Il dottor Martinis, giovane esperto pubblicitario di belle speranze, va a Venezia con un carico di mangime per piccioni, travestito da mattonelle per pavimenti, e un incarico segreto della sua ditta, produttrice dell’aranciata Frinz. Egli pensa, giustamente: “Prima che Venezia venga inghiottita e digerita dalla Laguna, utilizziamola se non altro per fare la réclame a un prodotto tanto utile, particolarmente raccomandato ai fanciulli, alle persone anziane e agli arcivescovi”.
Il dottor Martinis, una certa mattina, farà spargere il mangime in piazza San Marco, ma non a vanvera né alla rinfusa, bensì secondo un disegno prestabilito: quando i piccioni, attratti da quella ghiottoneria, si poseranno sulla piazza, essi formeranno una scritta della lunghezza di metri ottantaquattro, che dirà: «BEVETE FRINZ!» Tale scritta verrà fotografata dal dottor Martinis, che la sorvolerà personalmente in elicottero. La fotografia verrà pubblicata sui giornali di tutto il mondo e la gente dirà, in molte lingue: ― Ah, finalmente si fa qualcosa per Venezia!
Tutto procede a meraviglia e senza scirocco. Il dottor Martinis assume in segreto numerosi portatori di mangime, facendo giurare loro sul tappo di una bottiglietta d’aranciata che manterranno il silenzio fino alla tomba e oltre: ― Ricordate, ― egli dice, ― non una parola con vostra moglie, non una sillaba con il baccalà alla vicentina, non un sospiro col Ponte dei Sospiri.
La mattina fissata i portatori spargono il mangime sul pavimento della piazza, il dottor Martinis si leva in volo con il suo elicottero personale, i piccioni calano dal campanile, dalle cupole, dai tetti, da tutte le alture circostanti, si tuffano in picchiata e... E niente. Essi rivolano in fretta, borbottando sentenze incomprensibili, alle loro elevate residenze.
― Ma che fate? ― grida il dottor Martinis. ― Che scherzi sono questi, o inconcludenti volatili? Quello è mangime di ottima qualità, la ditta Frinz vi vuol bene, io stesso sono stato decorato dalla Protezione Animali perché ho salvato un piccione che stava per essere divorato da un soriano!
I piccioni non lo sentono neanche. Se lo sentono, non capiscono. Se capiscono, fanno i finti tonti.
Il dottor Martinis atterra con l’elicottero in mezzo alla piazza, provocando lo svenimento di due anziane signorine di Amburgo. Si precipita a raccogliere una manciata di mangime, ci tuffa il naso, l’assaggia con la punta della lingua e immediatamente se ne libera, sputazzando a est e a ovest.
― Tradimento! ― egli esclama. ― Il mangime puzza fortemente di Felibilina, l’ingegnosa sostanza studiata apposta per tener lontani i piccioni, in quanto procura loro incubi spaventosi, durante i quali si sentono circondati da migliaia di gatti affamati. Ma chi può aver avvelenato il mio mangime con detta sostanza?
Il dottor Martinis raduna i portatori di mangime e fa l’appello. Ne manca uno, chiamato Bepi di Castello.
― Ecco il traditore, ― conclude Martinis, giudiziosamente.
― Ciò, ― protestano i portatori, ― Bepi un traditor? Ma non è vero: sono venuti a chiamarlo perché sua nonna ha il morbillo.
― È già la terza nonna che gli si ammala, poareto!
― Come, la terza?!? ― domanda Martinis interdetto.
― Noialtri non sappiamo, ― dicono i portatori, ― però sappiamo che Bepi di Castello lo chiamano anche Bepi delle Tre Nonne.
Il dottor Martinis nutre un lieve sospetto che i portatori gli stiano dando da bere acqua per Tocai, ma non ribatte. Mentre si volta per andarsene, nota tra la folla un tizio che sogghigna satanicamente... Ma non è un Tizio qualsiasi! È il dottor Martonis, giovane esperto pubblicitario di belle speranze, che si trova a Venezia in incognito per realizzare un fantastico progetto: far scrivere ai piccioni sul pavimento di piazza San Marco, attirandoli con ghiotti e abbondanti mangimi:
Egli calcola che per formare la scritta occorreranno cento quintali di mangime e trentanovemilaottocentoventi piccioni.
― Sei tu, Martinis? ― dice Martonis, fingendo sorpresa, gentilezza e simpatia.
