Non è possibile vedere una mente. Ma il Rosa la vedeva, o la sentiva… o almeno sapeva che la mente era lì.
E per Shepherd Blaine non vi fu sorpresa, non vi fu un senso di alienità. Sembrava quasi che lui fosse ritornato a casa, perché l’azzurro vivo di quella stanza era molto più familiare di quanto gli fosse apparso la prima volta.
Bene, disse il Rosa, osservando attento la mente, fate proprio una bella coppia.
Ed era così, naturalmente, pensò la parte della mente che era ancora Shepherd Blaine… lui, o almeno una parte di lui, forse addirittura la metà di lui, aveva fatto ritorno a casa. Perché, in una percentuale non ancora ben stabilita, e forse impossibile da stabilire, lui era una parte dell’alieno che gli stava di fronte. Era Shepherd Blaine, un viaggiatore venuto dalla Terra, e nello stesso tempo era una copia carbone della cosa che abitava in quella stanza azzurrovivo.
E come va? chiese l’alieno, con grande affabilità. Come se non lo avesse saputo.
C’è solo una cosa, disse Blaine, affrettandosi, perché pensava di poter essere costretto ad andarsene di lì da un momento all’altro.
C’è solo una cosa. Tu ci hai fatti diventare come uno specchio. Riflettiamo la gente.
Ma certo, gli disse l’alieno. È l’unico sistema efficace. Su di un pianeta alieno è necessario uno schermo. Altrimenti le altre intelligenze curiosano. In questo modo, rifletti la loro curiosità. Qui in patria, naturalmente, non sarebbe necessario…
Ma tu non capisci, protestò Blaine. Questo non ci protegge. Attira l’attenzione su di noi. Per poco non ha causato la nostra morte.
Non esiste, disse l’alieno a Blaine burberamente. La morte non esiste. È uno spreco così orribile. Ma forse posso sbagliarmi. Mi sembra che ci fosse un pianeta, molto tempo fa…
Sembrava quasi di sentirlo frugare nello schedario della sua memoria stipata.
Sì, disse finalmente. C’era un pianeta. C’erano parecchi pianeti, anzi. Ed era una vergogna. Non riesco a capirlo. Non ha affatto senso.
Posso assicurarti, gli disse Blaine, che sul mio pianeta c’è la morte per tutto. Per ogni cosa…
Per ogni cosa?
Beh, non posso esserne certo. Forse…
Vedi? disse l’essere. Anche sul tuo pianeta non è universale.
Non lo so, disse Blaine. Mi sembra di ricordare che ci sono cose che non muoiono.
Cose normali, vuoi dire.
La morte ha uno scopo, insistette Blaine. È un processo, una funzione che ha reso possibile, sul mio pianeta, lo sviluppo delle specie e la loro differenziazione. Elimina gli insuccessi. È un cancellino che spazza via gli errori, e che fornisce nuovi inizi.
Il Rosa si sistemò. Lo si poteva sentire mentre si sistemava, soddisfatto, preparandosi ad un lungo scambio di idee, forse ad una discussione.
Può darsi, fece, ma è molto primitivo. Ricorda il fango primordiale. Ci sono modi molto migliori. C’è persino un punto oltre il quale non c’è più bisogno di quel miglioramento di cui mi hai parlato.
Ma, per prima cosa, proseguì, sei contento?
Contento?
Beh, adesso anche tu sei migliorato. Ti sei espanso. Sei in parte te stesso e in parte me.
E anche tu sei in parte me.
Il Rosa sembrò ridacchiare.
Ma ci sono solo due cose, in te… tu stesso e me: ed io sono tante cose che non saprei neppure come incominciare a spiegartelo. Ho compiuto molte visite e ho raccolto molte cose, comprese molte menti, e certune di quelle menti, non mi vergogno a dirtelo, non valevano la pena di uno scambio. Ma, sai, anche se io ho compiuto molte visite, quasi nessuno viene a far visita a me. Non riesco a dirti quanto apprezzo questa tua visita. Una volta c’è stato un essere che veniva a trovarmi piuttosto spesso, ma è stato tanto tempo fa, ed è un pò difficile ricordare. A proposito, tu misuri il tempo, vero? Voglio dire, il tempo superficiale.
