(con molte rime in «or»)


Il poeta Sorellini, che di primo nome fa Alberto e di secondo Alberto, è il capo di una banda di poeti che scrivono parole per le canzoni e di musicisti che scrivono canzoni per le parole. Egli è detto anche il Poeta Piangente, un po’ perché porta i capelli a salice, un altro po’ perché compone sempre con le lacrime agli occhi, ancora un po’ perché i suoi versi sono perennemente intonati alla più umida malinconia.

Alberto Alberto è famoso in tutta Italia e nel Canton Ticino come inventore della rima cuor-amor. Ma su questo punto occorre essere sinceri: quella rima in realtà egli l’ha rubata al poeta Osvaldo (che si chiama Osvaldo e basta), già capo di una banda rivale, ora non più, perché Alberto Alberto da dieci anni lo tiene prigioniero in un’antica torre sulla riva del mare, onde impedirgli di rivelare il suo segreto.

Il segretario privato di Alberto Alberto, di nome Oscar, sta per l’appunto tornando dalla torre antica, dove si reca ogni giorno per gettare al prigioniero un sacchetto di grissini, suo unico cibo (Osvaldo non mangia pane, per non guastarsi la linea).

― Come l’hai trovato? ― domanda Alberto Alberto, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto e facendosi dare da Oscar un fazzoletto di ricambio.

― Di ottimo umore, ― riferisce Oscar. ― Dice che sta per trovare un’altra rima con cuor. Al massimo, dice, gli ci vorranno ancora diciotto mesi, ma se la sente già sulla punta della lingua.

― È un vero demonio! ― esclama Alberto Alberto, inzuppando di lacrime anche il secondo fazzoletto, che subito Oscar ripone religiosamente. Lo zelante segretario, infatti, è il principale addetto ai fazzoletti del Poeta Piangente. Li ricama lui stesso, col monogramma del suo padrone. Se ne porta sempre appresso una scatola di dodici dozzine.

Ma anche Oscar ha il suo piccolo segreto: egli spreme i fazzoletti bagnati, ne raccoglie le lacrime in un fiasco, quindi le travasa in eleganti flaconcini che vende nascostamente, ma a caro prezzo, agli ammiratori ed alle ammiratrici del Poeta. Chi compra dieci flaconcini ha diritto a un supplemento di lacrime in artistica confezione spray o, a scelta, a un apribottiglie. L’acquisto può essere effettuato per posta e a rate. Si fanno spedizioni anche per l’America Latina.

― Scrivi, ― ordina Alberto Alberto, che durante l’assenza di Oscar ha composto una nuova poesia, tutta a memoria. Egli detta e Oscar scrive:


Ti ricordi quella volta

cuor

che mi hai rubato il calzascarpe

amor

e poi sei fuggita

a Gualdo Tadino

con un elettrauto mancino

lalalà

io da quel giorno piango

lalalà

ma tu non torni da me

lalalà lalalà perché

almeno non mi rimandi il calzascarpe

per posta?

Lalalà lalalà...


Oscar è impressionatissimo: ― Che versi, Maestro! Ma lo sa che con una canzone così lei può anche vincere il Festival di Busto Arsizio?

― Fa’ entrare tutti, ― dice Alberto Alberto, singhiozzando. ― Darò personalmente lettura della mia composizione prima di scegliere il musichiere.

― Avanti la banda, ― grida Oscar, spalancando la porta.

Entrano, in fila per due, trenta poeti e ventiquattro musicisti (i musicisti sono meno numerosi dei poeti ma sono più grassi; il conto torna). Si schierano sull’attenti e intonano l’inno della banda, composto dallo stesso Alberto Alberto:


Cuor

amor

lalalà lalalà

cuor

lalalà

cuor cuor

lalalà lalalà

che tristezza mi fa

amor...


Stanno per attaccare la seconda strofa (la più famosa, quella che comincia con amor invece che con cuor) quando entra correndo e ansando un messaggero con la faccia di uno che vorrebbe trovarsi a Bogotà, o almeno in vacanza a Capri, e si getta ai piedi di Alberto Alberto, esclamando con voce rotta dal terrore: ― Maestro, pietà! Che sarà mai di me?

