12

Casey cominciava a sentirsi meglio quando si avviò per tornare da Maggie. Gli pareva che qualcosa stesse prendendo forma, anche se non sapeva chiaramente di che cosa si trattasse. L’euforia gli permise perfino di fermarsi a mangiare un boccone, e intanto si chiedeva come l’avesse presa la signorina Nardis, piantata in asso con il conto della colazione che lui non aveva mangiato. Si chiedeva al tempo stesso in che stato d’animo fosse Lance Gorden in quel tardo pomeriggio, grigio e umido.

Dando esca alla propria fantasia, gli sembrava quasi di vedere l’epilogo della fantastica vicenda. Sentiva la tensione allentarsi e già leggeva i titoli dei giornali: “Gorden confessa di avere ucciso Brunner”. Bei sogni dorati che però si dileguavano brutalmente giunti a questo punto. E poi? Il seguito doveva essere prestabilito: un tranquillo annullamento consensuale in cambio di un pingue assegno. Oppure non tanto tranquillo, nel caso che fosse sorta una discussione sul piano finanziario. Casey Morrow desiderava solo farla finita, ma mentre lo ripeteva a se stesso era conscio che si trattava di un’illusione.

L’isolato di vecchi edifici in cattivo stato pareva deserto, eccettuato per una solitaria guida interna parcheggiata sull’altro lato della via. Casey si era aspettato di vedere accostata al marciapiede la macchina noleggiata da Maggie, ma poi, pensando che l’avesse lasciata sul retro, non si diede là pena d’indagare.

In cima alle scale Maggie lo attendeva, il volto atteggiato a una impazienza esagerata.

— Finalmente! — esclamò, facendolo entrare. — Dove siete stato tutto il giorno?

— In tanti posti. Avete trovato l’automobile?

— È giù nel vicolo. Il serbatoio è pieno, e il noleggio pagato per una settimana. Da ora in poi, giovanotto, lavorate in proprio.

Le numerose domande che le si leggevano negli occhi smentivano le sue parole. Era curiosa come tutto il suo sesso anche se cercava di nasconderlo, e Casey riteneva giusto informarla degli sviluppi. Inoltre i piedi gli dolevano, per cui si lasciò cadere su una sedia e, mentre traeva di tasca un pacchetto di sigarette, borbottò: — S’invecchia a fare questo mestiere.

— L’avete visto?

— Chi?

— Quel tale che dovevate vedere.

— No, è una lunga storia. — Le raccontò di Carter Groot e delle sue ultime mosse. Mentre la metteva anche al corrente di alcune sue ipotesi, Maggie ascoltava col capo ripiegato da un lato e l’aria assorta.

— Non mi va — disse, alla fine.

— Non ne sono entusiasta neppure io — ammise Casey — ma faccio del mio meglio.

— Intendo la faccenda di Groot. Dove credete che sia?

— Se lo sapessi, forse potrei chiarire il mistero… Avete mai sentito nominare l’opera benefica “Verdi Pascoli”?

— “Verdi Pascoli”? — fece eco Maggie. — Che cos’è? Un ricovero per cantanti?

— A quanto dice la segretaria di Brunner, è l’opera pia prediletta dalla signora, in questo momento. Dovrebbe essere un istituto per la delinquenza minorile.

— Dovrebbe essere?

— Sto diventando un tipo sospettoso — fece Casey, sorridendo. — In questo momento stento a credere che esista davvero un luogo simile.

Il lato simpatico di Maggie era che non le occorrevano ampie spiegazioni per afferrare un concetto. Anzi, Casey sospettava che fosse più furba di lui, soprattutto quando gli chiese con tono innocente: — Non vorrete per caso insinuare che il vostro amico Gorden si sia intascato sommette che non gli appartengono?

— Se ho visto giusto, ne ha le tasche piene.

— E la signora Brunner?

— Secondo me non ne sa nulla. A quanto dice Phyllis, lei si limitava a firmare gli assegni che le dava il marito e a posare per le fotografie dei giornali attorniata da sporchi mocciosi. Si occupa di tutto Gorden.

Maggie aveva afferrato tanto bene la situazione che il suo viso assunse, d’un tratto, un’espressione grave.

— Vi è capitato di pensare che potrebbe essere pericoloso scherzare con Gorden? — chiese. — Se siete sulla buona pista, s’intende.

— Infatti — ammise Casey. — Ma è troppo tardi per fare marcia indietro: ogni mia mossa rappresenterà un pericolo per me finché l’assassino di Brunner non detterà le sue memorie al Procuratore Distrettuale. — Dopo avere fissato Maggie con un lieve sorriso aggiunge: — Non vorrete preoccuparvi per un tipo come me.

— Sto pensando soltanto all’automobile — fece lei, con tono secco. — Dopo tutto, l’ho noleggiata a mio nome.