Blaine gli spiegò in che modo gli esseri umani misuravano il tempo.
Uhm, ecco, vediamo, disse l’essere, mentre faceva un rapido calcolo mentale. Dovrebbe essere stato circa diecimila anni fa, secondo il tuo sistema di misurazione.
Che questo essere è venuto a farti visita?
Esatto, disse il Rosa. E tu sei stato il primo, da allora. Sei venuto tu a trovarmi. Non sei stato ad aspettare che io venissi a trovare te. E avevi quella macchina…
Come mai, chiese Blaine, mi hai chiesto il nostro sistema di misurazione del tempo? Sapevi tutto. Hai scambiato la tua mente con la mia. Tu sai tutto quello che so io.
Certamente, disse il Rosa. Certamente lo sapevo. Ma non l’avevo ritrovato. Non mi crederesti, se ti dicessi come sono pieno zeppo di nozioni.
E questo era vero, pensò Blaine. Lui, con una sola mente in più, si sentiva stordito. Si chiese se…
Naturalmente, gli disse il Rosa. Si sistemerà tutto, con il tempo. Ci vuole un pò. Diventerai una mente sola, non due. Vi unirete. Ti piace, non è vero?
È stata un pò un guaio, quella faccenda dello specchio.
Non mi piace provocare guai, disse il Rosa. Cerco solo di fare del mio meglio. Quando faccio un errore, ci rimedio. Tolgo lo specchio. Lo cancello. Va bene?
Va bene, disse Blaine.
Me ne sto qui, disse il Rosa, e vado a visitare altri posti. Senza muovermi da qui, vado dovunque voglio, e ti sorprenderebbe sapere quanto sono poco numerose le menti con cui mi interessa fare scambio.
Ma in diecimila anni, devi averne raccolte parecchie.
Diecimila anni, disse l’essere, con un trasalimento. Diecimila anni fa, amico mio, era soltanto ieri.
Rimase lì, a frugare e a frugare alla ricerca del principio, e alla fine vi rinunciò.
E sono così pochi, continuò, lamentosamente, quelli che sanno arrangiarsi con una seconda mente. Debbo avere molta cura di loro, e debbo stare molto attento. Ce ne sono molti che si credono posseduti. E alcuni impazzirebbero se facessi uno scambio con loro. Forse tu puoi capirmi.
Sicuro, disse Blaine.
Vieni, disse il Rosa, vieni a sederti qui, vicino a me.
Non sono in condizioni di potermi mettere seduto, spiegò Blaine.
Oh, si, capisco, disse l’essere. Avrei dovuto pensarci. Bene, allora, avvicinati. Sei venuto per una visita, immagino.
Naturalmente, disse Blaine, avvicinandosi un poco.
Ora, da dove incomincio? chiese l’essere. Ci sono tanti posti e tanti tempi e tante creature diverse. È sempre un problema. Immagino che sia a causa di un desiderio di ordine che è naturale nella mente. Continua ad assillarmi il pensiero che, se potessi mettere tutto insieme, riuscirei ad arrivare a qualcosa di significativo. Non ti dispiacerà credo, se ti parlo delle strane creature che ho trovato verso l’orlo della galassia.
Non mi dispiace affatto, disse Blaine.
Sono abbastanza straordinarie, disse il Rosa, perché non hanno creato macchine, come la tua civiltà, ma sono diventate macchine esse stesse, in effetti…
Là, nella stanza azzurrovivo, con le stelle aliene che fiammeggiavano nel cielo, mentre il vento del deserto infuriava lontano, con una rabbia che in quella stanza giungeva soltanto come un mormorio, il Rosa parlò… non soltanto degli esseri-macchina, ma di molti altri. Delle tribù di insetti che da secoli interminabili accumulavano enormi riserve di cibo di cui non avevano bisogno, lavorando come schiavi, spinti da una cieca follia economica. O della razza che aveva fatto dell’arte la base di una bizzarra religione. Dei posti d’ascolto, creati dalle guarnigioni di un impero galattico che da molto tempo ormai era stato dimenticato da tutti, eccettuate quelle guarnigioni. Dei fantastici, complicati sistemi sessuali di un’altra razza di esseri che, di fronte alle difficoltà massicce della procreazione, non riuscivano quasi a pensare ad altro. Dei pianeti che non avevano mai conosciuto la vita e che correvano lungo le loro orbite nudi e scarni e grezzi come il giorno in cui si erano formati. E di altri pianeti che erano calderoni ribollenti di reazioni chimiche che stancavano la mente solo a pensarci: e quelle stesse reazioni chimiche davano origine ad una specie instabile ed effimera di capacità senziente che in un attimo era vita e un attimo dopo non riusciva più ad esserlo.
