Il commendator Mambretti è il padrone di una fabbrica di accessori per cavatappi a Carpi, in provincia di Modena. Egli possiede trenta automobili e trenta capelli.
― Quante automobili, ― dice la gente.
― Che pochi capelli, ― sospira il commendator Mambretti. Non si sa perché: in fin dei conti, trenta è uguale a trenta, no?
Per andare in fabbrica il commendator Mambretti prende un’automobile lunga dodici metri: la più grande, la più lussuosa, la più gialla dell’intera regione Emilia-Romagna. Tutte le mattine, mentre guida, il commendator Mambretti domanda allo specchio retrovisore:
― Specchio, specchio cortese, qual è l’automobile più bella del paese?
― La sua, commendator Mambretti, ― risponde lo specchio con voce da sassofono tenore.
Soddisfatto della risposta, il più famoso produttore di accessori per cavatappi della Valle Padana pigia il pedale dell’acceleratore e la macchina scivola avanti come una regina della strada.
Una mattina di lunedì, come sempre, il commendator Mambretti strizza l’occhio e domanda allo specchio retrovisore:
― Specchio, specchio cortese, qual è l’automobile più bella del paese?
E già si prepara ad assaporare la risposta come un cioccolatino al whisky scozzese con dodici anni d’invecchiamento, quando lo specchio risponde, con voce da bassotuba:
― É quella del ragionier Giovanni.
― Mannaggia, ― dice il commendator Mambretti, pigiando il pedale del freno. È una parola che ha imparato al cinema.
― Non è possibile, ― egli grida. ― Che ti venga la congiuntivite! Il ragionier Giovanni è un morto di fame, ha solo una bicicletta senza la pompa!
Ma lo specchio, più volte interrogato, ribadisce con fermezza. Sotto la minaccia di essere fatto a pezzi, venduto come schiavo, ricoperto di carta velina, non muta la sua sentenza. Il commendator Mambretti scoppia in pianto, e un vigile gli appioppa una contravvenzione perché blocca il traffico. Paga, riparte, corre in fabbrica. Nel suo ufficio il ragionier Giovanni sta ripassando sul suo violino il concerto di Max Bruch.
Il ragionier Giovanni è un ometto secco, con i capelli bianchi. Li aveva già bianchi fin da bambino, tanto che i suoi compagni lo avevano soprannominato Biancaneve.
In ditta, fa di tutto. Lucida gli accessori per cavatappi, serve da tavolino al principale quando gira per la fabbrica e deve prendere appunti (li prende sulla schiena del ragionier Giovanni) e fa il commento musicale. Il commendator Mambretti non vuol essere da meno dei personaggi dei teleromanzi, che non parlano se non c’è il commento musicale: anche quando fuggono nella notte, hanno sempre dietro un’intera orchestra (sarà magari su un camion) che gli suona delle tremende sinfonie. Nell’ufficio c’è un paravento. Quando viene un cliente a trattare un affare, il ragionier Giovanni va dietro il paravento con il suo violino. Dalla voce del principale capisce se deve suonare un adagio, un andantino o un presto molto.
― Buongiorno, commendatore, ― dice il ragionier Giovanni, staccando l’archetto dalle corde.
Il commendatore lo guarda a lungo, con uno sguardo pessimistico, e quando parla lo fa con voce così triste, che il ragionier Giovanni si sente in dovere di attaccare il tema della morte di Isotta.
― Non ci siamo, non ci siamo, ragionier Giovanni, ― dice il commendatore, ― e lasci stare Wagner. Tutte queste novità... queste automobili...
― Ah, l’ha già saputo?
― Sono cose che si sanno. La gente mormora...
― Ma non c’è niente di male! È morta mia zia Giuditta, mi ha lasciato qualche ducato, così mi sono deciso a comprare quella macchinetta.
― Macchinetta, eh? Vadi, vadi...
― Ma, cosa dice, commendatore, guardi con i suoi occhi personali.
Là, in un angolo del cortile, si nota con qualche sforzo una minuscola automobile rossa a tre ruote, non più alta di uno sgabello. Pare un’automobile rimasta bambina per mancanza di vitamine.
― E quella lì sarebbe l’automobile più bella del paese? ― riflette il commendator Mambretti, sorridendo con un solo dente. ― Si vede che il mio specchio è diventato scemo dalla nascita. Che gli venga l’orticaria.