― Non lo so, ― risponde il Poeta Piangente, ― non ne ho la minima idea. Che cosa è successo?

― Il prigioniero...

― Il prigioniero?

― È fuggito!

― Anche lui a Gualdo Tadino?

― Lo ignoro, Maestro. Il guardiano della torre antica riferisce soltanto che Osvaldo, servendosi dei grissini, ha scavato un cunicolo sotto la sua cella ed è uscito in aperta campagna, in direzione nord-est.

― L’avevo detto di non dargli dei grissini troppo secchi, ― ricorda tristemente Alberto Alberto.

― Glieli davamo freschissimi, padrone, ― spiega Oscar, ― e in parte già masticati. Si vede che li conservava per farli seccare.

― Sono molto seccato, ― annuncia Alberto Alberto, gettando un fazzoletto zuppo. ― Sentiamo se il giornale radio parla di questa storica evasione.

Oscar accende la radio proprio mentre l’annunciatore dice, con la voce della festa:

― Amici miei, una grande notizia! Dopo dieci anni di ritiro e di meditazione in luogo misterioso, noto a lui solo e a pochi intimi, è tornato tra noi il celebre poeta Osvaldo. Ascolterete dalla sua stessa voce le parole della canzone da lui composta in questo fecondo decennio di solitudine.

Osvaldo (tossicchia, si raschia in gola). Attacca:


Amor

cuor

ricordo ancor

la triste sera che mi lasciasti

per fuggire a Molfetta

col ragionier Vincenzo Bartoletta

di anni ventotto e mesi tre

lalalà lalalà...


― Spegnete! ― urla Alberto Alberto. ― Quel demonio mi ha ingannato su tutta la linea: Cuor-amor-ancor... Aveva già trovato la nuova rima e mi faceva credere che gli mancavano ancora diciotto mesi di lavoro. Voi, altri, rip-poso!

I poeti e i musicisti, che per tutto questo tempo erano rimasti sull’attenti, si rilassano.

Alberto Alberto riflette: ― C’è un profondo mistero in tutto ciò. Forse...

Ma un improvviso scoppio di voci ruba per sempre ai posteri il seguito di quella dichiarazione della più alta importanza. Sale, dal giardino sottostante, un coro minaccioso:


Lalalà lalalà

perchè perchè

sei fuggita da me

senza lavar

la macchinetta del caffè

cuor amor lalalà...


La banda di Osvaldo circonda la villa del Poeta Piangente cantando il suo inno di guerra. Alberto Alberto non ha un attimo di esitazione: ― Ai posti di combattimento!

Poeti e musicisti si appostano presso le porte e le finestre. Oscar batte le mani e i camerieri portano immediatamente numerosi paioli di polenta fumante, che viene sempre tenuta pronta per emergenze del genere. La polenta è fatta con la farina fina che, essendo impermeabile all’aria, si conserva bollente più a lungo. Quando la banda di Osvaldo, guidata dal suo diabolico capo di ritorno dalla prigionia, viene all’attacco, i difensori le rovesciano addosso la polenta, cantando eroicamente l’inno composto da Alberto Alberto per questa evenienza, che dice:


Cuor amor

come scotta

la polenta stracotta

anche senza marmellata

lalalà lalalà...


L’assalto è respinto. Osvaldo e la sua banda si preparano a un lungo assedio. Bisogna sapere che la villa sorge alla periferia della città, sulle colline dell’Ovest. Il Poeta Piangente in persona ha scelto quel posto, di dove si ammirano meravigliosi e commoventi tramonti. Ora Osvaldo, animato dall’odio implacabile e dal desiderio di vendetta, innalza in giardino un immenso schermo di plastica bianca, che impedisce totalmente ad Alberto Alberto la vista dei tramonti in oggetto. Per ispirarsi egli è costretto a farsi proiettare da Oscar dei piccoli tramonti sulla parete del salotto: non è davvero la stessa cosa... La produzione di lacrime diminuisce sensibilmente... È difficile cantare amori infelici, tradimenti e abbandoni, fidanzamenti interrotti, fughe di amanti infedeli in Romagna o a Potenza, davanti a quei tramontini casalinghi di metri tre per due.