Tutto questo… e molto di più.
Blaine, mentre ascoltava, si rendeva conto della misura veramente fantastica dell’essere che aveva conservata il ricordo del suo inizio, e non aveva neppure un concetto della fine: una creatura dalla mente vagabonda che aveva esplorato, durante miliardi di anni, milioni di stelle e di pianeti sparsi in milioni di anni-luce, in quella galassia e in alcune delle galassie più vicine: una mente che aveva raccolto un confuso, gigantesco patrimonio di informazioni assortite, e non faceva il minimo sforzo per utilizzarle. Molto probabilmente, non aveva idea di come utilizzarle, eppure era turbata dalla vaga sensazione che quel patrimonio di conoscenze non doveva essere abbandonato ad oziare.
Era il tipo di creatura che poteva starsene ferma al sole per un tempo interminabile, a raccontare episodi eccentrici di tutto ciò che aveva veduto.
E per la razza umana, pensò Blaine, quella era una enciclopedia galattica, un atlante che comprendeva le mappe di innumerevoli anni-luce cubici. Quella era il tipo di creatura che la tribù dell’Uomo avrebbe potuto utilizzare. Quelle erano le nozioni che valeva la pena di acquisire, riservate da una entità che sembrava priva di sentimenti, a parte un certo senso di amichevolezza; una entità che, in tutti quegli anni di immobile osservazione, aveva esaurito ogni capacità di emozione, se pure l’aveva mai posseduta: che non aveva usato nulla delle conoscenze acquisite, ma che non aveva perduto egualmente il suo tempo. Perché in tutte le sue osservazioni, in tutto quel suo stare alla finestra a guardare gli altri mondi, aveva acquisito una enorme to’leranza ed una comprensione, non della sua stessa natura, non della natura umana, ma di ogni natura: una comprensione della stessa vita, di ogni essere senziente e intelligente; ed una comprensione per tutti i moventi e per tutte le morali, e per tutte le ambizioni, anche se apparivano assurdi agli occhi di altri esseri viventi.
E tutto questo, pensò Blaine con un trasalimento improvviso, era egualmente accumulato nella mente di un solo essere umano, del solo Shepherd Blaine, se mai fosse riuscito a dividere e a classificare per un uso adeguato.
Mentre ascoltava, Blaine perse il senso del tempo, perse la consapevolezza di ciò che era e di dove era e del perché era lì: ascoltava come un ragazzo ascolterebbe una stupenda avventura narrata da un vecchio marinaio venuto da terre lontane e sconosciute.
La stanza era divenuta familiare, e il Rosa era un amico, e le stelle non erano più aliene, e l’ululato lontano del vento del deserto era una ninnananna che lui aveva sempre conosciuto.
Passò molto tempo prima che si rendesse conto di ascoltare soltanto il vento: e le storie di luoghi lontani e di tempi lontani s’erano interrotte.
Si riscosse, quasi insonnolito, e il Rosa riprese a parlare.
È stata una bellissima visita. Credo che sia stata la migliore che io abbia mai ricevuto.
C’è una cosa, disse Blaine. Una domanda…
Se è per lo schermo, disse il Rosa, non hai motivo di preoccuparti. L’ho tolto. Non c’è più nulla che possa tradirti.
Non è questo, disse Blaine. È il tempo. Io… cioè, noi due… abbiamo un certo controllo del tempo. Per due volte mi ha salvato la vita.
È lì, disse il Rosa. La comprensione più semplice che esista. Ti dirò…