― Sei tu, Martonis? ― ripete Martinis, con le stesse armi. I due rivali si stanno di fronte col sorriso sulle labbra e il bazooka sotto l’impermeabile.
― Mi trovo a Venezia, ― spiega Martonis, ― per ammirare i capolavori del Tintoretto nella Scuola di San Rocco.
Martinis non gli crede, ma si lascia offrire ugualmente l’aperitivo. Poi corre a ordinare dell’altro mangime per i piccioni. La mattina seguente va a ispezionare piazza San Marco e che cosa vede? Gli uomini di Martonis la stanno decorando con il loro mangime! Martinis sta per essere colto da un attacco di tonsillite, ma guarisce subito perché i piccioni si comportano con l’aranciata Fronz allo stesso modo che con l’aranciata Frinz: si tuffano, annusano appena e risalgono in disordine le azzurre valli dell’aria che avevano discese con tanto appetito.
Sorpresa! Anche il mangime Fronz puzza di Felibilina, l’ingegnosa sostanza che puzza di gatto e provoca incubi ai piccioni.
Martinis e Martonis si abbracciano, uniti nel dolore.
― Siamo stati traditi entrambi da terze persone, ― essi esclamano tra i singhiozzi. ― Qualcuno odia imparzialmente l’aranciata Frinz e l’aranciata Fronz.
I due giovani dottori, dopo essersi pagati a vicenda alcuni aperitivi per consolarsi (olive e patatine sono gratis), decidono di svolgere indagini comuni, per risparmiare sulle spese generali. I loro sospetti gravano, per il momento, su Bepi di Castello. Lo vanno a cercare e lo trovano all’osteria dei Tre Mori che beve vino bianco, perché non è ancora mezzogiorno e lui il vino rosso lo beve solo nel pomeriggio.
― Come stanno le sue nonne? ― gli domanda educatamente il dottor Martinis.
― Una ha il morbillo, un’altra è in convalescenza e la terza è ormai completamente ristabilita, grazie.
― Come fa ad averne tre? ― domanda il dottor Martonis, che non è al corrente.
― Non ha importanza, ― risponde Bepi di Castello. ― Del resto so già che loro sono qui per l’affare dei piccioni. Ma io non c’entro. Quella mattina mi sono dovuto recare all’osteria di Cannaregio per l’inaugurazione ufficiale di una damigianetta di Merlot.
― Menzogna! Il Merlot è rosso e lei alla mattina beve solo bianco.
― Ho fatto uno strappo alla regola. Ecco il certificato dell’oste... ecco le dichiarazioni firmate da dodici testimoni... Questo è il mio certificato di battesimo. Occorre altro?
Di fronte a tante prove d’innocenza, Martinis e Martonis battono in ritirata. Essi vagano a lungo senza nesso da un ponticello all’altro, confidandosi le loro pene.
― Dopo un tale smacco, ― sospira il dottor Martinis, ― come tornare in ditta? Meglio cambiar mestiere. Da piccolo sognavo di fare il suonatore di campane: forse è la volta buona.
― Sì, ― approva il dottor Martonis, ― mi sembra un’ottima decisione. Io alleverò maiali selvatici.
― Perché selvatici?
― Perché il mangime se lo trovano da soli e al proprietario resta la semplice fatica di venderli e intascare i soldi.
Mentre fanno progetti per il futuro, scende di nuovo la sera. È fatta così, la sera: non sa far altro che scendere; bisogna compatirla.
Intanto è arrivato il nuovo carico di mangime per piccioni ordinato dal dottor Martinis dopo il suo primo fallimento. Gli scaricatori di mangime hanno ammucchiato i sacchi nella solita cantina affittata per la bisogna.
― Sai cosa facciamo? ― domanda il dottor Martonis.
― No, non me l’hai ancora detto, ― risponde Martinis.
― Facciamo così: ci nascondiamo nella cantina e teniamo d’occhio i tuoi sacchi, così coglieremo sul fatto l’avvelenatore di mangimi.
― Ottima idea, che forse mi permetterà di riscattarmi e di esaltare come meritano i meriti dell’aranciata Frinz.
― Già, e dell’aranciata Fronz, che ne facciamo? L’idea è stata mia.
― Ma i mangimi sono miei!
Decidono che tireranno a sorte tra Frinz e Fronz: chi perde, cambierà mestiere. Cavano fuori un tappo Frinz e un tappo Fronz, ci stendono sopra la mano e giurano di rispettare lealmente i patti. Poi si nascondono nell’angolo più buio della cantina, causando notevole disturbo a uno scarafaggio che si vede costretto a traslocare con tutta la famiglia.