Intanto si vedono degli operai che attraversano il cortile per il loro lavoro. E tutti si fermano a guardare l’automobile del ragionier Giovanni. Uno le fa una carezza, un altro le spolvera un parafango col fazzoletto, un terzo è così distratto che si accende due sigarette in una volta. E nessuno sembra accorgersi che proprio quella mattina l’automobile del commendator Mambretti ha un’antenna nuova per la radio, tutta di lapislazzuli, e un quadro nuovo di Annigoni nel settore artistico.
― Sovversivi, ― borbotta il padrone. ― Basta che vedano del rosso.
Più tardi, nel tornare a casa, il commendator Mambretti domanda per l’ultima volta allo specchio retrovisore: ― Dimmi, ma non mentir, qual è l’automobile più bella del paese?
― È quella del ragionier Giovanni.
― Ma perché?
― È quella del ragionier Giovanni.
― Ma se non ha nemmeno l’impianto per la doccia calda e fredda, il samovar e il registratore a cassetta?!
― È quella del ragionier Giovanni.
― Che ti venga un giradito, ― esclama il commendator Mambretti.
Lo specchio tace dignitosamente, rispecchiando di passaggio un autotreno con rimorchio pieno di maiali diretti a un salumificio di Reggio Emilia.
Quella sera stessa il commendator Mambretti decide di andare al cinema per dimenticare i dispiaceri. Davanti al Cine Star trova le automobili in sosta, fitte come i pini nel pineto, le querce nel querceto e le ciliege nel vaso delle ciliege sotto spirito. Mentre cerca un posto per parcheggiare la sua supermacchina, egli scopre proprio li, a due metri dal suo paraurti anteriore, il macinino, il minisgorbio, il microscarabocchio del ragionier Giovanni. La piazza è deserta. I carpigiani stanno tutti al cinema, a casa a guardare la televisione e al caffè a giocare a ramino. Non circola anima viva, non ci sono posteggiatori abusivi in vista, la luna è assente giustificata.
― Adesso o mai più, ― decide il commendator Mambretti.
Basta un colpetto all’acceleratore. Il muso possente della supercilindrata balza sulla macchinetta rossa, che del resto, essendo notte, sembra nera. La schiaccia come una fisarmonica. Freno. Marcia indietro. Prima e seconda. Via a tutto gas. Nessuno ha visto niente. Nemmeno lo specchio retrovisore, perché guardava dall’altra parte e in pratica faceva il palo.
All’uscita dal cinema il ragionier Giovanni vede la sua macchina ridotta a una via di mezzo tra un colabrodo e una pizza alla napoletana e sviene. Molti carpigiani lo assistono amorevolmente, gli danno piccole sberle, gli fanno odorare sali e tabacchi per farlo rinvenire.
― Povero me, ― sospira il ragionier Giovanni. ― Addio del passato bei sogni ridenti!
― Suvvia, non se la prenda, ― dice la gente. ― Ci penserà Settemani.
― Chi?
― Il carrozziere, no? Quello che chiamano Settemani da tanto che è bravo, che pare che abbia davvero sette mani al posto di due.
― Ah, Settemani.
― Chi mi chiama? ― domanda un omone che esce dal cinema per ultimo.
― Si parlava giusto di lei, signor Malagodi detto Settemani. Guardi che carneficina.
― Eh, ne ho viste di peggio. Ci penso me. Posso prenderla, ragionier Giovanni?
― Sì, grazie tante.
Con una sola mano, Settemani solleva il cartoccio, se lo ficca sotto il braccio e si avvia verso l’officina tra due ali di popolo.
Quella notte il ragionier Giovanni dorme sul pavimento dell’officina, abbracciato ai rottami della sua mini. La mattina dopo Settemani si rimette al lavoro e il ragionier Giovanni non va neanche in fabbrica per starlo a guardare sospirosamente.
Il commendator Mambretti ha un incontro d’affari con un affarista di Stoccolma; sente molto la mancanza del commento musicale, ma fa finta di niente. Dopo pranzo manda una spia a spiare quel che succede nell’officina di Settemani. La spia torna quasi subito.
― E allora?
― Quel Settemani è proprio un fenomeno, commendatore. La macchina è tornata come nuova. Settemani la sta verniciando e il ragionier Giovanni gli fa il commento con il violino.
Il commendator Mambretti picchia un pugno sul tavolo che lo spacca. Con le difficoltà che ci sono oggi a trovare un buon falegname. Poi manda la spia in un altro posto. Bisogna sapere che il commendator Mambretti è il capo segreto di una banda di ladri di automobili. Ai suoi ordini la banda si mette in movimento. Prima passa dall’officina un tale a chiamare Settemani: ― Ha detto sua moglie di andare a casa, perché le hanno rubato il borotalco.