Della fame Alberto Alberto non si preoccupa: egli tiene in cantina una riserva inesauribile di farina gialla e salsicce. Ma i versi... i versi gli riescono sempre meno disperati... sempre meno malinconiosi... sempre più asciutti... Un giorno egli giunge a dettare al fido Oscar una poesia che comincia così:


Cuor

raffreddar

mannaggia al locomotor...


Oscar ha un brivido di spavento. Poeti e musicisti, che si erano radunati per ascoltare, balzano indietro come se avessero calpestato per distrazione un cobra.

― Maestro, ― bisbiglia Oscar, ― non ha dimenticato nulla? Non le pare che manchi una parola... una parolina... che comincia per a e finisce per or?

― Ma cosa, ― balbetta Alberto Alberto, ― quale parolina?... Ascoltator? Appaltator? Alfabetizzator?... Bè, dimmela tu, senza farla tanto lunga.

Ventilator, ― suggerisce Oscar. E subito si accorge che voleva dire un’altra cosa. Egli rivolge uno sguardo supplichevole agli altri poeti e musicisti. Tutti si provano a suggerire:

Cavolfior...

― Scardassator...

― Servomotor...

Macché. Non ce la fanno; La parola amor si sottrae ad ogni tentativo di pronuncia. La banda sta per piombare nel più cupo sconforto, ma non fa in tempo, perché dal giardino la voce di Osvaldo grida, a mezzo altoparlante: ― Protesto! State usando armi sleali e proibite dalla convenzione di Sanremo! State facendo ricorso all’ipnotismo! Io e i miei uomini non riusciamo più a pronunciare quella parola di quattro lettere che comincia per a, finisce per or, ma non è né ascensoraromatizzator. Se non la smettete, farò bombardare la villa con quarantotto pianoforti a coda.

― Osvaldo, ― risponde Alberto Alberto, ― sappi che a noi succede la stessa cosa. Te lo giuro con una mano sul mio saldator.

― Cosa? Volevi forse dire sul tuo trebbiator?

― No, no, volevo proprio dire sul mio viceispettor.

A questo punto è chiaro che né Alberto Alberto né Osvaldo riescono più a pronunciare la parola cuor. E con amor sono due. Essi hanno perso la rima che ha fatto, pur fra tante lotte intestine, la loro fortuna!

La guerra viene immediatamente sospesa. Poeti e musicisti vengono spediti ai quattro punti cardinali a cercare le due parole perdute.

― Portatele qui, vive o morte !

Si frugano i cespugli, si esplorano le caverne, si rastrella il Parco Nazionale d’Abruzzo, si scalano le Alpi Cozie; ma cuor e amor non si trovano. Il fatto è che gli uomini non riescono nemmeno a chiamarle per nome. Ogni volta che ci si provano, essi riescono solo a gridare: Temporeggiator!, Ultracondensator!, Televisor!, Buoni del Tesor!...

Le indagini durano sei mesi e centoventi giorni. Poi cessano per mancanza di fondi. Alberto Alberto e Osvaldo, infatti, dopo aver profuso tutte le loro ricchezze nelle ricerche, ridotti in miseria, si danno all’elemosina.

Le bande si danno al saccheggio. Oscar se la passa meglio, vendendo sui mercati le lacrime del Poeta Piangente (ne possiede ancora sette ettolitri), ma per smerciare quel prezioso liquido è costretto a sostenere, mentendo per la gola, che si tratta di una lozione per far crescere i denti.

Gli esperti sostengono che le parole cuor e amor non sono fuggite, non sono state rapite da estranei, non si sono sperdute nella macchia, ma si sono semplicemente consumate per il troppo uso, come le saponette quando si riducono a minuscole scaglie che scompaiono senza rimpianti nello scarico della vasca da bagno, tra un funesto gorgogliare di acque sporche.


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