Il buio non è così pesto come si dice: un po’ di chiarore penetra da una finestrella che da su un rio; si vede passare una gondola con il suo gondoliere, si vede passare un gatto in equilibrio sul cornicione, a un palmo dall’acqua nera e gravemente inquinata. Passa un altro gatto. Il terzo, invece di passare, penetra nella cantina, fa una passeggiatina tra i sacchi e se ne va. Arriva un altro gatto e ripete punto per punto le sue mosse. Arriva ancora un gatto, ne arrivano due, ne arrivano sette tutti insieme... Passano in ispezione i sacchi, li fiutano, ci si accucciano per pochi minuti e se ne vanno.
― Ne ho contati già ventinove, ― sussurra il dottor Martinis, ― e ancora non ho capito che cosa combinano.
― Non hai capito perché hai il raffreddore, ― dice il dottor Martonis.
― Cosa c’entra l’odorato con l’intelletto?
― Certe idee, caro collega, vengono dal naso. Sai cosa ti dico?
― Dimmelo, e dopo ti dirò se lo so oppure no.
― Quei gatti vengono qua dentro solo per fare pipì. Hai capito adesso quante sono le ore? Questa cantina è il loro gabinetto. La fanno qua per non inquinare ulteriormente le acque della Laguna. A quanto pare i gatti veneziani hanno una squisita coscienza ecologica.
― Ma allora...
― Proprio così. Niente Felibilina. Nessun sabotaggio. Sono stati i gatti a conferire ai nostri mangimi (i miei stavano in una cantina come questa) la puzza che ha spaventato i piccioni e che noi abbiamo scambiata per un ingegnoso ritrovato della chimica moderna. Andiamo, quello che c’era da fiutare qua dentro l’abbiamo fiutato.
I due dottori tornano alla luce. Sorge l’alba, che è sempre bravissima a sorgere... non ha mai mancato una volta da quando esiste il mondo...
Martinis e Martonis vanno a fare quattro passi in piazza San Marco per respirare un po’ di smog. Li ferma al passaggio una vecchina: ― Vogliono dare da mangiare ai piccioni, siori? Cento lire al cartoccio.
― Come mai già in piedi, nonnetta? Ne girano pochi, di turisti, a quest’ora.
― Cosa vogliono, siori, alla mia età si dorme poco. Io lavoro anche di notte, sa.
― Davvero davvero?
― Ma sì, benedeti: di notte do da mangiare ai gatti. Ce n’è tanti, gatti, a Venezia, sa. E mi conoscono quasi tutti, vedono. E io ci voglio bene, ci parlo.
― E loro capiscono?
― Tutto capiscono, siori. Ogni cosa, benedeti. E io ci raccomando di andare d’accordo, l’igiene e la pulizia, tante cosette, poareti. Allora, siori, vogliono il becchime? Ne do tre cartocci per duecento lire; a chi compra cinque cartocci gli do anche i buoni punto: con diecimila buoni punto si ha diritto a un gatto.
I dottori Martinis e Martonis comprano tre cartocci a testa. Guardano la vecchina, la riguardano, la studiano come se fosse una materia di scuola, mettiamo la geografia. Martinis ha un sospetto.
― Come vi chiamate, buona donna?
― Mi? Mi son la nonna di Bepi di Castello.
― Ah...
― La prima o la seconda? ― domanda a sua volta il dottor Martonis.
― La terza, benedeto.
― Come mai?
― Dunque, la prima è la madre di sua madre, la seconda è la madre di suo padre. E io sono la nonna di sua moglie. Sono una nonna acquisita, capiscono? Eh, cosa vogliono, siori, si fa quel che si può...
Martinis e Martonis la guardano con crescente sospetto. Così i giudici della Serenissima guardarono, un tempo, il povero Fornaretto. Così gli Inquisitori trapassarono con gli sguardi le povere streghe di una volta. Ma la vecchina, intascati i suoi soldini, si allontana per i canali suoi.
Intorno alla testa le svolano i piccioni a centinaia.
Dietro la gonna le camminano in fila, a coda ritta, centinaia di gatti, con migliaia di zampe di velluto.
Martinis e Martonis restano lungamente a bocca aperta. Poi finalmente, con un invitante fracasso di saracinesca, si apre il primo caffè.