― Ancora? ― sbotta Settemani. ― È già la terza volta in una settimana. Vado subito a vedere. Lei, ragionier Giovanni, mi aspetti qui.
Settemani corre a casa. Allora passa dall’officina un altro tale e offre al ragionier Giovanni un gelato alla panna. Il ragionier Giovanni lo accetta come un segno di solidarietà per le sue disgrazie, ma nel gelato c’è un sonnifero. Appena il ragionier Giovanni si addormenta, arriva la banda e fa sparire la macchina. Arriva anche Settemani, tutto contento perché la cosa del furto del borotalco non era vera; vede il ragionier Giovanni che dorme. Non vede più la macchina, che è sparita; capisce ogni cosa e si mette a piangere: non può mica mandare la fattura ai ladri...
Subito dopo arriva il postino: ― Telegramma per il ragionier Giovanni.
― Poveraccio! Gli hanno appena rubato la macchina, adesso anche un telegramma. Io non lo sveglio. Anch’io vorrei dormir così...
Finisce che a svegliare il ragionier Giovanni ci pensa il postino. Il telegramma dice: “Morta zia Pasqualina, vieni prendere eredità”.
― Meno male, ― dice Settemani. ― Magari con l’eredità si compra una macchina con quattro ruote...
Il giorno dopo, mentre va in fabbrica, il commendator Mambretti domanda malignamente allo specchio retrovisore:
― Specchio specchio cortese, qual è adesso l’automobile più bella del paese?
E lo specchio, con voce da balalaika: ― È quella del ragionier Giovanni.
Il commendator Mambretti, per lo sbalordimento, passa col rosso e prende la multa. Corre in fabbrica, manda a chiamare il ragionier Giovanni, lo vede tutto allegro, pronto a suonare il Moto perpetuo di Paganini.
― Non ci siamo, ragionier Giovanni. Tutte queste novità, queste automobili...
― Ma quale automobile, commendatore? Guardi lei stesso con i suoi occhi personali.
Il commendator Mambretti guarda dalla finestra. In un angolo del cortile, circondato dall’ammirazione degli operai e delle impiegate, col muso tuffato in un sacchetto di avena, c’è un cavallo bianco che batte uno zoccolo per terra e fa: Toc toc, toc, come per dire: “Prendi, incarta e porta a casa”.
― Me l’ha lasciato mia zia Pasqualina, morendo sul letto di morte.
“Chi me l’ha fatto fare,” pensa il commendatore, “di assumere un ragioniere con tante zie moribonde. Per fortuna sono il capo segreto di una banda di ladri di cavalli e prima di domani sarà sistemata anche l’eredità della zia Pasqualina. Ma lo specchio mi deve spiegare perché gli piace più questo brocco della mia automobile, che di cavalli ne ha ventisette!”
Lo specchio, invece, non spiega niente. Continua a ripetere che il cavallo del ragionier Giovanni è la più bella automobile del paese e il commendator Mambretti ci si arrabbia, tanto che si strappa i capelli. Così gliene restano solo ventotto.
― Specchio del diavolo, ― egli grida. ― Tu sei il più brutto giorno della mia vita. Che ti vengano gli orecchioni.
Quando gli rubano anche il cavallo bianco il ragionier Giovanni vuol diventare matto dal dolore, ma non ci riesce. Allora prende il violino e ci fa un commento musicale così bello, ma così bello che la gente viene fin da Sassuolo e da Voghera per sentirlo. Viene anche un maestro della Scala di Milano. Era fermo a far benzina sull’Autostrada del Sole e sente quel violino.
― Chi è che suona così bene e anche meglio? ― domanda al benzinaro.
― È il ragionier Giovanni che fa il commento musicale.
― Voglio conoscerlo.
Fa la sua conoscenza e gli dice: ― Lei è il più bravo violinista del mondo. Se viene con me, la faccio diventare ricco a palate e anche di più.
Il ragionier Giovanni esita. Nonostante tutto egli è affezionato alla ditta Mambretti e gli piacciono gli accessori per cavatappi. Però sente tanto la mancanza del cavallo che accetta la proposta. Va a Milano. Di mestiere fa il più bravo violinista del mondo. Guadagna un sacco di rupìe e finalmente può coronare il sogno segreto della sua vita: comprare un tram da corsa!
Quando va a Modena col suo tram da corsa, tutti corrono a battergli le mani. Escono anche le monache dai conventi e il commendator Mambretti si chiude in casa per non vedere, per non sentire, per non farsi venire la voglia di strapparsi un altro capello.