitarla. Una notte la trovò mia madre; lei, però, non osò parlarne con me, irrimediabilmente bloccata com’era su tutto il settore sesso; si limitò a rimetterla nella mia agenda. Rimase turbata? Sì, certo: ma si sentì molto orgogliosa che il suo ragazzo fosse finalmente un uomo, capace di descrivere delle porcherie a una bella ragazza. Mio figlio il pornografo.
La maggioranza delle lettere di quest’archivio datano tra il 1954 e il 1968. Le più recenti furono scritte nell’autunno del 1974, dopo di che Selig cominciò a sentirsi sempre meno, sempre meno a contatto con il resto dell’umanità e smise di scrivere lettere, se non nella sua testa. Non so quante ragazze siano qui rappresentate, però devono essere veramente poche. Di solito queste, per Selig, furono sempre relazioni assolutamente superficiali; come ben sapete, non si sposò mai e mai fu seriamente implicato in affari con donne. Come nel caso di Beverly, quelle che lui amò più profondamente furono le ragazze con cui di fatto non ebbe mai rapporti concreti: anzi pretendeva di provare amore per coloro che erano di fatto solo fortuite emettitrici. A volte egli si servì dei suoi poteri particolari per approfittare sessualmente di alcune donne, soprattutto attorno ai 25 anni. Non si sente orgoglioso di quel periodo. Non vi piacerebbe leggere queste lettere, fetenti voyeur? Ma no. No, non ci metterete sopra le zampe. Ad ogni modo, perché vi ho invitati qui? Perché ho permesso che sbirciaste i miei libri, le mie fotografie, i miei dischi tutti sudici, la mia vasca da bagno macchiata? Dev’essere la coscienza del mio io che se ne sta andando. L’isolamento mi sta asfissiando; le finestre sono chiuse, e ho finito per spalancare le porte. Ho bisogno di voi per sostenere il mio attaccamento alla realtà riesplorandone la mia vita, incorporandone una parte nella vostra esperienza personale, scoprendo che io sono reale, che io esisto, che io soffro, che ho un passato anche se non ho un futuro. Per questo potrete andarvene dicendo: sì, conosco David Selig, effettivamente lo conosco benissimo. Questo, comunque, non significa che io vi debba mostrare ogni cosa. Ecco, ecco qui una lettera a Amy! Amy che mi strappò dalla mia putrescente verginità nella primavera del 1953. Non vi piacerebbe sapere la storia di com’è successo? La prima volta, di chiunque si tratti, ha un suo fascino irresistibile! Bene, andate a farvi fottere: non ho proprio nessuna voglia di discuterne. Non c’è molto da raccontare, comunque. Glielo ficcai dentro e io venni e lei no, come la sedussi, inventatevi da soli i particolari. Dov’è adesso Amy? Amy è morta. Vi va? La sua prima fighetta, eppure lui le è già sopravvissuto. È morta in un incidente di macchina a 23 anni e suo maritò, che mi conosceva vagamente, mi telefonò per dirmelo, dal momento che una volta io ero stato un suo amico. Lui era ancora sotto shock perché la polizia l’aveva obbligato ad andare là per riconoscere il cadavere, e lei era proprio rimasta distrutta, maciullata, mutilata. Come qualcosa che viene da un altro pianeta, questo sembrava lei; così mi riferì. Catapultata fuori attraverso il parabrezza e sbattuta contro un albero. E io dissi a lui: — Amy è stata la prima ragazza con cui sono andato a letto — e lui si mise a consolarmi. Lui, che consolava me, quando io avevo cercato soltanto di essere sadico.
Il tempo passa. Amy è morta e Beverly è una donna di casa grassa e tozza di mezz’età, ci scommetto. Ecco qui una lettera indirizzata a Jackie Newhouse, in cui le dico che non ce la faccio a dormire perché continuo a pensare a lei. Jackie Newhouse? E questa chi è? Oh, sì. Un metro e 60 di ragazza, e un paio di tette che avrebbero fatto vergognare Marilyn Monroe. Succosa. Ottusa. Labbra contratte, occhi color verdemarino. Jackie in sé non era niente se si tolgono i suoi seni, però quelli erano più che sufficienti per me, diciassettenne e attaccato alle mammelle, Dio solo sa perché. L’amavo per le sue poppe, così sferiche e bene in vista in quell’attillata maglietta che le piaceva tanto indossare. Estate 1952. Era innamorata di Frank Sinatra e di Perry Como, e portava un “Frankie” scritto grosso con il rossetto sulla coscia sinistra in basso, sopra i jeans e un “Perry” sulla coscia destra. Era anche innamorata del suo insegnante di storia, che si chiamava, mi sembra, Leon Sissinger o Zippinger o qualcosa del genere, e sui jeans portava scritto un bel “Leon” tra chiappa e chiappa. La baciai due volte, però finì lì, senza neppure metterle la lingua in bocca; era più riservata di me, atterrita al solo pensiero che qualche spaventosa mano di maschio potesse violare la purezza di quelle tette poderose. Le ronzai attorno, senza tentare di penetrare nella sua testa perché mi aveva avvilito vedere quanto fosse vuota. Come andò a finire? Ah, ecco: il suo fratellino Arnie mi stava raccontando che lui la vedeva nuda in casa, continuamente; allora io, accanendomi alla ricerca di una visione mediata dei suoi seni nudi, mi precipito dentro il suo cranio e mi faccio una sbirciata di seconda mano. Fino a quel momento non mi ero mai reso conto di quanto fosse importante un reggiseno. Liberi, quelli penzolavano fin sulla sua pancia grassottella, due montagnole di carne tremante attraversate da sporgenti vene azzurrine. Mi guarì dalla mia fissazione. Dopo tanto tempo sei così irreale per me, adesso, Jackie.
Qui. Date un’occhiata. Osservate me. Le mie ferventi frenetiche effusioni d’amore. Leggetele tutte, che me ne frega? Donna, Elsie, Magda, Mona, Sue, Lois, Karen. Pensavate che io fossi un tipo sessualmente carente? Credete che la mia adolescenza zoppicante mi abbia precipitato in un’età adulta incapace di trovare donne? Tra quelle cosce io stavo inseguendo la mia vita. Cara Connie, che notte selvaggia è stata quella! Cara Chiquita, il tuo profumo indugia ancora nell’aria. Cara Elaine, quando mi svegliai quella mattina avevo sulle mie labbra il sapore di te. Cara Kitty, io…
Oh, Dio santo! Kitty. Cara Kitty, ho tante cose da spiegarti che non so neppure da che parte cominciare. Tu non mi hai mai capito, e io non ho mai capito te, e di conseguenza l’amore che ho avuto per te era destinato a portarci a un brutto momento presto o tardi. La progressiva incapacità di comunicare ha completamente avvolto la nostra relazione, ma siccome tu eri diversa da qualunque persona io abbia mai conosciuto, veramente e qualitativamente diversa, io feci di te il centro delle mie fantasie e non potevo accettarti com’eri, ed ero costretto a martellarti, martellarti, martellarti, finché… Oh, Dio mio! È troppo penoso. Maledizione, come sarebbe a dire che leggete la posta di un altro? Ma non avete neanche un po’ di decenza? Non posso farvi vedere questa roba. Il giro è finito. Fuori! Fuori! Fuori tutti Cristo, fuori!