Allungò una mano per accendere la luce, e quasi contemporaneamente i nuvoloni che si erano andati addensando durante tutta la giornata lasciarono irrompere uno scroscio di pioggia, che tamburellò sul lucernario. Il tempo ideale per stare tappati in casa a chiacchierare, ma Casey era irrequieto. La pioggia gli dava sempre un senso di solitudine, e quasi suo malgrado si chiese quale effetto avesse su Phyllis.

Avviandosi verso la porta, disse: — Vi terrò informata.

— Casey!

Stava già aprendo l’uscio quando la voce di Maggie lo fece sostare e volgere il capo.

— Abbiate cura… dell’automobile.


Fuori la pioggia formava una solida cortina argentea calata sull’imbrunire. Casey esitò un istante sui gradini di pietra, tirandosi su il bavero mentre si orientava. Maggie aveva detto che la macchina era nel vicolo, per cui guardò prima da un lato poi dall’altro e, dopo aver scorto il cofano di una guida interna grigia spuntare a fianco dell’edificio, scese e attraversò la piccola distesa di prato umido dall’erba ormai ingiallita. Camminava rapido, la testa china per difendersi dalla pioggia, e fu proprio per questo che non notò l’accendersi improvviso dei fari della guida interna parcheggiata sull’altro lato della via. La macchina si mise in marcia e svoltò velocemente portando il lungo cofano entro il vicolo, un passo oltre dove si trovava già Casey. Mentre balzava indietro con un’istintiva imprecazione, Morrow vide spalancarsi lo sportello posteriore e un uomo di statura fuori del comune avventarsi su di lui con un braccio alzato.

Fece un tentativo per schivare il colpo e ciò valse ad attutirne la forza, evitandogli di perdere i sensi. Ciononostante stramazzò a terra, un po’ a causa dello sfollagente e un po’ dell’erba umida e scivolosa. Mentre cadeva, cercò di afferrare l’uomo per le gambe, ma non essendoci riuscito rimase accovacciato in attesa del colpo successivo.

— Casey, avete dimenticato le chiavi!

La voce di Maggie chiamava da una distanza che a lui pareva immensa, e i passi che risuonavano affrettati sui gradini erano quelli di lei.

— Casey!

Ecco perché non vi fu un colpo successivo. Si rizzò in piedi a fatica, in tempo per vedere un’ombra risalire rapidamente sul sedile posteriore della guida interna, e mentre la macchina faceva marcia indietro scorse di sfuggita il viso del guidatore stagliato nella luce che proveniva dal cruscotto.

— Tutto bene? — stava gridando Maggie. — Casey, che cosa è successo?

— Sto benissimo. Datemi le chiavi. Sto benissimo.

Maggie cercava di essere servizievole, ma Casey non voleva aiuto o almeno non più. Ritta davanti a lui, io teneva stretto per i risvolti della giacca e non indossava neppure un cappotto per ripararsi dalla pioggia.

— Siete ferito! — insistette. — Avete la testa insanguinata…

— Me la laverò. Datemi le chiavi.

— Chi era?

— Gorden.

— Ne siete certo?

Casey esitò. Il gigante dallo sfollagente era davvero Lance Gorden? A meno che non fosse stato proprio con le spalle al muro, non era tipo da correre quel rischio personalmente. Eppure le sue erano idee sciocche, a pensarci bene. In fondo che rischio correva a spaccare la testa a un ficcanaso, ammesso che fosse stato lui a eliminare Darius Brunner? Certo però di una cosa, Casey disse: — Ho scorto l’uomo al volante. Un tale che ho già visto a casa di Gorden, il domestico credo. Ora, per l’amor del cielo, lasciatemi andare via. Potrebbero tornare.

Non era questa l’unica ragione, ma non voleva perdere tempo dando lunghe spiegazioni. Dopo il primo spavento, causato dall’apparizione di Maggie che aveva sciupato tutto, Gorden, o chiunque agisse per suo conto, avrebbe potuto decidere di restare a tiro per pedinarlo. Avevano indubbiamente notato la guida interna nel vicolo e dovevano quindi sapere che lui era diretto da qualche parte. Quando Maggie allentò la stretta, Casey si divincolò con uno strattone e, dopo averle strappato le chiavi di mano, indugiò soltanto il tempo necessario per raccattare il cappello dall’erba inzuppata. Il colpo ricevuto non gli dava malessere, a parte la sensazione che da un momento all’altro la calotta cranica dovesse volargli via.

— Tornate in casa — urlò mentre si precipitava verso l’automobile, ma quando si allontanò, Maggie era ancora immobile sotto la pioggia scrosciante. Era l’ora in cui nulla ha una forma definita. I toni grigi del crepuscolo piovoso ammantavano la città di monotone ombre gocciolanti, ma Casey osò accendere i fari soltanto al primo incrocio, quando svoltò verso nord. Poco dopo s’inoltrava in un viale animato e poteva mescolarsi alla fiumana del traffico. Se qualcuno lo stava seguendo avrebbe avuto il suo bel da fare, ora.

Ma forse non avevano bisogno di seguirlo, forse lo avevano sempre fatto e sapevano esattamente dove andare per trovare un tipo tanto ingenuo, da vantarsi di sapere che cosa contenesse il rapporto scomparso di Groot. Con quella notizia falsa aveva sperato di aizzare Gorden, non contando però su una reazione tanto drastica. E come aveva fatto Gorden a sapere dove trovarlo? Forse era appunto questa la domanda che Maggie stava cercando di rivolgergli, quando lui l’aveva lasciata sotto la pioggia. Una domanda a cui non gli garbava troppo rispondere. Infatti, aveva commesso un errore madornale quando aveva rivelato di conoscere il nascondiglio di Phyllis, nell’ufficio dell’avvocato. Siccome Gorden l’aveva trovata, l’altra volta, nella casa della Erie Street, logicamente aveva dedotto che Casey abitasse nei pressi.

Guidando con grande prudenza, svoltò alcune volte a vuoto finché non ebbe la certezza di non essere seguito. Non voleva correre rischi, benché ormai avesse capito che Gorden non si sarebbe dato la pena di fare la posta davanti all’abitazione di Maggie, se avesse conosciuta l’esistenza dell’appartamentino, e che non avrebbe atteso tanto per fargli visita. Andò a fermarsi oltre l’edificio e, non appena ebbe parcheggiato, corse al riparo sotto il telone del bar più vicino, da dove tenne d’occhio il traffico finché non fu sicuro che nessun’altra macchina si era fermata nelle vicinanze.

Mentre saliva le scale avvertì per prima cosa la musica; si sarebbe detto che Phyllis avesse riunito la banda del quartiere. Appena entrato vide che per fortuna era sola, ma si era in qualche modo procurata una radio, ora posata sul tavolo di cucina, e ballava al suono di una danza che a Casey parve ungherese. Ballava scalza; i capelli sciolti sulle spalle, e per un po’ non si accorse neppure della presenza di lui. Poi i suoi movimenti cominciarono a rallentare piano piano… come accade alle bambole meccaniche scariche.

— Mi sentivo sola — balbettò, scorgendo l’espressione severa negli occhi di lui. — Non l’ho pagata molto.

Pareva una bambina che si prepari a ricevere una ramanzina.

— Il pranzo è nel forno. Il droghiere mi ha dato una ricetta.

Casey andò in cucina con passo rapido e spense la radio, dicendo: — Ma brava! Ormai sarai intima con tutto il vicinato. Macellaio, fornaio…

— Il macellaio no — lo corresse lei. — È venerdì, e siccome mi ero dimenticata di chiederti se fai magro, nel dubbio, mi sono fatta fare una ricetta adatta al venerdì Casey!

Appena si era tolto il cappello, Phyllis aveva scorto il sangue e lo fissava, pallida. Poi lo trascinò nella stanza da bagno, dove gli lavò la ferita con premura. — Non abbiamo niente. Né cerotto, né garze, niente!

— Non ne ho bisogno. — Il tono di Casey era irritato. — Non sono ferito.

Fece cadere una ciocca di capelli sulla piccola scalfittura e le riferì i fatti nel modo più conciso possibile. Phyllis ascoltava ritta davanti a lui, a piedi scalzi, stringendo fra i denti il labbro inferiore, e il suo viso palesava il timore, che anche Casey provava in cuor suo.

— È stato qui nessuno, oggi? — le chiese. — Qualcuno è venuto a far domande?

— No… che io sappia.

— Quando sei uscita, ti hanno pedinata?

— Non lo so. Ma dove vuoi arrivare? Nessuno sa che siamo qui.

Casey si alzò dal bordo della vasca e andò nel salotto, dove accese le luci e si accostò alla finestra per guardare fuori. Il lampione rifletteva un confuso cerchio giallastro sul marciapiede bagnato, ma vide soltanto una ragazza col capo riparato da un giornale e un tipo con un cestino, troppo stanco per preoccuparsi della pioggia. Chiuse le imposte e si allontanò, dicendo: — L’idea di rimanere qui, non mi garba, è troppo rischioso. Maggie è stata vista e potrebbero tornare allo studio per estorcerle il nostro indirizzo.

— Non lo direbbe mai.

— Potrebbero costringerla. Comunque noi filiamo.

— Ma dove possiamo andare?

Già, dove? Non gli restava che un luogo, per quanto l’idea gli ripugnasse. Ritto nella semioscurità, fissava Phyllis sulla soglia illuminata e notò che non assomigliava più al sogno del bar Nuvola. A volte gli pareva impossibile che si trattasse della stessa persona. Questa era una bambina, una bambina incosciente che non capiva di dover stare appartata il più possibile e di non dover rivolgere la parola a chicchessia. Una bambina in cosciente che riusciva a ballare, mentre la morte la sovrastava come una spada di Damocle, e le prime piogge cadevano sulla tomba di suo padre. Doveva condurla al sicuro, in un luogo dove potesse sperdersi in mezzo a migliaia di altre persone insignificanti, in una città troppo grande per occuparsi dei fatti degli altri.

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